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Messaggi del 17/03/2019
Post n°2035 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet In Val Camonica lungo lo splendido Cammino di Carlo MagnoUn itinerario che nasce dalla leggenda e permette di scoprire i paesaggi della Lombardia In Lombardia c'è un itinerario che permette di scoprire i paesaggi della Val Camonica: il Cammino di Carlo Magno. Questo itinerario si sviluppa per circa 100 chilometri ed è diviso in cinque tappe. Prende il nome da un'antica leggenda che narra del passaggio di Carlo Magno in Val Camonica. Secondo la tradizione, il Re de Franchi attraversò tutta la valle e conquistò i castelli dei signori locali, costringendoli alla conversione; e, per celebrare le sue vittorie, l'Imperatore del Sacro Romano impero fece costruire numerose chiese, spesso sopra i ruderi dei castelli appena distrutti. Il Cammino di Carlo Magno è di difficoltà media: parte da Lovere, paesino che si affaccia sul Lago d'Iseo, e termina a Ponte di Legno, vicino al Passo del Tonale. I 100 chilometri del percorso sono suddivisi in cinque tappe: partendo da Lovere si attraversa il parco del Lago Moro dove, lungo il suo tracciato, si possono visitare diverse chiese fondate da Carlo Magno secondo quanto racconta la leggenda. In seguito si passa per il parco delle incisioni di Foppe di Nadro e il parco delle Incisioni di Naquane. Con la prima tappa, da Lovere a Boario Terme, ci si può immergere tra le vie medievali e visitare la Basilica di Santa Maria in Valvendrae il Castello di Gorzone. Cimentandosi nella seconda tappa, da Boario Terme a Breno, si ha la possibilità di scoprire i segreti dell'arte camuna. In particolare, ad Esine, è imperdibile una visita alla Chiesa di Santa Maria Assunta che racchiude una cappella del 1400 e conserva un intero ciclo affrescato dal pittore locale Pietro da Cemmo. La terza tappa parte da Breno e finisce a Grevo. Lunga 17.8 chilometri, passa attraverso le aree sacre degli antichi Camuni: luoghi ricchi di incisioni rupestri riconosciute come il primo sito italiano dell'Unesco. La quarta tappa è sicuramente quella più naturalistica: termina a Edolo, un centro medievale che rappresentava un importante crocevia tra il Passo del Tonale e ilPasso dell'Aprica. La quinta e ultima tappa offre infine la possibilità di scoprire le chiese immerse nei boschi legate a Carlo Magno e nel centro di Temù si può visitare il Museo della Guerra Bianca. Un luogo ricco di storia e di leggende, che da percorrere è davvero incredibile. |
Post n°2034 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet La biblioteca che ha ispirato Umberto Eco per "Il nome della rosa"Ecco dov'è la biblioteca-labirinto dell'abbazia benedettina descritta nel romanzo di Umberto Eco "La biblioteca è un labirinto: potreste entrare e non ritrovare più l'uscita". Così è descritta la spettacolare e misteriosa biblioteca dell'abbazia benedettina nella fiction Tv "Il nome della rosa", tratta dall'omonimo romanzo di Umberto Eco. Una biblioteca che, purtroppo, non esiste nella realtà. Molte delle scene, specie degli interni, sono state girate a Cinecittà, dove è stato ricostruito il set con tanto di abbazia (anche se alcune riprese sono state fatte in Italia, tra Roccascalegna in Abruzzo e laSacra di San Michele in Piemonte). Tuttavia, nella mente di Eco che l'ha descritta nei minimi particolari, c'era chiaramente un luogo da lui visitato durante la stesura delle pagine del bestseller: la Stiftsbibliothek di San Gallo, la biblioteca all'interno dell'abbazia benedettina svizzera. Con oltre 1200 anni di storia, è considerata una delle più importanti biblioteche del mondo, tanto da essere stata inserita dall'Unesco nella lista dei Patrimoni dell'Umanità, insieme all'intero complesso abbaziale naturalmente. antichi, alcuni rarissimi e di enorme valore: si contano all'incirca 2100 codici miniati, come quelli a cui lavorano i monaci nel romanzo./film/fiction, la metà dei quali di epoca medievale e di origine antico alto tedesca, irlandese, carolingia ecc. Proprio per via dei testi che vi si possono trovare, sono tantissimi gli studiosi che la visitano e ne consultano i volumi ogni anno. I libri vanno dalla paleografia alla storia dell'arte, della musica alla letteratura, dalla filologia latina e germanica alla storia del diritto e della medicina, dalla teologia alle scienze. Insomma, tutto lo scibile umano è contenuto in questo scrigno di cultura. La storia dell'abbazia e della biblioteca è antichissima e risale all'anno 612, quando il monaco irlandese Gallo si r itirò nella valle superiore dello Steinach, nella Svizzera orientale, per condurre una vita da eremita. Negli anni, attorno a lui, si radunarono alcuni discepoli, ma fu nel 719 che l'abate Otmar trasformò il luogo in un monastero. L'introduzione della Regola benedettina avvenuta nel 747, cheobbligava i monaci a letture quotidiane, gettò le basi per la creazione dell'attuale biblioteca, attorno alla quale ben presto si costituì anche una scuola. Nel corso dei secoli la biblioteca si è ampliata, sulla base di una mappa chiamata "pianta di San Gallo". La pianta descrive una completa abbazia benedettina, comprese le chiese, le abitazioni, le stalle, le cucine, i laboratori, la distilleria, l'infermeria e un edificio impiegato per i salassi. Questa pianta non fu mai veramente replicata, ma il sito attuale non è molto diverso. Tuttavia, la piantina, realizzata in pergamena e tuttora conservata all'interno della biblioteca di San Gallo, fu considerata la struttura ideale di un'abbazia benedettina e venne presa a modello da molti altri monasteri. Per la Svizzera è uno dei documenti più importanti che esistano. La biblioteca di San Gallo può essere visitata. Ospita una mostra permanente sulla storia del luogo e la pianta originale oltre ad alcune immagini che ne mostrano l'evoluzione nel corso dei secoli, ma spesso si tengono anche esposizioni temporanee. È un viaggio emozionante nella storia, nella letteratura e nell'arte quello che si fa quando si visita la Stiftsbibliothek di San Gallo, nell'omonimo Cantone della Svizzera. La biblioteca è il centro del romanzo "Il nome della rosa" scritto da Umberto Eco nel 1986, da cui stato stati tratti un film di grande successo interpretato da Sean Connery nel 1986 e una fiction Tv in onda su Rai1 nel 2019 con John Turturro, e tutti sanno come finisce (chi non lo sa, legga il libro). |
Post n°2033 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Gabriele D'Annunzio, all'anagrafe Gabriele d'Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 -Gardone Riviera, 1º marzo 1938), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale, dal 1924 insignito del titolo di "principe di Montenevoso".
Soprannominato "il Vate", cioè "poeta sacro, profeta", cantore dell'Italia umbertina, o anche "l'Immaginifico", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana [...]»e come politico lasciò un segno nella sua epoca e un'influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti. L'arte di D'Annunzio fu così determinante per la cultura di massa che influenzò usi e costumi nell'Italia -e non solo- del suo tempo: un periodo che più tardi sarebbe stato definito appunto "dannunziane- simo". La famiglia e gli anni di formazione Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da una famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Dalla madre, Luisa de Benedictis (1839-1917), erediterà la fine sensibilità; dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta (1831-1893) (il quale aveva acquisito nel 1851 il cognome D'Annunzio da un ricco parente che lo adottò, lo zio Antonio D'Annunzio), il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, che portarono la famiglia da una condizione agiata a una difficile situazione economica. Reminiscenze della condotta paterna, la cui figura è ricordata nelle Faville del maglio e accennata nel Poema paradisiaco, sono presenti nel romanzo Trionfo della morte. Ebbe tre sorelle, cui fu molto legato per tutta la vita, e un fratello minore Anna (Pescara, 27 luglio 1859 - Pescara, 9 agosto 1914); Elvira (Pescara, 3 novembre 1861 - Pescara, 1942); Ernestina (Pescara, 10 luglio 1865 - Pescara, 1938); Antonio (Pescara, 1867 - New York, 1945), direttore d'orchestra, si trasferì negli Stati Uniti d'America, dove perse tutto nella crisi economica del 1929; D'Annunzio lo aiutò finanziariamente con cospicui prestiti, ma le continue richieste di denaro spinsero Gabriele a rompere i rapporti e a rifiutare di incontrarlo al Vittoriale. Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà. Ne è testimonianza la lettera che, ancora sedicenne, scrisse nel 1879 a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italiaumbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Convitto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della domenica, il libro venne pubblicizzato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Lo stesso D'Annunzio poi smentì la falsa notizia. Dopo aver concluso gli studi liceali accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunse a Roma e si iscrisse alla Facoltà di Lettere, dove non terminò mai gli studi. Il periodo romano (1881-1891 Gli anni 1881-1891 furono decisivi per la formazione di D'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma da poco divenuta capitale del Regno, cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica. La buona accoglienza che trovò in città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese, parte dei quali conosciuti dal poeta a Francavilla al Mare, in un convento di proprietà del corregionale e amico Francesco Paolo Michetti (fra essi Scarfoglio, Tosti, Masciantonio e Barbella) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina", dal nome della rivista su cui scrivevano, La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante - ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee - una novità "barbarica", eccitante e trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia", "natura-cultura" offrivano alle attese di lettori desiderosi di novità. D'Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequenta- zione della Roma "bene" dal suo gusto per l'esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio "di riparazione" (lei era già incinta del figlio Mario), nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario, deputato al parlamento,Gabriele Maria, attore, e Ugo Veniero)[14]. Il matrimonio finì in una separazione legale dopo pochi anni (anche se il poeta e la ex-moglie rimasero in buoni rapporti), per le numerose relazioni extraconiugali di D'Annunzio. Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente a fuoco i propri riferimenti culturali, nei quali si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive. Ma la donna venne presto messa in disparte dallo scrittore, che dall'aprile del 1887 guardò con grande passione alla nuova amante Barbara Leoni, destinata a restare il suo più grande amore, anche al di là della loro storia durata cinque anni. In quei primi anni giovanili utilizzava lo pseudonimo di "Duca Minimo" per gli articoli che scriveva per La Tribuna, giornale fondato dagli esponenti della Sinistra storica, Alfredo Baccarini e Giuseppe Zanardelli. Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere a Milano presso l'editore Treves, nel 1889. Tale romanzo, incentrato sulla figura dell'esteta decadente, inaugura una nuova prosa introspettiva e psicologica che rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti. Accanto a lettori ed estimatori più attenti e colti, venne presto a crearsi attorno alla figura di D'Annunzio un vasto pubblico condizionato non tanto dai contenuti, quanto dalle forme e dai risvolti divistici delle sue opere e della sua persona, un vero e proprio star system ante litteram, che lo stesso scrittore contribuì a costruire deliberatamente. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.
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Post n°2032 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Il periodo napoletano (1891-1893) Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli, dove compose Giovanni Episcopo e L'innocente, seguiti daIl trionfo della morte (scritto in Abruzzo, tra Francavilla al Mare e San Vito Chietino) e dalle liriche delPoema paradisiaco. Sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Friedrich Nietzsche. Le suggestioni nietzschiane, liberamente filtrate dalla sensibilità del Vate si ritroveranno anche ne Le vergini delle rocce (1895), poema in prosa dove l'arte «...si presenta come strumento di una diversa aristocrazia, elemento costitutivo del vivere inimitabile, suprema affermazione dell'individuo e criterio fondamentale di ogni atto»]. Nel 1892, a seguito di una gara con Ferdinando Russo sulla capacità del poeta di comporre liriche in dialetto napoletano, D'Annunzio compone il testo de 'A vucchella, romanza che verrà pubblicata nel 1907 musicata da Francesco Paolo Tosti. La canzone, eseguita da celebri tenori come Enrico Caruso e, in seguito, Luciano Pavarotti verrà incisa anche da grandi interpreti della canzone napoletana come Roberto Murolo che ne faranno un classico. Il periodo fiorentino (1894-1904 Sempre nel 1892 cominciò una relazione epistolare con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Si conobbero personalmente nel 1894 e subito scattò l'amore. Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì a Firenze, nella zona di Settignano, dove affittò la villa La Capponcina - dal nome della famiglia Capponi che ne era stata la proprietaria - (vicinissima alla villa La Porziuncola dell'attrice), trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente, definita da lui "la vita del signore rinascimentale". Frequentò anche il Chianti e conobbe una nobile di San Casciano in Val di Pesa, passò un breve periodo presso il Fedino, una nota villa del luogo. Sono in questi anni che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana, piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro, dominanti in Italia, e che non di rado ha come punto di riferimento la figura attoriale della Duse, nonché le sue migliori opere poetiche, la gran parte delle Laudi, e, tra queste, il vertice e capolavoro della poesia dannunziana, l'Alcyone. La relazione dell'artista con Eleonora Duse è stata celebrata a Firenze in un modo molto originale. Alla nascita del quartiere fiorentino di Coverciano (sorto proprio ai piedi della villa dannunziana di Settignano), due importanti arterie stradali della zona vennero inaugurate in memoria dei famosi amanti, prevedendo inoltre un incrocio tra queste vie. Tra il 1893 e il 1897 D'Annunzio condusse un'esistenza movimentata, che lo portò dapprima nella sua terra d'origine e poi in Grecia, che visitò nel corso di un lungo viaggio. Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita», per protesta contro Luigi Pelloux e le "leggi liberticide"; espresse anche vivaci proteste per la sanguinosa repressione dei moti di Milano da parte del generale Fiorenzo Bava Beccaris. Dal 1900 al 1906 fu molto vicino al Partito Socialista Italiano D'Annunzio e la Massoneria Il 3 marzo 1901 inaugurò invece con Ettore Ferrari, Gran Maestro della massoneria del Grande Oriente d'Italia, l'Università Popolare di Milano, nella sede di via Ugo Foscolo, dove pronunciò il discorso inaugurale e dove, successivamente, svolse un'attività straordinaria di docenze e lezioni culturali. L'amicizia con Ferrari aveva avvicinato il Vate alla "libera muratoria": D'Annunzio era infatti massone e 33º grado della Gran Loggia d'Italia degli Alam detta "di Piazza del Gesù", fuoriuscita nel 1908 dal GOI. Più tardi fu iniziato al Martinismo. Molti dei volontari fiumani erano esoteristi o massoni e tra di essi figuravano in particolare Alceste de Ambris, Sante Ceccherini, Marco Egidio Allegri. La bandiera della Reggenza del Carnaro avrebbe contenuto svariati simboli massonici e gnostici, come l'uroboro e le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Il trasferimento in Francia (1904-1915) La relazione con Eleonora Duse si incrinò nel 1904, dopo la pubblicazione del romanzo Il fuoco, in cui il poeta aveva descritto impietosamente la loro relazione, e il tradimento con Alessandra di Rudiní. In quell'epoca la vita dispendiosa condotta dal Vate lo portò a sperperare le cospicue somme percepite per le proprie pubblicazioni, che divennero insufficienti a coprire le spese prodottesi. Nel 1910, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff[, D'Annunzio si trasferì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e, per evitare i creditori, aveva preferito allontanarsi dal proprio Paese. L'arredamento della villa fu messo all'asta e D'Annunzio per cinque anni non rientrò in Italia. Risale a questo periodo la relazione con l'americana Romaine Beatrice Brooks. A Parigi era un personaggio noto, era stato tradotto da Georges Hérelle e il dibattito tra decadentisti e naturalisti aveva a suo tempo suscitato un notevole interesse già con Huysmans. Ciò gli permise di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane, tra cui quelle con Filippo Tommaso Marinetti e Claude Debussy. Pur lontano dall'Italia, collaborò al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra italo-turca, inclusi poi in Merope, o editoriali per diversi giornali nazionali (in particolare per il Corriere della Sera), che a loro volta gli concedevano altri prestiti. Nel 1910 D'Annunzio aderì all'Associazione Nazionalista Italiana fondata da Corradini. Nei suoi contributi inneggiò ad una politica di potenza, opponendo la sua idea di Nazione all'«Italietta meschina e pacifista». Nel 1914 Gabriele D'Annunzio rifiutò di diventare Accademico della Crusca, dichiarandosi nemico degli onori letterari e delle Università. Ai bolognesi che gli offrivano una cattedra scrisse infatti: "amo più le aperte spiagge che le chiuse scuole dalle quali vi auguro di liberarvi". Dopo il periodo parigino si ritirò ad Arcachon, sulla costa atlantica, dove si dedicò all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Debussy), e compose libretti d'opera (Le martyre de Saint Sébastien) e soggetti per film (Cabiria) |
Post n°2031 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Gabriele D'Annunzio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Gabriele D'Annunzio, all'anagrafe Gabriele d'Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 -Gardone Riviera, 1º marzo 1938), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale, dal 1924 insignito del titolo di "principe di Montenevoso".
Soprannominato "il Vate", cioè "poeta sacro, profeta", cantore dell'Italia umbertina, o anche "l'Immaginifico", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana [...]»e come politico lasciò un segno nella sua epoca e un'influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti. L'arte di D'Annunzio fu così determinante per la cultura di massa che influenzò usi e costumi nell'Italia -e non solo- del suo tempo: un periodo che più tardi sarebbe stato definito appunto "dannunziane- simo". La famiglia e gli anni di formazione Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da una famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Dalla madre, Luisa de Benedictis (1839-1917), erediterà la fine sensibilità; dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta (1831-1893) (il quale aveva acquisito nel 1851 il cognome D'Annunzio da un ricco parente che lo adottò, lo zio Antonio D'Annunzio), il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, che portarono la famiglia da una condizione agiata a una difficile situazione economica. Reminiscenze della condotta paterna, la cui figura è ricordata nelle Faville del maglio e accennata nel Poema paradisiaco, sono presenti nel romanzo Trionfo della morte. Ebbe tre sorelle, cui fu molto legato per tutta la vita, e un fratello minore Anna (Pescara, 27 luglio 1859 - Pescara, 9 agosto 1914); Elvira (Pescara, 3 novembre 1861 - Pescara, 1942); Ernestina (Pescara, 10 luglio 1865 - Pescara, 1938); Antonio (Pescara, 1867 - New York, 1945), direttore d'orchestra, si trasferì negli Stati Uniti d'America, dove perse tutto nella crisi economica del 1929; D'Annunzio lo aiutò finanziariamente con cospicui prestiti, ma le continue richieste di denaro spinsero Gabriele a rompere i rapporti e a rifiutare di incontrarlo al Vittoriale. Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà. Ne è testimonianza la lettera che, ancora sedicenne, scrisse nel 1879 a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italiaumbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Convitto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della domenica, il libro venne pubblicizzato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Lo stesso D'Annunzio poi smentì la falsa notizia. Dopo aver concluso gli studi liceali accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunse a Roma e si iscrisse alla Facoltà di Lettere, dove non terminò mai gli studi. Il periodo romano (1881-1891 Gli anni 1881-1891 furono decisivi per la formazione di D'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma da poco divenuta capitale del Regno, cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica. La buona accoglienza che trovò in città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese, parte dei quali conosciuti dal poeta a Francavilla al Mare, in un convento di proprietà del corregionale e amico Francesco Paolo Michetti (fra essi Scarfoglio, Tosti, Masciantonio e Barbella) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina", dal nome della rivista su cui scrivevano, La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante - ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee - una novità "barbarica", eccitante e trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia", "natura-cultura" offrivano alle attese di lettori desiderosi di novità. D'Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequenta- zione della Roma "bene" dal suo gusto per l'esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio "di riparazione" (lei era già incinta del figlio Mario), nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario, deputato al parlamento,Gabriele Maria, attore, e Ugo Veniero)[14]. Il matrimonio finì in una separazione legale dopo pochi anni (anche se il poeta e la ex-moglie rimasero in buoni rapporti), per le numerose relazioni extraconiugali di D'Annunzio. Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente a fuoco i propri riferimenti culturali, nei quali si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive. Ma la donna venne presto messa in disparte dallo scrittore, che dall'aprile del 1887 guardò con grande passione alla nuova amante Barbara Leoni, destinata a restare il suo più grande amore, anche al di là della loro storia durata cinque anni. In quei primi anni giovanili utilizzava lo pseudonimo di "Duca Minimo" per gli articoli che scriveva per La Tribuna, giornale fondato dagli esponenti della Sinistra storica, Alfredo Baccarini e Giuseppe Zanardelli. Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere a Milano presso l'editore Treves, nel 1889. Tale romanzo, incentrato sulla figura dell'esteta decadente, inaugura una nuova prosa introspettiva e psicologica che rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti. Accanto a lettori ed estimatori più attenti e colti, venne presto a crearsi attorno alla figura di D'Annunzio un vasto pubblico condizionato non tanto dai contenuti, quanto dalle forme e dai risvolti divistici delle sue opere e della sua persona, un vero e proprio star system ante litteram, che lo stesso scrittore contribuì a costruire deliberatamente. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.
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Post n°2030 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Partecipazione alla prima guerra mondiale (1915-1918) Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse immediatamente un'intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma e delRisorgimento e richiamandosi alla figura di Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronunciò a Quarto il 5 maggio 1915 durante l'inaugurazione del monumento ai Mille, in seno alle imponenti manifestazioni che si svolsero a Genova in occasione delle celebrazioni del Primo Maggio, segnò l'inizio di un fitto programma di manifestazioni interventiste, che culminarono con le arringhe tenute a Roma durante tutto il periodo antecedente l'entrata in guerra, durante le cosiddette "radiose giornate di maggio". Con lo scoppio del conflitto con l'Austria-Ungheria, D'Annunzio, nonostante avesse 52 anni, ottenne di arruolarsi come volontario di guerra nei Lancieri di Novara, partecipando subito ad alcune azioni dimostrative navali e aeree. Per un periodo risiedette a Cervignano del Friuli e Santa Maria la Longa, località vicine al Comando della III Armata, a capo della quale era il suo estimatore Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d'Aosta. La sua attività in guerra fu prevalentemente propagandistica, fondata su continui spostamenti da un corpo all'altro come ufficiale di collegamento e osservatore. Ottenuto il brevetto di Osservatore d'aereo, nell'agosto 1915 effettuò un volo sopra Trieste insieme al suo comandante e carissimo amico Giuseppe Garrassini Garbarino, lanciando manifesti propagandistici; nel settembre 1915 partecipò a un'incursione aerea su Trentoe nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell'Isonzo. Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d'emergenza, nell'urto contro la mitragliatrice dell'aereo riportò una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopracciliare destra. La ferita, non curata per un mese, provocò la perdita dell'occhio che tenne coperto da una benda; anche da questo episodio trasse ispirazione per autodefinirsi e autografarsi come l'Orbo veggente. Dopo l'incidente passò un periodo di convalescenza a Venezia, durante il quale, assistito dalla figlia Renata, compose il Notturno. L'opera, interamente dedicata a ricordi e riflessioni legati all'esperienza di guerra, fu pubblicata nel 1921. Dopo la degenza, contro i consigli dei medici, tornò al fronte: nel settembre 1916 partecipò a un'incursione su Parenzo e, nell'anno successivo, con la III Armata, alla conquista del Veliki e al cruento scontro presso le foci del Timavo nel corso della decima battaglia dell'Isonzo. Nell'agosto del 1917 compì, con i piloti Maurizio Pagliano e Luigi Gori e il loro Caproni Ca.33, decorato con l'Asso di Picche, tre raid notturni su Pola (3, 5 e 8 agosto). Alla fine del mese effettuò col medesimo equipaggio attacchi a volo radente sulla dorsale dell'Hermada, riportando una ferita al polso e rientrando con il velivolo forato da 134 colpi. A settembre parve realizzarsi la possibilità di effettuare l'agognato raid su Vienna. A tal fine, con Pagliano e Gori compì un volo dimostrativo di 1000 km in 9 ore di volo, ma all'ultimo istante il consenso al raid venne negato. Alla fine di settembre si trasferì a Gioia del Colle (BA), inquadrato sempre con Pagliano e Gori, oltre al tenente Ivo Oliveti, Casimiro Buttini, Gino Lisa, Mariano D'Ayala Godoy, Andrea Bafile e il corrispondente di guerra del Corriere della Sera Guelfo Civinini, nel Distaccamento A.R., comandato dal maggiore Armando Armani, suiCaproni Ca.33 e al comando della 1ª Squadriglia bis, per compiere una missione sulle installazioni navali del golfo di Cattaro. L'impresa venne portata a termine con successo, sempre con Pagliano e Gori, la notte del 4 ottobre, volando per oltre 500 km sul mare, senza riferimenti, orientandosi con la bussola e le stelle Alla fine di ottobre, durante la battaglia di Caporetto, incitò i soldati, pronunciando discorsi appassionati. Nel febbraio del 1918, imbarcato sui MAS 96 della Regia Marina, partecipò al raid navale, denominato la beffa di Buccari, azione dedicata alla memoria dei suoi compagni di volo Pagliano e Gori, caduti il 30 dicembre. Cazzullo riporta un episodio in cui il poeta cercò di impegnare truppe italiane per un'operazione puramente dimostrativa volendo posizionare un enorme tricolore sul castello di Duino, situato oltre il fronte, in direzione di Trieste. Quando gli austriaci, accortisi dell'incursione, aprirono il fuoco uccidendo diversi soldati italiani, D'Annunzio forzò i fanti rimasti ad avanzare comunque, ordinando agli artiglieri di sparare su chi si fosse arreso e additando i superstiti che fuggivano come codardi. L'11 marzo 1918, con il grado di maggiore, assunse il comando della 1ª Squadriglia navale S.A. del campo volo di San Nicolò del Lido di Venezia, primo esperimento di siluranti aeree, chiamata Squadra aerea San Marco, e ne coniò il motto: Sufficit Animus ("Abbastanza anima"). Tale squadriglia era mista, in quanto formata da aeroplani da ricognizione-bombardamento (velivoli SIA 9B - 4 velivoli nel 1º semestre 1918 e 7 velivoli nel 2º semestre 1918) e da ricognizione/caccia (10 velivoli Ansaldo S.V.A.). Nell'agosto del 1918, alla guida della 87ª Squadriglia aeroplani "Serenissima", equipaggiata con i nuovi velivoli SVA 5, realizzò il suo sogno: il Volo su Vienna. Preso posto su uno SVA modificato, pilotato dal capitano Natale Palli, il 9 agosto raggiunse con una formazione di sette aeroplani la capitale asburgica, compiendo un volo di oltre 1000 km, quasi tutti sorvolando il territorio in mano al nemico. L'azione, dal carattere esclusivamente psicologico e propagandistico, fu caratterizzata dal lancio di migliaia di manifestini nei cieli di Vienna, con scritte che inneggiavano alla pace e alla fine delle ostilità. L'eco e la risonanza di tale azione furono enormi e perfino il nemico dovette ammetterne il valore. Fino al termine del conflitto, D'Annunzio si prodigò in innumerevoli voli di bombardamento sui territori occupati dall'esercito austriaco, fino alla battaglia finale, ai primi di novembre 1918. Al termine del conflitto «egli apparteneva di diritto alla generazione degli assi e dei pluridecorati...»[ e il coraggio dimostrato, unitamente ad alcune celebri imprese di cui era stato protagonista, ne consolidarono ulteriormente la popolarità. Si congedò con il grado di tenente colonnello, inusuale, all'epoca, per un ufficiale di complemento (ebbe tre promozioni per merito di guerra); gli verrà anche concesso nel 1925 il titolo onorario di generale di brigata aerea. Fu insignito di una medaglia d'oro al valor militare, cinque d'argento e una di bronzo. Nell'immediato dopoguerra D'Annunzio si fece portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata" e chiedendo, in sintonia con il movimento dei combattenti, il rinnovamento della classe dirigente in Italia. Lo stesso clima di malcontento portò all'ascesa di Benito Mussolini, che di qui al 1922 avrebbe condotto il fascismo a prendere il potere in Italia. Durante il conflitto D'Annunzio conobbe il poeta giapponese Harukichi Shimoi, arruolatosi negli Arditi dell'esercito italiano. Dall'incontro dei due poeti-soldati nacque l'idea, promossa a partire dal marzo 1919, del raid aereo Roma-Tokyo, ovviamente pacifico, a cui il Vate voleva inizialmente partecipare, e che fu portato a termine dall'aviatore Arturo Ferrarin. L'impresa di Fiume (1919-1921)
Nel settembre 1919 D'Annunzio, insieme ad un gruppo paramilitare, guidò una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa), per l'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico. A Fiume, occupata dalle truppe alleate, già nell'ottobre 1918 si era costituito un Consiglio nazionale che propugnava l'annessione all'Italia, di cui fu nominato presidente Antonio Grossich. D'Annunzio con una colonna di volontari (tra i quali vi era anche Silvio Montanarella, marito della figlia Renata) occupò Fiume e vi instaurò il "Comando dell'Esercito italiano in Fiume d'Italia". Il 5 ottobre 1920 aderì al Fascio di combattimento di Fiume. D'Annunzio, che era anche comandante delle Forze Armate Fiumane, e il suo governo vararono tra l'altro la Carta del Carnaro, una costituzione provvisoria, scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris e modificata in parte da D'Annunzio stesso, che prevedeva, assieme alle varie leggi applicative e regolamenti varati, numerosi diritti per i lavoratori, le pensioni di invalidità, l'habeas corpus, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di opinione, di religione e di orientamento sessuale, la depenalizzazione dell'omosessualità, del nudismo e dell'uso di droga, la funzione sociale della proprietà privata, il corporativismo, le autonomie locali e il risarcimento degli errori giudiziari, il tutto molto tempo prima di altre carte costituzionali dell'epoca. Alle 9 corporazioni originarie ne aggiunse una decima, costituita dai cosiddetti "uomini novissimi". Gli articoli XLIII e XLIV delineano la figura di un "Comandante" (lo stesso D'Annunzio), eletto con voto palese, una sorta di dittatore romano, attivo per il tempo di guerra, che detiene "la potestà suprema senza appellazione" e "assomma tutti i poteri politici e militari, legislativi ed esecutivi. I partecipi del Potere esecutivo assumono presso di lui officio di segretarii e commissarii." Alcuni sostengono che D'Annunzio avesse usato mezzi repressivi per il governo di Fiume, i quali precorsero quelli poi usati dai fascisti. È diffusa l'opinione che l'uso dell'olio di ricino come strumento di tortura e punizione dei dissidenti sia stato introdotto proprio dai legionari di D'Annunzio, poi fatto proprio e reso famoso dallo squadrismo fascista. Altri sostengono invece che l'esperienza non ebbe connotati solo nazionalistici, ma anche liberali e libertari piuttosto netti, e che il poeta non avesse intenzione di costituire un governo personale, ma solo un governo d'emergenza con possibilità di sperimentazione di diverse idee, aggregate in un programma politico unico grazie al suo carisma. Prima della fine dell'esperienza fiumana, la Reggenza del Carnaro sarà il primo Stato indipendente al mondo - anche se auto proclamato e non ufficiale - a riconoscere nel 1920 la legittimità della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa che nel 1923, unendosi alle altre repubbliche federali ad essa subordinate, sorte sulle ceneri dell'Impero Russo durante la rivoluzione d'ottobre, diverrà l'Unione Sovietica; in cambio, i sovietici, guidati da Lenin, furono gli unici al mondo a riconoscere l'indipendenza statale di Fiume dallaJugoslavia. D'Annunzio per un certo periodo guardò con simpatia ai bolscevichi, tanto che il 27 e il 28 maggio 1922 ospitò al Vittoriale Georgij Vasil'jevič Čičerin, commissario sovietico agli affari esteri arrivato in Italia per la |
Post n°2029 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
Tuttavia nel 1926 esprimerà invece critiche contro il governo sovietico. Il 12 novembre 1920 una delegazione di ufficiali del Ministero della Guerra, di cui faceva parte anche Pietro Micheletti, stipulò il trattato di Rapallo: Fiume divenne città libera e Zara passò all'Italia, ma D'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano di Giovanni Giolitti il 26 dicembre 1920 fece sgomberare i legionari con la forza, causando numerosi morti, nel cosiddetto "Natale di sangue". Ai tempi di Fiume D'Annunzio soprannominò sprezzantemente Cagoja l'ex primo ministro Francesco Saverio Nitti, in relazione alla sua contrarietà verso l'annessione di Fiume. Nel 1924 lo Stato libero di Fiume fu infine annesso all'Italia, e italiano rimase fino al 1945. L'esilio a Gardone Riviera (1921-1938 Deluso dall'epilogo dell'esperienza di Fiume, nel febbraio 1921 si ritirò in un'esistenza solitaria nella villa di Cargnacco (comune di Gardone Riviera), che pochi mesi più tardi acquistò. Ribattezzata ilVittoriale degli italiani, fu ampliata e successivamente aperta al pubblico. Qui lavorò e visse fino alla morte, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale. D'Annunzio si impegnò inoltre per la crescita e il miglioramento della zona: la costruzione della strada litoranea Gargnano-Riva del Garda (1929-1931) fu fortemente voluta da lui, che se ne interessò personalmente, facendo valere il suo prestigio personale con le autorità. La strada, progettata e realizzata dall'ing. Riccardo Cozzaglio, segnò il termine del secolare isolamento di alcuni paesi del lago di Garda e fu poi classificata di interesse nazionale con il nome di Strada statale 45 bis Gardesana Occidentale. Lo stesso D'Annunzio, presente all'inaugurazione della strada, la battezzò con il nome di Meandro, per via della sua tortuosità e dell'alternarsi delle buie gallerie e del lago azzurro. Il Vate e il fascismo Il rapporto con il fascismo fu complesso e articolato, benché sostanzialmente organico: i fascisti in ascesa celebrarono D'Annunzio, riutilizzando i motti e i simboli del Vate già utilizzati a Fiume, come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia, ma lo scrittore, dopo l'adesione iniziale ai Fasci di combattimento, non prese mai la tessera del Partito Nazionale Fascista, probabilmente per mantenere la sua completa autonomia. Nel 1919 Mussolini avviò una sottoscrizione pubblica per finanziare l'Impresa di Fiume, con la quale raccolse quasi tre milioni di lire. Una prima tranche di denaro, ammontante a 857.842 lire, fu consegnata a D'Annunzio ai primi di ottobre, mentre altro denaro gli giunse in seguito. Una parte cospicua del denaro raccolto, invece, non fu però consegnata a D'Annunzio e Mussolini fu accusato da due redattori di averla dirottata per finanziare lo squadrismo e il proprio partito in vista delle vicine elezioni politiche italiane del 1919. Per controbattere alle accuse, D'Annunzio inviò una lettera a Mussolini in cui ne attestò pubblicamente l'autorizzazione. Il poeta certificò che parte della somma raccolta fu utilizzata per finanziare lo squadrismo a Milano.
D'Annunzio, assieme a Filippo Tommaso Marinetti, fu uno dei primi firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, pubblicato il 21 aprile 1925. Il deputato socialista Tito Zaniboni, più tardi noto per aver organizzato un attentato contro Mussolini il 4 novembre 1925, comunicò al giornale Il Mondo la notizia che D'Annunzio, in una lettera indirizzata a un legionario fiumano, avrebbe scritto in maniera critica sulla questione: All'indiscrezione D'Annunzio rispose il 5 novembre su "La provincia di Brescia": Nel 1937 fu eletto Presidente dell'Accademia d'Italia, ma non andò mai a presiedere alcuna riunione (la nomina fu quasi imposta da Benito Mussolini, con la contrarietà di D'Annunzio). D'Annunzio fu anche Presidente onorario della SIAE dal 1920 al 1938. Per molti il Duce, temendo la popolarità e la personalità indipendente del poeta, tentò di metterlo risolutamente da parte, ricoprendolo di onori. Mussolini arrivò a finanziarlo con un assegno statale regolare, che gli permise di far fronte ai numerosi debiti; in cambio D'Annunzio evitò di esternare troppo il disprezzo che provava per la trasformazione del fascismo-movimento, che aveva ammirato, in un regime dittatoriale. Di certo vi era la scomodità del personaggio: già nel 1922, tre mesi prima della Marcia su Roma, quando D'Annunzio cadde dalla finestra della sua villa rischiando la vita (vicenda soprannominata "il volo dell'arcangelo"), qualcuno parlò di un attentato ordito dal primo ministro Francesco Saverio Nitti o addirittura dai fascisti; il funzionario Giuseppe Dosi indagò sulla caduta "accidentale" di D'Annunzio, che quasi ne provocò la morte, e scrisse:
Renzo De Felice afferma che D'Annunzio fu posto poi sotto il controllo di agenti fascisti, visti anche i buoni rapporti del Vate con esponenti del mondo libertario, socialista e rivoluzionario , tra cui l'ex legionario fiumano e poi socialista Alceste de Ambris (che avvicinò il nazionalista D'Annunzio al sindacalismo rivoluzionario) e il politico Aldo Finzi, fascista di sinistra (poi partigiano antifascista) che prese parte con il poeta al volo su Vienna. Gli antifascisti Giovanni Bassanesi e Lauro De Bosis (D'Annunzio fu un frequentatore del circolo letterario del padre) vollero invece emulare proprio il volo su Vienna nelle loro imprese propagandistiche su Milano e Roma. Antonio Gramsci, che già nel 1920 aveva elogiato l'impresa fiumana dopo che anche Lenin aveva definito D'Annunzio "l'unico vero rivoluzionario in Italia", aveva progettato nel 1922 un incontro col poeta, poi non avvenuto, in vista di un avvicinamento del PCI appena nato con gli Arditi del Popolo (formazioni di difesa proletaria nata da una scissione del movimento di reduci degli Arditi d'Italia), in funzione anti-squadrista e contro la posizione isolazionista di Amadeo Bordiga, accusato da Mosca di essere un "frazionista". Nel 1937-38 D'Annunzio si oppose all'avvicinamento dell'Italia fascista al regime nazista, bollando Adolf Hitler, già nel giugno 1934, come "pagliaccio feroce", "marrano dall'ignobile faccia offuscata sotto gli indelebili schizzi della tinta di calce di colla", "ridicolo Nibelungo truccato alla Charlot", "Attila imbianchino". A partire da questo periodo, D'Annunzio cominciò a propagandare la necessità di completare l'irredentismo con una nuova "impresa fiumana" sulla Dalmazia. Mussolini e Starace lo fecero mettere segretamente sotto stretta sorveglianza, non fidandosi di lui e delle sue iniziative. La sua influenza sulla cultura italiana ed europea nei primi decenni del Novecento fu indiscutibile. Sempre attento ai movimenti dei giovani, fu tra i massimi ispiratori del Fondaco di baldanza, della Federazione Italiana Universitaria e di La Fionda, associazione goliardica e casa editrice. La sua salute cominciava ormai a declinare; D'Annunzio riceveva sempre le sue numerosi amanti, ma nonostante il carisma intatto e il fascino che esercitava il suo mito, egli le aspettava in camicia da notte o nella penombra, per nascondere il fisico invecchiato. D'Annunzio, fotofobico in seguito all'incidente all'occhio del 1916, stava comunque spesso nella penombra, coprendo con tende (visibili tuttora al Vittoriale) le finestre esposte alla luce solare diretta. Faceva spesso uso di stimolanti (come lacocaina), medicinali vari e antidolorifici, visibili tuttora negli armadietti del Vittoriale. Il 1º marzo 1938, alle ore 20:05, Gabriele D'Annunzio morì nella sua villa per un'emorragia cerebrale, mentre era al suo tavolo da lavoro; sullo scrittoio era aperto il Lunario Barbanera, con una frase da lui sottolineata di rosso, che annunciava la morte di una personalità. Il ricercatore Attilio Mazza ha sostenuto che il poeta possa essere morto per overdose di farmaci, accidentale o volontaria, dopo un periodo di depressione; all'amica Ines Pradella aveva scritto pochi mesi prima: "Fiammetta, oggi patisco uno di quegli accessi di malinconia mortali, che mi fanno temere di me; poiché è predestinato che io mi uccida. Se puoi, vieni a sorvegliarmi". Nel Libro segreto (1935), D'Annunzio fa intendere anche la caduta accidentale del 1922 come un tentativo di suicidio. Il certificato medico di morte, scritto dal dottor Alberto Cesari, primario dell'ospedale di Salò, e dal dottor Antonio Duse, medico curante del poeta, ufficializzò comunque la morte per cause naturali. Alla notizia della morte del poeta, Mussolini, secondo quanto riportato da Galeazzo Ciano nei suoi Diari, avrebbe detto di avvertire un senso di "vuoto" e che il Vate "aveva rappresentato molto nella sua vita"; parole che appaiono almeno in parte insincere, visto l'antagonismo tra i due, il fatto che il Duce lo facesse controllare ed in privato lo definisse "il vecchio bardo decrepito". Ai funerali di Stato, voluti in suo onore dal regime fascista, la partecipazione popolare fu imponente. Il feretro, avvolto dalla bandiera delTimavo era seguito da «...la folla innumerevole degli ex legionari, degli ammiratori, dei devoti alla sua gloria e alla sua fama...». È sepolto nel mausoleo del Vittoriale. Luoghi dannunziani[ Molti sono i luoghi visitati da Gabriele D'Annunzio, tra i quali l'Abruzzo, Pescara, Ortona, San Vito Chietino, la Toscana, Firenze,Settignano, Roma, Napoli, Venezia e altri posti all'estero. Alcuni di essi sono descritti dal poeta nelle sue opere Il piacere, Primo vere,Canto novo, Il fuoco, Le novelle della Pescara, e Il trionfo della morte, nelle tragedie La figlia di Jorio e La fiaccola sotto il moggio, e nella raccolta a più volumi delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. In Abruzzo Pescara: il rione di Portanuova (corso Manthoné), la Cattedrale di San Cetteo, la casa natale. Gabriele D'Annunzio nacque nell'attuale corso Manthoné, la parte più antica della vecchia Pescara Portanuova. Nelle prime prose di Terra vergine - San Pantaleone, poi confluite nella raccolta Le novelle della Pescara (1902), d'Annunzio narra storie di stampo verista ambientate sia a Pescara che nell'entroterra della valle. La città è descritta come un luogo povero e malsano, con gente semplice e rude che tira a campare pescando o in altri modi non redditizi. La zona nuova di Pescara invece, Castellammare Adriatico, è il rione dei ricchi e degli altolocati, i quali spesso vengono a lite con Pescara, come il fatto di cronaca della guerra del ponte. La Cattedrale fino al 1933 era ridotta in stato avanzato di degrado, e così d'Annunzio fece pressione su Mussolini per una ricostruzione ex novo dove seppellire anche la madre Luisa D'Annunzio. Francavilla al Mare: Convento Michetti e Villa Schifanoia. Nel 1899 circa il pittore Francesco Paolo Michetti comprò il convento del Gesù in disuso, per farne un cenacolo culturale abruzzese, con membri d'Annunzio, Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio. Spesso d'Annunzio nel primo periodo prosaico, specialmente nella stesura de Il piacere si rifugiò nel convento per evitare distrazioni varie, spesso amorose. D'Annunzio tuttavia già dal 1882 frequentava la riviera francavillese, come dimostrò nella raccolta poetica Canto novo, narrando gli amori con Elda Zucconi. La "Villa Schifanoia" è un luogo immaginario francavillese, dove d'Annunzio ambienta una parte de Il piacere, nel libro II. Guardiagrele: borgo antico, la Collegiata di Santa Maria Maggiore |
Post n°2028 pubblicato il 17 Marzo 2019 da blogtecaolivelli
con le effigi degli antenati del protagonista de Il trionfo della morte, la Majella e il Torrione Orsini. Nel romanzo d'Annunzio si sofferma nella descrizione suggestiva della città, che si affaccia verso la montagna, domandandosi come possa essere una bella città come quella vittima della corruzione delle decadenti classi nobiliari e della superstizione popolare. Da un lato d'Annunzio magnifica l'architettura abruzzese, specialmente la simbolica Cattedrale di pietra, dall'altro non tollera il comportamento ancestrale e quasi animalesco della popolazione. Costa dei Trabocchi: i centri di San Vito Chietino e Fossacesia, con i trabocchi da pesca, l'Abbazia di San Giovanni in Venere e l'eremo dannunziano nella località Portelle. Sempre nel Trionfo della morte, d'Annunzio si sofferma sulla bellezza selvaggia della costa teatina, scrivendo le pagine del soggiorno a san Vito, traendo ispirazione da un'avventura amorosa con Barbara Leoni nel 1899, avendo acquistato una casa presso il cosiddetto "eremo dannunziano". L'abbazia di Fossacesia è descritta nel romanzo durante un pellegrinaggio religioso verso la vicinaCasalbordino, al santuario della Madonna dei Miracoli, dove d'Annunzio ancora una volta mescola il giudizio sulla suggestione naturale e il terrore per il comportamento brutale e animalesco dei pellegrini. Infatti anche il pellegrinaggio a Casalbordino è stato intrapreso da d'Annunzio, descritto nel carteggio con la Leoni, soffermandosi sulla disastrosa condizione fisica e mentale dei pellegrini infermi che andavano a chiedere la grazia alla Madonna. Ortona: il castello aragonese, il Palazzo Farnese, visitato da d'Annunzio con l'amico Francesco Paolo Tosti, e la Cattedrale di San Tommaso Apostolo, dove è descritto un pellegrinaggio nelle Novelle della Pescara. Nei primi anni del '900 d'Annunzio visitò la città, andando a trovare l'amico Francesco Paolo Tosti, e si soffermò nelle sue lettere nel descrivere la suggestione della città affacciata sul mare, considerata da lui stesso la "Perla dell'Adriatico". Casoli: il borgo e il Castello Ducale Orsini, dove il poeta risiedette con l'amico Pasquale Masciantonio. D'Annunzio e Masciantonio furono molto amici, legati da un carteggio degli anni 1891-1922. D'Annunzio fu ospitato al castello circa nel 1895, quando stava scrivendo il romanzo Le vergini delle rocce. Per ringraziare l'amico, il poeta incise un distico elogiato nella sua stanza da letto. Casalbordino: i trabocchi, e il santuario della Madonna dei Miracoli. Nel carteggio con la Leoni (1889) e nel romanzo Trionfo della morte, d'Annunzio descrisse il macabro pellegrinaggio degli infermi alla Madonna. Lama dei Peligni: il borgo e la Grotta del Cavallone. Stringendo amicizia con l'archeologo Antonio De Nino, d'Annunzio nel 1903 visitò il borgo della Majella e fu suggestionato dalle grotte, dove ambientare la tragedia La figlia di Iorio, confidando ancora sul rapporto ambiguo e ancestrale del popolano abruzzese con la natura. Miglianico: il pellegrinaggio di San Pantaleone nella cattedrale omonima, narrato nelle Novelle della Pescara. Viene descritto uno scontro religioso tra due opposte fazioni e il sacrificio orripilante di un fedele verso il santo patrono, tagliandosi la mano per offrirla in dono. Anversa degli Abruzzi: il castello normanno di Sangro, il borgo di Castrovalva e le gole del Sagittario. Sempre nel 1903 circa, d'Annunzio e De Nino visitarono uno dei luoghi più incontaminati dell'Abruzzo per il difficile accesso. Affascinato dalla leggenda della nobile famiglia De Sangro di Anversa, d'Annunzio scrisse La fiaccola sotto il moggio (1905). Castiglione a Casauria: l'Abbazia di San Clemente a Casauria, visitata con gli amici Masciantonio, Tosti e Michetti, nel primo '900. Atene, Corinto, Micene nella crociera in Grecia del 1895. D'Annunzio fu affascinato dalle scoperte archeologiche di Schliemann e trasse ispirazione per la tragedia La città morta (1896) Firenze: centro, visitato con la Duse. Settignano: Villa La Capponcina, dove visse con la Duse. D'Annunzio vi scrisse intorno al 1900 il romanzo Il fuoco e il terzo libro delle Laudi dell'Alcyone. Intorno a Firenze, nel centro Italia sostanzialmente, nello stesso periodo il poeta viaggiò per scrivere le parti delle "Città del Silenzio" in Elettra (1903). Roma: Palazzo Zuccari, Piazza di Spagna, Pincio, dove visse con la Leoni. Il palazzo Zuccari specialmente è la sede abitativa del protagonista Andrea Sperelli de Il piacere (1889). Venezia: Piazza San Marco, descritta nel Fuoco. D'Annunzio vi viaggiò intorno al 1900. Napoli: centro, visitato con Masciantonio. Vi pubblicò L'innocente nel 1892. Parigi: centro, dove visse in esilio nel 1912-1914. Arcachon in Gironda (Francia). Buccari, dove compì la "beffa" nel 1918. Fiume (Croazia), dove il poeta occupò la città nel 1920. Gardone Riviera: Vittoriale degli italiani, dove visse gli ultimi anni dal 1922 al 1938. Opere principali a produzione letteraria di D'Annunzio fu stampata integralmente fra il 1927 e il 1936da un Istituto nazionale creato appositamente sotto l'egida dello Stato italiano per la pubblicazione della sua Opera Omnia. Il Vate collaborò attivamente alla realizzazione dell'ambizioso progetto, come collaborò alla pubblicazione di un'edizione economica (L'Oleandro) che ricalcava la precedente, realizzata anch'essa quando egli era ancora in vita, fra il 1931 e il 1937. Subito dopo la sua morte e cioè fra il 1939 e il 1942 laFondazione del Vittoriale degli Italiani provvide a ristampare quasi integralmente la produzione dannunziana: 42 volumi su un totale di 46 (gli ultimi quattro non uscirono per le note vicende belliche che desolarono l'Italia nel 1943). Nel secondo dopoguerra merita una particolare menzione la pregevole edizione dell'Opera Omnia apparsa, a partire dal 1950, nei Classici Contemporanei Italiani di Fra le opere più significative di Gabriele D'Annunzio segnaliamo queste. Primo vere (1879) La prima opera dannunziana fu pubblicata a Chieti, e successivamente a Lanciano dalla Casa editrice Rocco Carabba, con un intelligente espediente: ossia facendosi auto-pubblicità con una presunta morte cadendo da cavallo. L'opera è una raccolta poetica ispirata alle odi di Giosuè Carducci[, basata su pezzi di bravura, come traduzioni in metrica barbara di odi di Catullo e Orazio, e celebrazioni paniche della propria terra abruzzese, ancora vergine e selvaggia, mischiando la descrizione a effimere visioni mitiche della mitologia classica. A differenza di Carducci, D'Annunzio già dimostra uno slancio vitale più esteso, nonché sensuale, tipico dello scrittore giovanile, anche se tale slancio sarà presente in quasi tutte le opere dannunziane. Canto novo (1882) La seconda raccolta poetica ha due versioni, la prima dell'82, e la seconda, più ridotta, del 1896, epurata da sbavature troppo classicheggianti e carducciane. Le 63 liriche sono ugualmente sonetti ispirati a Carducci, divisi in 4 libri, in cui si racconta l'amore di D'Annunzio per Elda Zuczoni, vissuto sulla spiaggia di Francavilla al Mare. Gabriele D'Annunzio esprime già col titolo una nuova forma di poetica, nata come ibrido dall'ode classica italiana (barbara) usata da Giosuè Carducci e dal desiderio irrefrenabile della gaiezza giovanile. Mentre Carducci nelle odi tenta il recupero della potenza letteraria italiana con riecheggi ai classici, d'Annunzio aggiunge la sua esperienza personale di giovane innamorato, inserendo il suo rapporto amoroso con Lalla in un bozzetto abruzzese, ambientato sulla spiaggia selvaggia di Questa volta i prestiti, o calchi", non sono più dagli autori latini, ma dai lirici greci, come Alceo, Pindaro e Intermezzo di rime (1883)[ Pubblicate queste poesie a Roma da Sommaruga editore nel 1883, l'opera poetica segna un distacco dalla vita giovanile abruzzese. D'Annunzio abbandona la metrica barbara carducciana per rifarsi alla sperimentazione di un sistema proprio, che già preclude l'uso di uno stile "decadentista", che gli viene ispirato dalla frequentazione dei salotti romani. Anche l'ingenua sensualità giovanile è abbandonata per passare alla pittura di scene di amori più nitide e spinte. Il libro delle vergini - San Pantaleone (1884-86) Le due raccolte di novelle furono pubblicate a Roma da Sommaruga Editore, e riguardano l'approccio dannunziano al naturalismo e al verismo di Giovanni Verga, dalla sua raccolta diVita dei campi. Tuttavia D'Annunzio non seppe abbracciare completamente la corrente siciliana, poiché trasgredì alle regole della forme inerente al soggetto alla descrizione mediante la narrazione indiretta, intervenendo spesso con commenti personali, adottando uno stile medio-alto, e facendo parlare i protagonisti nel dialetto abruzzese. Le storie della prima raccolta delle vergini, in tutto quattro, rispondono al modello di una conciliazione tra stile elevato della nobiltà romana nel periodo decadentista e le vicende amorose di nobildonne e semplici contadine dalla campagna pescarese dell'Abruzzo. La seconda raccolta, più variegata, è un insieme di bozzetti di stampo verghiano, in cui D'Annunzio tratteggia le brutture e le sventure di poveri individui del villaggio marinaro di Portanuova (la vecchia Pescara), in lotta La natura dominante abruzzese, incolta e sovrana, sembra decidere, con carestie, mareggiate e nevicate, le sorti dei protagonisti, votati alla sofferenza e all'autodistruzione non solo per catastrofi naturali, ma anche per la loro natura barbara, come ad esempio la superstizione religiosa e l'ignoranza bestiale con gli istinti animaleschi del sesso e della fame. Il piacere (1889) Primo romanzo dannunziano, e primo capitolo della trilogia dei Romanzi della Rosa, l'opera ha una trama molto semplice. La vicenda, suddivisa in quattro libri, si svolge nel 1886 a Roma, con l'inizio di un flashback dell'abbandono tra il conte Andrea Sperelli ed Elena Muti. Infatti Andrea, nobile abruzzese, dandy dell'alta società romana amante della letteratura decadentista, incontra la nobildonna Elena Muti e se ne innamora perdutamente, nonostante lei sia sposata. A questo punto è inevitabile uno scontro all'arma bianca tra Andrea e il rivale, e il protagonista, ferito, è portato in convalescenza a Francavilla al Mare, nella "villa Schifanoia", dove redige un diario personale, componendo anche pezzi di bravura di poesia decadentista; inoltre conosce una lontana cugina, Maria Ferres, di cui si innamora . Comincia allora un rapporto complicato tra Maria ed Elena, considerata la prima fèmme fatale dell'eroe dannunziano , fino alla perdita di entrambe. Il romanzo è il capostipite in prosa italiana del decadentismo; D'Annunzio per la composizione si ispirò a vari autori stranieri, come Charles Baudelaire, Théophile Gautier, l'estetica preraffaellita elaborata dai critici del giornale Cronaca bizantina, e Goethe, si aggiunsero dunque quelle provenienti dalla nuova fonte di ispirazione francese, come Gustave Flaubert, Guy de Maupassant, Émile Zola, ma anche Percy Bysshe Shelley, Oscar Wilde e forse la lettura d À rebours di Joris Karl Huysmans. di per sé semplice, di citazioni dotte sia di autori classici, greci e latini, dimusica classica i cui rappresentanti Mozart e Beethoven, e l'alternanza in prosimetro di prosa e poesia. L'innocente (1892 Il secondo romanzo della Trilogia della Rosa, si discosta abbastanza dalla prosa decadentista fluente del Piacere. Il protagonista è il principe Tullio Hermil, sposato con Giuliana e affiliato. Apparentemente sembra che la tranquilla vita familiare abbia il suo regolare corso. Tuttavia la donna lo tradisce con lo scrittore Filippo Arborio, di cui rimane incinta, e partorisce un maschio. Dato che Filippo si ritira, Tullio è costretto a vivere con il terzo figlio "non suo", verso cui matura un odio incontrollabile, lasciandolo morire di freddo, fuori la finestra, la notte di Natale. L'opera, più che essere ispirata al decadentismo, è tratta da uno studio dannunziano del tema dell'"evangelismo russo" presente in Tolstoje Dostoevskij, convertendolo tuttavia nello slancio vitale della co -protagonista Giuliana, e nella caratterizzazione negativa tipica della femme fatale. Poema paradisiaco (1893) Si tratta di una composizione in cui D'Annunzio inizia a mescolare decadentismo e crepuscolarismo, distaccandosi dallo slancio vitale iniziale della corrente intellettuale. Il poema dannunziano è anche una parabola di conversione verso uno stile di vita casto e frugale, quasi francescano. Il protagonista infatti è un uomo soggetto alla prigione dei sensi, sedotto da figure insidiose e enigmatiche: le larve. Soltanto il ritorno del protagonista nel rassicurante orticello di casa, mantenuto con modestia e lavoro sarà la sua ancora di salvezza, proprio qui infatti avverrà la sua purificazione. Il protagonista riesce quindi a raggiungere un traguardo di salvezza adottando uno stile di vita in perfetta antitesi rispetto allo stesso D'Annunzio. |
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