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Messaggi del 17/06/2019
Post n°2240 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze La diffusione dei Denisova sull'altopiano del Tibet Una mandibola fossile scoperta nella grotta di Xiahe, nel Tibet, risalente a 160.000 anni fa, apparteneva a un uomo di Denisova. Il fossile, il più antico relativo a un ominide mai ritrovato nella regione, è la prima prova diretta della presenza di questi nostri cugini estinti lontano dalla grotta siberiana in cui sono stati scoperti originariamente. L'uomo di Denisova, parente stretto dell'uomo di Neanderthal, è vissuto in tutta l'Asia, e non solo nella regione siberiana in cui è stato scoperto originariamente. La prima conferma diretta della sua diffusione al di là della Siberia arriva da una mandibola fossile scoperta nella grotta di Baishiya Karst, nella regione cinese dello Xiahe, sull'altopiano del Tibet, a una quota di 3280 metri. Il reperto - risalente a 160.000 anni fa - è anche la più antica documentazione fossile di un ominide mai trovata in Tibet. sulla rivista "Nature"da Jean-Jacques Hublin del Max- Planck-Institut per l'Antropologia evoluzionistica a Lipsia, e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale. Si va così completando con nuovi tasselli il complesso puzzle di dati su questi nostri antichi cugini estinti. La mandibola di Xiahe (Il primo ritrovamento risale al 2008, quando la grotta di Denisova, sui monti Altaj, in Siberia, ha restituito un frammento osseo di dito mignolo di un giovane individuo del genere Homo vissuto tra 70.000 e 40.000 anni fa. Nel 2010 le analisi del DNA mitocondriale, che si trasmette solo per via materna, ricavato dal reperto, hanno delineato l'identikit della nuova specie umana, l'uomo di Denisova, strettamente imparentato con l'uomo di Neanderthal. Numerosi depositi di sedimenti della grotta, hanno poi indicato la presenza di Denisoviani nella regione tra 287.000 e 55.000 anni fa, definendo un quadro filogenetico del genere umano nel Paleolitico molto più complesso di quello ritenuto valido per decenni. collaborazione tra l'Università di Lanzhou, in Cina, e il Max-Planck-Institut. Il reperto si presenta in buono stato di conservazione, ma gli autori non sono riusciti a ricavarne DNA utile alle analisi. Hanno perciò studiato le proteine estratte dai molari, che hanno determinato la stretta parentela del reperto con quelli siberiani. Le tecniche di datazione hanno poi stabilito che il fossile risale a circa 160.000 anni fa, coerentemente con i ritrovamenti più antichi della grotta di Denisova. dell'uomo di Denisova in Asia, già ipotizzata sulla base del fatto che i tibetani e altre popolazioni della zona conservano nel proprio genoma varianti geniche, derivate proprio dai Denisoviani, che permettono loro di sopravvivere ad alta quota. Ricostruzione digitale della mandibola di Xiahe "Gli ominidi arcaici che occupavano l'Altopiano nel medio Pleistocene, tra 780.000 e 126.000 anni fa, si sono adattati con successo agli ambienti a quote elevate, dove scarseggiava l'ossigeno, molto prima dell'arrivo nella regione di Homo sapiens", ha spiegato Dongju Zhang, coautore dell'articolo. altri reperti cinesi. "Le nostre analisi aprono la strada a una migliore comprensione della storia evoluzionistica del medio Plesistocene nell'Asia orientale", ha concluso Hublin. (red) |
Post n°2239 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
22 agosto 2018 Scoperta la "prima figlia" di padre Denisova e madre Neanderthal Aveva una madre neanderthaliana e un padre Denisova l'adolescente vissuta 90.000 anni fa in Siberia, dei cui resti è appena stata pubblicata una serie di approfondite analisi. L'analisi genetica, in particolare, indica inoltre che il padre denisovano aveva anch'egli una lontana ascendenza Neanderthal, dimostrando quindi che le due popolazioni si incrociarono non una, ma almeno due volte, a distanza di decine di migliaia di anni(red) antropologiapaleontologiageneticaNeanderthal Una ragazzina di 13 anni vissuta 90.000 anni fa in Siberia ha fornito la prova che uomini Neanderthal e uomini di Denisova si incrociarono tra loro. La scoperta è di un gruppo di ricercatori del Max Planck Institut per l'antropologia evolutiva a Lipsia, in collaborazione con l'Università di Novosibirsk, in Russia, che illustrano la loro ricerca in I frammenti ossei di Denisova 11.L'incrocio fra Neanderthal e uomini moderni è ben noto, e ricerche recenti hanno dimostrato che la nostra specie si incrociò anche con i denisovani, del cui genoma sono state trovate tracce nelle attuali popolazioni dell'Estremo Oriente e di Papua. uomini di Denisova e neanderthaliani - le cui linee evolutive si separarono circa 390.000 anni fa - anche se gli antropologi ne sospettavano la possibilità: tracce della presenza di Neanderthal sono infatti emerse anche nelle regioni abitate dai denisovani, dei quali invece sono stati trovati resti fossili - circa 2000 frammenti - soltanto nella grotta di Denisova, nelle montagne dell'Altai, in Siberia. La valle su cui si affaccia la grotta di Denisova. (Cortesia Bence Viola, Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology)L'analisi morfologica, radiologica, densitometrica e delle proteine del collagene di uno di questi frammenti - denominato Denisova 11 - ha rivelato che apparteneva a un soggetto morto all'età di 13 anni circa. L'analisi genetica ha poi mostrato che si trattava di una femmina, figlia di un padre denisovano e di una madre neanderthaliana. denisovani dovevano avere occasionalmente avuto figli insieme", ha detto Viviane Slon, coautrice dello studio. "Ma non avrei mai pensato che saremmo stati così fortunati da trovare una discendente diretta dei due gruppi". Approfondendo le analisi, i ricercatori hanno scoperto che anche nella genealogia del padre di Denisova 11 vi erano antenati Neanderthal. La componente genetica neanderthaliana del padre risaliva però a un periodo molto precedente, stimato in circa 300- 600 generazioni. dei Neanderthal vissuti in Europa occidentale in un'epoca più recente rispetto ai neanderthaliani insediati in tempi remoti nella regione di Denisova. state due distinte migrazioni di Neanderthal: una molto antica, che ha portato ai denisovani la componente genetica neanderthaliana riscontrata nel padre di Denisova 11; l'altra, molto più recente, che ha condotto in Siberia il gruppo a cui appartenevano la madre o i suoi recenti antenati. Fabrizio Mafessoni, coautore dello studio - è che ci permette di conoscere meglio due popolazioni: i neanderthaliani da parte della madre e i denisovani da parte del padre." |
Post n°2238 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 23 dicembre 2010 In Melanesia le tracce viventi della terza specie di Homo Il DNA dell'uomo di Denisova, diferente sia da quello di Neanderthal sia da quello dell'uomo moderno, condivide tuttavia un elevato numero di varianti geniche con le moderne popolazioni melanesiane antropologiageneticaevoluzionepaleontologia Il sequenziamento del genoma nucleare tratto da un dito risalente ad almeno 30.000 anni fa e appartenuto a un ominino estinto dimostra definitivamente che, oltre ai Neanderthal, l'uomo moderno aveva un'altra specie "cugina". ricerca del Max-Planck-Institut per l'antropologia evolutiva a Lipsia, diretto da Svante Pääbo, che all'inizio di quest'anno aveva già proceduto a sequenziarne il DNA mitocondriale giungendo a una prima conclusione in tal senso. al dito mostra una morfologia che li distingue sia dai Neanderthal, sia dagli umani moderni, ricordando molto i denti dei più antichi ominini, come Homo habilis e Homo erectus. "Il dente è sorprendente e ci permette di collegare le informazioni genetiche e morfologiche", ha osservato Bence Viola, uno dei ricercatori. n cui si illustra la scoperta, l'analisi del genoma nucleare di questo reperto, scoperto nella grotta siberiana di Denisova nel 2008, ha portato a un'altra, ancor più sorprendente scoperta. Il DNA della nuova specie condivide infatti un elevato numero di varianti geniche con le moderne popolazioni di Papua Nuova Guinea, indicando un incrocio fra l'antica popolazione di Denidova e gli antenati dei melanesiani. delle popolazioni della Nuova Guinea e dell'isola di Bougainville, ha infatti rivelato che almeno dal 4 al 6 per cento del genoma di quelle popolazioni melanesiane deriva da quello dell'antica popolazione siberiana. Questa constatazione induce a ipotizzare che questa popolazione possa essersi diffusa in Asia nel corso del tardo Pleistocene. quadro dell'evoluzione dell'uomo moderno e dei suoi più stretti parenti più complesso di quanto finora ritenuto. abbia lasciato l'Africa fra i 300.000 e i 400.000 anni fa, divergendo rapidamente nella specie dei Neanderthal, che si diffuse in Europa, e una popolazione che, direttasi più a est, divenne l'uomo denisoviano. africano fra 70.000 e 80.000 anni fa, incontrarono dapprima i Neandertal, con un interazione che ha lasciato tracce genetiche in tutte le popolazioni non africane. Successivamente nel corso delle migrazioni un gruppo dei umani moderni, venne quindi in contatto con le popolazioni di Denisova, un incontro le cui tracce si ritrovano nelle popolazioni melanesiane. |
Post n°2237 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze L'uomo di Neanderthal sarebbe stato vittima dell'inversione del campo magnetico della Terra: una nuova, bizzarra (e contestata) ipotesi sull'estinzione dei nostri sfortunati cugini europei, uccisi dall'eccesso di raggi UV. Una riproduzione dell'Uomo di Neanderthal esposta al MUSE di Trento. Sapiens e Neanderthal: quando si sono separate La scomparsa di una specie umana a noi così vicina, quella dell'uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis), alimenta da sempre la ricerca scientifica per cercare di capire quanto accadde poco meno di 40.000 anni fa. Le certezze non ci sono, ma si va dalla persecuzione diretta da parte della nostra specie, i sapiens, al cambiamento climatico (e quindi ambientale) che avrebbe decimato le prede di cui i neandertaliani si nutrivano, fino alla l enta sostituzione ecologica da parte dei sapiens, più fertili del cugino europeo. Un'altra ipotesi ancora attribuisce la scomparsa dei neanderthal alla maggior complessità culturale dell'Homo sapiens, che già aveva una comunicazione più efficace e società più ampie e complesse. Insomma, ai paleoantropologi non è mancata la fantasia, accompagnata sempre da prove scientifiche solide, benché mai definitive. L'IPOTESI GEOMAGNETICA. Alla serie di note teorie si aggiunge ora una spiegazione in chiave geochimica ad opera di due paleomagnetisti, Jim Channell e Luigi Vigliotti: i due ricercatori (che ammettono di non avere esperienza di paleoantropologia) hanno esposto la loro tesi su Reviews of L'idea di Channell e Vigliotti prende avvio da alcuni eventi delle ultime centinaia di migliaia di anni, quando il campo magnetico della Terra si è indebolito e a volte invertito: in quelle occasioni, la relativa minore intensità del campo magnetico ha esposto il pianeta a un maggiore flusso di radiazioni ultraviolette (UV) solari. L'eccesso di radiazioni UV può favorire mutazioni e sbilanciare l'equilibrio fisiologico, ma, in particolare, un gene (che codifica per un cosiddetto recettore arilico), mutato nei neanderthal, avrebbe svolto solamente sui sapiens un'azione protettiva dalle conseguenze dell'eccesso di UV. Uno dei questi momenti di indebolimento del campo magnetico, chiamato evento di Laschamp, avvenne circa 41.000 anni, quando gli ultimi neanderthal si trovavano in Europa e in Asia occidentale. Da questo, i due ricercatori hanno dedotto che i neanderthal, geneticamente meno protetti dei sapiens dai raggi UV, subirono uno stress ossidativo che li estinse in breve tempo. LE CRITICHE. Lo studio ha suscitato una diffusa perplessità. Come fanno notare molti paleoantropologi, una correlazione non implica necessariamente una causa: il fatto che l'evento di Laschamp sia avvenuto nell'intervallo temporale in cui i nostri cugini si sono estinti, non significa che sia stato la causa della loro scomparsa. Servono prove più solide, si afferma da più parti. Nonostante lo studio sia stato pubblicato da un'autorevole rivista scientifica, e nonostante l'enfasi posta sulla ricerca dal nostro CNR, altri esperti hanno fatto rilevare che difficilmente una sola causa può avere innescato un'estinzione che, per di più, è durata millenni. |
Post n°2236 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
16 GIU 2019 UN VULCANO DI FANGO SU CERERE Un nuovo studio effettuato da scienziati dell'agenzia spaziale tedesca (DLR) ha permesso di risolvere il mistero della formazione di Ahuna Mons, la misteriosa montagna che si innalza per un'altezza di oltre 4.000 metri al di sopra della superficie di Cerere cosparsa di crateri. Sembra che il "magma" fuoriuscito dall'interno del pianeta nano sia composto da un miscuglio di acqua salata, fango e particelle rocciose. Cerere è un mondo complesso e dinamico, che potrebbe avere ospitato molta acqua liquida in passato e potrebbe ancora averne nel sottosuolo. Secondo i ricercatori una bolla composta da una miscela di acqua salata, fango e roccia si è innalzata dall'interno del pianeta nano, spingendo verso l'alto la crosta ghiacciata, solidificandosi una volta esposta alla gelida temperatura esterna e accumulandosi via via in depositi stratificati, fino a formare una montagna. In definitiva Ahuna Mons sarebbe in realtà un enorme vulcano di fango. "In questa regione l'interno di Cerere non è solido e rigido, ma si muove ed è almeno parzialmente fluido", spiega Wladimir Neumann, tra gli autori dello studio pubblicato su Nature Geoscience. "Questa bolla si è formata nel mantello di Cerere al di sotto di Ahuna Mons ed è una miscela di acqua salata e componenti rocciosi". Cerere è il corpo celeste più grande nella Fascia degli Asteroidi, situata tra Marte e Giove e popolata da oggetti minori, composti principalmente da rocce silicee e da ghiaccio. Secondo gli scienziati oltre un quarto della massa di Cerere potrebbe essere costituita da ghiaccio o acqua. La sonda Dawn ha orbitato attorno al pianeta nano dal Marzo 2015 all'Ottobre 2018, raccogliendo una quantità di dati, che hanno permesso di mappare la superficie di Cerere e analizzare la sua composizione. L'interno del piccolo pianeta non è omogeneo, ma parzialmente differenziato: le componenti con una proporzione più elevata di elementi pesanti, come ferro e magnesio, sono sprofondate al centro del corpo celeste, mentre le componenti più leggere come rocce con elevato contenuto di materiali silicati o acqua sono rimaste più in superficie. Bolle e cupole si formano a causa del calore generato ancora oggi su Cerere per effetto del decadimento di elementi radioattivi. Le misteriose macchie brillanti immortalate su Cerere, che hanno affascinato sia il team di Dawn che il grande pubblico, rivelano evidenze di un antico oceano sotto la superficie e indicano che, ben lontano da essere un mondo morto, il pianeta nano è sorprendentemente attivo. Queste aree brillanti sono state create da processi geologici e ancora oggi sono in grado di cambiare la faccia del corpo celeste. Ahuna Mons si è formato in un passato geologico recente, forse poche decine di milioni di anni fa. Con una base del diametro di 20 chilometri e un'altezza superiore a 4.000 metri, ha dimensioni simili al Monte Bianco. "Per spiegare l'origine di Ahuna Mons dobbiamo utilizzare un nuovo modello geofisico, ideato specificamente per Cerere, per ottenere così l'informazione 'nascosta' nei dati della sonda", spiega Antonio Genova dell'Università La Sapienza, Roma. L'attività criovulcanica è diffusa nel Sistema Solare esterno: ne sono state trovate tracce sulle lune di Giove e Saturno, e persino su Plutone. Cerere è il primo oggetto celeste nella Fascia degli Asteroidi in cui è stata individuata questo tipo di eruzione, e sembra proprio che il "magma" eruttato dalle profondità del pianeta nano sia composto da un miscuglio di acqua salata, fango e particelle rocciose. Nell'immagine Cerere in falsi colori, in cui sono evidenziati elementi morfologici differenti. Le aree bluastre sono generalmente associate a crateri giovani. Le aree brillanti sono identificate come composte da materiale ricco di sali. |
Post n°2235 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
su Marte enormi quantità di ghiaccio sotto la sabbia Trovate su Marte enormi quantità di ghiaccio sotto la sabbia: ecco come il Pianeta ha protetto l'acqua Trovate su Marte enormi quantità di ghiaccio sotto la sabbia: ecco come il Pianeta ha protetto l'acqua Gli scienziati hanno scoperto che Marte ha protetto il suo ghiaccio con strati di sabbia per non farlo 'sciogliere' al sole. Le enormi quantità trovate potrebbero essere i resti di antiche calotte polari grazie alla quali potremmo capire se e come ci sia stata vita sul Pianeta Rosso Vediamo insieme i dettagli di questa ricerca. tSotto la superficie di Marte sono sepolti strati di ghiaccio che sono i resti di antiche calotte polari che potrebbero essere stati uno dei più brandi bacini di acqua del Pianeta, grazie ai quali potremmo capire come sia stata la vita in passato. Questo è quanto fanno sapere gli scienziati che, attraverso il loro studio, ci svelano qualche dettaglio in più sull'affascinante Pianeta Rosso, nuova meta dei prossimi viaggi spaziali. Ghiaccio su Marte. Gli esperti hanno sfruttato i dati raccolti da SHARAD, Shallow Radar, il radar montato sulla sonda spaziale Mars Reconnaissance Orbiter della NASA che, con le onde che emette, riesce a penetrare fino a 2,5 chilometri sotto la superficie del Pianeta Rosso. Grazie a queste analisi, gli scienziati sono riusciti a scoprire la presenza di strati di ghiaccio sepolti che potrebbero essere i resti delle calotte polari antiche, questi strati sono coperti dalla sabbia e, nel 90% dei casi, il ghiaccio si trovava sotto forma di acqua. "Non ci aspettavamo di trovare così tanto ghiaccio qui" ha dichiarato l'autore Stefano Nerozzi, "si tratta della terza riserva più grande trovata su Marte dopo le calotte polari". Cosa c'è da sapere. Questi strati si pensa si siano formati quando il ghiaccio si è accumulato ai poli durante le passare ere glaciali che hanno colpito Marte. In pratica, sostengono gli scienziati, ogni volta che il pianeta si riscaldava, un residuo delle calotte di ghiaccio veniva ricoperto da sabbia, questo permetteva al ghiaccio stesso di essere protetto dalle radiazioni solari e di non disperdersi nell'atmosfera. Le ere glaciali di Marte. Le ere glaciali di Marte sono note agli esperti secondo i quali sono la conseguenza dell'inclinazione del pianeta che comporta una maggiore o minore esposizione al sole. Quando Marte ruota verticalmente, il suo equatore si trova di fronte al sole e le calotte polari crescono, quando invece è inclinato, le calotte si ritirano. A cosa serve lo studio. Lo studio della geometria e della composizione di questi strati potrebbe dire agli scienziati se le condizioni climatiche fossero in precedenza favorevoli alla vita su Marte. Comprendere la quantità di acqua disponibile a livello globale rispetto a quella intrappolata nei poli è importante per capire quale fosse la disponibilità di acqua liquida sul Pianeta, questo perché per avere le condizioni ideali perché si sviluppi la vita, è necessaria una sufficiente quantità di acqua liquida vicino all'equatore. Lo studio, intitolato "Buried ice and sand caps at the north pole of Mars: revealing a record of climate change in the cavi unit with SHARAD", è stato pubblicato su Geophysical Research Letters. |
Post n°2234 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze lunedì, giugno 17TRENDING Trovate le prove di una "Atlantide" britannica nei fondali del Mare del Nord Gli archeologi ritengono di aver scoperto un antico insediamento dell'età della pietra, una volta dimora di migliaia di persone almeno 8000 anni fa. Oggi si trova sul fondo del Mare del Nord dopo essere stato sommerso dall'innalzamento del livello del mare dopo l'ultima era glaciale. Per decenni, i pescatori e i tecnici che effettuavano esplorazioni petrolifere hanno segnalato che i ritrovamenti di resti di ossa, pietra e resti umani nella zona di Brown Bank, un ecosistema marino situato 80 chilometri a ovest della costa olandese. La quantità di materiale trovato nella zona, la terra sommersa, ora denominata Doggerlan, ha a confermato per diverse volte che ci potrebbe essere stato un insediamento preistorico. Per la prima volta, i ricercatori hanno confermato due potenziali insediamenti preistorici situati in quello che gli archeologi ritengono posaa essere stato una volta sulle rive di un antico fiume. Per determinare le migliori posizioni per l'esplorazione, i ricercatori hanno ricreato il paesaggio sottomarino usando i dati forniti da compagnie petrolifere e del gas, costruttori di parchi eolici ed estrattori di carbone che operano in questa zona di mare molto trafficata. Collettivamente, sono stati in grado di determinare le aree che avevano maggiori probabilità di essere state sede di attività umane in passato. Utilizzando tecniche acustiche ed estraendo campioni fisici dei fondali marini, i ricercatori hanno trovato tre siti che hanno il potenziale per il significato archeologico e geologico. "Questo è un progetto molto eccitante in cui essere coinvolti", ha detto Martin Bates geoarcheologo della University of Wales Trinity Saint David in una dichiarazione . "Il nostro compito è esaminare tutti i siti che sono stati perforati nei fondali marini e ricostruire la geologia dell'ambiente in evoluzione negli ultimi 100.000 anni. Da queste informazioni, possiamo individuare i luoghi probabili sui fondali marini che potrebbero avere prove di attività da parte dei nostri antenati che vivevano in questo paesaggio ormai perduto. "L'area probabilmente costituiva la principale confluenza di un antico sistema fluviale che consentiva il drenaggio centrale dell'area quando le calotte polari si scioglievano e il livello del mare saliva circa 10.000 anni fa. Si ritiene che una seconda area fosse una valle fluviale preistorica, mentre l'ultima regione, nota come Brown Bank, è formata da una cresta di sabbia di 30 chilometri. Qui hanno trovato due manufatti in pietra dove si ritiene abbiano realizzato strumenti, uno dei quali era un piccolo pezzo di selce e un altro un pezzo più grande rotto dal bordo di un martello di pietra. Ulteriori campioni mostrano torba e legno antico e indicano che l'area era una volta sede di un antico bosco che, analizzato nel contesto degli antichi strumenti, suggerisce che l'area ospitasse un'antica civiltà prima di essere sommersa. I ricercatori sperano di utilizzare queste informazioni per comprendere meglio la regione in un contesto più ampio e pianificare future spedizioni di campionamento per dipingere un'immagine della vita antica nella Gran Bretagna preistorica. I ricercatori hanno trovato due manufatti in pietra che si ritiene abbiano realizzato strumenti, uno dei quali era un piccolo pezzo di selce e un altro un pezzo più grande rotto dal bordo di un martello di pietra. Università di Bradford |
Post n°2233 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 18 marzo 2016 I melanesiani, unici eredi dell'uomo di Denisova ANSA Le popolazioni attuali della Melanesia sono le uniche in cui si trova una traccia dell'incrocio fra la nostra specie e la specie umana arcaica dell'uomo di Denisova. La mescolanza con i denisoviani deve essere avvenuta una sola volta, e oggi dal 2 al 3,4 per cento circa del genoma dei melanesiani deriva da questa specie umana estinta(red) Una parte piccola ma significativa del genoma dei melanesiani moderni deriva da quello dell'uomo di Denisova, la specie "cugina" della nostra e dei Neanderthal di cui solo nel 2008 furono scoperti resti fossili in una grotta della regione dei Monti Altai, nella Siberia meridionale. A stabilirlo, confermando indizi già rilevati da precedenti studi, è stata una ricerca effettuata da genetisti dell'Università di Washington a Seattle, in collaborazione con il Max- Planck-Institut per l'antropologia evoluzionistica di Lipsia, (e a cui ha contribuito anche Serena Tucci dell'Università di Ferrara) che illustrano la scoperta in un articolo pubblicato su "Science". hanno analizzato il genoma di 1523 persone provenienti da tutto il mondo, 35 delle quali erano abitanti dell'Arcipelago di Bismarck, nella Melanesia settentrionale, e di Papua Nuova Guinea. I risultati di questa analisi hanno mostrato che, mentre tutte le popolazioni non africane hanno ereditato dall'1,5 al 4 per cento del genoma dei Neanderthal, i melanesiani erano l'unica popolazione in cui tra l'1,9 e il 3,4 per cento del genoma proveniva dall'uomo di Denisova. genici fra denisoviani, Neanderthal e gli antenati delle popolazioni europee (EUR), dell'Asia orientale e meridionale (EAS) e della Melanesia (MEL). Questi flussi non hanno invece interessato le popolazioni africane (AFR). (Cortesia B. Vernot e altri/Science)I ricercatori hanno anche potuto stabilire che mentre la mescolanza fra l'uomo moderno e i Neanderthal si è verificata in almeno tre momenti distinti, quella con l'uomo di Denisova è avvenuta solo una volta. è la distanza che separa Denisova dalla Melanesia: "Sappiamo che questa regione è stata popolata per almeno 48.000 anni, perché vi sono resti umani che risalgono a quell'epoca, ma non si era riusciti a collegarli a qualsiasi altro posto. Se si confronta la maggior parte delle loro sequenze genomiche con quelle di qualsiasi altro gruppo si scopre che i melanesiani sono rimasti isolati per moltissimo tempo", osserva David A. Merriwether, uno degli autori della ricerca, che conclude: "Possiamo pensare che agli uomini di Neanderthal e di Denisova piacesse vagare in lungo e in largo". esseri umani potrebbero essere entrati in contatto con l'uomo di Denisova. L'ipotesi migliore, dicono i ricercatori, è che i denisoviani avessero un'areale di distribuzione molto ampio che si estendeva su tutta l'Asia orientale. I primi esseri umani moderni e i Neanderthal potrebbero aver viaggiato verso il Sudest asiatico insieme ai denisoviani. E alla fine, alcuni dei loro discendenti devono essere arrivati sulle isole a nord dell'Australia. Ma la cosa singolare è che "i denisoviani sono l'unica specie di esseri umani arcaici di cui si sa assai poco grazie alle prove fossili e molto di più dai loro geni". |
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