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Messaggi del 27/05/2020
Post n°2979 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet L'orto spaziale per coltivare le verdure su Marte MARTA FRIGERIO27 DIC 2017 C'è anche il dipartimento di Fisica dell'Università Statale di Milano tra i partecipanti all'esperimento di biologia HortExtreme, selezionato per la missione Amadee-18 e realizzato in sinergia con l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA). Il progetto è stato selezionato perché in grado di sviluppare ecosistemi chiusi per la produzione in situ delle risorse necessarie alle missioni umane di esplorazione del Sistema Solare. I ricercatori del dipartimento di Fisica dell'Università Statale di Milano sono impegnati da anni a realizzare esperimenti in Antartide, sulle Alpi e nello Spazio. «Grazie all'esperienza maturata svolgendo esperimenti scientifici in ambienti estremi e ostili e alla necessità di sistemi di soprav- vivenza sia degli umani che della strumentazione, forniremo il contributo necessario all'installazione dei sistemi di coltivazione idroponica - hanno spiegato Francesco Cavaliere e Marco Potenza del dipartimento di Fisica dell'ateneo lombardo -. Questo è il naturale proseguimento dello sviluppo di moduli abitativi resistenti fino a -80°C e a venti oltre i 100 km/h, che porterà allo sviluppo di serre gonfiabili dotate di una rete di sensoristica avanzata per tutti i parametri indispensabili alla vita umana e vegetale su Marte». Garantire una dieta equilibrata anche nello spazio L'obiettivo dell'orto maziano è quello di garantire un corretto apporto nutrizionale ai membri dell'equipaggio, assicurando un'alimentazione di alta qualità grazie a un sistema di coltivazione idroponica e senza l'uso di pesticidi e agrofarmaci. Per la missione sono state scelte piantine di cavolo rosso e radicchio, verdure che completano il loro ciclo vitale in sole due settimane. Dal deserto allo spazio Il prototipo dell'orto spaziale sarà spedito il prossimo 15 gennaio da Innsbruck al campo base allestito in Oman, dove a partire da l mese di febbraio e per quattro settimane, l'astronauta Claudia Kobald, insieme ad altri quattro colleghi, porterà avanti la sua missione di simulazione coltivando le verdure. L'orto marziano sarà posizionato nel deserto del Dhofar, scelto come sito per la missione per via di alcune caratteristiche che lo accomunano al Pianeta Rosso. Tra queste ci sono le strutture sedimentarie risalenti al Paleocene e all'Eocene, le cupole saline del South Oman Salt Basin e le antiche aiuole fluviali, le superfici sabbiose e rocciose con grande variabilità nell'inclinazione e un clima tropicale-desertico, con temperature previste a febbraio che variano tipicamente tra 16 e 27 °C. Le precipitazioni sono scarse e in quel periodo raggiungono i 10 mm. Gli scopi della missione Amadee-18 La missione Amadee-18, che è giunta alla sua dodicesima edizione, punta a studiare e validare gli equipaggiamenti che potranno essere impiegati nel corso delle future missioni umane su Marte; inoltre, si occupa di fornire piattaforme per tecniche di geofisica e per l'identificazione di tracce di vita, nonché valutare la mobilità di rover su un terreno analogo a quello marziano e in una condizione di supporto del team da remoto. © RIPRODUZIONE RISERVATA CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2978 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La Siberia sta bruciando più dell'anno scorso A causa del caldo torrido gli incendi in Siberia sono tornati e, rispetto al 2019, sono ancora più diffusi. Un incendio in Siberia, nella regione del Transbajkal (foto del 2019) | L'anno scorso, nei mesi di luglio e agosto, la Siberia è andata a fuoco, con incendi devastanti che, il 31 luglio, coprivano circa 30.000 km2 di territorio, un'area grande quanto l'intero Belgio. Un disastro ambientale di dimensioni incalcolabili, che si è portato via una quantità di alberi pari alla superficie della Grecia e che è stato causato da un clima insolitamente secco e caldo, conseguenza dei cambiamenti climatici che rischiano di trasformare irrimediabilmente la regione russa. Quest'anno, anche se siamo ancora a maggio, pare che la situazione sia ancora peggiore: stando a quanto rivelano le autorità russe e alle immagini satellitari della NASA, gli incendi sono cominciati prima e hanno già bruciato centinaia di migliaia di ettari di foresta. Foto satellitare della regione di Novosibirsk scattata dalla NASA il 27 aprile 2020. Le macchie rosse sono gli incendi. | NASA DIECI VOLTE TANTO. Le prime notizie sui nuovi incendi in Siberia sono arrivate dalle autorità russe: secondo il Siberian Times, il ministro per le emergenze Evgeny Zinichev ha dichiarato che nella sola regione del Krasnojarsk gli incendi stanno coprendo un'area dieci volte superiore rispetto a quanto stessero facendo un anno fa, quando la crisi non era ancora scoppiata in tutta la sua violenza. Un'altra delle regioni più colpite nel 2019, il Transbajkal, gli incendi sono il t riplo dell'anno scorso, e coprono 2.000 km2 di superficie. Complici il vento e l'estensione degli incendi, i loro effetti si sentono già fino a Novosibirsk, a 800 km dalla città di Krasnojarsk. E LA COVID-19 NON AIUTA... La "colpa" di questi incendi è in parte attribuibile alle condizioni climatiche estreme della Siberia: in alcune aree la temperatura ha già superato i 30 °C, e il caldo secco facilita la diffusione dei fuochi. La responsabilità principale, però, è ovviamente umana: la gran parte degli incendi sono stati causati da fuochi agricoli, e soprattutto da fuochi da campo sfuggiti al controllo dei campeggiatori. In piena crisi Covid-19, infatti, molti russi hanno deciso di "auto-isolarsi" all'aperto, in mezzo ai boschi, e il mancato rispetto delle norme di sicurezza ha favorito la nascita e il diffondersi di questi incendi. |
Post n°2977 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 25 maggio 2020Comunicato stampa Così la galassia nana del Sagittario ha modellato la Via Lattea Fonte: Inaf Un'illustrazione dei successivi passaggi della galassia nana del Sagittario mentre orbita intorno alla nostra galassia della Via Lattea e il suo impatto sull'attività di formazione stellare della Via Lattea, come suggerito dai dati della missione Gaia dell'ESA.© ESA Un team internazionale di ricerca, composto da scienziati dell'Istituto Astrofisico delle Canarie e di cui fa parte anche Santi Cassisi dell'INAF, ha realizzato uno studio che mostra prove inconfutabili del ruolo cruciale avuto dalla galassia nana Sagittario nel processo di evoluzione della Via Lattea. Lo studio, realizzato grazie ai dati della missione spaziale Gaia dell'Agenzia Spaziale Europea, è stato pubblicato oggi sulla rivista "Nature Astronomy" e sembrerebbe indicare che uno degli eventi di formazione stellare associati alle interazioni tra la galassia del Sagittario e la nostra Galassia potrebbe aver dato vita al nostro stesso Sole Il disco della Via Lattea, quella sorta di 'striscia' luminescente ben visibile anche a occhio nudo nei cieli estivi ed invernali, rappresenta la regione più densa della nostra galassia, ed è proprio lungo tale striscia che si trova il Sistema Solare. Tuttavia tale porzione della Galassia non ha avuto sempre lo stesso aspetto, e comprendere come essa si sia evoluta dalla sua formazione ad oggi è da sempre uno dei temi di maggior rilievo dell'astrofisica. Gaia dell'ESA sta effettuando misure sulla luminosità, la posizione, i moti propri e la composizione chimica di un numero enorme di stelle, permettendo così di ottenere una tomografia estremamente accurata della nostra Galassia. Gaia è una missione che vede una importante partecipazione scientifica dell'Italia, con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) che partecipano al Data Processing and Analysis Consortium (DPAC). Combinando insieme la luminosità apparente con le distanze misurate da Gaia, Santi Cassisi, in forze all'INAF, e i ricercatori dell'Istituto Astrofisico delle Canarie, hanno stimato la luminosità intrinseca di oltre 24 milioni di stelle, all'interno di una sfera dal diametro di 6.500 anni luce intorno al Sole. Il confronto tra le osservazioni e accurati modelli stellari elaborati dai ricercatori dell'INAF ha permesso di ricostruire la storia evolutiva della Via Lattea con una precisione mai raggiunta fino ad ora. fosse stato costante nel corso della sua vita, ma sarebbe stato difficile ipotizzare l'esistenza di periodi molto intensi e ben definiti di formazione stellare", dice Santi Cassisi dell'INAF di Teramo, e prosegue: "Lo studio ha invece mostrato che la Via Lattea ha sperimentato circa 13 miliardi di anni fa un processo di formazione stellare molto violento, la cui intensità è andata progressivamente a diminuire nel corso del tempo. Sovrapposto a questo andamento, lo studio ha identificato l'esistenza di alcuni eventi estremante intensi di formazione stellare. Il primo sarebbe avvenuto circa 5-6 miliardi di anni fa, seguito da altri eventi avvenuti rispettivamente 2 miliardi e 1 miliardo di anni fa, per arrivare all'ultimo, 'vecchio' solo 100 milioni di anni". La domanda a cui si è cercato di rispondere è stata quindi cosa fosse accaduto durant e quelle epoche tale da riuscire a innescare eventi così violenti in una galassia così grande. Per risolvere questo enigma si deve ricordare che la Via Lattea non è sola, ma intorno ad essa orbitano altre galassie come Andromeda (M31), le Nubi di Magellano e decine di galassie più piccole, note come galassie nane, che formano insieme il cosiddetto 'Gruppo Locale'. Tra queste galassie nane, quella del Sagittario ha un ruolo molto importante, sia per la sua massa sia per il fatto che essa è in fase di interazione dinamica molto forte con la Via Lattea. La Via Lattea sta letteralmente 'cannibalizzando' la galassia del Sagittario. Questo processo di interazione non sta avvenendo solo in tempi recenti, ma complesse simulazioni suggeriscono che tali interazioni dinamiche siano avvenute circa 5-6 miliardi di anni, fa quando Sagittario si è avvicinata per la prima volta alla Via Lattea. Tale forte interazione si è ripetuta ancora 2 miliardi di anni fa e un miliardo di anni fa. La coincidenza tra i picchi di formazione stellare nel disco galattico, evidenziati dallo studio e questi eventi di interazione gravitazionale tra le due galassie, nonché la coincidenza con la posizione temporale di picchi di formazione stellare nella galassia Sagittario, portano a dedurre che Sagittario abbia avuto, e stia ancora avendo, un ruolo fondamentale nel determinare la storia evolutiva della Via Lattea. la morfologia della nostra Galassia. I risultati della ricerca mettono in discussione alcuni dei modelli di formazione galattica e offrono spunti importanti per i futuri studi teorici. È interessante osservare come il nostro Sole, che si è formato circa 4.6 miliardi di anni fa a seguito del collasso di una grande nube di gas e polvere, potrebbe essere una delle stelle nate circa 5 miliardi di anni fa a causa della prima interazione mareale tra la Via Lattea e Sagittario: quindi noi potremmo essere i testimoni di uno dei principali eventi astronomici che ha generato la nostra stella e quindi il nostro sistema planetario come noi oggi li conosciamo. |
Post n°2976 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 06 maggio 2020Comunicato stampa Il pianeta che voleva essere una stella: la ferrosa atmosfera di KELT-9b Rappresentazione artistica del pianeta KELT-9b e della sua stella © NASA/JPL-Caltech Un gruppo di ricercatori italiani, olandesi e svizzeri ha rivelato per la prima volta tracce di ferro neutro in emissione nella caldissima atmosfera di un pianeta extrasolare. Questa scoperta è un importante passo avanti verso studi comparativi di pianeti e stelle ospiti, che favorirà una migliore comprensione di come i pianeti stessi si formino È caldo come una stella ma non è una stella, è un pianeta extrasolare. La sua sigla è KELT-9b e si trova a 650 anni luce da noi, in direzione della costellazione del Cigno. Un nuovo, accurato studio realizzato da un gruppo di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) insieme a colleghi di Università ed Enti di ricerca italiani, olandesi e svizzeri ha permesso di rivelare per la prima volta l'emissione di radiazione da atomi di ferro neutro presenti nell'atmosfera di KELT-9b. I risultati, in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters sono stati ottenuti grazie alle misure dello spettrografo HARPS-N installato al Telescopio Nazionale Galileo dell'INAF sulle Isole Canarie. Questo studio permetterà di comprendere meglio le relazioni tra gli esopianeti e le loro stelle madri ma anche come i pianeti estremi simili a KELT-9b possano formarsi ed evolvere. nostra Galassia, un "gioviano caldo" secondo la classificazione degli astronomi. Il suo lato perennemente illuminato raggiunge una temperatura di oltre 4 mila gradi. Tale temperatura è quella tipica di stelle classificate come "nane di tipo K" o "nane arancioni", dal colore della luce che emettono. La differenza fondamentale è però nella massa: le stelle hanno una massa abbastanza grande da riuscire a innescare reazioni nucleari nel loro interno, a cui si deve l'origine delle loro alte temperature superficiali; KELT-9b invece è un pianeta centinaia di volte meno massiccio di una stella, e quindi raggiunge un'elevata temperatura atmosferica semplicemente perché viene irradiato da vicino dalla sua stella ospite, una stella bianca di tipo A, la cui temperatura in superficie tocca i 10 mila gradi. KELT-9b e quella che avrebbe una stella con la stessa temperatura" spiega Lorenzo Pino, dell'INAF di Firenze e ora in forza all'Università di Amsterdam, nei Paesi Bassi, primo autore dell'articolo che descrive la scoperta. "Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare la luce emessa dal pianeta, ma è una cosa molto difficile in generale, perché - dal nostro punto di vista - la luce del pianeta è una piccolissima frazione della luce emessa dalla stella madre. Eppure ci siamo riusciti, osservando il sistema KELT-9 con lo spettrografo ad alta risoluzione HARPS-N, montato al Telescopio Nazionale Galileo". segnali relativi a diversi elementi chimici nell'atmosfera del pianeta. In particolare, migliaia di minuscole "righe spettrali" possono essere riconosciute e sommate utilizzando una tecnica di "correlazione incrociata", applicata per la prima volta allo studio di pianeti extrasolari da astronomi olandesi. I ricercatori italiani, olandesi e svizzeri che hanno collaborato alla ricerca, hanno scoperto che il pianeta assorbe parte della luce della stella madre grazie alla presenza di atomi di ferro nella sua atmosfera, proprio come se si trattasse di una stella "nana arancione". "Diversamente da una stella però, l'atmosfera gassosa del pianeta mostra una 'inversione termica', ovvero un aumento della temperatura piuttosto che una diminuzione, salendo sopra una certa altezza" prosegue Pino. "Ciò è dovuto proprio all'assorbimento della luce della stella e al conseguente riscaldamento degli strati atmosferici più esterni". Qualcosa di simile in pratica succede anche nell'atmosfera della Terra, dove gli atomi di ozono hanno un effetto simile a quelli di ferro in KELT-9b: tale fenomeno determina la formazione della stratosfera terrestre. |
Post n°2975 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Gli antenati di beluga e narvalo vivevano nel caldo Mediterraneo Ricostruzione di Casatia termophila (disegno di Alberto Gennari) MARTA FRIGERIO3 SET 2019 Gli antenati del beluga e del narvalo, odierni "signori dei ghiacci", vivevano nelle acque tropicali del Mediterraneo: a rivelarlo, un fossile risalente a cinque milioni di anni fa e scoperto vicino a Grosseto dai paleontologi dell'Università di Pisa. Lo studio, che è stato recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Paleontology, è stato condotto da Giovanni Bianucci e Alberto Collareta, paleontologi del dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa, oltre a Fabio Pesci e Chiara Tinelli nell'ambito delle loro attività di tesi, rispettivamente di laurea magistrale e di dottorato. Dalle acque tropicali ai ghiacci Il beluga (Delphinapterus leucas) e il narvalo (Monodon monoceros) sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti attuali della famiglia dei Monodontidi. «Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora più assurdo, o almeno così si pensava, che potessero essere vissuti in questo mare all'inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale - spiega Giovanni Bianucci -. Mentre sulla biologia dei Monodontidi si sa moltissimo, si hanno invece scarse informazioni sull'evoluzione di questi cetacei, dal momento che le testimonianze fossili sono estremamente scarse». La scoperta fatta in Toscana, dunque, assume un'importanza storica. «Il cranio che abbiamo trovato ad Arcille, vicino a Grosseto, è di straordinaria importanza non solo perché si tratta del primo di Monodontide scoperto nell'area Mediterranea, ma anche perché ci ha permesso di descrivere la quarta specie fossile al mondo di questa famiglia» aggiunge il ricercatore. Come è stato possibile, dunque, che dalle calde acque del Mediterraneo le specie migrassero verso Nord? «È probabile che le due specie attuali di Monodontidi abbiano evoluto i loro straordinari adattamenti alle acque fredde in tempi geologicamente molto recenti, durante il Quaternario (da circa 2,6 milioni di anni fa a oggi), quando l'emisfero settentrionale fu interessato da ripetute glaciazioni e da un trend di progressivo irrigidimento climatico» spiega Alberto Collareta. (disegno di G. Bianucci). In cerca di una nuova casa Se oggi i Monodontidi non vivono nel Mediterraneo il motivo è molto semplice: le acque sono troppo calde e non adatte per dei cetacei che hanno nel Polo Nord il loro habitat e che non si spingono mai oltre l'oceano glaciale artico. «Ma l'aspetto ancora più incredibile è che circa cinque milioni di anni fa il Mediterraneo era addirittura più caldo di adesso, con temperature vicine a quelle tropicali - precisa Collareta -. Che durante il Pliocene inferiore il Mediterraneo fosse un mare caldo si sapeva da tempo, ma altri fossili straordinari che abbiamo trovato nella cava di Arcille supportano il fatto che Casatia thermophila nuotasse insieme ad animali marini di acque tropicali, come per esempio il temibile squalo zambesi (Carcharhinus leucas), il vorace squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e l'enorme marlin (Makaira nigricans), tutte forme oggi assenti dal Mediterraneo». © RIPRODUZIONE RISERVATA CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2974 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Traffico illegale: le uova di gufo valgono più dell'avorio Il Gufo latteo, diffuso in Africa (foto di Francesco Veronesi). In Africa ha preso piede un nuovo traffico illegale, strano quanto delittuoso: quello delle uova di gufo che, vendute a peso d'oro, valgono più dell'avorio. Una novità, perché in questi anni abbiamo associato il traffico illegale di animali alle stragi di tigri, elefanti, pangolini, rinoceronti bianchi - sull'orlo dell'estinzione - e ippopotami, che sono la nuova frontiera dell'avorio. In Kenya e Tanzania si è, infatti, creato un nuovo problema di conservazione della biodiversità che incide direttamente sulle popolazioni dei gufi di quelle aree. Nonostante la maggior parte dei paesi abbia adottato leggi a tutela delle specie selvatiche, occorre notare che raramente le violazioni vengono rigorosamente sanzionate; e in alcuni stati africani sono ampiamente ignorate. I fondi sono pochi e le risorse di uomini per contrastare il bracconag- gio anche, pertanto non c'è da stupirsi se tutte le attenzioni, nemmeno sufficienti, siano destinate alla protezione dei grandi mammiferi africani (Elefanti, rinoceronti, leoni ..). In questo quadro, i gufi risultano totalmente dimenticati e attivarsi per prelevare le uova è facile e poco pericoloso. Nel suo ultimo libro Il volo rapito, in uscita in questi giorni, Marco Mastrorilli, naturalista e grande esperto di rapaci notturni, porta alla luce le scomode verità sui traffici illegali degli animali e in particolare dei gufi. Un problema che, nel giro di pochi anni potrebbe portare a un ulteriore decremento delle popolazioni di rapaci notturni che fino a un solo decennio fa sembravano floride. Ma perché vengono trafficate le uova? All'interno del libro, in un'intervista concessa in esclusiva, lo spiega David H. Johnson, direttore del Global Owl Project, l'organizzazione mondiale più importante al mondo per la conservazione dei gufi. Johnson racconta che nell'ultimo decennio gli ambientalisti hanno trovato sempre meno gufi in Kenya. Si è scoperto, così, che la razzia delle loro uova è legata ai consigli degli stregoni dei villaggi, che le raccomandano come cura per l'HIV-AIDS o il cancro. valutazione reale del loro costo. Tuttavia, il quadro generale è chiaro: le uova di gufo al chilo possono costare più del doppio del prezzo di un corno di rinoceronte e circa 80 volte il prezzo dell'avorio. Il problema è davvero serio se pensiamo che per le organizzazioni criminose di bracconieri il prelievo di uova dai nidi è molto meno rischioso rispetto ad andare a caccia di elefanti o ippopotami. Non solo. Le uova avrebbero anche funzione propiziatoria. Sarebbero infatti ritenute di buon auspicio da parte dei politici neo eletti che ricevendo un uovo di gufo in regalo potranno godere di favorevole sorte politica. L'appuntamento con Mastrorilli sul web Per chi fosse interessato ad approfondire questa triste realtà poco conosciuta e i problemi di conservazione legati al traffico di centinaia di milioni di animali, l'appuntamento è con il Live streaming sul canale YOU TUBE GUFO TUBE che Marco Mastrorilli organizzerà durante tutta la giornata di venerdì 1 maggio a partire dalle 11.30 in occasione dell'uscita del suo ultimo libro realizzato con Raffaella Maniero "Il Volo rapito. Le scomode verità sul traffico illegale dei gufi e altri animali". L'iniziativa vedrà la partecipazione di diversi ospiti che parteciperan- no al dibattito su questo tema. |
Post n°2973 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Ecco come ha potuto lo squalo della Groenlandia vivere 400 anni Lo squalo coetaneo di William Shakespeare GIANLUCA GROSSI14 AGO 2016 Animali longevi capaci di vivere fino a 400 anni. Solo nei fumetti o nei film di fantascienza. Era vero fino a ieri. Perché al largo delle coste della Groenlandia è avvenuta una scoperta sensazionale: uno squalo nato quando in Italia imperversavano gli spagnoli e William Shakespeare aveva appena pubblicato i Sonetti. Lo rivela uno studio pubblicato su Science da esperti dell'Università di Copenaghen. Si tratta di un animale appartenente alla specie Somniosus microcephalus, che raramente entra a contatto con l'uomo perché abita le profondità oceaniche dell'Artico. La sua scoperta è stata del tutto accidentale. Un esemplare di squalo Somniosus microcephalus è infatti finito per errore nella rete di un pescatore, che, disinteressato al suo impiego a livello commerciale (non è commestibile), ha permesso alla scienza di fare luce sull'animale più vecchio del mondo. Le analisi al radiocarbonio - relativo a una proteina specifica - hanno consentito ai ricercatori di far risalire la sua nascita all'inizio del Seicento. Il suo segreto? Vivere dove le acque sono costantemente intorno agli zero gradi centigradi. Il grande freddo di quelle latitudini ha preservato lo squalo per secoli. Peraltro, la sua pubertà dura almeno 150 anni. Gli scienziati hanno infatti messo in luce che la sua attività sessuale comincia dopo più di un secolo. Si stima che l'esemplare di squalo cresca di un centimetro all'anno e possa raggiungere i cinque metri di lunghezza. Non è certo come i suoi parenti dei tropici: si muove con grande lentezza e forse è anche questa una prerogativa della sua longevità; non è un caso che anche altri animali molto longevi spicchino per la loro indolenza. Lo squalo di 400 anni batte i record precedentemente ottenuti da altre specie come la balena artica (Balena mysticetus) che arriva a 211 anni e la tartaruga delle Galapagos, che campa fino a 177 anni. © RIPRODUZIONE RISERVATA CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°2972 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Decifrato il ritmo delle enigmatiche stelle pulsanti Illustrazione della stella di tipo delta Scuti denominata HD 31901 (©Chris Boshuizen/Simon Murphy/Tim Bedding) I dati del satellite TESS e del telescopio spaziale Kepler della NASA hanno permesso di ricostruire il ritmo di vibrazione di una particolare sottoclasse di stelle pulsanti, aprendo la strada allo studio della loro struttura interna Delta (δ) Scuti: per la maggior parte delle persone questo nome oscuro non vorrà dire molto, ma per gli astrofisici è sinonimo di uno dei misteri meglio custoditi del cosmo. Si tratta del nome di una classe di stelle pulsanti di massa intermedia, il cui ritmo sembrava sfuggire a ogni comprensione. Almeno fino alla pubblicazione sull'ultimo numero di "Nature" di uno studio firmato da Timothy R. Bedding del Sydney Institute for Astronomy (SifA), in Australia e colleghi, che hanno scoperto la chiave per risolvere l'enigma.
sono onde che le fanno vibrare e risuonare, un po' come fanno le onde sonore con la cassa di risonanza di una chitarra. L'ampiezza e la frequenza delle singole oscillazioni dipendono dallo stato fisico dei differenti strati attraversati. I diversi spettri di oscillazione meccanica sono legati a cicli termodinamici della stella, che a loro volta fanno espandere e contrarre le stelle, e influenzano la radiazione stellare con periodici red shift (spostamenti verso il rosso) e blue shift (spostamenti verso il blu) dovuti all'effetto Doppler. ricostruire gli spettri vibrazionali, parametri preziosi per studiare l'interno delle stelle che è nata un'apposita branca di ricerca, l'astrosismologia. Nel caso delle stelle delta (δ) Scuti, gli schemi di pulsazione sono apparentemente casuali e perciò molto difficili da interpretare le per ricavare indizi sulle strutture stellari. (TESS) e della missione Kepler della NASA, Bedding e colleghi hanno osservato una sottoclasse di 60 stelle delta (δ) Scuti piuttosto giovani, distanti da noi tra 60 e 1400 anni luce, e caratterizzate da spettri di pulsazione molto più semplici, ordinati e comprensibili. È da questi spettri ordinati i ricercatori sperano di poter trovare lo spunto per capire anche quelli apparentemente casuali delle stelle più vecchie, e di riuscire così a studiare moltissime stelle di questo tipo presenti nel cosmo. pulsazioni tendono a diventare più complicati via via che le stelle invecchiano", ha spiegato Warrick Ball, ricercatore dell'Università di Birmingham, nel Regno Unito, coautore dell'articolo. "Le stelle più giovani ci danno quindi la possibilità di trovare gli spettri ordinati". usarle come punti di riferimento per aiutarci a interpretare l'enorme numero di altre stelle del gruppo che presentano spettri di pulsazione più complicati", ha aggiunto Bill Chaplin, collega di Ball a Birmingham e coautore dello studio. (red) |
Post n°2971 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. 2010-2019: le 10 rivoluzioni scientifiche del decennio Dalla nascita di un modo inedito di osservare il cosmo alle scoperte sulle prime specie umane: la scienza che ha segnato la decade 2010-2019. Lo scontro tra due stelle di neutroni dà origine a una nuova stella: un'illustrazione artistica. | UNIVERSITY Il 31 dicembre 2019 si chiuderà un decennio particolarmente brillante per la ricerca scientifica: dai balzi in avanti dell'astronomia ai progressi nella scienza medica, ripercorriamo insieme le conquiste più significative che abbiamo celebrato negli ultimi anni (anche dalle pagine di questo sito). L'AVVENTO DELLA CRISPR. Il potenziale dell'ingegneria genetica per la cura delle malattie è finito sotto gli occhi di tutti nel 2012, con la scoperta e l'utilizzo di forbici molecolari ad elevata precisione per modifiche "chirurgiche" del DNA: la tecnica CRISPR e le sue derivazioni hanno spalancato prospettive fino a poco tempo fa nimmaginabili nella prevenzione di patologie ereditarie e nel campo della ricerca alimentare, ma anche rivelato effetti inattesi, lati oscuri e limiti necessari da fissare nel campo della bioetica. IL BOSONE DI HIGGS. Nel luglio 2012, dopo quattro anni di collisioni tra protoni nel Large Hadron Collider di Ginevra, e a quasi 50 anni dalla sua teorizzazione, la particella più elusiva e cercata della fisica moderna è stata finalmente trovata: gli scienziati del CERN hanno annunciato la scoperta del Bosone di Higgs, il tassello mancante del Modello Standard che aiuta a spiegare perché tutte le altre particelle sono dotate di massa. Nel 2013 Peter Higgs, il primo ad ipotizzare l'esistenza della "Particella di Dio" nel 1964, ha vinto insieme al fisico François Englert il Premio Nobel
L'evento che rende possibile la misurazione è uno scontro di stelle di neutroni, qui in una rappresentazione artistica. Per approfondire: onde gravitazionali e stelle di neutroni | ESLE ONDE GRAVITAZIONALI. Era il 1916 quando Albert Einstein ipotizzò che il tessuto dello spazio-tempo fosse disturbato da "increspature", stiracchiamenti e compressioni - le onde gravitazionali. Esattamente cento anni dopo, l'11 febbraio 2016, gli scienziati della collaborazione LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) hanno annunciato di aver trovato le prove sperimentali dell'esistenza delle onde gravitazionali causate dalla fusione di due buchi neri, di massa equivalente a circa 29 e 36 masse solari. Nel 2017, gli interferometri di LIGO e Virgo hanno annunciato di aver osservato la nascita "in diretta" di una stella dovuta dalla coalescenza tra due stelle di neutroni: un evento che ha sancito la nascita dell'astronomia multi-messaggio. O/L. CALÇADA/M. KORNMESSER NUOVI RAMI DELL'ALBERO GENEALOGICO. Nel 2010, la scoperta dell'osso di un dito umano geneticamente distinto dall'uomo moderno e dai Neanderthal rivelò al mondo l'esistenza di una nuova specie arcaica profondamente legata alla nostra, quella dei Denisoviani, dal nome della grotta di Denisova in Siberia dove fu trovato il reperto. Nel 2018, è arrivato l'annuncio della scoperta di un individuo ibrido, una bambina con madre Neanderthal e padre denisoviano. Oggi sappiamo che parte della moderna popolazione umana ospita geni denisoviani nel proprio DNA. Nel 2015, in un sistema di grotte sudafricane sono venuti alla luce i fossili di una nuova specie umana: l'Homo naledi, un ominide vissuto tra i 236 mila e i 335 mila anni fa, la cui anatomia ha caratteristiche miste, che ricordano tanto l'uomo moderno quanto i suoi più arcaici Il Sole, l'orbita di Plutone, la posizione della Voyager 1... in relazione alla dimensione del buco nero nella galassia M87 che adesso conosciamo "in foto". LA PRIMA IMMAGINE DI UN BUCO NERO. La comune percezione dei buchi neri come entità invisibili è cambiata con l'annuncio, nell'aprile 2019, della prima "foto" della silhouette di un buco nero, ottenuta dalla rete di telescopi Event Horizon Telescope che ha osservato l'orizzonte degli eventi del mostro situato nel cuore della galassia M87, a 55 milioni di anni luce da noi. Il primo buco nero di cui si possa vedere l'ombra ha una massa pari a 6,5 miliardi di volte quella del Sole - molto maggiore di quella di Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea, prossimo sorvegliato NUOVI MONDI. All'inizio del decennio conoscevamo circa 450 pianeti extrasolari. Oggi quelli noti sono oltre 4000 e tra questi c'è Proxima Centauri b, un esopianeta terrestre individuato nel 2016 in orbita attorno alla stella Proxima Centauri, a soli 4,2 anni luce dalla Terra. Nel 2017, la famiglia di esopianeti noti si è arricchita ulteriormente con la scoperta del sistema stellare TRAPPIST-1, con sette pianeti di dimensione terrestre a soli 39 anni luce dalla Terra. UN TRATTAMENTO PER LA PREVENZIONE DELL'HIV. Nel 2011, un ampio studio clinico su un farmaco basato sull'associa- zione di due antiretrovirali dimostrò che il trattamento preveniva la trasmissione dell'HIV tra partner infetti e non nel 96% dei casi. Nel 2012, la FDA americana approvò il farmaco (dal nome commerciale Truvada) per la prevenzione dell'HIV nei soggetti sani. La scoperta che fu nominata da Science "Breakthrough of the year," fu la prima dal 1994 a mostrare un nuovo modo di prevenire la trasmissione dell'infezione da una persona all'altra. Nel 1994 era stata dimostrata la possibilità di prevenire il contagio tra madre sieropositiva e feto. Un momento della sfida tra il computer AlphaGo e Fan Hui, campione europeo di Go. Vedi anche: dieci applicazioni di intelligenza artificiale che forse già utilizzi | LE VITTORIE DELL'AI. In un decennio dominato dallo sviluppo dell'intelligenza artificiale, più volte hanno fatto notizia le performance di AlphaGo. Nel 2016 il software della DeepMind ha dimostrato per la prima volta di poter battere l'uomo nel Go, uno dei giochi strategici più complessi di sempre in termini di tattica e strategia. Una successiva versione del programma di reti neurali profonde, nel 2017, è riuscita addirittura ad istruirsi da sola, con la tecnica dell'apprendimento per rinforzo, senza bisogno dell'aiuto dell'uomo. VIAGGI DENTRO E FUORI DAL SISTEMA. Mai come in questo decennio abbiamo esplorato i corpi più piccoli del nostro sistema planetario: dagli asteroidi Ryugu e Bennu, mete recenti delle sonde Hayabusa2 e OSIRIS-REx, a Plutone, che abbiamo osservato in tutto il suo splendore nel luglio 2015, grazie alla sonda della NASA New Horizons che ha mostrato al mondo la sua superficie. Dopo aver osservato l'asteroide Vesta, nel 2011, la sonda della NASA Dawn ha mappato il pianeta nano Cerere. Altre sonde si sono spinte oltre i confini del nostro Sistema: nel 2013, gli scienziati della NASA hanno annunciato che la Voyager 1 aveva ufficialmente abbandonato il Sistema Solare nell'agosto 2012, dopo 35 anni di viaggio ininterrotto. Nel 2018 abbiamo saputo che anche la Voyager 2 si trova nello UNA NUOVA COSCIENZA CLIMATICA. Nell'ultimo decennio la concentrazione di CO2 atmosferica ha raggiunto livelli ineguagliabili per i tempi moderni, oltrepassando nel maggio 2013 il tetto delle 400 parti per milione. Per effetto del riscaldamento globale di origine antropica, il 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019 sono stati i cinque anni più caldi dal 1880. Nel 2014 è iniziato il più drammatico evento di sbiancamento delle barriere coralline che si ricordi. La crisi climatica ha però avuto anche l'effetto di intensificare il grido di allarme di scienziati, attivisti e società civile sull'esigenza di proposte politiche volte a contrastarla. Il 2015 è stato l'anno degli Accordi di Parigi. Il decennio dell'azione sarà - ci auguriamo - il prossimo. |
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