Creato da cingomma il 06/09/2006

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Lana fuori..Cotone sulla pelle

 

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Amicizia e Silicone

Post n°219 pubblicato il 16 Maggio 2009 da cingomma
 

Misono svegliata a mezzogiorno. E’ quasi sera e ancora devo smaltire la resurrezione. Non era mia intenzione annullare mezza giornata nel dimenticatoio delle ore dormienti ma al suono della sveglia ho deciso di prolungare il sonno che involontariamente mi ha portata sino ai rintocchi del campanile. 

Sono andata a letto tardi. Ieri sera sono uscita. Anche se poi, non è per quello che ho fatto le ore piccole. In realtà credo che alle undici ero già a formare la nuova conca sul divano di appena qualche mese. Buongustaia mi ha proposto un giro in piazza. Alla fine, gira di qua gira di là, col telefono all’orecchio si accorda con qualcun altro che li avremmo raggiunti. Passiono in arreso silenzio la sua sicurezza nell’intendere telepaticamente la mia buona disposizione a quest’ideona. E taccio anche il disappunto nel sapere che si va nel bar dove lavora Queen. In un attimo mi tornano in mente alcuni frammenti della nostra amicizia perdurata negli anni dall’infanzia a quel giorno di, ormai, una decina d’anni fa quando s’è frantumata in mille schegge di rabbia e lite sul marciapiede di quella strada esattamente di fronte al bar che stiamo raggiungendo. Quel giorno, come due infantili bambine capricciose, dopo un puerile battibecco isterico ci siamo voltate le spalle ognuna col proprio carico d’indignazione e offesa reciproca. Pensavo che il giorno dopo ci saremmo guardate in faccia scoppiando a ridere. Ma il giorno dopo e tutti i giorni a venire, in ogni occasione in cui cercavo il suo sguardo, trovavo in risposta la sua lunga coda di cavallo viola prugna che ciondolante fiera ai miei occhi seguiva il ritmo del suo giro di scatto della testa dall’altra parte. Ci restavo male ogni volta. Ma ogni volta tacevo. Non per orgoglio. Per rassegnazione. Son passati i mesi e gli anni. Incontrandosi sempre meno ma lasciando incostante nel tempo quell’ansia da situazioni sospese e disagio latente che si risveglia ad ogni sporadico incontro e ad ogni puntuale rifiuto di sguardo che Queen mi offre, lasciandomi ogni volta a metabolizzare la disillusa speranza di un incontro per una volta finalmente diverso.

Tra un pensiero e un ricordo, mentre Buongustaia parla camminandomi al fianco, mi sfiora l’idea di dirle che non ho tutta quella voglia di andare in quel posto ma non mi va nemmeno né di stare a spiegare né di fare storie così alla fine non dico niente, cercando piuttosto di prepararmi a rivederla. Ormai sarà un anno che non la vedo.  Considero che non sarà certo cambiato il suo aspetto.E’ come la Pravo. Immutato nel tempo. L’ultima volta aveva ancora il suo lungo fisico androgino e la sua lunga coda viola prugna legata stretta al centro della nuca. La sua falcata decisa, la sua voce severa, la sua risata sguaiata e il suo pesante trucco da drugqueen. Tolta tutta l’artificiosa artificialità, sarebbe (stata) una bella donna.

Siamo intanto davanti al bar. Gli altri occupano due tavoli all’angolo del dehor. Ci avviciniamo e prendiamo posto rubando due sedie al vicino tavolo vuoto.  Le consumazioni a metà sulla tovaglia in cotone blu mi ricordano che qui il caffè freddo shakerato è meritevole, offrendomi un’alternativa ad uno sbiadito te’ al limone. Ed è questo che sto dicendo a Buongustaia quando spunta Queen col marsupio al girovita e il piccolo blocchetto delle ordinazioni in mano. Alzo lo sguardo superando il ventre piatto, la sua terza sotto alla maglina e il suo collo dai primi segni di giovinezza andata, arrivando al suo viso da una strana espressione così diversa e così familiare al tempo stesso. Pensandoci ancora adesso, mi rendo conto che ancor prima di realizzare che, come previsto, non mi stava guardando, quello che piu’ mi ha lasciata senza parole è stato decifrare e focalizzare quel non so che di diverso ma di cosi uguale che vedevano i miei occhi nella sua faccia…..     Le ordino il mio caffè freddo e lei mi chiede, senza alzare lo sguardo dal foglio, se con liquore o senza. E’ in questo momento che punto tutta l’attenzione sulle sue labbra, influenzata da un goffo modo di parlare che non le riconosco. .. Sembra che abbia dei punti in bocca.  E allora capisco.   Capisco che il mio smarrimento perso nel suo volto che stento a riconoscerle è da ricercarsi in due gonfie labbra deformi che come due camere d’aria si trasformano in una sgradevole smorfia ad ogni movimento, sconvolgendone l’espressione e la parola.   Queen s’è rifatta le labbra! ….  Senza riuscire a staccare la vista da quel teso turgido scempio le rispondo che ci vorrei dell’amaretto, nel caffè. …….  E quando già se n’è andata ancora una volta voltandomi le spalle senza degnarmi di un minimo sguardo, ho sempre e comunque davanti agli occhi quei due salsicciotti strabordanti silicone siringato. ……     E di tutte le frasi che mi son rimaste come ogni volta serrate fra i denti, tipo “ma sai che son dieci anni che non ci parliamo” o “certo che siamo proprio due sceme, quando cresciamo” o piu semplicemente “vaffanculo, stronza”… la piu’ difficile da tenere a freno prima che mi scappasse tra le parole per favore amaretto e grazie è stata    “MaCheCazzoHaiFatto, Oh Deficiente??!!”

Le consumazioni le ha portate il cameriere e i soldi li abbiam lasciati agli altri quando, dopo qualche chiacchiera e due o tre risate, siam tornate verso casa. Queen non l’ho piu’ vista.

Davanti al cancelletto, salutando Buongustaia, mentre infilo la chiave le dico “ma che cazzo ha fatto, quella deficiente??” ….   Non potevo tenerla lì… spingeva dietro gli incisivi come un fastidioso filo d’insalata rimasto impigliato

 
 
 
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