QUESTO, NON È IL MIO NATALE Il Natale, per secoli, ha rappresentato in Occidente un Evento di fede! Ora non più, raramente.
Anche le Metafore vengono svuotate dal tempo e dalla crudezza della realtà! Metafore disabitate di Valori, Evento delocalizzato nel Passato.
Il Natale, un prodotto avariato! La sua etichetta riporta ingredienti opposti a quelli del marchio d’origine: sicurezza, non più accoglienza; orrore e violenze, non più rispetto, mediazioni e armonia; sensibilità e dolcezza, non più, ma sopraffazione e bullismo socio-culturale-politico; il vero, non più, ma parole desautorate, incoerenza mistificata, ipocrisia; consolazione e misericordia, non più, ma addobbi presepiali sulla pelle, nera o bianca che sia, dei disperati.
Il Natale, la Metafora, pensavo anni fa, avrebbe avutola forza di cambiarCi, di farci scoprire ciò che di grande l’Evento nascondeva e trasformarCi in “Eventi di vita solidale”, invece è rimasto solo metafora, statuine del presepio senza vita, insignificanza, sfoggio, esibizioni, apparenze, interessi di parte e di pancia.
Quel tempo non c’è più e gli “eventi” sono rimasti, senza Metafora, drammatici “eventi” di ingiustizie, violenze, sfruttamento.
Questo Natale, non lo chiamo più cristiano, perché di cristiano non ha nulla; ha i connotati del rifiuto, dello sproloquio, dell’ego-ombelicale che, con ignorante ampollosità, alcuni, non tutti, definiscono “identità culturale nazionale”, con venature razziste!
Qui e ora, come secoli fa a Betlemme, non c’è posto, per l’Altro, per chi è diverso, straniero!
Qui c’è solo la nostra approssimativa impronta, non so se ancora nobile, di popolo-casta sulle difensive e che, miseramente tronfia, si autocelebra.
Si sproloquia con prosopopea di “Cultura Cristiana, Diritti dell’Uomo, Solidarietà tra i Popoli, Aiuto Mutuo delle Nazioni, Interscambio Culturale” e intanto si ergono Muri, si chiudono vie di accesso, si abbandona ad un tragico destino chi bussa, stremato da chilometri di atroci sofferenze o da campi di detenzione e tortura. Bussano per un possibile e sperato approdo umano.
Non c’è posto!
Che tornino a casa loro, e non ultimo, con cinismo ammantato di legalismo, che riposino in pace nei fondali di un mare di disumanità!
Diciamocelo fuori dai denti, gli addobbi, il presepio, l’alberello, le liturgie augurali sono metafore vuote, perché dietro alla metafora c’è il nulla, ci sono un cuore e una mente malati, plagiati se non malvagi.
Questo non è il mio Natale!!! Non può esserlo!
Il Natale, quello dell’Evento, velato dalla semplicità della Metafora, non lo voglio confondere con lo schiamazzo che mi circonda.
Del mio Natale, semplice, fragile, indifeso, ma pieno di speranza, non mi vergogno! Lo custodisco gelosamente nel profondo. |
LA PAZZA CON LA VIOLETTA (Agnes) "Si disse: quando un giorno l'assalto della bruttezza fosse diventato del tutto insostenibile, si sarebbe comprata dal fioraio una violetta, una sola violetta, quello stelo delicato col suo minuscolo fiorellino, sarebbe uscita in strada e tenendolo davanti al viso l'avrebbe fissato spasmodicamente, per vedere solo quello, per vederlo come fosse l'ultima cosa che voleva conservare, per se stessa e per i suoi occhi, di un mondo che aveva ormai smesso di amare. Sarebbe andata così per le strade di Parigi, la gente presto avrebbe cominciato a conoscerla, i bambini l'avrebbero rincorsa, derisa, le avrebbero tirato oggetti addosso e tutta Parigi l'avrebbe chiamata: la pazza con la violetta..." Milan Kundera, da L'immortalità, 1990.
Non se ne può più di inconsistenza, di egocentrismo.
Il contenuto, tutto bianco o nero, nulla di sfumato.
Non c'è dibattito, interpersonale, di gruppo, televisivo, talk show (il teatrino della parola!) in cui si abbia l'onestà se non l'umiltà di riconoscere una parvenza di verità nell'interlocutore.
Un'ideuzza, partorita dall'ignoranza o da luoghi comuni, viene riciclata e venduta come Logos.
Sorrisetti furbi, sventolìo della testa come diniego, finto ascolto, gestualità ben studiata e mirata per il consenso: tutto funzionale al proprio narcisismo e dogmatismo discorsivo, nonché a salvaguardia del proprio interesse economico e professionale.
Tutti a pontificare.
Minaccia o promessa, il FUTURO? Voglio continuare a sognare un mondo abbellito dalla follia di donne e uomini che abbiano il coraggio di uscire per strada stringendo in mano un minuscolo fiorellino, una violetta. |
Verbo in disuso S E R V I R E Liberamente servi e non sarai servo.
C'è più gioia nel dare che nel ricevere.
Se uno vuol essere il primo,
Il vocabolo "Servo" è un vocabolo per nulla gradevole e gradito. Abominevole. Essere "cosa", "proprietà" di un padrone.
Ma è l'uomo che fa la storia e le parole ne narrano, colorano, definiscono solo alcuni segmenti. E la storia non sta ferma.
Anche la parola "servizio" ha avuto un suo svelamento, un sussulto di significato.
Servire non è più atto indegno di sottomissione, schiavitù, possesso, ma può trasfigurarsi in premura, sollecitudine, disponibilità, dono, solidarietà, libertà, Amore.
Si tratta di arrivismo? Certamente no! Meritocrazia? Certamente no! Sopraffazione? Certamente no! Razzismo? Certamente no! Successo? Certamente no! Privilegi? Certamente no! Tornaconto? Certamente no! Prepotenza? Certamente no! Orgoglio? Certamente no! Violenza? Certamente no!
Forse si tratta di auto-consapevolezza dei propri limiti, umiltà, semplicità, intelligenza e nobiltà d'animo. Che sia RISPETTO? Che sia AMORE? |
NON FATE DELL'AMORE Ma vi siano spazi nella vostra unione,
Amatevi reciprocamente,
Riempia ognuno la coppa dell'altro,
Scambiatevi il pane,
Cantate e danzate e siate gioiosi insieme,
Datevi il cuore,
E restate uniti,
Kahlil Gibran Ogni legame "istituzionalizzato" può ACCECARE, o almeno, ANNEBBIARE la vista.
Un legame è fatto di infiniti fili, o interessi velati, che spesso inficiano una valutazione equilibrata, serena del partner. Soprattutto in contesti di interscambio con altri o altre coppie.
Partner che si difendono vicendevolmente.
Non esiste la coppia perfetta,
Di fronte agli altri!
Dicono di non pensarlo, ma lo pensano, e gli altri lo constatano.
La difesa vicendevole tra conviventi, meglio la cecità protettiva sui limiti vicendevoli, è condizione di accordo.
Se gli altri si permettono di svalutare questa presunta, esagerata autostima, si trasformano in vittime, schiavi della situazione, si sentono emarginati. E nel lamento cercano la propria rivalutazione.
Non si riconoscono difetti in chi rientra nella cerchia del PROPRIO POSSESSO affettivo. Ne andrebbe della personale onorabilità! Di fronte agli altri!
La propria moglie o compagna è la più bella, intelligente, indefessa, delicata, intuitiva, capace... e l'uomo che mi sta accanto è il più instancabile lavoratore, forte, intelligente, amorevole, protettivo, onesto.
I difetti albergano fuori casa. Una sorta di castrazione preventiva del discernimento per salvaguardarsi come coppia.
Di fronte agli altri!
Nelle apparenze!
Ma, nell'intimità della propria mente non ci si può imbrogliare... compatire, sì!
Non fate dell'amore un laccio... |
Post n°193 pubblicato il 16 Giugno 2017 da coluci
AMORE PLATONICO Il primo bacio non viene baciato dalle labbra bensì dagli occhi. Amore... egli indugia tra i fiori, poiché Amore non resta dove non v'è cosa in fiore o che sia avvizzita, sia essa corpo o anima o altro, ma dove tutto è fiorito e olezzante, là si posa e dimora...
... solo a chi ama è concesso, quando giura e poi non mantiene il giuramento, di ottenere il perdono degli dei perché, a quanto si dice, in amore non c'è giuramento che valga...
Vi sono amori che alla lunga si squagliano, finiscono, svaniscono nel nulla, oppure sopravvivono unicamente nell'immaginario: i cosiddetti AMORI PLATONICI. Amori angelicati. Amori idilliaci, immaginifici. Senza coinvolgimento sensuale. La letteratura ha celebri esempi: Beatrice e Dante, Laura e Petrarca, Silvia e Leopardi. Sentimento amoroso romantico che occupa la mente in ogni momento, fatto di emozioni, sensazioni, sogni, sguardi, parole, foto, sms, whatsapp ... e lì si ferma. Amore che si prende la licenza di essere in fase di innamoramento perenne. Gode dell'impressione di essere innamorati. Mai espresso significativamente in gesti, mai agito. Un amore lontano dalle passioni terrene.
PAURA della compromissione, PAURA del proprio corpo, PAURA della propria nudità, PAURA della propria identità? PAURA di abbandonarsi all'amore.
Un amore senza coinvolgimento espressivo è destinato a non aver futuro.
Ma, perché "amore platonico"?
Il riferimento è ad uno dei Dialoghi di Platone, Symposium (anche Convito, Convivio) dove il filosofo in una specie di agone oratorio espone la sua teoria su Eros, Amore.
Un gruppo di amici, tra cui Eressimaco (il medico), Socrate, Pausania, Fedro e altri amici si trovano per una cena in casa di Agatone. Decidono di dialogare su Eros, Amore.
Ne escono spaccati diversificati e interessanti (per esempio, sulla bellezza, sul bene, sul desiderio, sulla ricerca di immortalità, sulle modalità multiformi degli amanti...) attorno al tema in discussione: alcuni di origine mitologica, altri di costume, tutti ascrivibili alla concezione filosofica di Platone, per la quale il reale, la fisicità non sono che volgare ombra delle essenze autentiche, universali, eterne dei modelli ideali, le idee, che abitano il sopramondo, l'iperuranio. Materialità, corporeità, fisicità non sono che infinite forme imperfette delle Idee Perfette, modellate dal divino artista, il Demiurgo. Per cui il percorso conoscitivo, esperienziale, AMOROSO, deve superare l'illusoria, ingannevole materialità del contatto fisico, dei sensi ed elevarsi nella contemplazione delle Idee. Lo stimolo è Eros (amore), che trascura le bellezze particolari per assurgere alla visione dell'unica, eterna Bellezza, il Bene. Non è che Platone neghi che Amore sia anche espressione corporea, ma lì non si deve fermare per innalzarsi verso l'amore spirituale, universale. Questo secondo aspetto, che è più consono al suo impianto filosofico, chiaramente lo predilige. E, Socrate, nel dibattito lo dirà chiaramente per bocca di Diotima: "la bellezza spirituale ha pregi assai maggiori di quella fisica", dando ad intendere che il corpo, la sessualità, l'erotismo, la passione intorbidiscano l'anima, i sentimenti veri e profondi. Ricordiamo Dante: "amor, ch'a nullo amato amar perdona", recita Francesca per giustificare il suo amore per Paolo, fratello del marito. Ma, tornando a noi, se l'amore tra due persone non impasta il legame amoroso, fatto sì di slancio interiore, ma anche di scambio sensuale, tattile, prima o poi sfuma e svanisce. Perdersi nel mondo dell'incanto, dell'utopico, dell'illusorio, dell'inattuabile, flirtare romanticamente può essere di sollievo e sostegno in certe fasi della vita, ma alla lunga lascia insoddisfatti e, alla fine, sfianca. |
Post n°192 pubblicato il 20 Maggio 2017 da coluci
IL SELFIE
... sono proprio figo... La vanità è a tal punto radicata nel cuore dell'uomo
L'uomo ama tanto se stesso
Uno dei fenomeni di moda è il selfie, autoscatto di se stessi con smartphone o tablet (eppure la lingua italiana è ricca di meravigliosi vocaboli e sinonimi!!!).
Con un click "posto" la mia presenza, mi automanifesto. Mi autocongratulo per la mia avvenenza, esibisco le mie singolari fattezze, la linea perfetta, l'acconciatura (helfie), il lato B (belfie), l'estroso look, l'ambiente in cui sto agendo (welfie, se in ufficio), in situazione di ebbrezza (drelfie).
Si vuol fissare nel tempo un pezzo di presente, rendere noto il proprio stato d'animo in relazione a eventi o incontri emozionanti che ci fanno sentire importanti.
Certamente chi si fa un selfie occasionalmente non è configurabile in tutte le molteplici forme che ho elencato, ma l'una o l'altra certamente se la può ascrivere.
Perché questa moda?
Faccio semplici (forse semplicistiche???) ipotesi per cercare di interpretare il fenomeno.
- Il semplice bisogno di apparire, di mettersi in mostra. In fondo la nostra è una società dell'immagine.
- La paura di essere sottostimati, sottovalutati. Il selfie è un modo di gratificazione autocelebrativa, l'offrire un'immagine di sé attraente, apprezzabile se non eccellente, diversa da quella sfocata, ordinaria se non modesta, che pensiamo gli altri immaginano, ma che non vorremmo immaginassero.
- Una certa insoddisfazione per la propria vita sentimentale, relazionale, per cui si sente il bisogno di "regalarci-esporci", per lo meno, allo sguardo, al contatto "solo virtuale" con chi ci è legato o ammira.
- L'ambiente che ci circonda (famiglia, gruppo) è poco accogliente, poco attento al bisogno di "raccontarci", ci stima relativamente, non ci soddisfa nelle aspettative; si sente il bisogno di straripare, di fuoriuscire e offrirsi senza velature. "La mia narrazione è per te che liberamente mi vedi e ascolti!"
- Un modo per esorcizzare le proprie insicurezze, paure, ansie, moti di imitazione in una società fortemente competitiva e invasa dal gossip e dal vippismo. "Non sono l'ultima/o arrivato. Anch'io conto e non sfiguro. Vedete un po' le/gli rassomiglio... vero?"
- Una forma di spassosa goliardia, per divertirsi, giocare, dimenticare i problemi.
Concludo osservando che un modello di comportamento (soprattutto se diventa di massa e circoscritto in alcune fasce di età) esprime nuove esigenze relazionali, originate da un malessere.
Certamente il bisogno di distinguersi, un'ansia di differenziazione, una ricerca di identità (?!?!?). |
MULTA PAUCIS
molte cose in poche parole Nil est dictu facilius (Terenzio)
Noli tu quaedam referenti credere semper:
Vasa inania multum strepunt
Nescit vox missa reverti Spesso in questo mio diario mi soffermo su aspetti che toccano la relazionalità. Qualcuno arriva a dire che ci si ammala per correlazioni indigeste o poco azzeccate. Oggi va di moda un certo psicologismo colpevolista che attribuisce il malessere sempre ad una personale mancata rettifica relazionale. In certe situazioni è incontestabile, ma in altre è il tipo di ghiandola (analogia col ragno) che secerne il filo che è malata. Una tipologia di persone che appesantiscono i rapporti è quella di chi parla troppo. Quale bisogno si nasconde sotto questo atteggiamento?
- Ottenere attenzione e approvazione da parte degli altri, dato che si è insoddisfatti di se stessi. Presenzialisti, sempre concorrenziali con qualcuna/o. Poco consapevoli che proferire parole su parole non sempre è comunicare pensieri, conversare, dialogare, ma spesso monologare, e, a volte, spettegolare. - La parola, uno dei più nobili strumenti di comunicazione (dopo il silenzio), dovrebbe unire e non dividere, intessere rapporti sinceri, armoniosi e non di noia, sopportazione o tolleranza. - L'esigenza di chiacchierare in continuazione manifesta anche un senso di PAURA, ABBANDONO, SOLITUDINE. Faccio secernere alla ghiandola un filo che mi aggrappi verbalmente in modo indelebile ad un affetto, un'amicizia, perché mi fa paura rimanere solo, non essere considerato importante.
- Inoltre, chi è uso a sovraprodurre parole in continuazione è facile che finisca senza accorgersi in contraddizioni, che, a volte, possono manifestarsi anche in comportamenti incoerenti. Chi chiacchiera troppo o è temuto o è sopportato, |
Post n°190 pubblicato il 15 Febbraio 2017 da coluci
IL DUENDE
Il folletto che abita nel profondo "Il DUENDE agisce sul corpo della ballerina come il vento sulla sabbia. Trasforma con il suo magico potere..."
"La virtù magica del componimento poetico consiste nell'essere sempre intriso di duende... perché con DUENDE è più facile amare, comprendere, ed è certo essere amati, essere compresi..."
La definizione del duende è come la definizione del tempo di Sant'Agostino: "Se non mi si chiede che cos'è, lo so. Se me lo si chiede, non lo so".
Nell'ultimo romanzo di Raffaello Mastrolonardo, La scommessa, al cap. 10 vi è uno stralcio sul "duende". Poche righe, svolte con acutezza e passione letteraria. Uno dei miei romanzieri viventi preferiti. "... Non capii cosa fosse quella presenza oscura e dionisiaca... Talvolta avevo avuto la fortuna di incrociarla in una poesia, nell'esecuzione d'un canto, d'una danza gitana o in altre molteplici forme che l'arte assume.
Del DUENDE parla Federico García Lorca in "Gioco e teoria del Duende", titolo di una sua memorabile conferenza - si racconta - tenuta a Cuba nel 1930. In seguito, edita in un libretto.
Perché penso al duende? Perché ai nostri giorni, abbiamo a che fare con personaggi in vista, in vari ambiti, che pensano, per età, per fortuna o favori, di essere detentori di caratteristiche per imporsi, sputare sentenze, ritenersi degli eletti per diritto divino.
Ma... non hanno DUENDE.
Il DUENDE non lo si conquista ("non c'è mappa né esercizio"), non lo si compra al supermercato, non lo si può elemosinare con opportunismo, non lo si modella attraverso marchingegni metodologici.
Il duende non si può averlo
Parafrasando don Abbondio: se uno il duende non ce l'ha, non se lo può dare.
"Un potere misterioso - scrive Garcia Lorca - che nessun filosofo spiega".
Il duende, nel dizionario spagnolo e nella letteratura popolare, è folletto indescrivibile, uomo in miniatura, un po' giovane o un po' vecchio, fantasma, abita luoghi misteriosi, zone oscure.
"Il DUENDE non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi. Vale a dire, non è questione di capacità, ma di autentico stile vivo; vale a dire, di sangue; di antichissima cultura, e, al contempo, di creazione in atto".
E, all'improvviso, si libera,
Energia oscura ("tutto quello che ha suoni neri ha duende"), fluido misterioso, impulso, sussurro, folgorazione, incantesimo, vibrazione.
Il DUENDE è dentro, solo chi lo sa ascoltare e risvegliare è artista (e artisti si è, non si diventa).
"Il duende nell'arte è quel fluido inafferrabile che ne è il sapore, la radice, una sorta di serpentina che lo immette nella sensibilità del pubblico".
Quando c'è, il duende
A volte lo si chiama, AMORE. |
GIGANTI C'è una specie tra gli uomini vana, che spregia ciò che ha
L'accecamento dell'uomo è frutto non più dell'invidia
Sembra che oggi non ci si possa concedere il lusso di esser fragili: sempre prestanti, potenti, imbattibili, secondi a nessuno, perfetti. All'uopo spuntano come funghi profeti dell'enfatizzazione, scaltri incantatori, che abbagliano con tecniche verbali mirate, capziose, magiche: nulla è irrealizzabile e irraggiungibile, basta volerlo! Scritti, palcoscenici, podi mediatici, web, nulla sfugge alla loro oculatezza... e al loro portafoglio.
Tuttologi in gran spolvero: la salvezza, la felicità, la guarigione, tutto è a portata di mano.
Vuoi essere felice? Io ho la ricetta! Vuoi riuscire economicamente? Io ho la ricetta! Vuoi stare bene fisicamente. Io ho la ricetta! A volte "con", altre "senza" un dio di supporto. Anche lui, orpello funzionale al mio benessere egoico!
La ricerca scientifica, ora giustamente meno presuntuosa, ma pur sempre meritevole di aver fatto trionfare la ragione sull'oscurantismo della magia, convive, oltre che con i cammini di salvezza ispirati dalle grandi religioni e filosofie dell'Oriente e dell'Occidente, con credismo, esoterismo, astralismo, stregoneria, ufologismo, spiritismo, metamedicina, esopolitica, contattismo, vegetarismo, animalismo... ognuno, nello specifico campo propone soluzioni e terapie per il benessere fisico, psichico, morale e sociale.
E invece
Per gli uomini di ogni epoca vi sono stati, ci sono e ci saranno sempre limiti valicabili e limiti invalicabili. Ognuno lo sa bene, anche se non lo vuol ammettere.
Prima o dopo il sipario si chiude. Si muta. E se si muta è perché si è FRAGILI, LIMITATI, IMPERFETTI, INCOMPLETI.
La debolezza, la carenza, la vulnerabilità, l'instabilità sono COSTITUTIVI di ogni ESSERE.
Ognuno è destinato a divenire
Ogni IDENTITÀ porta il nome del proprio LIMITE.
Non siamo automi indefiniti, come vorrebbe certa cultura e certa moda.
FRAGILITÀ e IMPERFEZIONE richiamano e invocano l'ALTRA/O.
Chi è CONSAPEVOLE di non essere perfetto
... accosta con tatto e delicatezza, non invade, non si impossessa, non domina.
... non chiacchiera a sproposito, è incline al silenzio e ascolta con partecipazione.
... non si gonfia di orgoglio, è umile, accogliente, disponibile.
... non si crede perfetto, sa che può sbagliare.
... gioisce nell'aiutare chi è nel bisogno, e non si vergogna di chiedere aiuto.
... piange con chi piange, si immedesima con le paure e le pene di chi soffre, senza farglielo pesare.
... non sta seduto sulla riva del fiume, ma considera la propria debolezza come stimolo per aprirsi a nuovi orizzonti.
... cerca senza sosta, procede con lungimiranza, verifica con saggezza.
... se apprende, è per la gioia di apprendere.
... se si relaziona è per la gioia di relazionarsi.
... se ama, è per la gioia di amare.
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CONFLITTUALITÀ Give peace a chance
Tutto ciò che noi diciamo è: Aggiunta libera al testo di John Lennon Senti! Molti parlano di Senti! Pochi parlano
Senti! Molti brandiscono |
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