Dionea in Love!

   Oh, difficile raccontare una lezione teorica in cui si va quasi a braccio. Perché, ripeto, parlare di Cechov e Stanislavskij è sempre un mare magno in cui si riversa di tutto di più.
   Insomma, una lunga introduzione teorica, più approfondita della precedente, in cui si inizia, a grandi linee e senza una struttura, a descrivere il Metodo Stanislavskij. Ho dovuto operare una scelta improvvisata sull'andamento della serata e su quello che avevo intenzione di fare successivo. Per ora, mi baso su L'attore creativo, conversazioni al Bol'soj, ed. La Casa Usher. Ottima edizione, potremo considerarlo un Bignami del metodo, espresso in maniera semplice ed immediata, quando il suo metodo era ormai conosciuto.   Per cui ne prendo un brano e lo spiego ai ragazzi.
   Per iniziare, non si poteva non parlare di:
   1) motivazione
   2) "cerchio creativo" o solitudine pubblica.

   Il metodo Stanislavskij basa il suo principio sulla rappresentazione realistica della scena, sulla recitazione che slitta dalla declamazione, dall'interpretazione all'immedesimazione. Cosa molto comlicata, che quindi richiede alcune trovate di training e di studio. Importante, per S., è appunta la motivazione: perché il personaggio entra in scena? Perché parla? Colsa lo spinge?
   Ecco che entriamo nel cuore del metodo: la ricostruzione di una persona nel dettaglio in tutto quello che può aiutare l'attore a CAPIRE e quindi a immedesimarsi. La motivazione è la spinta emotiva che spinge il personaggio, il suo desideratum, quello che, infine, RENDE PLAUSIBILE quindi l'essere in scena.
   La motivazione è solo una delle molte parti di creazione di quello che è il training emotivo necessario all'attore per essere il più realistico possibile.
   Altro escamotage è il famigerato "cerchio creativo" che deve portare alla solitudine pubblica, ossia a quello stato di concentrazione necessario all'attore per raggiungere il massimo controllo di sé e del pensiero. Si parte da un oggetto, per esempio un coltello che serve per la parte. Ci si concentra su quel coltello, immaginandosi un cerchio ideale che rappresenta tutta la nostra concentrazione. Quel coltello lo teniamo in mano, ne controlliamo il filo, la lunghezza della lama, la solidità della pugnatura, il peso, la maneggevolezza, fino ad estendere questo "cerchio" alla propria persona: come mi sento col coltello in  mano? Perché lo uso? Ancora allarga il cerchio fino alla mia storia, poi fino al mio nemico che assaggerà la lama, ma sempre il punto di partenza è il coltello. Il coltello crea un cerchio in cui entrano tutti i miei pensieri e le mie emozioni, grazie al quale posso controllarle. Tutta la storia personale del personaggio, la sua relazione con lo spazio, col plot, coll'antagonista parte dal coltello. Utilizziamo l'oggetto quindi per creare quello stato apparente di isolamento che è la nostra completa concentrazione: la chiamiamo solitudine pubblica proprio perché ci deve essere sempre la consapevolezza di quello che facciamo, su questo Stanislavskij è molto chiaro. E' il pensiero che guida e in questo il teatro d'arte si oppone al teatro di talento.

   Andiamo avanti, quindi, con una dimostrazione pratica di analisi del testo, con la lettura di una parte della scena terza de La domanda di matrimonio. Cerco di farla approfondita, ma non troppo: i ragazzi hanno anche bisogno, alla fine, di fare qualcosa di pratico. Quindi, nell'ultima mezzora, li spedisco a esercitarsi su quanto detto e letto. La prossima lezione vedremo i risultati.

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