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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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'Kalevala', Dallapiccola, Jean Sibelius. Dallapiccola e la 'Canzone del Carnaro' ecc.

Post n°1052 pubblicato il 07 Novembre 2020 da giuliosforza

 

   969

   L’eau coule, le ciel est clair,

Nos chansons, au vent semées,

Se croisent, comme dans l’air

Les flêches de deux armées. (Victor Hugo, Cantique de Bethphage, in Marcel Granet, Feste e canzoni dell’antica Cina, Adelphi 1990, esergo).

   Tanto per introdurre una riflessione dedicata oggi esclusivamente alla musica.  

*

 Stamane, durante la mia passeggiata …intra moenia, ho ascoltato uno dei concerti vivaldiani, trasmesso da Radio classica. Luigi Dallapiccola, ripreso poi da Strawinski, affermò malignamente che Vivaldi non aveva scritto quattrocento Concerti, ma quattrocento volte lo stesso Concerto. Che sia vero? Sono fortemente tentato di crederlo.

   A proposito del grande Dallapiccola, uno dei primi a introdurre la dodecafonia in Italia, trovo fra i titoli della sua vasta produzione anche La canzone del Quarnaro. Che sia la messa in musica della famosa ode di scherno omonima d’annunziana (tratta dai Canti della Guerra latina), scritta in ricordo dell’impresa di tre MAS da guerra italiani (la famosa Beffa di Buccari avvenuta nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918) alla quale D’Annunzio partecipò? Da piccolo a scuola la mandammo a mente quasi tutta, epurata delle strofe stilisticamente e contenutisticamente più ostiche e naturalmente dell’esergo latino. Ora me la ripasso tutta con emozione.

   Tibi cornua nigrescunt
nobis arma dum clarescunt.

  

   Siamo trenta d’una sorte, /e trentuno con la morte. / EIA, l’ultima! / Alalà!
   Siamo trenta su tre gusci, / su tre tavole di ponte: / secco fegato, cuor duro, / cuoia dure, dura fronte, /mani macchine armi pronte, / e la morte a paro a paro. / EIA, carne del Carnaro! / Alalà!
   Con un’ostia tricolore / ognun s’è comunicato. / Come piaga incrudelita / coce il rosso nel costato, / ed il verde disperato / rinforzisce il fiele amaro. / EIA, sale del Quarnaro! / Alalà!
   Tutti tornano, o nessuno. / Se non torna uno dei trenta / torna quella del trentuno, / quella che non ci spaventa, / con in pugno la sementa / da gittar nel solco avaro. / EIA, fondo del Quarnaro! / Alalà!
   Quella torna, con in pugno / il buon seme della schiatta, / la fedel seminatrice, / dov’è merce la disfatta,
dove un Zanche la baratta / e la dà per un denaro. / EIA, pianto del Quarnaro! / Alalà!
   Il profumo dell’Italia / è tra Unie e Promontore. / /Da Lussin, da Val d’Augusto / vien l’odor di Roma al cuore. / Improvviso nasce un fiore / su dal bronzo e dall’acciaro. / EIA, patria del Quarnaro. / Alalà!
   Ecco l’isole di sasso / che l’ulivo fa d’argento. / Ecco l’irte groppe, gli ossi / delle schiene, sottovento. / Dolce è ogni albero stento, / ogni sasso arido è caro. / EIA, patria del Quarnaro! / Alalà!
    Il lentisco il lauro il mirto / fanno incenso alla Levrera. / Monta su per i valloni / la fumea di primavera, / copre tutta la costiera,
senza luna e senza faro. / EIA, patria del Quarnaro! / Alalà!
   Dentro i covi degli Uscocchi / sta la bora e ci dà posa. / Abbiam Cherso per mezzana, / abbiam Veglia per isposa, / e la parentela ossosa / tutta a nozze di corsaro. / EIA, mirto del Quarnaro! / Alalà!
   Festa grande. Albona rugge / ritta in piè su la collina. / Il ruggito della belva / scrolla tutta Farasina. / Contro sfida leonina / ecco ragghio di somaro. / EIA, guardie del Quarnaro! / Alalà!
   Fiume fa le luminarie / nuziali. In tutto l’arco / della notte fuochi e stelle /
 Sul suo scoglio erto è San Marco. / E da ostro segna il varco / alla prua che vede chiaro. / EIA, sbarre del Quarnaro! / Alalà!
   Dove son gli impiccatori / degli eroi? Tra le lenzuola? / Dove sono i portuali / che millantano da Pola?
A covar la gloriola / cinquantenne entro il riparo? / EIA, chiocce del Quarnaro! / Alalà!
   Dove sono gli ammiragli / d’arzanà? Su la ciambella? / Santabarbara è sapone, / è capestro ogni cordella / nella ex voto navicella / dedicata a san Nazaro. / EIA, schiuma del Quarnaro! / Alalà!
   Da Lussin alla Merlera, / da Calluda ad Abazia, / per il largo e per il lungo / siam signori in signoria. / Padre 
Dante, e con la scia / facciam "tutto il loco varo". / EIA, mastro del Quarnaro! / Alalà!

   Siamo trenta su tre gusci, / su tre tavole di ponte: / secco fegato, cuor duro, / cuoia dure, dura fronte, / mani macchine armi pronte, / e la morte a paro a paro. / EIA, carne dal Carnaro! / Alalà!

*  

   Sempre a proposito di Dallapiccola, trovo tra le sue cose indicate come migliori Due liriche del Kalevala. E manco a farlo apposta (giornata strana quella di oggi) sempre da rai classica sul tardi mi si regala una Suite di Jean Sibelius, Lemminkäinen, ispirata al poema epico dedicato alla sua patria da Elias Rӧnnt, il Kalevala appunto, nel milleottocento. Di cultura finlandese sono quasi del tutto digiuno. Cominciai ad interessarmene quando mio fratello Carlo fece colassù un viaggio con Romano Monti e di quella remota terra ancora incontaminata, nonostante il secolare dominio russo, mi portò molti ricordi tangibili e mi disse mirabilia. Da oltre un mese, altro caso, seguo su rai5 una interessante serie di documentari dedicati alla sua natura alla sua storia alla sua cultura. Non posso aspettare oltre: bisogna che mi tuffi nella cultura finlandese. Chiedere lumi ad Anton Monti e a sua madre Marja-Leena-Lehtinen. Del Kalevala nelle librerie di Roma non trovo traccia. Per fortuna c’è il maledetto benedetto Amazon, ove ne sono presenti alcune traduzioni, anche una in ottonari, lo stesso ritmo, leggo, dell’originale. M’affretto a ordinarlo.

* 

   Et vive la Musique, qui nous tombe du ciel. Così in un punto della Carmen.

   Ieri mattina è stata la volta di Carmen, nella recente edizione del San Carlo di Napoli che con essa ha inaugurato la nuova stagione lirico-sinfonico. Probabilmente si tratta dell’opera più rappresentata della storia e forse non a torto. Il nostro amico Nietzsche ne era stato talmente entusiasta da averla ascoltata, racconta, una ventina di volte. Finalmente, diceva, un’opera da contrapporre al ‘decadentismo’ dell’ex, già celebratissimo, amico Wagner, soprattutto a quello dell’ultima opera, Tannhäuser. Tutto un equivoco. Nieztsche non se l’è mai presa con la musica del T., come altre volte su queste pagine ho documentato, ma con l’atmosfera che in tutta la sua vicenda si respira: che è una atmosfera di Rinuncia (Entsagen) e non di Ja sagen, di Sì alla vita, di cui l’amore è l’essenza e il motore. Il Menestrello che fugge dal Venusberg, che nemmeno nel clima apollineo della Wartburg (il castello di Eisenach, patria di Bach!) trova pace, pellegrina a Roma per farsi assolvere dai suoi peccati d’amore, subisce l’umiliazione di non vedersi neppure assolto, torna appena in tempo per assistere alla morte dei Elisabeth, abbracciarla e solo allora sentirsi redento dal peccato d’amore, è in fine patetico. Ẻ normale che uno che abbia nelle orecchie la passione il canto e il sacrificio di Carmencita resti impressionato dal clima sacrale e mistico della morte di Elisabeth?  E non è normale che l’amore come è vissuto nell’opera bizetiana toto coelo differisca dalla visione del Lipsiense? Ciò non significa che Carmen sia quel capolavoro che Friedrich intende. C’è addirittura chi la ritiene, estremo opposto, come nient’altro che una sfilza azzeccata di bei motivetti e di belle canzoncine. Si sa quanto possano essere eccessivi i giudizi dettati da una qualsivoglia passionalità.  Mi verrebbe facile, col noto adagio, dire che la verità (sinonimo in questo caso di valore, sinonimo a sua volta di virtù) sta nel mezzo, se nel mezzo, in medio, non stesse solo la…mediocrità! E se il canto elevato da T. a Venere non fosse altrettanto anticristiano di quello elevato da Carmen all’amore. Godiamocelo.   

   Quand je vous aimerai? / Ma foi, je ne sais pas, / Peut-être jamais, /Peut-être demain. / Mais pas   aujourd'hui, c'est certain.

   L'amour est un oiseau rebelle / Que nul ne peut apprivoiser, / Et c'est bien en vain qu'on l'appelle, / S'il lui convient de refuser.
   Rien n'y fait, menace ou prière, / L'un parle bien, l'autre se tait; / Et c'est l'autre que je préfère / Il n'a rien dit; mais il me plaît.
   L'amour! L'amour! L'amour! L'amour!

   L'amour est enfant de Bohême, / Il n'a jamais, jamais connu de loi, / Si tu ne m'aime pas, je t'aime, / Si je t'aime, prend garde à toi!
   Si tu ne m'aime pas, / Si tu ne m'aime pas, je t'aime! / Mais, si je t'aime, /Si je t'aime, prend garde à toi!
   Si tu ne m'aime pas, / Si tu ne m'aime pas, je t'aime! / Mais, si je t'aime, / Si je t'aime, prend garde à toi!

   L'oiseau que tu croyais surprendre / Battit de l'aile et s'envola; / L'amour est loin, tu peux l'attendre; / Tu ne l'attend plus, il est là!
   Tout autour de toi vite, vite, / Il vient, s'en va, puis il revient! / Tu crois le tenir, il t'évite; / Tu crois l'éviter, il te tient!
   L'amour, l'amour, l'amour, l'amour!.

   L'amour est enfant de Bohême...

    Queste le parole, da Mérimée, di una melodia fin troppo nota. Parole e melodia che più sbarazzine non potrebbero essere, e più tragicamente vere. Nietzsche trovava in esse quella verità e quella forza che, bisogna riconoscerlo, solo il sole mediterraneo, quello reale e quello metaforico, consentono. E che ben conosce il Wagner di Villa Rufolo a Ravello. Anche Isolde per amore muore, ma il suo è un annullarsi mistico, un tuffo nell’Oceano insondato ed insondabile (unbewusst, hӧchste Lust) del Tutto-Dio. Carmen muore disperata, la sua morte è una maledizione alla vita.

 

*

   Sono tali e tante le offerte di rai5 che bisognerebbe aver giornate più lunghe per poterne approfittare. A me é riuscito oggi di gustane solo due, una discreta Favorita di Donizetti (tra Eleonor, Alfonso d’Aragona e Fernand che se la contendono non avrei saputo chi scegliere), e, dopo il Betulia liberata di Jommelli di Muti di l’altrieri, lo stesso Oratorio, ma in forma scenica, sempre di Muti. Del testo di Metastasio ho già detto, ma mi ero lasciato sfuggire l’interminabile, concitato duello teologico (assai bene cantato, debbo riconoscerlo, tra l’arioso e il recitativo) tra Ozia, capo degli Ebrei e Achior principe degli Ammoniti, a suon di argomentazioni da far invidia all’Aquinate (da cui forse son tratte). Ma un po’ anche mi è venuto da ridere: Jehovah o Belo? Uno o più dei? Perché non un bel panteismo, al quale in fondo l’universale Iddio oziano secondo il mio intendere si riduce? E deve avere riso anche Wolfang mentre si divertiva a musicare la lunga teologico-filosofica tenzone. Naturalmente la spunta Jehovah e come il siro Nabucco l’ammonita si converte e con lui tutto il suo popolo. Sia lode a Jehovah.

*

Ma con la musica non è ancora finita. Questa volta ci spostiamo in Norvegia. Ẻ sempre di questi giorni un evento aristocratico: la riproposizione del Per Gynt con le musiche di scena composte da Grieg nel suo romitorio di Bergen (il clima fatato del luogo si respira in ogni nota, non solo in quelle del famoso Mattino, nel quale meravigliosamente trovano conferma le impressioni sinestetiche beaudelairiane delle Correspondances) e affidate all’orchestra de La Fenice diretta da Piero Bellugi, voci recitanti Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi. La registrazione, che col tempo non ha perso la sua quasi perfezione originale, dovrebbe risalire a fine secolo, come si evince dalla ancora intatta prestanza fisico-artistica dei due Attori e del Direttore. Nella parte recitata, alla sua solita altezza Albertazzi, anche se qua e là, come ai grandi mattatori della scena può comprensibilmente accadere, poco misurato e sovra tono, e bravissima, ça va sans dire, la sua sua storica compagna di vita e d’arte Proclemer. Ottima l’orchestra affidata a un Bellugi delicato e dimesso che senza troppo dimenarsi sa dominarla e trarne il meglio.

   Ho parlato di evento aristocratico e confermo.

   ________________

 

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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