Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Settembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

CarmillaKgiuliosforzafamaggiore2gryllo73pino.poglianidiogene_svtPisciulittofrancesco_ceriniper_letteranorise1fantasma.ritrovatom12ps12patrizia112maxnegro
 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« No potho reposare. Virgi...Il puritano Milton e il ... »

D'Annunzio-Pascoli. 'La Rondine' (Puccini), 'Fantarca' (Roman Vlad)

Post n°1099 pubblicato il 23 Ottobre 2021 da giuliosforza

1006

   Hd? Je m’en fiche. Non potrò purtroppo evitare d’essere ancora defraudato dell’abbonamento, obbligatorio (e ladronescamente trasformato in tassa abbinata al consumo elettrico), ad una tv appigionata ai poteri politici ed economici che mi ripugnano; ma non mi lascerò gabbare un’altra volta da stato e magnati privati dell’etere, dei quali è la sporca operazione economica che è dietro alla caotica trasformazione che stanno operando. Non guarderò più la tv, ma potrò finalmente, per quel poco che mi resta da vivere, leggere di più, di più scrivere, di più ascoltare. Non immaginano, i maledetti, che piacere mi stanno facendo!

*

   Mi capita di rileggere l’Alexandros pascoliano.

   Il duo D’Annunzio-Pascoli mi è sempre piaciuto: così diversi, così simili: la magia e il gusto sensuale della Parola li uniscono. Sapevano di esprimere attraverso un linguaggio in apparenza opposto contrastanti visioni del mondo: vitalismo, superomismo l’Abruzzese, almeno fino agli anni Venti; pacato pessimismo, tristezza velata, abbandono, dis-incanto, gusto delle cose semplici (delle myricae), sentimento placato e visionario del tempo e del suo divenire, della vita e della morte, il Romagnolo.   I due più grandi rappresentanti del Decadentismo (come con Rilke e pochi altri i maledetti classificatori amano definirli), sono maestri insuperabili nella parola che canta, una carezza per l’orecchio e per l’anima.

   Non amo il termine decadentismo: si presta ad insopportabili equivoci, evoca nichilismo, col quale, almeno nel Pescarese, esso ha ben poco da fare. Non per nulla ne abuseranno i moralisti di ogni tendenza e provenienza per denunciar essi, ma soprattutto Nietzsche e il suo cantore (In morte di un Distruttore), quale causa della moderna ‘crisi dei valori’, quando di autentici nuovi valori non furono che ‘profeti’ (Vati), e inventori.

   E un’altra cosa di D’Annunzio e Pascoli tantissimo amo: la passione per la classicità, che nell’uno e nell’altro in ogni opera continua a vivere, magicamente evocata e, soprattutto, diversamente che in Carducci, rivivificata.

*

    Una delle Opere meno rappresentate di Puccini è La Rondine, eppure così lieve, così graziosa e gradevole nel testo e nella musica; una delle pochissime in cui l’aspetto lacrimevolmente melodrammatico non prevale, una la cui eroina, Magda, a differenza delle Carmen, delle Violette, delle Mimì, delle stesse Tosche, Manon, Butterfly…, riesce a far trionfare il proprio impulso di vita, di libertà, di amore senza vincoli e condizionamenti di alcun genere. Magda, dopo una breve esperienza di ‘prigionia’ riuscirà a rivolar libera come una rondine appunto, a ridisegnare nei suoi cieli i suoi meravigliosi arabeschi. Quando negli anni Sessanta comprai il Nuovo Canzonieri Italiano di Achille Schinelli (Signorelli, Milano 1961), contenente 243 canti corali facili ad una due o più voci senza accompagnamento (come piace a me), nella sezione ‘Cori d’Opere teatrali’ trovai una melodia bellissima che mi conquistò e da allora mi restò nell’anima ove ancor fresca e incorrottta ri-suona ogni qualvolta riascolto La Rondine, ri-suscitando emozioni e sentimenti per la verità mai sopiti. È un’aria serena come un’alba e come l’aurora, come il cielo nel quale la rondine si lancia ad eseguire le sue ardimentose e gioiose evoluzioni. 

   Nella trepida luce…, in mi bemolle maggiore, su testo di Giuseppe Adami.

   Nella trepida luce d’un mattin / m’apparisti recinta di rose. / E ti vidi leggera camminar / seminando di petali il ciel. / Mi vuoi dir, che si tu? / Son l’Aurora che nasce per fugar / ogni canto di notte lunar. / Mi sai dir / che sei tu? Peccato non sia in grado di trascriverne qui la musica. La melodia è di una tale trasparente (e apparente) semplicità che anche un non profondo conoscitore di solfeggio può esser capace di leggerla a prima vista. Si tratta di una melodia incantevole ed incantata dove predominano i p e i pp e dove, ad accrescere e dilungare l’incanto, ogni fine-frase tende a prolungarsi in toniche e quinte legate dai tre ai cinque tempi in diminuire, finché il canto si dissolve sempre più piano, sempre più lentamente, pacatamente come un’aurora. Estasi.

*

Un’altra Traviata (1956) con una splendida Carteri, morta ultranovantenne l’anno passato. Penso sia l’ultima: Rai 5, come altre reti Rai e Mediaset, cambia dimensione e frequenza e sarebbero necessari novi apparecchi e decoder per sintonizzarsi. Non accederò, per non arrendermi un’altra volta alle inique logiche di mercato.

   L’ultima ‘operetta’ che ascolto è dunque la Fantarca di Roman Vlad su testo ricavato da un omonimo romanzo di Berto. Un’operetta, ho detto e confermo, in ogni senso. Vorrebbe essere originale nella scenografia e nella regia. Piccola la cosa invece si rivela, da far ridere. Narra di popolazione del nostro meridione spedita su Saturno con armenti e masserizie su un razzo, essendosi esaurita la possibilità di emigrazione sulla terra. Su Saturno gli esuli si stufano ben presto e s’affrettano a tornare felici e contenti. La Rai negli anni Cinquanta aveva evidentemente soldi da buttare. Mi dispiace per Vlad, esule Rumeno che con  con Vintila Horia ebbi modo di conoscere, frequentare e stimare. Sia loro pace nei loro Cieli.

*

   Ho nell'animo una grande tristezza mista a una grande serenità. Stamane è morto il mio carissimo amico Elio Pandolfi, il poliedrico attore che tutti conoscono. Ci eravamo sentiti una decina di giorni fa, alla sua uscita dall'ospedale dopo un breve ricovero, e s'era a lungo parlato, come in ogni nostra interminabile conversazione, di tante cose ma soprattutto, inevitabilmente alla nostra età, di ricordi e del nostro caro paesello, come egli chiamava il Vivaro della sua giovinezza, al quale aveva tra l' altro dedicato nel '58 un bellissimo documentario, di cui andava giustamente orgoglioso, reperibile ora anche in fb.

   "Biondo era e bello e di gentile aspetto", Elio, come il Manfredi dantiano, luminoso come il suo nome (mai come in lui 'nomen' fu più 'omen') ma semplice ed umile come colomba. Amava Vivaro, paese d'origine della sua amatissima mamma, d' un amore sconfinato. Come D'Annunzio portava "la terra d'Abruzzo alla suola delle sue scarpe, Il limo della sua foce al tacco dei suoi stivali" ('Libro segreto'), così Elio, ovunque andasse, portava colori e sapori, visioni e profumi di ogni angolo della sua terra d'elezione. Riteneva la sua gagliarda memoria, a 95 anni ancora vigilissima, una ricompensa del buon Dio per la fedeltà con cui aveva saputo serbare e valorizzare i doni (i demoni, le sue interiori creative energie) di cui l'aveva colmato. Aveva con essi donato sorriso e bellezza al mondo, il mondo sforzando, finalmente, con la sua Arte, a narrare coi cieli immensi "del grande Iddio la Gloria".

   Ciao Elio. Salutami Nino e Mario. Avremo una eternità per riprendere con essi a ricordare (a ri-creare). Sarà la nostra Immortalità.

*

   In queste ore Elio, il terzo dei grandi, con Nino Manfredi e Mario Maranzana, coi quali la mia attività mi diede l'opportunità di stringere amicizia, sta lasciando definitivamente la sua casa di via Alfani. Purtroppo non mi è stato possibile andare a rendergli il non estremo saluto. Lo faccio adesso, anche a nome di tutti gli amici che lo stimarono e gli vollero e gli vogliono bene.

   Riposi sorridente ed in pace, come visse.

*

   Rêveries d'un promeneur solitaire. 'Solitario' ma non 'solo' (Ich bin einsam, nicht allein -Goethe) con Jean-Jacques al Parco della Speranza.

   È, nel Parco della Speranza, in uno spiazzo prossimo allo spazio recintato riservato ai cani, una simpatica statua in gesso di una Madonna bianca, anch’essa circondata da una robusta rete verde, così bianca che ai raggi del sole magicamente risplende come fosse al fosforo, e somigliante a quella di Lourdes. Io la dico Madonna dei promeneurs solitaires, ma più dovrebbe dirsi Madonna Prigioniera, ‘Madonna Ingabbiata’, come un animale da zoo. Pessima idea di fatti dei pur benemeriti volontari curatori del parco, anche se dettata dalla buona intenzione di proteggerla da eventuali atti vandalici, imprigionarla. Una gabbia non salva certo da atti vandalici! Un parco evoca verde d'erbe e di piante, concerti canori d'uccelli, moto di corpi e d'anime. E se una Madonna ha da esserci ha da essere una Madonna che evochi LIBERTA' di corpo e d’anima, una Madonna senza recinti e senza piedistalli: una madonna anch’essai 'promeneuse' tra i promeneurs.

Disgabbiate la Madonna dei Promeneurs, je vous en prie!

*

   Nostalgia del Parrozzo

   Sulle mattonelle del mio angolo cucina all’americana, appena sopra la macchina del gas, è da sempre poggiata una copia delle quartine inviate da Gabri a Luigi D’Amico, titolare del bar ancora esistente di fronte alla Basilica di San Cetteo protettore di Pescara, come ringraziamento per l’invio giornaliero del ‘Pan rozzo’. Dicono i tetrastici nella anch’essa inimitabile calligrafia del Nostro:

    È ttante bbone ‘stu parrozze nòve / che pare ‘na pazzie de San Ciatté / ch’avesse messe a ‘su gran forne te’ / la terre lavorate da lu bbove, 

   la terra grasse e lustre che se còce, / chiù tonne de ‘na pròvole, a ‘su foche / gientile, e che duvente a poche a poche / chiù doce de qualunqua cosa ddòce.

   Benedette D’Amiche e San Ciatté! / O Ddie, quanne m’attacche a lu parròzze / ogne matine, pe’ lu cannarozze / passe la sise de l’Abbruzze me’”.

   9 nov. 1926

   Gabbriele

   Il parrozzo ha la forma di un seno, in dialetto sise, parola che evoca tutta la dolcezza e la tenerezza del seno materno. Il Vate mangiando il parrozzo ha la sensazione di star suggendo il latte della sua Terra Madre. Immagine icastica, forte, sensuale, come allo stile del Vate s’addice: tre versi tra i suoi migliori, che non sfigurerebbero in Alcyone.

*

   Gli ultra-ultra-ottantenni usati giustamente come cavie per la verifica dell'efficacia del terzo richiamo. Servono ancora a qualcosa.

   Gli operatori e soprattutto le operatrici del centro vaccinazioni di Porta di Roma: un trionfo di bellezza e di giovinezza. Si può con gioia morire per loro.

   Per noi: Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo squilla! (Pascoli, Alexandros).

   Per essi: A voi la Vita, dono grande e terribile del Dio (Ariel, alias Gabri, in Maia)

  __________________ 

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et        absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika!

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963