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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Il puritano Milton e il libertario Neal. Grafia e noumeno. Un incubo

Post n°1100 pubblicato il 04 Novembre 2021 da giuliosforza

 

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   Il primo effetto positivo della rinuncia alla visione di alcuni programmi televisivi è che ho ripreso a leggere di più. E per cominciare ho scelto due autori inglesi, un classico ed un contemporaneo, che da molti anni avevo smesso di frequentare: il seicentesco Milton del Paradiso perduto (Paradise lost) e il discusso educatore e pedagogista A. S. Neill della Autobiografia (“Neill Neill Orange Peel!) e di Summerhill. Un versificatore puritano, dunque, che più puritano non si può, nella traduzione di Lazzaro Papi (1763-1834), e un innovatore libertario in ambito educativo che più libertario non si può. Di Lazzaro Papi leggo essere la sua versione in endecasillabi sciolti in molti punti assai libera: si concederebbe molti tagli e parecchie reinterpretazioni spesso al limite dello stravolgimento del significato originale. Ma purtroppo essendo il mio inglese assai elementare e non avendo a disposizione una edizione con testo originale a fronte non ho modo di confrontare e di giudicare: debbo fidarmi. Una prima volta lessi Milton nella traduzione dell’anch’esso ottocentesco Maffei e alcuni bei versi mi rimasero nella memoria che continuo all’occasione a citare con piacere: “…e se l’esterno / mondo vi manca, ne costruisca una altro / intimo, intellettivo il nostro cuore; / così farvi potrete alla natura / spirtal divina e triunfar la vostra”: un consiglio ottimo e inatteso dato, al Caino scacciato dall’Eden, non da Dio ma da un Mefistofele mai come in questo caso amico, non nemico dell’uomo.

  A risentirci dunque, se Dio vorrà, per un giudizio se non definitivo spero più maturo, al termine delle riletture.  

*

Ascolto  da una radio privata (RadioRadio) assolutamente non male, e che trasmette vicino casa  mia in via Olindo Guerrini (uno scrittore realista e insieme ai limiti della “scapigliatura” a me assai simpatico, vissuto tra il 1845 e il 1916, e più noto con uno dei suoi molti pseudonimi, quello di Lorenzo Stecchetti) che una delle casette editrici pullulanti in questi tempi in Italia si offre di pubblicare diari di ogni natura e complessità (par che uno sia scritto su un velo matrimoniale!) e di realizzarne anche una sorta di sacrario, il Sacrario-Museo dei Diari. Idea alquanto balzana. Se è vero che la massificazione globale eleva ogni genere d’espressione a livello d’arte e tra i suoi pochi meriti v’ è quello indiscutibile di un certo tipo di volontà demistificatoria e desacralizzante, passi anche la diaristica di massa nel cui mucchio potrebbe anche scoprirsi qualche Recherche. Quanto vi sia di ironico nella iniziativa io non so. Se ne vedrebbero delle belle! Porci e cani, liberati i loro musi da truogoli e ciotole, vedrebbero immortalati i loro grugniti e i loro latrati. Anche io potrei in fondo trovar posto nel Museo coi miei cervellotici Disincanti. Dianoie metanoie paranoie di un Vegliardo diarista vituale, finora solo a me noti e a un centinaio di amici? Che ne dite, glieli mando? Dio me ne scampi! Sicuramente potrei invece inviare il mio diario giornaliero manoscritto che da circa vent’anni (una grossa agenda l’anno) tengo, a condizione che lo pubblichino manoscritto in tutta la sua (il)leggibilità. Se fosse facilmente leggibile e non zeppo di ‘scarabocchi che razzadi  diario sarebbe? Le ‘belle copie’ non esistono per gli autentici diari,’ per essi esistono sono le ‘brutte’ e i ‘di getto’.  

   Nella mia grafia si rivela il mio più autentico noumeno.  

P. S.

   Ho già fatto notare altrove che uno dei maggiori danni arrecati alla creatività umana ai nostri giorni è la scomparsa quasi totale della calligrafia ad inchiostro e penna, e di conseguenza delle discipline grafologiche. Ormai si scrive a mano solo per apporre firme, per firmare le nostre innumeri schiavitù. E non è più l’autografo un atto liberatorio, il piacere di distendere la propria anima sulla carta. Si firmano Atti, che poi ‘atti’ non sono di chi li firma ma solo documenti redatti da altri, i burocrati del Potere: atti pubblici, finanziari, bancari, notarili … Addio Atto creativo, addio Atto autogonico. Addio Autoctisi. Chi mette una firma oggi lo fa solo per accettare la propria schiavitù.

*

   Messaggio FB:

Qualcuno degli ex coristi ha per caso la registrazione del concerto per sole voci di canti folkloristici che tenemmo in Rai nella trasmissione di Mario Maranzana, che replicava quello tenuto per Rai 3 sulla scalinata di fronte a Palmerio dove la regista ruzzolo', gravemente slogandosi una caviglia?”. La scalinata alla quale accenno è una delle cento ripidissime scalinate del mio paese, e Palmerio un simpatico personaggio proprietario di una delle casette che la costeggiano. (Mi rivolgessi alle teche rai avrei facilmente risposta, ma non lo farò: non sono più di quanto non fui in buoni rapporti con la Voce del Padrone).

   Nessuna risposta. Evidentemente i tempi del mio frenetico attivismo devono ormai apparire preistoria. Quasi tutti i suoi principali coprotagonisti (limitandomi agli italiani: Manfredi, Maranzana, Pandolfi) sono scomparsi, e con essi molti miei collaboratori e purtroppo anche ex allievi. Mi pare quasi ingiusto che io stia sopravvivendo. Evidentemente non sono stato fra coloro che gli dei amano, destinati a morir giovani, se Menandro ha ragione.  Gioirne o dolermene? Mah… A chi, mio lettore, preoccupato di quanto ho raccontato nel messaggio qui appresso riportato, ha voluto privatamente sincerarsi sul mio stato di salute, ho risposto col mio solito (finto) disincanto: “Sto. Compatibilmente sto. Resisto, strenuamente resisto, sempre più a fatica, ma proprio per ciò con sempre maggior gusto.

   Quos vult Iupiter perdere, dementat prius?       

*      

   Una bella notte d'inferno, come quasi tutte le mie notti ormai. A me la ninna nanna di Schubert che ieri sera ho suonato come buona notte al mio organo per un'amica lontana non è giovata. Solo infuriare di tempeste infernali, caroselli di vaneggiamenti e deliri. E di tutti i miei vitalismi panici e superomistici, a lezione (sì, mi avviene ancora di sognare di tener lezione!) solo il nichilismo sofistico di Giorgia da Lentini ("Nulla esiste, e se qualcosa esiste non è conoscibile, e se qualcosa è conoscibile non è comunicabile") e di Gabriele da Pescara vecchio ("Tutta la vita è senza mutamento/ ha un solo volto, la malinconia. / Il pensiere ha per cima la follia / e l'amore è legato al tradimento"). E i miei ascoltatori a fissarmi con occhi spalancati e increduli, sospettosi d'un mio improvviso insanimento.

   Che notte, ragazzi, stanotte! E che risveglio! Non un raggio di sole, stamane, a diradare almeno un poco l'abisso della mia notte.

Miseremini mei, miseremini mei, saltem vos amici mei! Ma la mia invocazione, come questa di Giobbe, cade nel vuoto”.

   Molti miei amici mi hanno preso troppo sul serio e non hanno colto (o non hanno voluto, o non sono stato io in grado di far percepire) l’ironia sottesa al racconto della notte dei vaneggiamenti.

   Chàirete

 

 
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