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Elvira Frosini e Daniele Timpano e il loro 'Millesettecentoottantanove'

Post n°1145 pubblicato il 14 Novembre 2022 da giuliosforza

 

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   Elvira Frosini e Daniele Timpano sono approdati su Rai5 con Millesettecentottantanove (produzione del Teatro ‘Metastasio’ di Prato in collaborazione con Kataklisma teatro e Teatro di Roma, Teatro Nazionale residenze artistiche, Istituto Italiano di Cultura Parigi, Città delle 100 Scale Festival), di cui sono anche autori, attori, registi (wagneriana opera d’arte totale, Gesamtkunstwerk!), come del resto di tutti gli altri pezzi del loro ormai ben nutrito repertorio, quali Ecce robot! Cronaca di un'invasione (2007), Negative film-Teneramente Tattico (2009, in collaborazione con Lorenzo Letizia), Risorgimento pop, - memorie e amnesie conferite ad una gamba (2009, scritto e diretto da D. Timpano e Marco Andreoli, interpretato da D. Timpano e Valerio Malorni), Sì l'ammore no (2009, scritto, diretto e interpretato da Daniele Timpano ed Elvira Frosini), Aldo morto | tragedia (2012), Zombitudine (2013, scritto, diretto ed interpretato da Daniele Timpano ed Elvira Frosini), Alla città morta (2014, scritto con Elvira Frosini, regia di Fabrizio Arcuri), Carne (2016, diretto e interpretato da Daniele Timpano ed Elvira Frosini, scritto da Fabio Massimo Franceschelli, musiche di Ivan Talarico), Acqua di colonia (2016), Gli sposi - romanian tragedy (2018, testo di David Lescot).

   Del meritatissimo approdo (da tanti anni la compagnia Frosini-Timpano, con somma fatica e sommo estro, è attiva sui palcoscenici italiani e stranieri, e la Rai non se n’è accorta) scrive Timpano con la sua ben nota ironia:

   “Stasera guarderanno tutti Milly Carlucci ma grazie lo stesso a chi sceglierà di passare una prima serata casalinga con noi e col nostro spettacolino ambiziosetto "Ottantanove" alle ore 21.15 su Rai5.

   “È davvero una sensazione novecentesca attendere di guardarsi alla TV (questo oggettone ormai quasi sparito da molte casuccette, o in secondo piano, e snobbatino assai dalle generazioni Z e Alpha) ma è la sensazione che stiamo provando in queste ore. Siate miti. Perdonateci. Lo sappiamo che è un tantinello amatoriale emozionarsi così, ma capirete bene che è la prima volta che debuttiamo dal morto e non dal vivo: per noi essere in TV con uno spettacolo integrale è una novità assoluta.

   Guardate (se potete). Commentate (se volete)

   Scriveteci in privato (se c'è in voi calore umano)

   [Elvira e Daniele]”.

   Io sono tra quelli che hanno scelto di vederselo e goderselo lo ‘spettacolino ambiziosetto’ lasciando da parte senza tanto sforzo per la verità, l’imperitura Milly nazionale della quale ho più volte detto in questo Diario e non cose carine. Ho scelto in ‘piena avvertenza e deliberato consenso’, senza alcun pentimento, e il perché tenterò di dire con la solita franchezza dell’inappigionato impenitente, dell’anarchico mentale che fui che sono, e che s’appresta a ormai, forzosamente, più non poter essere. 

*

Così una nota di presentazione anonima:

   “La Rivoluzione francese del 1789 ha cambiato e fondato il mondo in cui viviamo. Ma cosa ne rimane 230 anni dopo? Con la loro scrittura affilata e ironica, Elvira Frosini e Daniele Timpano, affiancati da Marco Cavalcoli, smascherano l’apparato culturale occidentale con tutti i suoi simboli e le sue retoriche fino ad arrivare all’osso dei suoi miti fondativi. Passato e presente, storia francese e storia italiana, modernità e postmodernità si sovrappongono sul palco in un percorso volto a mettere in crisi le nostre vite “democratiche” e l’immaginario legato al concetto di rivoluzione. Una rivoluzione è ancora possibile? Oppure si tratta di una cosa vecchia, novecentesca, conclusasi in un altro tempo e in un’altra Storia?
  “
Ottantanove” non vuole raccontare una storia, o la Storia, ma immergersi nei materiali culturali che hanno prodotto quel mito fondativo e che questo ha prodotto a sua volta. L’attuale crisi della Democrazia vista in rapporto con il 1989, la fase che apre un’epoca, oggi che il concetto stesso di rivoluzione sembra aver perso concretezza.

   E un’altra, riprendendo il concetto:

   “La Rivoluzione Francese tocca e cambia tutta l’Europa fondando il mondo in cui viviamo. Ma cosa ne rimane oggi? Lo racconta ‘Ottantanove’. Elvira Frosini e Daniele Timpano, affiancati per la prima volta in scena da Marco Cavalcoli, tornano con la loro scrittura affilata e spietatamente ironica, pronti ancora una volta a scandagliare e a smascherare l’apparato culturale occidentale con tutti i suoi simboli e le sue retoriche fino ad arrivare all’osso dei suoi miti fondativi. Passato e presente, storia francese e storia italiana, modernità e postmodernità si sovrappongono sul palco in un percorso volto a mettere in crisi le nostre vite democratiche e l’immaginario legato al concetto di rivoluzione. Una rivoluzione è ancora possibile? E in che modo? Oppure si tratta di una cosa vecchia, novecentesca, conclusasi in un altro tempo e in un’altra Storia?

   Mi verrebbe subito da dire che la domanda è oziosa, perché è in essa implicita già la risposta. Se la rivoluzione ‘nova’ fecit omnia, che pretendere di più?

   Dunque: Elvira e Daniele non hanno la presunzione di fare storia (o meglio, per intenderci, di esercitare il mestiere di  storici: ché essi,  entità ex-sistentes, fuori cioè del gran mare impersonale dell’essere,  sono soggetti e oggetti nel contempo di storia, fanno storia, in quanto realtà pensanti e creanti qui ed ora - ché ex-sistere o è  creare o è rappresentare un errore dell’essere nel suo processo di oggettivazione, del suo autoporsi; sanno dunque di non esercitare il mestiere di storici di professione, ma anche di non essere dei semplici  ‘giullari’ che si divertono e divertono giocando con e sul fatto storico, quel factum che infectum fieri nequit, e quindi non può essere oggetto di giudizio moralistico ma solo di disincantato gioco di rappresentazione. Il guaio è che la storia la scrivono sempre i vincitori, e non è facile esser certi che il fatto col quale si sta giocando sia quello vero ed autentico. Secoli sono spesso necessari perché reperti emergano dalla paziente opera di scavo degli archeologi dello Spirito, hegelianamente inteso, in grado di offrire materiali originali e nuovi che consentano al gioco creativo dell’artista di sbizzarrirsi in forme sempre nuove e diverse.

   Ed Elvira e Daniele “giocano” col materiale ancora incandescente della storia rivoluzionaria senza scottarsi, la loro levità (quella di Elvira in ogni senso, anche quello di in-corporeo) toglie peso al tragico e ne conferisce, mediante l’ironia consacrante e dissacrante, al comico, creando una intercambiabilità che è fusione senza esserlo, senza che le differenze si annullino e i caratteri si deformino. Io ho goduto al gioco intellettual-comico (una sorta di  denkendes Komik, che richiama la heideggeriana Denkende Diktung)  dei due attori dall’arte ormai consumata, che col riso rivoltano la maggiatica tragica  della storia rivoluzionaria intrisa di sangue (ma sine sanguinius effusione non fit remissio!) e ne fanno germogliare i fiori dell’Arte rigeneratrice. E che oltretutto sanno citare in un francese perfetto (si perdonano facilmente un, dico uno, accento errato, due o tre liaisons mancanti e una lettera erroneamente sfuggita, e non ad Elvira, la esse in No(s)tre Dame) come quello delizioso che abbiamo ascoltato dalla bocca di Elvira nella sua lunga divertentissima litania circa i prestiti linguistici della sorella latina, mai douce quanto nella sua très douce lingua.

  Molto soddisfatto, dunque, non da quel critico che non sono, ma da quello spettatore attento e attivo che non si lascia passivamente coinvolgere dall’azione scenica, ma coi suoi protagonisti reinventa e ‘giocando’ crea.

   Sia lode e onore a voi, Elvira, Daniele, Marco.

   Godendovi in TV ho ridato un po’ di senso al mio tempo precario.    

*

   Ma non sarei io se non terminassi queste mie riflessioncelle con un coup de théatre, e non dicessi che, pur divertitomi assai al denkendes Komik, alle ‘pensanti ironie’ di Elvira e di Daniele, condivido pochissimi dei loro dubbi e delle loro riserve circa gli esiti della Rivoluzione francese, e perciò li punisco dedicando loro alcuni sonetti in francese (apparsi anni or sono nei miei Canti di Pan e ritmi del thiaso. Liriche dell’immanenza e donati -e dal direttore graditi- all’’Institut Jean-Jacques Rousseau’ di Ginevra) in lode di uno degli ispiratori, con tutti i suoi colleghi dell’Encyclopédie, del 1989, e di Colui che la Rivoluzione e i suoi intenti portò a compimento (perdendo a Waterloo una battaglia, ma vincendo una guerra) spargendo a mani piene in Europa e nel Mondo la semente LÉF.  

 De temps en temps quand mon âme sommeille

et son ciel gris sillonnent les éclairs

Jean-Jacques und deutsche Freunde qui l’éveillent

je convoque auprès d’elle et change l’air.

 

Et bien souvent sans pudeur avec eux

je discute je blague et me dispute

d’amour de temps d’espace d’art de dieux

prêt à la paix mais plus prêt à la lutte.

 

Mais ce matin pour respirer le pieux

beaume de la Nature chez l’Ami

je vagabonde à Erménonville, aux lieux

 

du mystique Ermitage ou son Esprit

vaillant et pur avant d’aller aux cieux

à sa terre, en lançant son dernier cris

 

de merveille enfantine, dit adieu.

*

Âme de mon Ami, je te respire

je t’écoute, te goûte te regarde

je te flaire te touche et je t’admire

dans l’arbre, le ruisseau, la pie bavarde

 

dans le sapin, la fougère, la rose

dans l’étang silencieux et dans la voix

mystérieuse du vent qui se repose

à l’ombre du hêtre. Oh m’évanouir en toi !

 

me faire nuage et pluie, me faire chaud

rayon, me faire ciel me faire aurore

et coucher du soleil et chant d’oiseau

 

dans le soir solitaire qui se dore

et me faire ta tombe et ton berceau

à l’ombre des peupliers qui décolorent

 

sur l’Île humide en face du Château !

*

Jean-Jacques écoute. Laisse le Panthéon

au cynique Voltaire. Ici ton Temple

t’attend sur la colline. Ici le Pont

qui retentît à ton pas. Ici contemple

 

son corps pudiquement Vénus encore,

plaisante avec les Grâces et les Naïades

dans la Grotte moussée et aux jeux sonores

des eaux s’amuse aux rayons des Pléiades.

 

Jean-Jacques viens. A la table des mères

nous rêverons d’Emile et d’Eloïse;

puis nos pensées, promeneurs solitaires

 

vers le Kiosque rustique, et nos sottises

à nous nous confieront et nos chimères

de vagabonds vers la terre promise.

*

Jean-Jacques écoute. Laisse le Panthéon

aux Héros de l’Armée. Ici notre chant

de paix à la flûte nous accorderons

du rossignol, au contrebas du vent

 

au violon du feuillage, à la viole

de gambe des murmures que les ondes

du lac font à la brise. Je m’envole,

et léger sur mes ailes vagabondes

 

je viens te relever. A aucun autre incombe,

Ami chéri de mon premier réveil,

de t’arracher aux sombres catacombes.

 

Reviens, Jean-Jacques et l’éternel sommeil

Nous dormirons en plein air dans ta tombe

Aux doux rayons de la lune vermeille.

*

Salve Napoléon. Ceux qui te blâment

sont des aveugles. Ta grandeur sublime

l’ignorance leur cache. Moi je t’aime

 et je célèbre la flamme divine

 

o divin Prométhée, que tu arrachas

aux dieux envieux qui à Waterloo vengeance

stérile en firent, car le feu déjà

était mis à la terre. La conscience

 

des peuples tu sécouas et leurs drapeau

ils hissèrent. Au monde résigné

aux oppiacés des papes et des rois

 

tu sonnas le Réveil. Le desarroi

allait bientôt finir. La chair damnée

au vers tu rachetas aux grands idéaux.

*

Salve Napoléon. Par toi l’immonde

esclavage finit. Par toi lumière

nouvelle sur la terre moribonde

resplendit. Ta passion humanitaire

 

fut la poudre sacrée de tes canons.

Par toi, Tiran-Tytan, la liberté

Oh paradoxe, fut sauvée. L’idée

Rusée par toi en entonna la chanson.

 

Sur ton tombeau, parmi les bêtes laches

du troupeau touristique, le serment

je renouvèle qu’en venant au jour

 

par mon père indompté je fis : l’Amour

sera ma loi mais dans le cas pourtant

la Haine pour Amour sera ma tâche.

 

De mon bonheur et de ma paix au risque

je me consacre à la Dike tragique.

_________________  

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika

 

 
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