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efemeridi ecc

Post n°1146 pubblicato il 14 Novembre 2022 da giuliosforza

 

1045 

   Oggi, coi post 1040, 1041, 1042, ho terminato la condivisione su questi spazi di 'Dis-Incanti Tre', che sarà pronto in volume entro Natale (fuori commercio, come i precedenti due volumi).

   La prossima primavera sarà la volta, a Dio piacendo, di 'Dis-Incanti' IV, del IV volume di versi neoclassici dal significativo titolo 'La Sera di Pan' (conclusione del ciclo 'Canti di Pan e ritmi del thiaso', L'Evità', 'Aqua nuntia, Aquae iuliae'); e dell'opuscoletto autobiografico 'Infanzia puerizia e prima adolescenza di Atem', un excerptum prosastico da 'Aqua Nuntia-Aquae iuliae'.

   Come si vede non ho proprio voglia di darmi pace e di smettere di divertirmi!

  *

   Resurrezione e dieta vegetariana secondo Voltaire (Romanzi e racconti, Biblioteca Mondadori 1981, traduzione di Riccardo Bacchelli, episodio La principessa di Babilonia).

   “La resurrezione, signora, le disse la fenice, è la più semplice cosa del mondo. Non è più stupefacente nascere due volte piuttosto che una. A questo mondo tutto è resurrezione. I bruchi resuscitano in farfalle, il nocciolo posto in terra risuscita in albero, tutti gli animali seppelliti in terra risuscitano in erbe, piante, nutrendo altri animali dei quali formano ben presto parte sostanziosa. Tutte le particelle che già componevano corpi sono mutate in esseri diversi. Veramente solo a me il potente Orosmade fa la grazia di risuscitare nella mia propria natura”.

   Siamo nel paese dei gangaridi dove la principessa Formasanta si è spinta alla ricerca del suo amato, il pastore Amazano fuggitivo.

   “Chiesero allora ai servitori se si potesse salutare la sua signora madre. Risposero esserle morto il marito avant’ieri, e che non riceveva nessuno. La fenice, che godeva credito in casa, riuscì per altro a far entrare la principessa di Babilonia in una sala dalle mura rivestite di legno d’arancio filettato d’avorio. I sottopastori e le sottopastore, i lunghi vestiti bianchi, cinte di guarnizioni color giallo aurora, le servirono in cento vassoi di semplice porcellana cento deliziose vivande, fra le quali non appariva nessun 'cadavere mascherato' (rilievo mio). ‘Ed erano: riso, sugo, semolino, vermicelli, maccheroni, frittate, uova nel latte, formaggi freschi, pasticcerie d’ogni sorta, legumi, frutti d’ogni profumo e d’ogni sapore di cui in altri climi non s’ha neanche l’idea. I liquori rinfrescanti, a profusione, erano migliori dei vini più buoni”.

   La ricchezza di questo menu vegetariano decisamente non fa rimpiangere le sontuose tavole imbandite dei carnivori divoratori di ‘cadaveri mascherati’.

*

   Sto rivedendo le ultime bozze del terzo volume di Dis-Incanti. Diànoie Metànoie Parànoie di un Vegliardo diarista virtuale' (ora Amor et Taedium Vitae sarei tentato di rititolarlo!) che mi regalerò e regalerò per fine anno. E trovo una pagina che amo riprodurre perché mi riporta ad un breve periodo particolarmente esaltante della mia giovinezza, quello in cui più mi cullavo in sogni di gloria destinati a rimanere tali. E mi ridona ai mei monti e alle mie valli e alle mie, con Jean-Jacques, Rêveries du promeneur solitaire.

   "Vent’anni, primi anni Cinquanta. Ho appena scalato, (faccio per dire, mi sono solo sgraziatamente arrampicato) la più bassa delle due cime del Gelas, il più alto delle Marittime dopo Argentera, Matto, Maledia, Marguareis, Mongioia (che in realtà è già delle Cozie ed è, del gruppo italo-francese che fa corona ad Entracque, coi suoi 3300 e passa la cima più alta). La prima delle due foto mi coglie aggrappato a spuntoni di roccia, quasi indistinguibile, camaleonticamente con essi mimetizzato, masso con masso; la seconda, ginocchioni su uno spiazzo della Sella del Gelas, a disegnar note su un quadernone di musica poggiato sull’erba ed aperto alla prima pagina, ove campeggia la scritta Missa Alpina ad quattuor voces organo comitante. Sì, perché fra le illusioni della mia giovanile ebbrezza fu anche quella di competere col Richard Strauss dell’Alpensymphonie, e di tradurre sacralmente il mio naturalismo panteistico, inconsciamente fin dall’infanzia vissuto, ma all’epoca non ancora problematizzato e …ufficializzato. Il quadernone è ancora qui, affastellato fra i manoscritti, ma dopo il ‘Gloria’ le pagine sono desolatamente bianche: ispirazione e sogni erano evidentemente presto svaniti!

   In gioventù e poi nel resto della vita fino agli ottanta ho amato assai camminare, in pianura in collina in montagna, solo dopo gli ottanta gradualmente cedendo e solo ora, alle soglie dei novanta, con dolore arrendendomi. È camminando (quasi sempre solo, poche le volte, ma esaltanti, in compagnia) che ho pensato le mie cose più belle, ho esercitato corpo e anima alla gioiosa fatica dell’ascendere, dello stare contemplando, del ridiscendere e anche, talvolta, del precipitare (pur esso gioioso, anche solo nel ricordo: m’ebbero precipite ghiacciai, morene petrose, forre folte di triboli e spine, ma sempre, fortunosamente, se pur variamente dolorante, indenne), del sostare a meditare, in una valletta amena o su un poggio, a poetare, a musicare, a variamente filosofare. Le due foto ben documentano due dei momenti in cui il Giulio fenomenico, ma non solo, s’accenna: ché per chi ha occhi penetranti da forare il fenomeno (l’epidermide), anche il noumeno, kantianamente intuibile se non (sentore di paradosso!) conoscibile, si s-vela in due degli aspetti più significativi della sua essenza profonda.

*

   Ho impiegato circa 90 anni per accorgermi che la parola acme (greco akme'), una delle parole da me piu' usate, è femminile! Donna come vertice.

*

   Per Raffaella Canovi, alla quale vanno tutti i miei complimenti per i suoi successi editoriali:

Anchora imparo, con l'h dopo la c, anchora', non ancora; e inparo, non imparo, come nell'incisione giuntalodiana a cui lo stesso D'Annunzio rimanda.

*

   Stamane faccio il voyeur. Mi colgo compiaciuto a spiare il mattinale congiungimento di Giove-Osiride con una in vereconda, completamente nudata, Selene-Luna.

*

   Per la prima volta ieri, rigodendomi una storica 'Bohème', quella del Festival Puccini di Torre del Lago del 2014 con la mai abbastanza rimpianta Daniela Dessì e il suo compagno d'arte e di vita Fabio Armiliano, mi sono accorto di un fatto assai curioso di enorme, almeno per me, rilevanza: dei quattro protagonisti maschili del dramma che si svolge in una gelida soffitta e nelle strade adiacenti del 1° Arrondissement, vicino al Café Momus (famoso luogo di ritrovo di artisti e letterati), uno, col poeta Rodolphe il pittore Marcel e il musicista Schaunard, è, udite udite, un filosofo, Colline. Ve lo sareste mai aspettato, voi, un filosofo bohémien? Ebbene io sì, se Bruno Nolano e Fritz di Röcken, due bohémiens che più bohémiens non si può, furono i miei pensatori prediletti e compagni fedeli dei miei intellettuali pellegrinari. Il tedesco soprattutto, non solo annunciatore della ‘morte di Dio’ e del 'Crepuscolo degli idoli', ma teorizzatore di un 'pensiero danzante sulle cose', che se di una Ragione è pur figlio, non certo di una Ragione ‘oggettivante’, cui sfuggono le riposte vie del Mistero e dell’Essenza, ma di una Ragione ‘partecipativa’ che sa, meglio avverte, per l’Arte sua figlia, le vie del Profondo (reminiscenze marceliane).

   Ci voleva un musicista, Puccini, coadiuvato da due bravi librettisti, Giacosa ed Illica, per inventarsi un filosofo bohémien e recuperare Sophia al Parnaso e alle Muse danzanti attorno alla sorgente pegasea.

Puccini, je t’aime!

*

   Ho rischiato la morte per un libro, o di libro. Sarebbe stato un degno crepare.

Nel tentativo di prendere dallo scaffale più alto di una delle mie biblioteche, quella chiusa, il volume (due kg e mezzo) 'Polonia', ricordo di uno dei miei viaggi periodici a Lodz per gli incontri coi colleghi interessati alla mia dis-educazione estetica, il volume, che era in posizione precaria, malamente appoggiato a un Pascoli bonaccione e sornione, dono degli amici di Parma, appena aperto lo sportello mi precipitava di spigolo sulla testa, procurandomi, oltre al dolore e a un bozzetto che farà per un po' compagnia a una preesistente vistosa keratosi, un leggero intontimento durato vari secondi. Una commozione cerebrale da libro! Quale altra più degna commozione?

   Oltre che dalla mia imprudenza, l'evento, che avrebbe potuto esser nefasto per un centenario come me, con ogni probabilità mi è stato procurato da Zvani' e da Gabri, in primo piano nella foto, gelosi della mia discendenza (!?) da Bona Sforza che, in qualita' di moglie di re Alessandro Jagellone, portò a Cracovia il Rinascimento.

   Sarò pure un povero vecchio, einsam nicht allein (Goethe), ma chi più invidiato e invidiabile di me?

   Vaneggiamenti di un pomeriggio afosissimo di una già quasi matura Vergine.

*

   Tra le cose che rendono più ripugnante e antipatico un vecchio, sono  la vanesieria, la gigioneria, la civetteria, belle qualità di cui mi ritrovo abbondantemente dotato.

   Stamane mi sono recato in uno studio radiologico agghindato come un dandy, tutto bianco, tranne il basco Borsalino bicolore di seta bianca e pelle avana (bel cimelio, ora che anche il famoso marchio ha chiuso) e la fanciulla angelica dello sportello mi ha sussurrato, immagino per non farsi sentire e un poco approssimandosi alla mia guancia quasi poggiando la sua sul vetro (maledetto vetro!) divisorio: lei è bellissimo. Incredulo, non dirò imbarazzato, ho reagito col più bel sorriso di cui sono ancora capace, ma il Fritz che oggi mi inanella il prezioso foulard (già, perché il venerdì è il suo giorno, come il lunedì è quello di Ludwig, il Martedì di Richard, il Mercoledì di Gabri, il Giovedì del Satiro del Cicala arso al Campo, il Sabato di Pan, la domenica della mia principessa Paolina - mia perché moglie infedelissima di Camillo Borghese, principe del mio borgo e del relativo castello - ritratta in un bel cammeo di finto avorio) è scoppiato in un riso beffardo. Invidioso, evidentemente: ancora gli scottano i dinieghi di quella civetta di Lou.

   Mi dispiace per Fritz. Ma io mi porterò a lungo nel cuore e negli occhi lo sguardo e le parole sussurratemi dalle labbra dolcissime della fanciulla incomparabile dello sportello del Laboratorio Gilar di Via delle Vigne Nuove.

*

   'Musica Salvatrix'

   Tristissimo per il ritorno dalla Terra ove profondissime affondano le mie radici, 'où ma mère' non 'm’infligea', come a Réné, 'la vie' (Chateaubriand), ma la vita mi chiamò a celebrare come ‘dono grande e terribile del Dio’ (D’annunzio), ancora una volta Frau Musika mi è venuta, fedelissima amante, in soccorso.    Tutta una lunga vita passai (oltre che, nei miei modestissimi limiti, a farla) a riflettere, parlare, scrivere di Colei senza la quale la 'vita sarebbe un errore' (Nietzsche, 'ohne Musik ist das Leben ein Fehler'); di Lei che 'creuse', scava,  le ciel (Baudelaire), che è 'avant toute chose' (Verlaine), è tristaniana 'unbewusst, hӧchste Lust' (un 'in dem wogenden Schwall, / in dem tӧnenden Schall, / in des Weltatems wehendem All – ertrinken, / versinken, - / unbewusst -, / hӧchste Lust', un 'affogare, sprofondare, senza coscienza, suprema Voluttà, nel flusso ondeggiante, nell’armonia risonante, nello spirante universo del respiro del mondo!' - Wagner); di Lei che 'sa le strade riposte dell’Essenza', che ‘è lo stesso io profondo’, che sola 'dit vrai' ('La Musique dit vrai, la Musique seule' Marcel); oggi dunque puntuale la mia fedelissima amante mi è venuta in soccorso con un fantasmagorico 'Zauberflӧte' in un allestimento della Scala del 1994, sul podio un Muti nel pieno del suo vigore interpretativo, un Robero De Simone in regia al culmine della sua fantasia inventiva, e un cast tutto tedesco in grado di estasiare con la doppia melodia del canto e della lingua. E al termine del lungo percorso che Sarastro impone a Tamino per ritrovare, con l’ausilio dei suoni del magico flauto e del birichino campanellino variamente tintinnante, la sua Pamina, i due innamorati si abbracciano e intonano, accompagnati dagli armigeri, il canto della vittoria 'sulla morte attraverso la musica': "Wir wandeln durch des Tones Macht / Froh durch des Todes düstre Nacht", 'grazie alla potenza della musica avanziamo lieti attraverso la notte tetra della morte'.

   Il 'Flauto magico' ha fugato la mia tristezza e l’angoscia di morte che ormai è compagna inseparabile dei miei giorni. Esso non è solo il capolavoro, in apparenza di una levità celestiale e qua e là non poco sbarazzina, in realtà di una profondità ed esotericità pressoché inaccesibili ai non iniziati, del genio di Salisburgo; è anche il più bell’inno elevato alla potenza letificante e salvifica di Frau Musika.

La quale sia dunque ancora una volta, sempre e ovunque, benedetta.

*

   Il kumquat semiseccato dalla calura ma in via di ripresa (i nuovi mandarinetti già fanno capolino fra le foglie ancora sofferenti). Secondo la donatrice è un simbolo beneaugurante anche per Colui che ricevette il dono! Come anche per lui ritiene valere i versi di Hikmet che il dono accompagnarono!

   E sia, generosissima N.!

____________

Chàirete Daimones

 
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Elvira Frosini e Daniele Timpano e il loro 'Millesettecentoottantanove'

Post n°1145 pubblicato il 14 Novembre 2022 da giuliosforza

 

1044

   Elvira Frosini e Daniele Timpano sono approdati su Rai5 con Millesettecentottantanove (produzione del Teatro ‘Metastasio’ di Prato in collaborazione con Kataklisma teatro e Teatro di Roma, Teatro Nazionale residenze artistiche, Istituto Italiano di Cultura Parigi, Città delle 100 Scale Festival), di cui sono anche autori, attori, registi (wagneriana opera d’arte totale, Gesamtkunstwerk!), come del resto di tutti gli altri pezzi del loro ormai ben nutrito repertorio, quali Ecce robot! Cronaca di un'invasione (2007), Negative film-Teneramente Tattico (2009, in collaborazione con Lorenzo Letizia), Risorgimento pop, - memorie e amnesie conferite ad una gamba (2009, scritto e diretto da D. Timpano e Marco Andreoli, interpretato da D. Timpano e Valerio Malorni), Sì l'ammore no (2009, scritto, diretto e interpretato da Daniele Timpano ed Elvira Frosini), Aldo morto | tragedia (2012), Zombitudine (2013, scritto, diretto ed interpretato da Daniele Timpano ed Elvira Frosini), Alla città morta (2014, scritto con Elvira Frosini, regia di Fabrizio Arcuri), Carne (2016, diretto e interpretato da Daniele Timpano ed Elvira Frosini, scritto da Fabio Massimo Franceschelli, musiche di Ivan Talarico), Acqua di colonia (2016), Gli sposi - romanian tragedy (2018, testo di David Lescot).

   Del meritatissimo approdo (da tanti anni la compagnia Frosini-Timpano, con somma fatica e sommo estro, è attiva sui palcoscenici italiani e stranieri, e la Rai non se n’è accorta) scrive Timpano con la sua ben nota ironia:

   “Stasera guarderanno tutti Milly Carlucci ma grazie lo stesso a chi sceglierà di passare una prima serata casalinga con noi e col nostro spettacolino ambiziosetto "Ottantanove" alle ore 21.15 su Rai5.

   “È davvero una sensazione novecentesca attendere di guardarsi alla TV (questo oggettone ormai quasi sparito da molte casuccette, o in secondo piano, e snobbatino assai dalle generazioni Z e Alpha) ma è la sensazione che stiamo provando in queste ore. Siate miti. Perdonateci. Lo sappiamo che è un tantinello amatoriale emozionarsi così, ma capirete bene che è la prima volta che debuttiamo dal morto e non dal vivo: per noi essere in TV con uno spettacolo integrale è una novità assoluta.

   Guardate (se potete). Commentate (se volete)

   Scriveteci in privato (se c'è in voi calore umano)

   [Elvira e Daniele]”.

   Io sono tra quelli che hanno scelto di vederselo e goderselo lo ‘spettacolino ambiziosetto’ lasciando da parte senza tanto sforzo per la verità, l’imperitura Milly nazionale della quale ho più volte detto in questo Diario e non cose carine. Ho scelto in ‘piena avvertenza e deliberato consenso’, senza alcun pentimento, e il perché tenterò di dire con la solita franchezza dell’inappigionato impenitente, dell’anarchico mentale che fui che sono, e che s’appresta a ormai, forzosamente, più non poter essere. 

*

Così una nota di presentazione anonima:

   “La Rivoluzione francese del 1789 ha cambiato e fondato il mondo in cui viviamo. Ma cosa ne rimane 230 anni dopo? Con la loro scrittura affilata e ironica, Elvira Frosini e Daniele Timpano, affiancati da Marco Cavalcoli, smascherano l’apparato culturale occidentale con tutti i suoi simboli e le sue retoriche fino ad arrivare all’osso dei suoi miti fondativi. Passato e presente, storia francese e storia italiana, modernità e postmodernità si sovrappongono sul palco in un percorso volto a mettere in crisi le nostre vite “democratiche” e l’immaginario legato al concetto di rivoluzione. Una rivoluzione è ancora possibile? Oppure si tratta di una cosa vecchia, novecentesca, conclusasi in un altro tempo e in un’altra Storia?
  “
Ottantanove” non vuole raccontare una storia, o la Storia, ma immergersi nei materiali culturali che hanno prodotto quel mito fondativo e che questo ha prodotto a sua volta. L’attuale crisi della Democrazia vista in rapporto con il 1989, la fase che apre un’epoca, oggi che il concetto stesso di rivoluzione sembra aver perso concretezza.

   E un’altra, riprendendo il concetto:

   “La Rivoluzione Francese tocca e cambia tutta l’Europa fondando il mondo in cui viviamo. Ma cosa ne rimane oggi? Lo racconta ‘Ottantanove’. Elvira Frosini e Daniele Timpano, affiancati per la prima volta in scena da Marco Cavalcoli, tornano con la loro scrittura affilata e spietatamente ironica, pronti ancora una volta a scandagliare e a smascherare l’apparato culturale occidentale con tutti i suoi simboli e le sue retoriche fino ad arrivare all’osso dei suoi miti fondativi. Passato e presente, storia francese e storia italiana, modernità e postmodernità si sovrappongono sul palco in un percorso volto a mettere in crisi le nostre vite democratiche e l’immaginario legato al concetto di rivoluzione. Una rivoluzione è ancora possibile? E in che modo? Oppure si tratta di una cosa vecchia, novecentesca, conclusasi in un altro tempo e in un’altra Storia?

   Mi verrebbe subito da dire che la domanda è oziosa, perché è in essa implicita già la risposta. Se la rivoluzione ‘nova’ fecit omnia, che pretendere di più?

   Dunque: Elvira e Daniele non hanno la presunzione di fare storia (o meglio, per intenderci, di esercitare il mestiere di  storici: ché essi,  entità ex-sistentes, fuori cioè del gran mare impersonale dell’essere,  sono soggetti e oggetti nel contempo di storia, fanno storia, in quanto realtà pensanti e creanti qui ed ora - ché ex-sistere o è  creare o è rappresentare un errore dell’essere nel suo processo di oggettivazione, del suo autoporsi; sanno dunque di non esercitare il mestiere di storici di professione, ma anche di non essere dei semplici  ‘giullari’ che si divertono e divertono giocando con e sul fatto storico, quel factum che infectum fieri nequit, e quindi non può essere oggetto di giudizio moralistico ma solo di disincantato gioco di rappresentazione. Il guaio è che la storia la scrivono sempre i vincitori, e non è facile esser certi che il fatto col quale si sta giocando sia quello vero ed autentico. Secoli sono spesso necessari perché reperti emergano dalla paziente opera di scavo degli archeologi dello Spirito, hegelianamente inteso, in grado di offrire materiali originali e nuovi che consentano al gioco creativo dell’artista di sbizzarrirsi in forme sempre nuove e diverse.

   Ed Elvira e Daniele “giocano” col materiale ancora incandescente della storia rivoluzionaria senza scottarsi, la loro levità (quella di Elvira in ogni senso, anche quello di in-corporeo) toglie peso al tragico e ne conferisce, mediante l’ironia consacrante e dissacrante, al comico, creando una intercambiabilità che è fusione senza esserlo, senza che le differenze si annullino e i caratteri si deformino. Io ho goduto al gioco intellettual-comico (una sorta di  denkendes Komik, che richiama la heideggeriana Denkende Diktung)  dei due attori dall’arte ormai consumata, che col riso rivoltano la maggiatica tragica  della storia rivoluzionaria intrisa di sangue (ma sine sanguinius effusione non fit remissio!) e ne fanno germogliare i fiori dell’Arte rigeneratrice. E che oltretutto sanno citare in un francese perfetto (si perdonano facilmente un, dico uno, accento errato, due o tre liaisons mancanti e una lettera erroneamente sfuggita, e non ad Elvira, la esse in No(s)tre Dame) come quello delizioso che abbiamo ascoltato dalla bocca di Elvira nella sua lunga divertentissima litania circa i prestiti linguistici della sorella latina, mai douce quanto nella sua très douce lingua.

  Molto soddisfatto, dunque, non da quel critico che non sono, ma da quello spettatore attento e attivo che non si lascia passivamente coinvolgere dall’azione scenica, ma coi suoi protagonisti reinventa e ‘giocando’ crea.

   Sia lode e onore a voi, Elvira, Daniele, Marco.

   Godendovi in TV ho ridato un po’ di senso al mio tempo precario.    

*

   Ma non sarei io se non terminassi queste mie riflessioncelle con un coup de théatre, e non dicessi che, pur divertitomi assai al denkendes Komik, alle ‘pensanti ironie’ di Elvira e di Daniele, condivido pochissimi dei loro dubbi e delle loro riserve circa gli esiti della Rivoluzione francese, e perciò li punisco dedicando loro alcuni sonetti in francese (apparsi anni or sono nei miei Canti di Pan e ritmi del thiaso. Liriche dell’immanenza e donati -e dal direttore graditi- all’’Institut Jean-Jacques Rousseau’ di Ginevra) in lode di uno degli ispiratori, con tutti i suoi colleghi dell’Encyclopédie, del 1989, e di Colui che la Rivoluzione e i suoi intenti portò a compimento (perdendo a Waterloo una battaglia, ma vincendo una guerra) spargendo a mani piene in Europa e nel Mondo la semente LÉF.  

 De temps en temps quand mon âme sommeille

et son ciel gris sillonnent les éclairs

Jean-Jacques und deutsche Freunde qui l’éveillent

je convoque auprès d’elle et change l’air.

 

Et bien souvent sans pudeur avec eux

je discute je blague et me dispute

d’amour de temps d’espace d’art de dieux

prêt à la paix mais plus prêt à la lutte.

 

Mais ce matin pour respirer le pieux

beaume de la Nature chez l’Ami

je vagabonde à Erménonville, aux lieux

 

du mystique Ermitage ou son Esprit

vaillant et pur avant d’aller aux cieux

à sa terre, en lançant son dernier cris

 

de merveille enfantine, dit adieu.

*

Âme de mon Ami, je te respire

je t’écoute, te goûte te regarde

je te flaire te touche et je t’admire

dans l’arbre, le ruisseau, la pie bavarde

 

dans le sapin, la fougère, la rose

dans l’étang silencieux et dans la voix

mystérieuse du vent qui se repose

à l’ombre du hêtre. Oh m’évanouir en toi !

 

me faire nuage et pluie, me faire chaud

rayon, me faire ciel me faire aurore

et coucher du soleil et chant d’oiseau

 

dans le soir solitaire qui se dore

et me faire ta tombe et ton berceau

à l’ombre des peupliers qui décolorent

 

sur l’Île humide en face du Château !

*

Jean-Jacques écoute. Laisse le Panthéon

au cynique Voltaire. Ici ton Temple

t’attend sur la colline. Ici le Pont

qui retentît à ton pas. Ici contemple

 

son corps pudiquement Vénus encore,

plaisante avec les Grâces et les Naïades

dans la Grotte moussée et aux jeux sonores

des eaux s’amuse aux rayons des Pléiades.

 

Jean-Jacques viens. A la table des mères

nous rêverons d’Emile et d’Eloïse;

puis nos pensées, promeneurs solitaires

 

vers le Kiosque rustique, et nos sottises

à nous nous confieront et nos chimères

de vagabonds vers la terre promise.

*

Jean-Jacques écoute. Laisse le Panthéon

aux Héros de l’Armée. Ici notre chant

de paix à la flûte nous accorderons

du rossignol, au contrebas du vent

 

au violon du feuillage, à la viole

de gambe des murmures que les ondes

du lac font à la brise. Je m’envole,

et léger sur mes ailes vagabondes

 

je viens te relever. A aucun autre incombe,

Ami chéri de mon premier réveil,

de t’arracher aux sombres catacombes.

 

Reviens, Jean-Jacques et l’éternel sommeil

Nous dormirons en plein air dans ta tombe

Aux doux rayons de la lune vermeille.

*

Salve Napoléon. Ceux qui te blâment

sont des aveugles. Ta grandeur sublime

l’ignorance leur cache. Moi je t’aime

 et je célèbre la flamme divine

 

o divin Prométhée, que tu arrachas

aux dieux envieux qui à Waterloo vengeance

stérile en firent, car le feu déjà

était mis à la terre. La conscience

 

des peuples tu sécouas et leurs drapeau

ils hissèrent. Au monde résigné

aux oppiacés des papes et des rois

 

tu sonnas le Réveil. Le desarroi

allait bientôt finir. La chair damnée

au vers tu rachetas aux grands idéaux.

*

Salve Napoléon. Par toi l’immonde

esclavage finit. Par toi lumière

nouvelle sur la terre moribonde

resplendit. Ta passion humanitaire

 

fut la poudre sacrée de tes canons.

Par toi, Tiran-Tytan, la liberté

Oh paradoxe, fut sauvée. L’idée

Rusée par toi en entonna la chanson.

 

Sur ton tombeau, parmi les bêtes laches

du troupeau touristique, le serment

je renouvèle qu’en venant au jour

 

par mon père indompté je fis : l’Amour

sera ma loi mais dans le cas pourtant

la Haine pour Amour sera ma tâche.

 

De mon bonheur et de ma paix au risque

je me consacre à la Dike tragique.

_________________  

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika

 

 
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