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Introduzione per una pubblicazione curata dalla collega Miraslowa Zalewska Pavlak dell'Università di Lodz, le vicende

Post n°1193 pubblicato il 21 Maggio 2024 da giuliosforza

 

1087

   Una  collega dell’Università di Łodz), Miroslawa Zalewska Pawlak, con la quale negli anni ho più volte felicemente collaborato, in Polonia e in Italia, mi ha chiesto l’autorizzazione di pubblicare come introduzione a  un testo di Autori vari da lei curato, e dedicato ai destini e ai ruoli dell’Educazione estetica in Europa e fuori, una riflessione che avevo scritto per introdurre il volume Musica mundi della compianta mia collaboratrice Maria Teresa Luciani, poi ripubblicata nel volume Vitam impendere Pulchro dell’Editrice Anicia. Naturalmente gliela accordai volentieri, ignaro delle complicazioni che la legge dei diritti porta con sé. Le difficoltà nacquero dal rettore e dall’editore che volevano giustamente i riferimenti alle fonti delle poche citazioni presenti nel mio testo, principalmente di quella conclusiva di Elias Canetti riguardante il tema stesso del volume in corso di stampa, sul ruolo della musica nell’educazione estetica. La cosa mi infastidì non poco: io cito sovente a mente, grazie alla buona memoria di cui il buon Dio mi ha dotato. Ma per i polacchi la questione era essenziale, per cui ne seguì uno scambio di lettere tra me e Mira di cui cito quella che per me avrebbe dovuto essere risolutiva, anche se negativamente. Scrissi:

 Cara Prof Mira,

   mi sento obbligato a rispondere negativamente alle sue insistenti richieste. Dovrei rovistare senza successo fra le montagne di libri che giacciono ormai morti e polverosi affastellati sugli scaffali delle mie librerie. E non ritiene anche Lei che a novanta anni e sei mesi io abbia altro a cui dedicare il poco tempo che mi resta?  In uno dei libri di Canetti in mio possesso (sicuramente ‘Massa e Potere’, ‘Autobiografia’, ‘Auto da fé’ e forse qualcun altro) troverei la ...'carta di identità' che vi serve, ma sarebbe come cercare un ago in un pagliaio e io sinceramente non ne ho le forze. Non sono mai stato un topo di biblioteca, nemmeno delle mie. E poi mi rendo conto che lo stile affabulatorio e declamatorio così poco scientifico che mi caratterizza, e che è anche del mio contributo, poco s'addirebbe al vostro testo, la cui dignità scientifica finirebbe per compromettere. Quindi tagliamo la testa al toro: eliminate il contributo con le  mie ciance da esaltato e non se ne parli più. La serietà e credibilità del vostro volume certamente ne guadagneranno. Non perdete altro tempo con me. Ne sarei dispiaciuto. Vi chiedo perciò scusa e mi ritiro in buon ordine Ed auguro alla vostra impresa la bella riuscita che sicuramente  merita.

Con affetto e stima immutati.

   Mira mi scongiurò di recedere dalla determinazione e mi misi alla ricerca. Ricordai che tanti anni fa una mia ex allieva, Maria Clotilde Nera, aveva discusso con me la sua tesi di laurea sulle ”Implicazioni educative del pensiero canettiano”. Ne ritrovai il telefono e mi diede la preziosa indicazione: il brano da me citato era tratto da Elias Canetti, La provincia dell’uomo, Adelphi, Milano 1978, p. 35. Ora mi chiedo anche perché mai io abbia citato Canetti, se la mia opinione è alquanto diversa e più complessa della sua e da me solo in parte condivisa. O forse proprio per questo meritava di esser citata?

   Eccola comunque, e non mi dispiace che col titolo Musica e dis-educazione estetica. Un tragittto ventennale sia piaciuta agli amici polacchi e con essa vogliano introdurre il loro volume collettaneo dedicato a Frau Musika e al suo auspicabile contributo alla super-umanizzazione dell’Uomo ancora sospeso tra la scimmia e il Super (Oltre) Uomo.

   «La musica è la migliore consolazione già per il fatto che non crea nuove parole.

Anche quando accompagna delle parole, la sua magia prevale ed elimina il pericolo

delle parole. Ma il suo stato più puro è quando risuona da sola. Le si crede senza

riserve, poiché ciò che afferma riguarda i sentimenti. Il suo fluire è più libero di

qualsiasi altra cosa che sembri umanamente possibile, e questa libertà redime.

   Quanto più fittamente la terra si popola, e quanto più meccanico diventa il modo di

vivere, tanto più indispensabile deve diventare la musica.

   Verrà un giorno in cui essa soltanto permetterà di sfuggire alle strette maglie delle

funzioni, e conservarla come possente e intatto serbatoio di libertà dovrà essere il

compito più importante della vita intellettuale futura. La musica è la vera storia

vivente dell’umanità, di cui altrimenti possediamo solo parti morte. Non c’è bisogno

di attingervi, poiché esiste già da sempre in noi, e basta semplicemente ascoltare,

perché altrimenti si studia invano»

 *

Rimpiango l’epoca dei piombi.  

   Sono a circa metà lettura (per doverosa ulteriore informazione, dopo le mie prese di posizione nei confronti del Giambattista Vico padre quale emerge dal racconto di Marcello Veneziani) de “Il figlio di Giambattista Vico” del giovane Giovanni Gentile, nella recente ristampa, da parte dell’editrice Primiceri di Padova, dell’edizione napoletana di Pierro del 1905, che narra le vicende di Gennaro, il figlio prediletto che, dopo infinite umilianti  riverenze e infiniti baciamani suoi e di suo padre, riuscì a succedergli nella cattedra di Retorica. Già provo fatica e rabbia. Fatica per la ricchissima meticolosa documentazione del giovane Gentile che ho molta difficoltà a seguire (non ho la natura del topo di biblioteca, non ho la pazienza dello storico: preferisco che altri si dia da fare per me nella faticosa opera di ricerca, preferisco che mi si metta, per parafrasare il Poeta, innanzi onde poi per me mi cibi). Rabbia perché sono tali e tanti i refusi del volume, che si tratta di una vera e propria indecenza. Un solo esempio fra le centinaia: il verso virgiliano Felix qui potuit rerum cognoscere causas diventa Felix qui potuti veruni cognoscere causas! E in traduzione rerum, delle cose, diventa della malattia. La punteggiatura poi sembra messa a casaccio, e non si contano gli strafalcioni incomprensibili dovuti alla semplice digitazione. Sarebbero questi i miracoli delle nuove tecnologie? Dove i correttori di bozze che sappiano almeno leggere e scrivere? Ma la colpa non è delle tecnologie, sebbene dell’ignoranza, dell’ignavia e dell’amor sceleratus habendi di stampatori ed editori.

   Sì, rimpiango l’epoca dei piombi gutemberghiani.

______________________  

  

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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Taube e Schwalbchen,Jacobelli Isoldi,Steiner, Di Nicola, A Farewell

Post n°1192 pubblicato il 18 Maggio 2024 da giuliosforza

 

1086

   Le prime rondini sfrecciano nel cielo arabescando.

   In quale cielo di quale galassia starà giocando la mia rondinella Schwälbchen che fece il suo primo nido nel mio cuore?

   Ed è tornata, tubando con la poca e roca voce che le rimane, la vecchia colomba Taube. Si è affacciata sul verone giusto il tempo di lasciare per me un saluto fecale. L’unico, ritiene, ch’io meriti.

   Cattiva e ingrata d’unaTaube! Ma io perdono, da quel santo che sono!    

*

Da quando ho dichiarato guerra alla morte sto meglio, e sono sereno. Vincerà lei, ma io avrò l’onore delle armi.

*

   Oggi la rifaccio un po’ lunga, per compensare la mia inusuale laconicità e i silenzi degli ultimi giorni. Lo esige la natura dei miei sogni, il sogno del sonno e quello del risveglio.

   Ho incontrato stanotte la professoressa Angelamaria Jacobelli Isoldi che, smessi gli abiti di filosofa, indossava nella ‘finzione’ onirica quelli di una illustre geriatra e psicoterapeuta che si curava dei miei acciacchi e deliri, per fortuna non trementes, senili. Nella vita ‘reale’ era stata presidente di Commissione alla mia Maturità da privatista ad Imperia nel 1948, e l’avrei poi reincontrata, guarda il Caso, o la Provvidenza vichiana, da umile suo collega all’Università di Roma. Alla prova di maturità l’avevo subito avuta alleata, più che giudice, con evidente giustificato fastidio dell’acida commissaria di chimica, offesa della mia semi-ignoranza nel suo campo, avendo io imbottita la mente di migliaia di formule (effetto di un insegnamento puramente formale) ma del tutto ignorante essendo dell’uso pratico di molti semplici prodotti chimici, tipo l’ammoniaca. Si mostrava visibilmente gelosa delle preferenze da me riservate alle discipline filosofico-linguistico-letterarie, nelle quali brillavo. Rispondevo alle domande della Presidente (con la quale s’era subito prodotta una spontanea profonda intesa, figlia di quel sentimento di romantica Ahnung -foscoliani amorosi sensi o goethiane affinità elettive-, che noi diciamo, spesso abusandone ed equivocando con simpatia, naturale empatia) con fervore esaltato; dicevo di Bruno, Campanella, Vico, Kant, Nietzsche, Gentile, Bergson , Marcel…, gli autori da lei nelle sue ricerche di studiosa approfonditi, da me prediletti, con foga inarrestabile. Qualche maligno sussurrava di una nostra pre-intesa. Nulla di più falso. Io fino a quel momento l’avevo conosciuta solo come moglie di un già noto giornalista destinato a una gloriosa carriera, quel Jader Jacobelli dalla famosa, per i miei orecchi indisponente ma a suo modo simpatica, zeppola, uno tra i migliori giornalisti del tempo.

   La conclusione fu che nel giudizio finale fui molto, da lei non solo, assai lodato, nonostante la stizza della commissaria di chimica e qualche altra insignificante riserva da parte del prof di ginnastica, e risultai di gran lunga il primo non solo dei privatisti ma di tutti i candidati della Commissione. Feci colpo, come si dice.

   Ricorderò sempre con stima ed affetto grandi Mariangela Jader Jacobelli, morta assai anziana nel 2018. E la risognerei volentieri nella veste di curatrice delle mie senili dianoie, metanoie, paranoie.

 

   Ora dirò del bel sogno fatto nella ‘realtà’ del risveglio.

   Se con Goethe e i suoi pensieri ‘Durch das Jahr 2024’ (Lungo l’anno 2024) ogni sera son solito addormentarmi, col Rudolf Steiner dello ‘Seelenkalender’ (Calendario dell’Anima) una volta a settimana mi desto.

   Questa mane è la volta della ‘Dritte Woche’ (terza settimana) di ‘Frühling’ (Primavera), che è proprio quello che mi ci vuole per risollevare il mio spirito tentato di depressione. La strofa in versi liberi è quella che, appresa a mente, sovente quasi giaculatoria mi ripetevo negli anni della giovanile esaltazione, e che riassume l’essenziale di quell’olismo, sentimento stordevole del proprio esserci nell’Esserci di tutte le cose, che animò e diede senso ai momenti più belli della mia vita.

   “Er spricht zum Weltenall / Sich selbst vergessend / Und seines Urstands eingedenk, / Des Menschen wachsend Ich: / In dir, befreiend mich / Aus meiner Eigenheiten Fessel, / Ergründe ich mein echtes Wesen”.

   “Così parla all’Universo, di sé dimenticandosi e memore del suo primordiale stato, l’IO dell’uomo in crescita: in te liberandomi dalle catene della mia particolarità, io scopro la mia vera Essenza.

 A questa strofa ero solito unire quella dello steineriano Arturo Onofri, finissimo poeta illuminato, trascurato dalla tronfia incultura post-bellica. Si tratta dell’inizio di ‘Terrestrità del Sole’, che con la seguente invocazione alla Natura steinerianamente recita:

   “Madre, ch’io mi dimentichi della mia forma arcana / per confondermi in te nella tua Vita immensa: / Ch’io rompa le strettoie della mia fosca tana, / ove sto nella triste obliquità che pensa, / per sentir nel mio sangue il brivido solare / della tua pura vita….”.

   Buon Tutto a tutti.

*

   Il musicologo Paolo Di Nicola, caro nostro amico e compaesano, mi fa sapere con gioia di essere finalmente riuscito ad avere dei biglietti per il tempio wagneriano di Bayreuth, il Festspielhaus  costruito in maggior parte per volontà dello sventurato Ludwig II di Baviera, ‘folle’, come è risaputo, di Wagner, ove dal 1876 si svolge un festival dedicato esclusivamente alle opere del Compositore lipsiense. Crepo d’invidia. Io ho tentato tutta la vita di averli, ma non mi è mai riuscito, nemmeno col …patrocinio di altissimi personaggi che ebbi, per via indiretta e per ragioni affettive, modo di frequentare: il festival di Bayreuth, mi si disse, rappresenta per chi vi è ammesso, uno status simbol,  un  palcoscenico per  oligarchi di tutto il mondo e relativi codazzi, la maggior parte dei quali non capisce un accidenti dell’arte di Euterpe, non può importargliene di meno, e a Frau Musica preferisce altro tipo di amanti. Pare, dice Paolo, che dall’anno scorso qualcosa sia cambiato. Me l’auguro per voi, amici miei. Io, ormai…

   Un’amara considerazione.

   Come rilevai, qualche tempo fa l’assenza, in un manifesto pubblicitario di una casa editrice musicale di Lipsia ove erano rappresentati  i più grandi musicisti dell’otto-novecento, di un italiano salvo Puccini, così noto che all’inaugurazione del Teatro wagneriano, che coincise con la prima rappresentazione assoluta di quel miracolo che per me rappresenta  la Tetralogia Der Ring des Nibelungen (L'anello del Nibelungo, 13- 17 agosto 1876, con Hans Richter direttore regia del compositore, Lilli Lehmann e Heinrich Vogl protagonisti alla presenza di Franz LisztEdvard GriegCésar CuiWalter DamroschHermann LeviNikolai RubinsteinAnton BrucknerGustav MahlerCamille Saint-SaënsFriedrich NietzscheLev Tolstoj, l'imperatore Guglielmo I di Germania e re Ludovico II; il critico musicale era Pyotr Ilyich Tchaikovsky.) anche qui nemmeno un italiano: eppure il mio amico Richard amò tantissimo l’Italia, fece di Ravello la sua Bayreut italiana, ammirò ed amò la sua storia, la sua cultura passata, anche musicale, in Italia, a Venezia, trasse l’ultimo respiro. E nell’anno del comune centenario girò un simpatico medaglione (che a me piacque tanto da farne uno dei più cari fermagli dei miei foulards) che ritraeva i loro due volti in un solo. Perché il mio amatissimo Richard non invitò almeno il suo coetaneo Verdi? O fu Verdi a rifiutare? Non me ne do pace.

*

   In una remota epoca  un simpatico già scheletrico, per non dire ischeletrito, Brother John, reduce dalle missioni delle Seychelles, tentò di farmi amare la imbarbarita, ai miei orecchi, lingua di Shakespeare (destinata a vieppiù imbastardirsi in bocca agli yenkees), anche attraverso delle canzoncine folkloristiche, una delle quali mi chiese un giorno di accompagnare al piano per i compagni di corso ignari di lettura musicale una canzoncina che mi piacque assai. Si trattava di un motivetto popolare in Inghilterra su testo di Charles  Kingsley e musica di ignoto (o di Kingsley stesso’). Kingsley era un fervente ecclesiastico anglicano ortodosso finito  cappellano della Regina Vittoria, zelante attivista socialista (ma la sua ideologia non gli impedì di essere un feroce razzista, soprattutto nei riguardi degli irlandesi, rei di reclamare l’indipendenza,  che  chiamava ‘repellenti scimpanzé’),  amico di Darwin e suo corrispondente. La canzoncina mi piacque ed era destinata a mai uscirmi di memoria. Negli anni l’ho anche usata come ninna nanna, fra le mille, per le mie figlie, e fatta spesso cantare dal mio Gruppo corale ‘Metanoesi’. Pure stamane mi sono alzato col motivetto nelle orecchie e tutto il giorno me lo sono involontariamente ricanticchiato (quando sogno musica, tutto il giorno non esco, chissà perché, mai di sogno). Eccone il delicato testo; per la musica dovrete contentarvi della mia trascrizione a mente, non so quanto fedele all’originale. In rete non l’ho trovata e non ho ancora imparato a riprodurre musica sull’ordinateur (il francese è un dispetto agli anglofoni), come lo chiamò nel Seicento quel geniaccio bigotto di Pascal, vero scopritore del diabolico aggeggio. Nelle poche frasi musicali è racchiusa una immensa malinconia. C’è un bambino che parte, e il papà o il nonno o la mamma hanno per lui un estremo dono: un bellissimo insegnamento di vita racchiuso in una malinconica melodia che non ha bisogno di essere scritta in tonalità minore per esprimere tutta la carica di sentimento che implica una separazione.

A FAREWELL

My fairest child, I have no song to give you;
No lark could pipe in skies so dull and gray;
Yet, if you will, one quiet hint I'll leave you,
For every day.

I'll tell you how to sing a clearer carol
Than lark who hails the dawn or breezy down
To earn yourself a purer poet's laurel
Than Shakespeare's crown.

Be good, sweet maid, and let who can be clever;
Do lovely things, not dream them, all day long;
And so make Life, and Death, and that For Ever,
One grand sweet song.

La melodia, che purtroppo non sono in grado di riprodurre qui, non è meno raffinata delle parole.

______________________  

  

   Chàirete Dàimones!

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Ridata visibilità a Dis-Incanti, comunicazione di Kika Joobs, con Muzio Attendolo e Vittoria Colonna a Pescara

Post n°1191 pubblicato il 14 Maggio 2024 da giuliosforza

 

1085

  ANNULLATO L'OSCURAMENTO DEL BLOG.

  Avevo appena finito di scrivere per fb:

   “Il Big Brother orwelliano continua nella sua opera di ag-gregazione ('ad-gregem') alias massificazione, alias ingreggiamento, e riattiva sotto altri nomi Indici e Roghi. Spiriti liberi, Allerta!

  quando mi è arrivata la seguente laconica comunicazione:

  ‘Ciao Giulio Sforza. Libero Community ha deciso di riattivare il tuo blog Dis-Incanti. A presto’.

  Tre giorni fa avevo a mia volta inviato la seguente lettera:

  Gentili Signori, Spett.le Italiaonline SPA,

  mi rivolgo a voi per contestare la sospensione del mio blog su Libero, avvenuta senza preavviso né specificazione esatta delle presunte violazioni che hanno condotto a tale decisione. In quale post è contenuto il testo incriminato? Non è dato sapere.

   Come creatore di contenuti dal 2008, ho sempre operato nel rispetto delle linee guida della piattaforma, ed è mia premura assicurarmi che i contenuti pubblicati siano conformi alle norme vigenti e rispettosi dei diritti altrui.

   Il mio blog non è solo un hobby, ma una componente essenziale della mia espressione personale e interazione con la comunità, particolarmente significativa anche vista la mia età avanzata. La sospensione improvvisa del servizio non solo mi ha privato di questo fondamentale strumento di comunicazione, ma mi sta anche causato notevole stress e disagio fisico per i quali spero di non dover ricorrere a cure mediche.

   Vi chiedo cortesemente di specificare quali contenuti del mio blog sono stati ritenuti una violazione delle normative, di indicarmi precisamente il post di blog contenente la violazione stessa,  fornendomi in tal modo la possibilità di rettificarlo, o al limite, se necessario, di cancellarlo e poi ripubblicarlo in forma modificata..

   Sollecito il ripristino immediato del servizio, come previsto dalle buone pratiche in materia di gestione dei contenuti e diritto di autore. La rimozione totale e immediata del blog senza specifiche indicazioni viola il principio di proporzionalità e giustizia, soprattutto considerando il lungo periodo durante il quale il blog è stato attivo e il rispetto dimostrato nei confronti delle norme comunitarie.

   Confido nella vostra collaborazione per risolvere questo malinteso e ripristinare il mio blog al più presto.    Resto in attesa di un vostro sollecito riscontro.

   Mi auguro non vogliate costringermi a ricorrere all’assistenza di un Legale.

   Cordiali saluti,

   Professor Giulio Sforza”.

    Sono felice che la brutta faccenda si sia risolta senza complicazioni. Ringrazio la Community di Libero per essersi dimostrata illuminata e sensibile e torno sereno e rassicurato al mio lavoro.  

 *

   Leggo su fb la seguente comunicazione di Kika Joobs:

   Ciao a tutti, spero stiate bene!

Volevo condividere con Voi un progetto speciale a cui Jimmi ed io stiamo lavorando di recente: il canale YouTube 'Julia Con La J':

https://www.youtube.com/@IngleseConJulia

   Su questo canale nostra figlia Julia insegna l'inglese di base ai bambini italiani, in modo divertente e coinvolgente, con l'aiuto di simpatici personaggi animati.

    È un'iniziativa che ci sta molto a cuore, e saremmo felici se poteste seguirci e supportarci!

   Ogni visualizzazione e condivisione é preziosa per noi e ci aiuta a far crescere questo progetto che, speriamo possa essere utile a tanti piccoli appassionati dell’inglese!

   Finisce che Julia con la J riconcilia con la lingua di Shakespeare anche quel bambinone novantunenne dal nome Giulio con la G suo dirimpettaio, che le vuole un sacco di bene, le fa tanti complimenti ed auguri, estensibili a mamma Francesca, a Papà Jimmi. per il successo della splendida iniziativa.

*

   Visto il carattere vagamente esoterico (nei personaggi riprodotti e nei simboli) degli anelli cartacei o metallici che uso per sciarpe e foulards, spesso mi si chiede se appartengo a qualche setta. Certo, rispondo, a una importante, aristocratica setta, aristocratica tanto da aver un sol membro: Giulio Sforza.

*

   Era di Maggio, a metà del percorso di mia vita, circa 45 anni fa, ed ero a Pescara a presiedere un Concorso Magistrale. Era il periodo più turbolento della mia vita, ma anche il più esaltante: il mio superomismo vitalistico era al suo apice, al suo apice la mia infatuazione bruniana e nicciana. Alla primissima alba, prima che il traffico impazzisse, ero solito passeggiare pensoso per le strade antiche e nuove della città del Vate e  soffermarmi a lungo a contemplare il sonnolento Pescara dal ponte “Risorgimento” che lo sovrasta e che collega l’antica Pescara e Castellamare, dalla cui fusione era nata la città moderna. Sul ponte pensavo a Muzio Attendolo Sforza, il capitano di ventura fondatore della stirpe, e alla poetessa animatrice, dopo la prematura morte del marito Fernando Francesco d’Avalos nella battaglia di Pavia del 1526, di salotti in odore d’eresia a Roma e nel Castello Aragonese ischitano: di quella Vittoria Colonna dico, che tal Michelagnolo Buonarroti, suo ammiratore e innamorato folle, aveva in una delle sue rime celebrato  come Un uomo in una donna, anzi uno Iddio. A Muzio e a Vittoria è dedicato il ponte Risorgimento che collega Corso Vittorio Emanuele con Viale Marconi con solenni scritte, recentemente dal comune restaurate. L’uno era affogato a quel punto del fiume nel 1424, quando il ponte era formato solo da barche malamente l’una all’altra accostate, nel tentativo di salvare dai flutti un suo cavaliere. Lasciava sette figli legittimi avuti da tre mogli, e dieci illegittimi, poi legittimati, avuti da diverse amanti, era diretto a L’Aquila per difenderla da capitani di ventura che se la contendevano. L’altra di Pescara fu duchessa perché moglie di Fernando Francesco d’Avalos marchese d’Ischia e di Pescara. In una di quelle albe pensai i versi esaltati che riportai sul modesto bastone di canna che quella mattina mi accompagnava, la cui impugnatura consisteva in un cimiero in miniatura che avevo acquistato in un mercatino di Porta Nuova e che sicuramente era appartenuto a un pupo di qualche teatrino siciliano…

   Questi i versi, di cui solo un poco mi pento:

   E in me riviva l’anima di Muzio

   E di Francesco. Di guerrieri stirpe

   E d’umanisti, della Pax Romana

   E delle rinascenti umanità

   Vindici illuminati,

   Ebbero i miei antenati

   Il rispetto del genio nel Da Vinci

   E in Jagellone barbaro l’ossequio

   Della forza brutale. Febo ed Ares

   In fraterno connubio

   Protessero gli alari

   Del castro longobardo,

   E una progenie al mondo generarono

   Che lo SFORZA ad esistere.

   Sia lode a te, guerriero generoso

   Che donasti la vita

   Nei gorghi del Pescara  (vetus urbis

   Numen, patris et vatis

   Flumen, due volte sacro

   A me) pel Cavaliero.

   E me proteggi nell’estremo agone

   Contro i gorghi del tempo, onde affogare

   Possa, Padre, e m’eterni

   Dell’Assoluto nel placato mare.

______________________  

  Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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Morte di Claude Held e di Michel Cosem, Oscuramento del blog

Post n°1190 pubblicato il 14 Maggio 2024 da giuliosforza

 

1084   

   Una tristissima notizia mi raggiunge. È scomparso il grande poeta e scrittore per l’infanzia Claude Held, che i miei lettori ben conoscono per aver partecipato, come amico e come relatore, alla maggior parte delle nostre Giornate internazionali di Studi e d’Arte. Con la sposa Jacqueline, coautrice di molti suoi testi internazionalmente noti, amava tantissimo Vivaro, sul cui nome, in gara con la consorte, scrisse un bell’acrostico che custodisco al Frainile. A una loro permanenza di vari giorni da noi dedicarono un fascicoletto poetico dal titolo “De Rome aux Abruzzes” (Collection “Lieu: encres vives”), che in sua memoria intendo pubblicare, in traduzione con testo originale a fronte, al più presto, a cura dell’Associazione culturale di Varia Umanità e musica ‘Vivarium’.

  Offenderei il suo laico lucido razionalismo se mi perdessi in lamentazioni funebri. Gli rimprovero solo d’avermi voluto precedere nel grande Salto (nel Vuoto, nel Tutto, in Dio?).

   In sua memoria porterò da oggi all’occhiello il distintivo ricordo del “10ème Marché de Poésie” (Juin 1992) che egli mi donò in ricordo di una fatata notte a Place Saint-Sulpice, dove il ‘Marché’ si teneva.    

________

Ho appena finito di scrivere questo di Claude che un’altra brutta notizia mi giunge attraverso internet. Ieri 10 maggio ricorreva l’undicesimo mese dalla morte di Michel Cosem (1939-20), poeta fondatore della rivista che ha pubblicato “De Rome aux Abruzzes”. Di lui si riporta la seguente poesia:

 Mort d'un poète

 Je reconnais l'impardonnable linceul

Celui qui coupe

et qui éloigne

Celui pour lequel nous ne sommes rien

Et qui emporte inéluctable

toutes les racines

tous les soleils

Pour un terrible amas de cendres

Riconosco l’imperdonabile sudario

Quello che tronca

e che allontana

Quello per il quale noi  siamo nulla

E che ineluttabile

Strappa via tutte le radici

Spegne tutti i soli

Per un terribile ammasso di ceneri.

 *

Un po’ di luce comincia a farsi sulla vicenda del mio blog oscurato. Libero mi fa sapere che io avrei violato alcune regole del lungo contratto  che colui che apre un blog implicitamente accetta, un articolo di esso in particolare. Accusa vaga che non specifica né la natura della violazione né l’articolo cui si fa riferimento. Naturalmente ho risposto con una lunga articolata lettera, con richiesta di immediata riaccensione del blog e indicazione precisa del post incriminato, in modo che io possa eventualmente correggere o eliminare in tutto o in parte il post o i post sotto accusa. Naturalmente ho anche accennato al gravissimo stress psicologico cui la vicenda mi sta sottoponendo, particolarmente pericoloso in un ultranovantenne.

   Qualche amico mi ha fatto notare una strana coincidenza: l’oscuramento sarebbe coinciso con la pubblicazione del post 1083 nel quale liberamente ma civilmente, anche se talvolta con un pizzico di ironia, dico la mia su un libro, molto presente in questo periodo sui media, di un noto giornalista che peraltro conosco e che ho sempre stimato e stimo per la sua vivacità e libertà di pensiero. Naturalmente mi rifìuto di vedere un rapporto fra i due eventi. Non riuscirei nemmeno a immaginarlo.      

*

   30 APRILE 2024: OSCURAMENTO, DOPO SEDICI ANNI DI VISIBILITA’, DEL MIO BLOG DIS-INCANTI.

   Segnalazione di qualche giorno fa su fb:

   Al momento di pubblicare il post 1084 del mio blog Dis-Incanti mi accorgo che il blog è dato da Libero introvabile.

   Da ormai due giorni è inaccessibile. Qualcuno mi spiega cosa può esser successo? Problema tecnico di Libero o virus o censura? Grazie

   A tutt’oggi nessuna risposta esauriente da Libero, pur sollecitata da varie parti, sicchè debbo ragionevolmente ritenere che ormai sia irrecuperabile. Scrivo su fb:

   Dunque il mio blog s'è volatilizzato e nemmeno il gestore Libero se lo spiega, o finge di non spiegarselo. Non capisco chi e come abbia potuto impossessarsi dei miei dati e farmi questo regalo, Eppure così innocuo e insignificante è quello che scrivo! A chi posso dare fastidio? Ma confesso che dopo sedici anni di conversazione con questo mio impersonale pubblico lo sentivo vicino e lo amavo, e perderlo mi ha dato un po' la sensazione di essere morto (o forse già lo sono e non me ne rendo conto?)

Comunque Chairete aèi Dàimones! Ora più che mai. A dispetto di tutto.

   P. S.

   Ma Il blog non è perso! Quasi presàgo, l'ho strappato all'etere e ridato in tre volumi alla amata carta per farne dono agli amici. Se camperò intendo pubblicare il quarto, insieme all'ultima raccolta poetica "La sera di Pan", entro la fine dell'anno.

   Nel frattempo una Laura si è fatta viva cosi:

   Sul tuo caso specifico sono necessarie delle analisi tecniche, ti chiediamo la cortesia di pazientare: ti ricontatteremo noi appena avremo una risposta. Cordiali saluti.

   Meglio di niente. Prima una tal Martina aveva scritto:

   Gentile Cliente,
   per capire meglio il problema ti chiediamo di fornirci maggiori dettagli, trascrivere eventuali errori che hai visto e, se puoi, allegarci degli screenshot (schermate).
 
   Segue un lungo elenco di norme:

  COME ACQUISIRE LE SCHERMATE SU PC

Sistemi Microsoft: premi il tasto “Stamp” sulla tastiera e poi incolla il contenuto (tasto Destro del mouse e “Incolla” oppure premendo i tasti “Ctrl” + “V”) in un documento come Word o Paint. In alternativa puoi usare lo Strumento di cattura di Windows o un software come Photoshop o Gimp.
   Sistemi Apple: premi i tasti Comando (
) + Maiuscole +3. L'istantanea viene salvata sulla scrivania come file .png. (maggiori info https://support.apple.com/it-it/HT201361)
 
   COME ACQUISIRE LE SCHERMATE SU CELLULARI E TABLET
- nei sistemi iOS, premi insieme i tasti Accensione e Home; quando senti uno scatto, l'immagine acquisita viene salvata nella cartella "Immagini"
Per i modelli Apple da iPhone X e successivi premi contemporaneamente i pulsanti Volume su e Power/Side Up. Verrà quindi acquisita una schermata e un’anteprima apparirà nella parte inferiore dello schermo
- nei sistemi Android, premi contemporaneamente e tieni premuti per 2 secondi i tasti Accensione e Home; quando senti uno scatto, l'immagine è salvata nella cartella "Galleria/Screenshots"
- nei sistemi Windows Phone, premi contemporaneamente il tasto Accensione e il tasto + del volume; l'immagine viene salvata nella cartella "Foto/Schermate"
 Per cortesia inviaci tutto rispondendo a questa segnalazione.

Cordiali saluti,
Martina

La vicenda ha tutta l’aria di un mistero incomprensibile ed irresolubile. Staremo a vedere. Intanto un’idea sul perché dell’oscuramento del mio blog senza preavviso e senza motivazione esplicita me la sto facendo. Forse ne vedremo delle belle.

Nell’attesa scrivo:

   Spett.le Italiaonline SPA

   Gentili Signori,

mi rivolgo a voi per contestare la sospensione del mio blog su Libero, avvenuta senza preavviso né specificazione esatta delle presunte violazioni che hanno condotto a tale decisione. In quale post è contenuto il testo incriminato? Non è dato sapere.

   Come creatore di contenuti dal 2008, ho sempre operato nel rispetto delle linee guida della piattaforma, ed è mia premura assicurarmi che i contenuti pubblicati siano conformi alle norme vigenti e rispettosi dei diritti altrui.

   Il mio blog non è solo un hobby, ma una componente essenziale della mia espressione personale e interazione con la comunità, particolarmente significativa anche vista la mia età avanzata. La sospensione improvvisa del servizio non solo mi ha privato di questo fondamentale strumento di comunicazione, ma mi sta anche causando notevole stress e disagio fisico, spero di non dover ricorrere a cure mediche a causa di questo.

   Vi chiedo cortesemente di specificare quali contenuti del mio blog sono stati ritenuti in violazione delle normative e di indicarmi precisamente il post di blog contenente la violazione, e fornirmi la possibilità di rettificarlo, o al limite cancellarlo e poi ripubblicarlo in forma modificata. Tale chiarimento è essenziale per permettermi di comprendere ed eventualmente rettificare.

   Sollecito il ripristino del servizio in attesa di una mia azione correttiva, come previsto dalle buone pratiche in materia di gestione dei contenuti e diritto di autore. La rimozione totale e immediata del blog senza specifiche indicazioni viola il principio di proporzionalità e giustizia, soprattutto considerando il lungo periodo durante il quale il blog è stato attivo e il rispetto dimostrato nei confronti delle norme comunitarie.

   Confido nella vostra collaborazione per risolvere questo malinteso e ripristinare il mio blog al più presto. Resto in attesa di un vostro sollecito riscontro e sono disponibile per qualsiasi ulteriore chiarimento possa essere utile a risolvere la situazione in maniera costruttiva.

   Mi auguro non vogliate rendermi necessario ricorrere all’assistenza di un Legale.

   Cordiali saluti,

   Professor Giulio Sforza

   Attendo gli ulteriori sviluppi

______________________  

  Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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Carlo III, Fantasma di Mastro Lavinio, 'O Signore dal tetto natio', il Nietzsche di Sandro Marano

Post n°1189 pubblicato il 30 Aprile 2024 da giuliosforza

 

1083

A proposito dell’incoronazione di Carlo III.

   Come ben sa chi mi conosce, non ho mai avuto simpatie per l’Inghilterra (retaggio della mia infanzia da balilla nella quale si fece di tutto per inculcarmi l’odio per la ‘perfida Albione’, anche attraverso un medaglione da appuntare sulla camicetta nera recante la scritta “Dio stramaledica gli Inglesi”) se si escludono la sua letteratura e la sua filosofia. Ho soprattutto odiato e odio i suoi secolari imperialismi e colonialismi, non ultimo quello linguistico, che ritengo responsabili delle maggior parte dei mali che ancora oggi affliggono il mondo. Eppure, eppure un signore inglese mi è sempre piaciuto e mi piace, un signore coltissimo, unico tra i regnanti inglesi laureato, antropologo archeologo storico, amantissimo delle arti e della musica in particolare, umanista sommo in senso pieno, che è stato incoronato re con una pompa anacronistica d’altri tempi sotto la solita pioggia battente (ma il Tamigi non tracima mai a trascinarsi con sé al mare il grande lordume anche morale di cui pare Londra trabocchi?).

   In un giorno d’agosto del 1991 assistevo, al palazzo del festival di Salisburgo (o di Lucerna, non mi sovviene, i due Festspiele  svolgendosi nello stesso periodo; anzi sicuramente di Lucerna, perché ero pellegrinante  a Tribschen, al suo parco sul lago e a quella splendida casa, ora museo,  per sei anni, dal 1866 al 1872, dimora di Wagner che in essa omaggiò, in una fatata alba natalizia, come dono di compleanno,  di quel gioiello del Siegfried-Idyll eseguito sullo scalone principale da un complesso cameristico, Cosima e i figli al loro arrivo), assistevo, dicevo,  ad uno spettacolo insolito di cui m’aveva fatto dono una amica assai influente, dotta e bella, e per l’occasione anche devota a Frau Musika: è risaputo  Bayreuth Salisburgo Lucerna essere stati per decenni, non so adesso, prenotati da commercianti uomini politici autocrati banchieri con relative corti e coorti, ostentanti il loro quasi monopolio dei Festival  come  simbolo della loro condizione sociale privilegiata, dell’ evento musicale  poco o niente sapendo, né per la verità importandogliene. Si trattava della rappresentazione insolita in forma di balletto, stupenda coreografia di Maurice Béjart, della bachiana Passione secondo Matteo. Io non ero molto preparato, psicologicamente, a godermela: ritenevo, aprioristicamente, un tale spettacolo una profanazione, e per di più, occupando uno dei primi posti in platea, ero costretto a osservare i piedi ignudi e sporchi dei ballerini, i loro volti e i loro corpi sudati: il che, ve l’assicuro, non era un gran bel vedere. Per questo motivo ogni tanto mi voltavo a controllare la reazione degli altri spettatori e mi meravigliavo della loro compostezza. E in una di quelle …retrospezioni mi accadde di osservare qualcosa di talmente inatteso da farmi sussultare: confuso tra la folla degli spettatori stava, compostissimo e attentissimo, il principe Carlo. In quel momento lo sentii quasi fraterno amico in Frau Musika, mi sentii sodale della sua Anima sensibile e bella.

    Per questo mi sarebbe piaciuto vedere la Passione secondo Matteo in forma di balletto proiettata sulla facciate di Buckingham Palace e dei palazzi di una Londra redenta, in luogo di tutto il ciarpame commonwealthiano sfilante per ore a suon di bande (ahi serva musica!), con ostentazione di  carrozze e lacché, per le strade nemmen tanto affollate di una Londra immersa nella bruma . 

   Che Incoronazione, ragazzi! Un Re incoronato da una delle sue veraci Amanti, quella da noi incoronata ‘Regina Musarum’!

   Che Fasto, che Re!  

*

   Ho rivagato fra i ruderi (foto Chiappi-Mendico 1903), ora in parte recupetati, del Castello Borghese del mio natio Borgo, alla ricerca del fantasma di Lavinio Ferruzzi, alias Mastro Lavinio, che ivi asserragliato osò, nel novembre 1798, insieme ad una manciata di villici animosi, sfidare le assedianti truppe francesi e la Storia con un cannone di sambuco (ora al Musée de l'Armeée alla Concorde) ed altri rustici attrezzi, ottenendone la distruzione del Castello sì, ma anche la gloria per sé e per i suoi discendenti.

   L'ho incontrato, il Fantasma, e gli ho chiesto protezione e intercessione per un suo discendente e il di lui suocero, né l'uno né l'altro propriamente papalini.

*

Due assolute novità stamane per me: Camille Saint-Saëns, Samson et Dalila; Verdi, Jérusalem, adattamento per il grand-Opera de I Lombardi alla prima crociata. Danza nell’harem fantastica e fantasmagorica. Preferisco l’O Signore dal tetto natio  (versione italiana) al Va pensiero del Nabucco. Alle mie prime vacanze dal collegio (il mio esilio in terra allobroga), tredicenne lo cantavo tutto il giorno, disteso sul letto mentre mamma al mattino sfaccendava nella casetta quasi baracca con giardino in miniatura annesso e gallina ruspante in Vicolo del Pigneto.  Le donne del vicinato interrompevano i lavori domestici e uscivano nel cortiletto condominiale per ascoltarmi. Dicevano ammirate: quanto è bravo, canta come un angelo, diventerà un grande cantante. Divenni solo un discreto direttore di cori polifonici amatoriali, poeta e filosofo della musica a tempo perso. Fu bene così. Frau Musica fu la mia appassionatissima Amante, non la mia petulante consorte. Fui fortunato.

*

   C’è vita e vita.

   Bíos: le condizioni, i modi in cui si svolge la nostra vita (quam vivimus). Zoé: la vita che è in noi e per mezzo della quale viviamo (qua vivimus). Qualunque vita non è vita senza il connubio universale-particolare. Vita come vita, vita come Vita. Non si tratta di un puro gioco di parole.

*   Trovo in rete una delle più riuscite sintesi del pensiero di Nietzsche. Me la rubo per averla facilmente a disposizione per le mie ricorrenti discussioni con ex alunni ed amici (non meno appassionate di quelle che tenevo nelle aule universitarie) con argomento il Folle di Rӧcken. L’autore è Sandro Marano, un “avvocato e scrittore, che ha pubblicato”, leggo, “svariati libri di narrativa, di poesia, di saggistica. Tra i primi: Il Burosauro e altri racconti (Fratelli Laterza, Bari 1989), Novelle per Gaia (Filbo, Bari 1996); tra i secondi: Difficile è la veglia (La Vallisa, Bari 2002), Frutta e liquori (Besa, Nardò 2007), Vaghe lettere di amore e di rabbia (Aletti, Villanova di Guidonia 2012), La via del ritorno (Tabula fati, Chieti 2019); tra i terzi: Lo stupore del mattino. Nietzsche ecologista (Schena, Fasano 1997), Pierre Drieu La Rochelle pellegrino del sogno (Pellegrini, Cosenza 2016), Meditazioni su una civiltà ferita (Solfanelli, Chieti 2017).
     “Nel 2019 con La via del ritorno ha conseguito il premio speciale ‘Parole & poesia’ per la poesia edita ed è stato selezionato tra i finalisti del Premio Majella di letteratura naturalistica.
     “Ama la storia e la poesia. È volontario e dirigente dell’associazione ecologista Fare Verde. Dice di sé:      «Amo passeggiare nei boschi. Credo che il tema del nostro tempo sia quello di riannodare il filo spezzato tra uomo e natura. Detesto l’economicismo e l’uomo a una dimensione. Considero l’arte una forma della felicità».

   Ignoravo Marano, autore che anche dal solo titolo dei suoi libri si rivela assai complesso e merita grande attenzione. Tenterò l’9mpossibile impresa di prolungare il mio tempo per godermelo almeno un poco.    Titolo del pezzo di Marano: Nietzsche oltre la crisi amando la vita e superando la condizione umana. Ne riporto qui la conclusione, che chiude la riflessione sull’inquietudine romantica del Nostro, sul rapporto apollineo-dionisiaco, sulla scoperta dell’importanza dell’inconscio, sull’esistenzialità della filosofia di colui che filosofava col martello.  

   (…)  “Professandosi immoralista, Nietzsche intendeva negare non solo una data morale, ma anche un tipo d’uomo ritenuto fino ad allora il più alto, non dissimulando la sua antipatia per chiunque disprezzasse la sessualità e il corpo; combattendo le filosofie pacifiste e qualunque etica avesse della felicità una nozione negativa, intesa cioè alla maniera di Leopardi come cessazione di uno stato di dolore o di bisogno; ritenendo che la passione e l’essere schietti sia cosa migliore dell’ipocrisia e dell’ossequio passivo alle regole sociali; prediligendo Napoleone e gli uomini del Rinascimento, in quanto spiriti forti, compiuti, sicuri, che diedero o cercarono di dare una direzione all’epoca nella quale vissero. Nietzsche era perfettamente consapevole della situazione di precarietà e di crisi dei suoi tempi, dove le vecchie concezioni del mondo erano ancora in parte esistenti e le nuove non avevano compattezza e coerenza, e per questo si poneva il grande quesito sul valore dell’esistenza. «Esiste un pessimismo della forza?» (9) vuol dire: in un mondo che ha voltato le spalle al Dio cristiano può sorgere un nuovo impulso a vivere, una nuova spiritualità, una filosofia del mattino? Racchiuse il senso e la portata della sua ricerca filosofica nella frase enigmatica: «Un solo sì, un solo no, una linea retta, una meta» (10), che può intendersi: sì alla vita, no a tutto ciò che la falsifica e la mistifica con la conseguente proposta d’una nuova tavola di valori che consentano all’uomo di «restare fedele alla terra». (11) Dietro quella che Evola giudica «la falsa svolta biologista di Nietzsche» (12) c’è invece, a nostro avviso, l’esigenza, posta in rilievo da Karl Löwith, di riannodare il filo spezzato tra uomo e mondo, c’è quello che noi riteniamo sia il possibile motivo di fondo del filosofare di Nietzsche, vale a dire la filosofia del mattino.
Non a caso nel primo discorso dello Zarathustra Nietzsche traccia sotto forma di parabola un itinerario insieme filosofico ed esistenziale: inizialmente lo spirito può paragonarsi ad un cammello, perché porta su di sé il peso di valori millenari. Si tratta di uno spirito vincolato dalle tradizioni, dalle credenze, dai pregiudizi. A questa fase segue quella in cui lo spirito si fa leone, si oppone cioè ai valori fino ad allora creduti e dominanti ed afferma la propria libertà. Infine lo spirito si trasforma in fanciullo, poiché il fanciullo «è innocenza, oblio, un ricominciare, un gioco, una ruota che gira da sé, un primo movimento, una santa affermazione». (13) Tutti e tre i momenti sono per il filosofo del superuomo dialetticamente necessari: «Chi deve essere un creatore nel bene e nel male in verità deve essere prima di tutto un distruttore di valori». (14) Chiunque voglia creare qualcosa di nuovo non può non infrangere i valori stabiliti, non può non rovesciare le antiche pietre di confine e i vecchi culti. Ma l’educazione alla libertà della ragione non è mai, per Nietzsche, fine a se stessa alla stregua delle tesi illuministiche e relativiste. La libertà “da” esige la libertà “per”. Lo spirito, una volta che si fa libero, non può fermarsi al momento della negazione, ha invece una meta da raggiungere, rappresentata da una nuova affermazione, da un diverso modo di porsi di fronte al mondo. Se è vero che noi neghiamo, è «perché qualcosa in noi vuole vivere ed affermarsi».” (15)

(Sandro Marano)

__________________

 9) F. Nietzsche, Saggio di un’autocritica in La nascita della tragedia, Laterza, 1971, p.28;
10 Nietzsche, L’anticristo, Newton Compton, 1977, p. 25;
11 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mursia, 1972, p. 19;
12 J. Evola, op.cit;
13 F. Nietzsche, op. cit., 105;
14 F. Nietzsche, op. cit., p. 31_32;
15 F. Nietzsche, La gaia scienza, af. 307.

______________________  

  Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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Buona Pasqua in greco, Cirillo "Racconti della Rivoluzione,Veneziani, risposta a Luft ecc

Post n°1188 pubblicato il 31 Marzo 2024 da giuliosforza

1082

Χριστός Ανέστη! Καλό Πάσχα σε όλους!

*

   Finalmente di Giorgio Cirillo, già mio alunno negli Anni Sessanta in un liceo classico della Capitale, poi giornalista e saggista Rai, è uscito l’interessante volume dedicato ai Racconti della Rivoluzione ungherese del 1956, al quale a lungo lavorò fra molte difficoltà, che rivela aspetti inediti, o volontariamente da storici ideologizzati sottaciuti, di quel tragico evento. Recita la nota editoriale di presentazione: «La Rivoluzione Ungherese dell’Ottobre del 1956 e la conseguente invasione sovietica del Paese appena proclamatosi libero, indipendente, democratico e, soprattutto, neutrale, sensibilizzò e appassionò per giorni e giorni, e in maniera travolgente, l’attenzione, l’apprensione e la commozione dell’opinione pubblica di tutto il mondo.
   L’intervento dell’Armata Rossa fu caratterizzato dall’impiego di decine e decine di carri armati e seguito da una feroce e sanguinosa repressione. Almeno 250.000 ungheresi, soprattutto giovani, riuscirono a sfuggire al carcere o al capestro varcando il confine del loro Paese con l’Austria e dando così vita a un imponente esodo di massa.
Il dibattito e l’aspro confronto politico-ideologico tra i sostenitori delle ragioni dei sovietici e dei comunisti ungheresi da una parte e chi bollava invece l’aggressione russa come un crimine contro l’umanità dall’altra, monopolizzarono e infiammarono a lungo il già acceso contrasto tra i partiti che definivano allora il panorama parlamentare e civile dell’Italia di quegli anni.
   L’imbarazzo e il disagio dei sostenitori della “dittatura del proletariato”, costretti a spiegare il come e il perché proprio i proletari magiari si fossero ribellati a quelli che a parole sarebbero dovuti essere un sistema e un governo sotto il loro controllo, fu grande e di non facile soluzione.
Altrettanto grande e difficile da gestire fu il turbamento e la perplessità di chi, parteggiando per quello che allora veniva definito il “mondo libero”, dovette prendere atto dell’inerzia, dell’indifferenza e della rassegnata passività di quello che, sempre allora, veniva qualificato come il “Blocco Occidentale”.
Gli uni e gli altri finirono dunque con lo stendere un impietoso quanto ipocrita velo di silenzio e di oblio sull’Ottobre  Ungherese.

   Questo libro si propone di squarciare quel velo raccontando alcune delle vicende più intime e personali di alcuni tra i tanti anonimi protagonisti di quelle vicende, mettendo a nudo le loro emozioni, i loro sentimenti, il loro dolore.
   Sempre attraverso vicende intime e personali, i racconti della seconda parte del libro si propongono invece di evidenziare come le conseguenze morali e culturali di quel forzato silenzio e di quella strumentale dimenticanza continuino a qualificare la morale imperante e la cultura dominante ancora ai nostri giorni».

  Attendo con curiosità di leggere la definitiva stesura di un’opera alla cui laboriosa gestazione, se non al suo felice parto, ebbi modo di assistere.

 *

   Grande delusione per me (forse proprio per questo il volumetto delizierà altri) il Vico dei miracoli dell’ ottimo giornalista e severo ma civilissimo polemista Marcello Veneziani. Più che di un libro su Vico (‘il più grande filosofo italiano’? - così il sottotitolo. Ohibò! Sicuramente il più grande piaggiatore, servile e piagnone tra i filosofi italiani, che seppe usare con maestria la retorica, di cui fu insegnante all’Università, per cercar di ingraziarsi potenti, nobili, ecclesiastici, molto spesso senza riuscirci) si tratta di un divertente e godibilissimo racconto sulla Napoli a lui contemporanea, la ‘napolitudine’ appunto, come efficacemente è titolato uno dei capitoli centrali. Ma probabilmente tale era l’intento dell’autore: non tediare il lettore con l’aspetto storico-filosofico della produzione vichiana e soprattutto coi PRINCIPJ DI SCIENZA NUOVA, i suoi corsi e  ricorsi, il suo ‘sentire senza avvertire, avvertire con animo commosso, riflettere con mente pura’ (i tre stadi percorsi dall’umanità nel suo evolversi) eccetera eccetera, e la presentissima trascendente Provvidenza (davvero scientifica questa Scienza Nuova!), vero deus ex machina per lo scioglimento dei nodi più complessi, delle situazioni più aggrovigliate della Storia. Per mia parte preferisco l’hegeliana List der Vernunft , quell’Astuzia della Ragione, che altro non è che Provvidenza immanentizzata.

   Ma il racconto di Veneziani probabilmente vuole esser solo un invito per i non iniziati ad avvicinarsi al grande Pensatore napoletano. Speriamo ci riesca.

   Quel “mignolo che penetra nell’orifizio della verità”

   La Scienza Nuova in   un simbolo …urologico secondo Veneziani.

   Per sintetizzare i contenuti della Scienza Nuova Veneziani ricorre ad una singolare simbologia di alto valore didattico, quella della mano. Peccato la ignorassi all’epoca del mio insegnamento nei licei, ove giovanotto scanzonato rivelavo a giovanotti altoborghesi scanzonati i segreti di Madama Sofia, o Madama Verità nel suo storico farsi. I miei giovanotti ne sarebbero rimasti segnati per tutta la vita. «Immaginate», scrive Veneziani, «La Scienza nuova come una mano aperta: il pollice è una storia ideale eterna e universale su cui sorge il diritto naturale delle genti al lume soprannaturale. L’indice addita una teologia civile ragionata della Provvidenza divina che interviene e indica un fine alla storia. Il medio è la Filosofia dell’autorità che lega la legge divina alla legge umana fondata sul certo. L’anulare è una storia generale delle scienze umane e delle quelle idee che si sposano coi fatti. Infine il mignolo che più sottilmente, direi filosoficamente, penetra nell’orifizio della verità e ne coglie quantomeno il senso, non potendo coglierla per intero» (Veneziani, Op cit, p.167)

   Quel mignolo che ‘penetra nell’orifizio della verità’ è una meraviglia. Mai immagine più icastica illustrò e sintetizzò la Filosofia e la sua Storia. Immagine …urologica.

   Scherzi a parte. In questa filosofia la Parola definitiva spetta alla Provvidenza, il cui agire è imperscrutabile. A che dunque l’umano affannarsi?  

   (Nella versione fb è riprodotta la foto delle due immagini illustrative altamente simboliche che Vico volle allegate al testo dell’edizione definitiva dell’opera che io posseggo contenuta nel prezioso volume Opere di Giambattista Vico, stampato in NAPOLI DALLA TIPOGRAFIA DELLA SIBILLA nel 1834, con una lunga introduzione di Giulio (sic, per Jules) Michelet.

*

   Mi pregate, mia cara Luft, e voi tutte,  mie curiose Lüfte, di riassumervi brevemente le tappe del tragitto culturale (o meglio spirituale, che è meno riduttivo). Eccovelo, brevissimamente.

   Nulla di rilevante fino al terzo decennio di mia vita, allorché mi imbatto in Bruno da Nola e in Nietzsche da Roecken che mi destano dal sonno dogmatico, in Heinrich von Hardenberg da Weissenfels, in arte Novalis, e in Gabriel Marcel da Parigi che impediscono alla navicella del mio ingegno di finir nelle secche della ‘Ragione oggettivante’, arida imperatrice dei deserti, e mi  indicano nella ‘Ragione partecipativa’, e nella conseguente ‘Comunione ontologica’, i sentieri che guidano all’Essenza e al disvelamento dell’Isi velata. Posizioni che mi inducono infine a rovesciare la Dialettica dello Spirito hegeliana: ds Arte Religione Filosofia a Religione Filosofia Arte. Idealismo romantico estetico.

   Vi basta? Contente? Allora aggiungerò, e vi deluderò, che in questa mia stravecchiezza tendo ormai al recupero di un pirronismo impreziosito di plotinismo a-gnostico, vale dire dell’epoké, o sospensione del giudizio. Posizione in fondo di gran comodo perché non obbliga a pronunciarsi per nessuna tesi che si pretenda definitivamente dimostrata. Dopo averne tante lette viste udite e fatte in una lunga vita è giusto che la stanchezza prenda il sopravvento.

*

   Dopo tre anni di clausura sono tornato a visitare il centro di Roma. Pessima impressione. Roma più vecchia e più sporca. L’Altare della Patria (l’“urinatoio di lusso” dei Futuristi) ancora più inguardabile per il nerume da inquinamento mai rimosso e per i monumenti bronzei che, persa l’ultima traccia dell’originale doratura, risultano ancora più tetri e funerei. Ho sempre anch’io detto male del capolavoro di Giuseppe Sacconi, soprattutto perché ha chiuso, principalmente per chi provenga da Via del Corso, la visione dei Fori.

   Ma almeno una cosa carina l’ho trovata: una originale manifestazione musicale nel cortile di Palazzo Valentini sulla quale mi voglio un poco trattenere.

   Si trattava del concerto di un’orchestra giovanile diretta da un brillantissimo Germano Neri che illustrava e contemporaneamente dirigeva una originale Quinta beethoveniana, movimento per movimento. Luogo il cortile di Palazzo Valentini, sede della Città metropolitana ex Provincia. Occasione la celebrazione della Giornata dell’UE, per la verità, vista la presenza, poco sentita (presenti alcuni funzionari della Città metropolitane e del Comune, qualche signora ostentante con poca grazia le sue grazie, e tre o quattro rappresentanti delle Amministrazioni periferiche). Meglio così. Un pubblico scelto fa piacere a Frau Musika, come tutte le grandi Signore vanitosetta. Introduceva signorilmente e spigliatamente il giovane vicesindaco metropolitano Pierluigi Sanna. Il direttore dell’orchestra giovanile EICO (‘Europa in-Canto’) ottimamente preparata, teneva quella che in verità era una lezione assai originale, dotta e nel contempo divulgativa, di Educazione all’Ascolto. Nulla di nuovo per me, che un seminario di educazione all’ascolto tenni per una ventina d’anni a Roma Tre, collegato ai temi dei Corsi di Pedagogia generale. Ma sì per Vittorio, il mio nipote recente acquisto di Frau Musika, determinato a carpirne e a goderne  tutti i più celati intimi segreti.

__________________                           

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano

 
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Renovabitur ut aquilae iuventus tua, Pegaso argenteo, ,Mascagni, il 'Flauto magico cinese' ed altro...

Post n°1187 pubblicato il 18 Marzo 2024 da giuliosforza

1081

   'Renovabitur ut aquilae iuventus tua' (Ps. 102,5)

   La compagnia di Frau Musika riprende a dar luce ai miei giorni.

   I gioielli della Rai, quasi della stessa rutilanza, radio3 radio classica rai5, ne sovrabbondano. Per essi la mia modesta dimora si ritrasforma in una chiara Ippocrene, la sorgente sgorgata là dove uno zoccolo del cavallo alato Pegaso sfiorò la roccia d’Elicona.

   Attorno alla mia domestica Ippocrene ridanzano le Muse e le Grazie, Apollo-Elios corifeo.

   Inanellatevi il medio sinistro col Pegaso argenteo e venite a danzare con le nove Sorelle, con le tre Grazie, con Elios e con me, attorno alla mia domestica solitaria Ippocrene

   E a cantare 'Domino canticum novum, quia mirabilia fecit' (Ps. 97,1)

P. S.

   Il Maestro Prof Federico Biscione chiede:

   “Inanellatevi il medio sinistro col Pegaso argenteo”… quale arcana tradizione, che sconosciuta e nuova mi giunge?

   Rispondo:

   Iniziai io l'arcana tradizione tanti anni fa a Pescara dove, dopo uno dei miei periodici pellegrinaggi alla Casa natale del Vate all'inizio di Corso Manthone', poco distante dal forno del padre di Flaiano, vicino al Caffè d'Amico (quello del Parrozzo: "Benedette d'Amiche e San Ciatte'! / O Ddie, quanno m'attacche a lu parrozze / ogni matine, pe' lu cannarozze / passe la sise de l'Abbruzze me'") vidi esposti in un negozietto indiano molto carino anche anelli decisamente poco indiani dedicati ai miti greci. Subito comprai quello di Pegaso che da quel giorno inanella il mio medio sinistro e fa compagnia a quello aureo del mignolo, riproduzione di un sigillo sforzesco, a quello egizio dell'eternità fatto riprodurre dal mio orafo per l'anulare, fermato da quello, ‘forgiato’ nei momenti morti in trincea in attesa della morte, che teneva al dito zio Antonio quando mio padre lo ritrovò decapitato fra i 5000 morti di Bligny, e a quello del mignolo destro dedicato a Goethe. Le altre dita sono libere e disponibili per gli anelli degli amori (delle infatuazioni) occasionali. Ne avevo uno assai carino a forma di ...Biscione visconteo-sforzesco, ma l'ho smarrito. Se lo (ti) ritrovassi lo (ti) destinerei tra i fissi all'anulare destro. Prega a questo fine per me.

   A Frau Musika sono riservati i foulards.

   La tradizione da me iniziata non ha avuto molta fortuna. Ora sono rimasto solo io e un'altra Persona che non dico. Ma in mia memoria potrebbe sempre da qualche Amico essere fatta risorgere!

 * 

    A proposito di Renovabitur ut aquilae iuventus tua. ( Psalm. 102,5)

   Leggo che Sant’Epifanio riteneva che l’aquila ringiovanisca tuffandosi nell’acqua. Io non ho difficoltà a legger nell’acqua la metafora dell’Oceano dell’Eterno nel quale tuffandoci un’altra giovinezza ci attende. Solo questa folle ipotesi mi dà la forza di continuare a vivere, senza disperare, i tempi tragici della mia estrema vecchiezza; l’approssimarsi a una nuova gioventù per la quale si possa gridare, con Colui che nell’Apocalisse siede sul trono della sua gloria, “Ecce nova facio omnia” (Ap. 21,5).*

 *  

   Di Susanna Egri Erbstein (1926), ungherese naturalizzata italiana,  Jeux, delizioso balletto a tre che rai5 trasmette a  rasserenare un’alba fredda triste e piovosa.

   Più in consonanza col tempo il Lied von der Erde, la grande opera postuma della Vittima del Destino e di …Alma Schindler Mahler (poi Gropius poi Werfel,) femme fatale  che con la sua bellezza la sua intelligenza la sua Arte (fu anche discreta musicista e compositrice di Lieder) condite di non poca civetteria ebbe la sua  parte nella  prematura scomparsa  del follemente innamorato e geloso marito, Musa ispiratrice di molti famosissimi artisti tra cui Klimt e l’amante Oscar  Kokoschka. Mi ricorda Clara Wieck Schumann, un'altra straordinaria creatura, che ho odiato per non aver reso felice Robert. Alle mie amiche femministe in questo non ho ceduto: nel convincimento che al Genio, femminile o maschile che sia, si deve esser pronti a sacrificare tutto, anche la vita.

*

   Giovanni Targini-Tozzetti e Guido Menasci, autori dei testi, e Mascagni, si sono davvero superati.  In un solo atto, che scorre liscio e garrulo come un ruscello a primavera nella prima parte (Stornello di Turiddu, Gli aranci olezzano, Viva il vino scintillante) per subito intorbidarsi nella seconda e precipitare come un torrente impazzito nella tragedia del tradimento e della gelosia mortali, son riusciti a condensare un lirismo sublime romantico e verista insieme, romanticamente verista e veristicamente romantico. E non dico dell’Intermezzo, una delle pagine più sublimi della musica d’Opera, anzi della musica tout court. Aspetto la prossima.  

*

   Andrea Liberovici, Trilogy in two. Un viaggio musicale che ha per tema la bellezza, affidato al talento vocale di Helga Davis, anche lei a me illustre sconosciuta, già protagonista, leggo, di Einstein on the Beach di Robert Wilson e Philip Glass. Non sapevo di Liberovici né della sua Trilogia in due. Quante cose originali mi sono in vita perso, un po’ per una (in)naturale diffidenza verso le novità non abbastanza sedimentate, di cui l’autunno del tempo potrebbe far presto seccumi, un po’ perché non mi basterebbe una eternità per finire di leggere o ascoltare quanto l’ingegno umano nei secoli ha partorito conferendo al mondo esistenza e senso e meritando attraverso l’Arte di eternarsi. Non bastando certo un ascolto occasionale per maturare una critica seria e credibile, mi affido umilmente all’anonimo in rete, con la riserva di verificarne la più o meno condivisibilità con la calma necessaria.

   Già il titolo potrebbe sembrare un enigma, evocativo delle ironie Dada o di Gertrude Stein, oppure semplicemente essere un gioco di parole sul fatto che lo spettacolo è diviso in due atti ma continua (segretamente) anche nell’intervallo. Con Trilogy in Two, Andrea Liberovici, compositore, regista, autore, prosegue l’indagine nel suo “teatro del suono” basato su stimoli narrativi e musicali liberi e personalissimi. Il lavoro amplia alcune suggestioni contenute nel precedente spettacolo, l’apprezzatissimo Faust’s Box: non solo c’è una continuità di elementi drammaturgici, ma stessa è la straordinaria protagonista, l’americana Helga Davis (già coprotagonista di Einstein on the Beach di Bob Wilson e Philip Glass) qui affiancata dallo Schallfeld Ensemble con la direzione musicale di Sara Caneva.

È un’opera mosaico, allora, un incastro di tasselli che compongono un disegno complesso, in cui si ritrova Faust, figura goethiana assolutamente reinventata, assieme ad altri personaggi o luoghi emblematici, veri archetipi europei.

   «Il tema dell’opera è l’identità europea, anch’essa costituita da mille tasselli diversi - spiega Liberovici - per questo, oltre Faust ecco Florence Nightingale, la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna; e infine Venezia simbolo di una architettura unica dell’ascolto. L’egoismo del primo; l’attenzione verso l’altro della seconda, contraltare ai nuovi razzismi; la bellezza oggettiva della città lagunare, che nella sua struttura fatta di acqua e mosaici, è testimone di ascolto e incontro, sono spunti per riflettere su ciò che chiamiamo Bellezza: la capitalista brama di possesso di Faust, l’umanesimo insito nella solidarietà di Nightingale, e Venezia che nasce dal fango su cui è costruita». Da qui, forse, si potrebbe ripartire per pensare a una nuova idea di Europa”. (Anonimo dalla rete).

 *

   Hans Bethge, da "Il flauto magico" cinese. Vi ha attinto Mahler.

   Sto trascorrendo questi giorni uggiosi di tempo maggiolino-novembrino nella lettura intensa e in un ascolto quasi ininterrotto.

   Mahler in questo periodo imperversa, non so se in occasione di qualche sua ricorrenza. E il Canto della Terra mi prende dal profondo. Lo riascolterò più volte, in questa mia Sera.

   Antonio Croce pittore, mio ex allievo e collaboratore, espone con successo. 

   Giovanni Piana, Filosofia della Musica (1991)

   Guido del Giudice, Gianmaria Ricchezza (a cura di), Giordano Bruno, La Cena delle Ceneri (Di Renzo Editore 2023). Da discutere

    Non tutti capolavori. Giovanni Piana farraginosissimo.

*  

   Fiore di nappa

   La sfera bianca quasi eterea composta di migliaia di semi pronti a spiccare il volo al primo alito di vento e che sembra la più fragile …Del mio mazzo di fiori campestri uno solo resiste ancora: l’Emilia sonchifolia, o fiore di nappa lilla o pennello da barba di Cupido. Quello che appare un batuffolo bianco di aria solidificata dai mille semini candidi pronti a disperdesi nel vento, si rivela non il più fragile ma il più tenace. Fallacia delle apparenze. 

   Stamane alla primissima alba, passeggiatore solitario io, solitaria lei, ho incontrato Primavera (tale Lei, l’innominata) nella sua policroma sensuale veste serica, intenta, novella Matelda, a raccoglier cantando fior da fiore nel suo giardino edenico. Mi ha splendidamente sorriso e regalato il bouquet che vedete ed ha voluto con me recarsi nelle mie stanze a profumarle dei suoi fiori e di Sé.

*

   Così, solitario, il bianco globo etereo dell’‘Emilia sonchifolia’, o ‘fiore di nappa lilla’, o “pennello da barba di Cupido” stanotte inaspettatamente apparso tra i fiori ormai appassiti del mio campestre bouquet, dà meglio l'idea della metafora metafisica in esso celata, quella dell'unità e della molteplicità nella loro fugace im-permanenza. Basterà un alito di vento, e il Tutto sarà ridissolto nella impersonalita' del Nulla donde lieve emerse. Precarietà e Levità dell'Essere e dell'Esserci.

*

   Puro cosmo di puro spirito, Levita' sbocciata nella notte. Fra poco si ridisperderà nel vento. Quale il suo nome? Fugacità.

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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Cedolins, heautontimerumenos, Palinodie ed altro

Post n°1186 pubblicato il 13 Marzo 2024 da giuliosforza

1080

   Oggi è un altro giorno.

   Quanto male dissi ieri della Bonfadelli, tanto bene dico oggi della Cedolins.  La Madama Butterfly in versione zeffirelliana all’Arena, oggi su rai5, con un Oren finalmente placato, e non, come al solito, scatenato, quasi non un insieme di musici dirigesse ma un battaglione di sionisti, è stata semplicemente stupenda grazie alla Cedolins e alla sua voce squillante, pura e trasparente come di cristallo, in-tonata perfettamente, non, come quella della Bonfadelli, sempre ‘periclitante’, casco e non casco, lì lì per finir sotto tono, s-tonata appunto.  Oggi mi sono goduto una Batterfly sfarzosa sì, nella scenografia e decorosa nella regia, ma soprattutto insuperabile nel canto di una Cedolins da me sempre trascurata, se non ignorata. Doverosa ammenda.

   Quest’episodio mi spinge ad alcune considerazioni generali. La mia età è quella che suol dirsi dei rendiconti, degli esami di coscienza, delle revisioni. Ogni uomo, alla mia età è portato ad essere heautontimerumenos, punitor di se stesso, è portato alle palinodie, più o meno clamorose. Io ora ci andrei prudente. L’approssimarsi della fine è causa naturale, già di per se stessa, di depressioni devastanti che rendono la vecchiaia insopportabile (senectus ipsa morbus), vera morte cosciente prima della morte incosciente, l’atto dell’estinguersi essendo naturale, dopo l’accensione, come lo spegnersi di una candela. L’esercizio di preparazione alla morte come è previsto nei manuali religiosi, almeno quelli nostri climi, è l’atto più sadico che possa commettersi nei riguardi del morituro, e non dico del moribondo. Mai dunque ripensare il passato, cari amici miei coetanei, per soffrirne. Ripensarlo per goderne, per vivere la vecchiaia come si vive un lauto banchetto alla sua fine, con un brindisi alla Vita al suo apice.

   E dopo sia quello che sia (“enfer ou ciel, qu’importe? N’est-ce pas, Charles?). Vecchiaia come ultima sbornia di Vita.

*  

Luciano Pranzetti dedica a me i suoi “Apophtegmata” (Apophtegmatum ac dignorum memoratu versuum ex Vergilii Aeneide flores selecti, Florilegio delle massime e dei versi degni da ricordare tratti dall’Eneide di Virgilio- ristampa 2023, Centro Incontri Culturali di Civitavecchia) con queste troppo lusinghiere parole:

Julio Sforza, magistro summo,

qui mira institutione

me gymanasii discipulum

primo rore discipulum aluit,

et postea, universitatis tempore,

me in Musarum famulum perfecit,

hunc, animo cordeque grato,

laborem dico.

   Ancora una volta generosissimo Luciano Pranzetti, di cui più volte in questi spazi ho celebrato il presso che miracoloso ingegno, esalta la mia vecchiezza e mi fa partecipe della sua immortalità.

   Grazie Luciano. I tuoi doni mi ravvivano.

 * 

   Or non è molto ebbi da ridire sulla Madonnina del ‘Parco della Speranza’ prigioniera, e ne invocai la liberazione dalle gretole ferrigne da gabbia da zoo determinanti la piccola isola in un oceano di verde a Lei riservata, isola e oceano deturpando. Oggi ho modo di ridirne, ma in un contesto più sereno e pacato.

   Fa bene al cuore ogni tanto incorrere, fra le migliaia di associazioni così dette umanitarie che, approfittando della dabbenaggine di buona parte del pubblico televisivo, imperversano da tutti gli schermi e i microfoni del mondo,  mercificano  immagini di bambini d’ogni colore malati e sottonutriti,  radunano tesori inestimabili che non si sa, o troppo bene si sa, che fine facciano, fa bene incorrere in modeste associazioni di volontariato che si prendono cura degli spazi verdi pubblici che attorniano il loro quartiere, e tendono la mano per un modesto 5 per mille da destinare al sostegno della loro benemerita attività. Nel mio giovane quartiere molto è il verde, che senza l’opera dei volontari diventerebbe una giungla di cinghiali, volpi, serpenti e forse lupi, come già avviene nelle vicine riserve naturali della Marcigliana e di Tor San Giovanni. Cinque sono i piccoli parchi vicino casa, che mi hanno passeggiatore solitario in quasi ogni alba con solo qualche cagnolino o cagnolone e rispettivi accompagnatori (non tutta gente civile, spesso villani mal inciviliti nei quali i poveri cani hanno avuto la sfortuna di incappare), tutti tranne uno intitolati ad artisti (musicisti di musica leggera e attori) tre dei quali donne. Il più piccolo, ma più antico e curato (ospita addirittura della svelte betulle) è il parco delle tartarughe, che mi godo dal mio balcone e rinfresca d’amorevoli ombre il mio studio; ancora in faticosa formazione quello dedicato al povero forse troppo celebrato Rino Gaetano; un terzo, ancora semi selvaggio (se si escludono le zone abusivamente -fortunatamente in questo caso- recintate e adibite a piccoli orti e frutteti, uno dei quali è molto ben curato da un mio ex alunno ormai ottantenne da poco ritrovato) che sale da via Tina de Lorenzo e guarda al grande Parco delle Sabine, in zona Fidene e Colle Salario; un quarto è attraversato da via Rosina Anselmi e via Amalia Bettini;  e un quinto, quello detto della Speranza, in omaggio alla ‘Vergine della Speranza’ la cui statuetta abbella, circondata di rose e fiori d’ogni genere, il parco nel suo punto più alto. Quale sarebbe la quarta Artista dedicataria? Ma naturalmente Lei, la più grande, Colei il cui capolavoro fu addirittura il Figlio di Dio, la Vergine Madre figlia di suo Figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio; Colei che è tanto grande e tanto vale, che qual vuol grazia e a Lei non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali.

   Corro a destinare al suo parco il mio 5 per mille.  

*

Ho sognato papa Francesco. Ora i miei sogni stanno esagerando. Era nella stanzetta accanto alla sagrestia, quella nella quale noi chierichetti, rischiando i calci nel sedere e gli scappellotti del caro Monsignor Don Vincenzo, parroco ineccepibile e zelante assai ma anche assai manesco e …pedesco, ci appostavamo per rubare i ritagli d’ostia destinati ai più bravi, della Chiesa di San Biagio del mio paese, voluta negli anni Dieci del Novecento dalla magnificenza del compaesano cardinale Angelo Di Pietro, grande diplomatico in Germania e in Spagna, che ebbe voti al conclave dal quale poi sarebbe uscito l’accanito antimodernista Pio X; benevolenza e magnificenza non gradite a quei ‘magnati’ locali che, tramanda la vox populi non so quanto credibile e documentabile, si rifiutarono di cedere gli spazi necessari perché la chiesetta di campagna diventasse la grande basilica nella sua mente progettata, motivo per cui si sarebbe rifiutato di andare a inaugurala. Il Bergoglio del sogno era in veste bianca dimessa e spiegazzata e macchiata d’unto in più parti, e parlava familiarmente con noi, e confessava confidenzialmente, senza le solite formali tiritere del che hai fatto, quante volte l’hai fatto, va e non peccare più, ego te absolvo ecc, da un angolo della stanza e non nel chiuso del confessionale. Più una chiacchierata che un Sacramento. Mi sono svegliato semiriconciliato col Papa gesuita, che mi fu agli inizi assai antipatico, quella antipatia motivando con una certa maliziosa e divertita acredine in varie parti del mio Diario virtuale. Non ha senso che gli chieda ora scusa. Delle scuse di un ignoto scribacchino non saprebbe che farsi..

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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Ennesima 'Traviata' con la Bonfadelli, Bruson, Domingo ed altro

Post n°1185 pubblicato il 09 Marzo 2024 da giuliosforza

 

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La  "piccola" Violetta  di porcellana di Zeffirelli   «Una bambola di porcellana in una confezione di plastica rotante.  Questa Traviata messa in scena da Zeffirelli a Busseto. La Bonfadelli è stata una Violetta vocalmente efficace, poco brillante all'inizio, ma cresciuta e a tratti emozionante. Scott Piper un Alfredo a senso unico, Bruson e Domingo (alla guida di una Toscanini mediocre) sono Bruson e Domingo, appunto. La regia ha espresso alto virtuosismo e gusto a tratti stucchevole, fascinoso ma sterile. Un mare di applausi alla fine».   Così il critico Alessandro Rigolli introduce una lunga recensione della  “Traviata” trasmessa da rai 5 il 7 marzo dal Teatro Giuseppe Verdi di Busseto, una recensione  molto positiva anche per quanto riguarda la Bonfadelli, oltre che naturalmente lo stupendo Bruson nella parte di Germont padre e Placido Domingo direttore (di cui io ebbi a scrivere che avrebbe fatto meglio a restare cantante). E prosegue Rigolli:    «Sul piano vocale, Stefania Bonfadelli ha proposto una Violetta spigliata, vocalmente efficace se non a tratti fascinosa, emersa a pieno negli atti secondo e terzo, dove le venature brunite che nutrono una voce ben controllata riescono a stemperarsi in modo adeguato».    Io non condivido affatto l’opinione sulla figlia adottiva di Franca Valeri. L’ho trovata quasi sempre al limite . del sottotono nei confronti dell’orchestra, ed ho trascorso le due ora dell’ascolto in continua sofferenza. Persino il mio orecchio sinistro da anni completamente sordo ne percepiva il pericolo. La stessa impressione sulla voce del soprano ebbi tanti anni fa quando la senti affrontare una Adriana Lecouvreur, penso fosse il suo debutto, al Teatro Vespasiano di Rieti in occasione dell’annuale Festival ‘Battistini’ patrocinato dalla madre adottiva. Persino Bruno Cagli, il critico musicale presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, che mi sedeva accanto, era d’accordo con me. E Cagli non era sordo. Ora mi pare, seppure ancora giovane, che abbia spesso di cantare e leggo essersi data alla docenza. Scelta intelligente. E ancora il critico: «Sul piano vocale, Stefania Bonfadelli ha proposto una Violetta spigliata, vocalmente efficace se non a tratti fascinosa, emersa a pieno negli atti secondo e terzo, dove le venature brunite che nutrono una voce ben controllata riescono a stemperarsi in modo adeguato sempre il rischio di ingombrare eccessivamente un palcoscenico dalle dimensioni comunque limitate, dall'altro riusciva a non distogliere l'attenzione dai due protagonisti dell'opera, anche quando, per esempio, i colori e i caratteri - crediamo volutamente marcati - ostentati nella festa a casa di Flora si intrecciavano all'intervento coreografico de "La corrala”».    Non vengono meno le mie riserve.*

   Storia di eversioni e sovversioni

   Celie, ma non tanto, di un ‘eversivo’ sui generis, teorico della Theofagia.

   Un mio meraviglioso ex allievo, poeta e mistico, eremita quanto basta, monaco quanto basta,  cenobita quanto basta, e nel contempo infaticabile uomo d’azione,  sommovitore, e ‘corruttore’ di coscienze, che di sé onora e santifica la Terra calabra, mi ha ricordato di essere stato  sconvolto, poi esaltato, tanti anni fa,  da una parola che io usai in uno dei primi nostri incontri all’Università nel quale si discorreva della incongruità di un vegetarianesimo e di un ambientalismo privi di premesse, sostanza e giustificazione filosofiche: la parola era  Theofagia, la più naturale delle conseguenze di una concezione monistica della Natura che fa di ogni essere un essere vivente anzi divino, quella che dai primi monisti, partendo dal Plotino del pròodos e dell’epistrophé, lo Spinoza del Deus sive Natura, definitivamente verrà ri-assunta dai romantici nella Dialettica dello Spirito,  o dell’Uno

   Dovrò prima o poi scrivere, se me ne resterà il tempo, una piccola storia del mio ‘sovversivismo’.

   In un  mio recente intervento ad una tavola rotonda su argomenti ambientalisti di moda, io naturalmente ho detto di ciò che so, di cui so dire, di ciò che ho sempre variamente detto intorno ad un concetto di Natura  recuperanda, con  un approccio filosofico, laicamente ‘teologico’, latamente e strettamente estetico e modernamente, cioè nello spirito del falsificazionismo popperiano, scientifico,  alla sua …naturale essenza primigenia (Urnatur), che non è quella dei piagnistei ambientalistici di tutto il mondo; l’ho detto nel mio solito stile divertito e dissacrante di denuncia, col Francis Bacon del Novum Organum, degli idola specus tribus fori theatri, e col Seneca del De vita beata, dell’istinto di aggregazione (ad gregem), per il quale pecorum ritu siamo spinti a seguire antecedentium gregem, pergentes non quo eundnum est, sed qua itur. Naturalmente dai pochi che mi hanno capito, o han creduto di capirmi, mi è stato dato ancora una volta del sovversivo. E, colmo dei colmi, un sovversivo novantenne. Prendermela? E perché mai? Ho ringraziato per l’implicita lode contenuta nell’accusa. Mi sono divertito a rincarare la dose ironizzando sull’invasamento ambientalista dell’adolescente visionaria Greta Thunberg, una furbetta che non ti dico, e sulla conseguente istrionesca isteria collettiva conseguitane, uno dei più vistosi fenomeni di rimbambimento globale.

   Sì, ribelle ci sono nato e ho passato la vita a ribellarmi, cioè a …pensare. Che è pensare se non sovvertire un ordine, anche un presunto ordine cosmico, prestabilito? Che nasco a fare ad un mondo che non sia nuovo con me della mia novità, con me da me tutto da crearsi? Non corrisponde forse la mia vera nascita alla nascita del mio Pensiero, attualisticamente, gentilianamente, pensante? Non forse, l’ho ripetuto per una vita fino alla nausea, lo scopo del nostro esserci nel mondo è arrivare a poter dire come  Atem a Suleika (Goethe, Divano occidentale orientale) Allah braucht nicht zu schaffen, wir eschaffen seine Welt, Allah non ha bisogno di creare, noi creiamo il suo mondo? Giorno per giorno, con mani tremanti, ti costruiamo Dio ,pietra su pietra? (Rainer Maria Rilke, La cattedrale). Non forse questo Allah stesso s’aspetta di sentire da noi, per non pentirsi d’averci creato, creato per nulla?

   Ma per oggi basta con sofismi e filosofemi, dei quali non ho difficoltà ad autosospettarmi.

 *

   (A commento di una foto che coglie, seduti sulla stessa panchina, me che leggo e due fanciulli che smanettano sul cellulare navigando nella intemporalità e aspazialità della rete).

   Seduti sulla stessa panchina, vicinissimi ma distanti anni luce. Io a rileggere con occhio attento ‘La cena de le ceneri’ bruniana resa in italiano moderno (Di Renzo Editore 2023) a cura di Guido del Giudice e Gianmario Ricchezza; e a prender prima critica visione della ‘Filosofia della musica’ (post schӧmberghiana) di Giovanni Piana (Guerini e associati, Milano 1991), due testi alla mia comprensione aperti ma ovviamente preistorici  per i due fanciulli, smanettanti, serioso il più grande, divertito il più piccino californiano, sul cellulare; i miei kantiani apriori della sensibilità (spazio e tempo) e le mie mentali categorie, i trascendentali dell’intelletto, non sono più i loro: conseguente impossibilità di comunicazione e di comprensione tra le generazioni, improbabilità, anzi felice inutilità, di tutte le pedagogie.

   Due realtà fisiche apparentemente prossime sulla stessa panchina in piazza del Belvedere, due universi che più fra sé distanti non si può.

   Urgenza di Metantropologia.

 *  

   Dis-avventure rusticane.

   Invitato a un anomalo ‘symposion’ dal presidente di uno di quegli enti ormai inutili detti Università Agrarie - ora Domini Collettivi (nello specifico l’U. A. del mio natio borgo selvaggio, creata nel 1910 in seguito al riscatto, con donazione al Comune, alla chiesa e alla popolazione, dei boschi e dei terreni da semina o da pascolo ancora proprietà dei Borghese, dall’oriundo cardinale Angelo Di Pietro, diplomatico eccellente in America Latina, Spagna e Germania, che ebbe voti al conclave da cui sarebbe uscito il discusso antimodernista, per molti oscurantista, Pio X) per dire di “Novantenni e 'De consolatione philosophiae'” nella cornice di una strana ‘Festa dei novantenni’, dedicata ai compaesani vivi o morti nati nel 1933 (trentadue in tutto, di cui tre o quattro, me compreso, ancora calcanti il suolo della bella Terra) ebbi la cattiva idea, l’ingenuità e, debbo proprio dirlo, la magnanimità di accettare; e il sullodato presidente per onorarmi, dice lui, per un maliziosetto dispettuccio, dico io, mi destinò ultimo dei relatori, sicché non ebbi il tempo, per gli sforamenti dei precedenti, di dire quasi nulla di quanto m’ero preparato a dire tra il serio e il faceto, per vari motivi: primo, l’assenza di novantenni, tranne me, che dunque ero soggetto, insieme, e unico oggetto della mia … 'magistralis lectio'; secondo, il via vai di pubblico nel bar osteria che ci ospitava e che più che bar somigliava ad un caravanserraglio; terzo, l’assenza di un, dico uno rappresentante dell’ente (presidente escluso, per altro indaffaratissimo, dopo il suo intervento su ‘Età dello sviluppo; origine e cause dell’alta e bassa statura’, a far su e giù tra il bar e la ‘piazza del belvedere’ soprastante, per controllare a che punto fosse la preparazione del ricco rinfresco previsto ad opera di pochi volenterosi membri femminili dell’istituzione).         Terminate le altre relazioni, l’una dedicata al tema ‘Symposion da Atene a Vivaro: storia evoluzione e fortuna di una istituzione greca’, l’altra, di un noto chirurgo accademico, storico quindicennale sindaco di un vicino villaggio, su ‘Come cambia la popolazione in Italia e nel mondo: analisi e prospettive’(tutti interventi di alta natura speculativa, come si vede) fu finalmente la mia volta che m’ero proposto di dire, supportando il mio sproloquio di citazioni classiche greche latine francesi e tedesche, di una 'pars destruens' e di una 'pars construens', e di argomentare il più lievemente possibile per un pubblico disinformato annoiato e distratto sui 'pro' e i 'contra' di un invecchiamento ad oltranza. Stanco dell’attesa e già in calo di zuccheri, iniziai impudentemente con una premessa polemica sulla farraginosità degli argomenti, coi quali il mio non aveva nulla a che fare, sulla inadeguatezza dell’ambiente che ci accoglieva, sul tipo di pubblico già stanco frastornato e impreparato per una concione filosofico-letteraria, e nervosamente passai alla premessa con una veemenza per la verità a me non insolita, in grado di dar subito un pugno allo stomaco agli spettatori sonnacchiosi; ma non molto passò che fui bloccato dall’apparizione di una signora del rinfresco, di certo ambasciatrice del presidente, che annunciava tutto essere pronto su in piazza Belvedere e doversi perciò por fine al pomeriggio simposiale, per passare a quello mangereccio. Immaginate la mia reazione? 'Raunai le fronde sparte'' dei miei disordinati appunti, salutai e sparii, dimenticando di lasciare il piccolo omaggio che a nome della mia Associazione avevo fatto stampare dal  tipografo Enrico come saluto alla consorella agraria: una cartolina riproducente l’incisione  di un Vegliardo che lentamente avanza sorreggendosi ad un girello. In essa Giuntalodi da Prato, il grande artista pittore incisore e ingegnere rinascimentale di cui avevo avuto notizia dal mio Gabri (dal mio 'Ermapollodionisiopescarese', dal quale appresi buona parte delle notizie rare e delle bellezze non solo al vasto pubblico dei non addetti celate, di cui mi sono nutrito nei miei lunghi anni di invasamento) fa un sunto di uno degli aspetti, se non del fondamentale, del tema che avrei trattato. Delle scritte che accompagnano il disegno ('Anchora inparo', sic, al centro, 'tam diu discendum est quam diu vivas' in alto a destra, 'vis pueri senex' in basso a sinistra, accanto a un bimbo anche lui sul girello), mi sarei servito per buona parte dell’esposizione e, 'coup de théâtre', per le conclusioni. Le quali, col testo integrale di quello che avrebbe dovuto rappresentare il mio trionfo oratorio, non voglio vadano disperse: non si disperde la grazia di Dio e non si gettano le perle ai porci! Seriamente parlando, è mio proposito dedicare al non detto un post intero di questo mio 'Dis-Incanti', così che l’etere tutto sappia della mia disavventura (perché tale fu e non altro) all’osteria del Belvedere.

P. S.

Il verso dantesco col quale, sulla cartolina, fuori bordo civetto col -mi mutato in -ci ('fannoci onore e di ciò fanno bene), va inteso come pronunciato dai vegliardi che l’U. A. avrebbe inteso celebrare. Ma vistosi che l’unico vegliardo presente ero io, avrei potuto tranquillamente scrivere fannomi onore e di ciò fanno bene!

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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Nostalgie turanensi

Post n°1184 pubblicato il 03 Marzo 2024 da giuliosforza

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    Nostalgie

    Conobbi cento anni fa una signora da tutti chiamata semplicemente Donna Assunta. E quel nobile titolo ben le si addiceva. Nobilmente gestiva con suo marito, i figli,  i nipoti, un ristorante sulla riva di un bel lago, nato per incanto nella vale una volta ubertosa d’olivi e viti e di ogni genere di vita animale e vegetale, un vero giardino edenico: il lago artificiale del Turano, destinato,  col suo gemello lago del Salto, ad alimentare le centrali elettriche del reatino: uno scempio naturalistico risoltosi provvidenzialmente in un ricamo d’acque trasparenti (ché tale esso appare, dall’alto dei borghi che gli fanno corona); uno specchio d’acqua che la generosa dea Fauna fece ricco di trote persici carpe cavedani lucci anguille, per la gioia dei pescatori-ristoratori di Colle di Tora, Castel di Tora, Posticciola,  Montegiove, Paganico, Ascrea, Collalto Sabino et coetera i cui territori scendono in esso a bagnarsi, e di tutte la amene locande (quella storica di Lontero padre di Katiuscia mia ex allieva anch’essa -prolifiche di mie studentesse a Roma3 furono  la Valle e l’attiguo altipiano del Cavaliere, ignoro se per caso o per…fama!- la nuova e un poco …dandy, se una tale attributo può  addirsi ad un sito, detta ‘del Poeta’, e infine  l’‘Agriturismo Ferramosca’, immerso nei castagneti entro i quali mea la strada tortuosa e ombrosa che guida a Turania, già Petescia) disseminate lungo il  percorso che passo passo segue l’aprirsi e snodarsi, sinuosamente, del lago.

   Il ristorante di Donna Assunta, in Località Zingari, è ora un elegante e raccolto B&B, con annesso Home Restaurant, per volontà dell’erede dottoressa Nicolina Petroni, dirigente medico oculista al Pertini di Roma, e della sua figliola  Silvia Lo Giudice, soprano lirico in arte Silvia Lo (in famiglia dunque Luce e Suono si disposano!), la cui bella voce udii diffondersi nell’aria in una notte serena  in occasione di un  concerto vocale pensato dalla mia anche lei ex allieva professoressa Maria Pia Mercuri sindaca di Collalto, intima di Euterpe e genitrice di una progenie lirica, preparato e accompagnato al piano dal Maestro italo-argentino Rolando Nicolosi. Profonda era la notte agostana, fiabesca l’ambientazione: la corte del Castello baronale di Collalto dall’acustica perfetta, donde le voci e i suoni venivano magicamente rilanciati alle Costellazioni da una benevola Eco che, abbandonati quella notte per noi Febo, Latona, Diòniso, Pan e le sorelle Oreadi, restituiva Frau Musika, come Urklang, Suono primigenio, alla Musica dei Mondi.

   Son sicuro che quella notte anche Donna Assunta era fra noi, memore delle serate-nottate apollineo-dionisiache vissute nel suo Ristorante da uno scalmanato gruppo misto di avventori vivaresi e amici, residenti o villeggianti, fra cui il sottoscritto.

   Il B&B “Nonna Assunta” è situato in territorio di Collegiove, alla confluenza della Turanense con la   strada orviniese pozzagliese pietrafortese, che attraverso poggi e forre, selve e vigne, castagneti e querceti e pendici dirupate, scende al lago ancor quasi fiume, e attraverso un ponte si disposa alla provinciale Carsoli-Rieti che con la grazia l’eleganza e la scioltezza sinuosa di un serpente, superata  la diga a Posticciola, s’avvia, tra i colori e i profumi di una ormai espugnata Sabina (ché piena Sabina in ogni suo aspetto  appaiono Rocca Sinibalda, Stipes, Belmonte), alla conquista della statale 4 via Salaria, alle porte dell’Italiae Umbilicus.

   Al ristorante di Donna Assunta, mitico nel mio ricordo, dai borghi dei dintorni accorrevano avventori di ogni tipo (lavoratori, pensionati, giovani scapestrati, professori dallo spirito ancora goliardico) amanti della buona tavola e del buon vino. Ed ivi tutta la notte era un risuonare di canzoni popolari di ogni genere, d’amore, di guerra, del lavoro, d’emigrazione, che colmavano i silenzi delle notti illuni e di quelle stellate, e che anch’esse l’oreade Eco fino all’alba faceva risuonare per i colli e le convalli.

  Io fui frequentatore assiduo e assai attivo, per …voracità e vocalità, delle serate da ‘Donna Assunta’. Ero tra i più giovani e resistenti della combriccola, i cui componenti, tutti a me carissimi,  già da tempo mi hanno abbandonato in questa valle per grazia degli Dei di non solo lacrime, e spesso al mattino seguente mi rimanevano ancora energie bastanti  per precipitarmi  a trascorrere un’altra giornata memorabile a Colle di Tora ‘dal Pescatore’ (più volte su questi spazi m’è avvenuto di narrare i non sempre piacevoli esiti di quelle gesta pantagrueliche) padre di un’altra mia ex allieva, Emanuela, già docente al Liceo psico-socio-pedagogico di Rieti, ora  gestore, insieme alle figlie Ilenia, ricercatrice stabilizzata presso il Policlinico romano, ed Elisa nota nutrizionista assai presente anche in rete (una nutrizionista in un ristorante, quale lusso!) del grande ristorante sul Lago dal nome memorabile  di “Trattoria del Pescatore”.

   Oh potere, in questa mia Sera, ancora una volta sostare sulle sponde di quel lago ove cento e cento volte sedei, solo o in compagnia, a meditare sul senso del mio fugace esserci nell’esserci di tutte le cose, a piangere le mie esistenziali angosce o ad affidare alla brezza i sospiri del mio cuore innamorato!    

   Oh potermi rifugiare, in questa mia Sera, nella solitudine e nel Silenzio ricco di Presenze del Lago che il B&B ‘Nonna Assunta’ e la  Trattoria del Pescatore contemplano, stordirmi negli abissi dell’estasi o della disperazione (Plonger, col ‘Maudit’  del “Voyage”, au fond du gouffre, enfer ou ciel qu’importe / au fond de l’inconnu pour trouver du nouveau), tentar di sondare gli  arcani di un Tempo-Chronos pur sempre da me vissuto sub specie aeternitatis, platonica aiònos eikòn kinetè, immagine mobile dell’eterno, rimasti insoluti nonostante le innumerevoli Isidi velate, gli innumerevoli Ermeti di ogni cultura e latitudine da me nella mia troppo lunga e troppo breve esistenza frequentati e venerati!

   Più serena sarebbe in questi eremi l’Attesa, rasserenata da una voce angelica modulante in lontananza le note di Casta Diva e di Vergine degli Angeli: la voce di Silvia Lo.

  Ché ben di più che un letto e un desco sanno offrire ‘Nonna Assunta’ e ‘Il Pescatore’! Sanno donare il Verbum che dum medium silentium tenerent omnia a regalibus sedibus venit.

  Nota

   Non è mia colpa se tutte le Signore, giovani e meno giovani, nominate in questa pagina di ricordi sono, oltretutto, bellissime. Ad un appassionato cultore di Filosofia ed Educazione estetiche è il minimo che potesse capitare. Ancora una volta Verum et Bonum et Pulchrum convertuntur!

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  Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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