Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

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Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

 

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LA SETTIMA GENERAZIONE: I RAGAZZI DELL'INCLUSIONE

 

Iniziato qui il rimescolamento nel calderone del tempo per conoscere le  generazioni, arriviamo alla settima: la Gen Z.

Nonché l’ultima di questo percorso che, casualmente

– ma non credo al caso –

si conclude in una primavera metaforica ed effettiva.

 

 

La settima generazione è quella composta da coloro che sono giovani adesso. Ma se i rappresentanti più grandi sono ormai cresciuti e più che ventenni, i più giovani sono – a pieno titolo – i teenagers attuali.

Battezzata come “Generazione degli Zoomers” – ed abbreviata solo con l’ultima lettera dell’alfabeto – è composta da quei figli del 2000 che nacquero già nel nuovo millennio digitale. Questi ultimi rappresentanti della giovinezza, sono ragazzi immersi sin dalla loro nascita in un contesto digitale – difatti, nati con lo smartphone in mano, hanno imparato a cliccare su di un dispositivo elettronico ancora prima d’imparare parlare o a sfogliare una pagina cartacea – e, per loro, internet e la tecnologia sono semplicemente consuetudine, nonché la sola realtà mai vista e conosciuta. Un mondo senza connessione, portatili, tv satellitare o elettrodomestici smart, infatti, per questa settima generazione resta una lontana leggenda tramandata grazie ai racconti di genitori e nonni.

Ed è proprio per questo motivo, infatti, che questi giovanissimi subiscono molto meno il fascino delle tecnologie più elaborate – ovviamente già deprivate, ai loro occhi, di qualsiasi caratteristica rivoluzionaria – e sicuramente più delle generazioni X ed Y (ma anche dei Boomers) avvertono l’esigenza di prenderne talvolta le distanze. Ed è proprio questo atteggiamento, in fondo, a diventare il loro naturale “distacco generazionale”, con il quale differenziarsi dagli immediati predecessori.

Così, se da un lato i nuovi Nativi digitali imprescindibilmente utilizzano internet per aumentare le loro interazioni sociali, al contempo preferiscono riscoprire un contatto più personale nel coltivarle e nel poterle sviluppare. Online ed offline non sono affatto - per loro - due mondi separati e sicuramente non vengono considerati realtà parallele ed inconciliabili come, talvolta, lo sono stati per le generazioni di transizione. Le relazioni nello spazio virtuale non riguardano più una “second life” ma il normale proseguimento – e senza soluzione di continuità – di quelle tangibili. Non per altro, infatti, i ragazzi di questa decade fondamentalmente comunicano online solo con le medesime persone con cui già interagiscono nel quotidiano concreto.

Questi adolescenti del 2020 sono stati i rappresentanti di una generazione nata con la crisi europea dei migranti e con la guerra all’ISIS e che, in ultimo, ha poi dovuto conoscere l’invasione dell’Ucraina dal governo russo subito dopo un’infanzia e un’adolescenza in piena pandemia, dove reclusione, coprifuochi, mascherine, tamponi, didattica a distanza e decreti erano il pane quotidiano (oltre a quello fatto in casa da genitori e fratelli in modalità desperate housewives). E, sicuramente, furono i primi a sviluppare una serie di conseguenze psicologiche rilevanti, manifestando elevate ansie per il futuro ed un interesse ossessivo e maniacale per la propria salute.

Ed è così che la cura meticolosa – e a tratti patologica – di se stessi, insieme alla ricerca del benessere psicofisico ad ogni costo, talvolta, diventano la paradossale trappola che li fa cadere in un conseguente e nuovo stress psicofisico o che va a peggiorare quello già preesistente.

Rispetto alla totalità delle generazioni precedenti, infatti, questa “Z” si dimostra estremamente più attenta e meno propensa ad assumere condotte rischiose. Molto più ligia nell’osservare abitualmente e con zelo ogni norma di sicurezza, è certamente anche meno attratta dagli alcolici, preferendo improntare la propria routine giornaliera su una dieta salutistica e prevalentemente vegana.

Totalmente rapiti dai problemi ambientali – ricordiamoci che sono loro la generazione ecosostenibile per antonomasia – questi coetanei di Greta Thunberg hanno una marcata coscienza ecologica, direttamente infusa nel loro DNA e fanno confluire il loro radicato timore per il futuro in ogni espressione della loro giovanissima esistenza.

Sono i ragazzi e le ragazze che si vestono rispettando l’ambiente, si avvicinano alla natura con discrezione e responsabilità e sembrano prendersi sempre più frequenti pause dalla tecnologia per un “ritorno al passato” non contraffatto da troppe artificiosità.

Inaspettatamente,  si alzano presto al mattino per fare yoga e girano in monopattino o in bicicletta indossando il casco, si allacciano le cinture senza traccia d’insofferenza, sorseggiano frullati e “soft seltzer” privi di alcol e si accostano alla politica solo per capire come salvare il mondo rendendolo più green e pacifico, anche se con un approccio totalmente diverso da quel “Peace and Love” che aveva contraddistinto la giovinezza di una ben altra generazione. Vale a dire quella di tutti coloro che, se da un lato gli “Z” cercano di emulare in alcuni ambiti, dall’altro compatiscono, azzittendoli con l’arci-stranoto “Ok, Boomer…”

 

 


Ma, per quanto motivati, impegnati, coscienziosi ed ecologisti, pur essendo rigorosi al limite del fanatismo – ed inevitabilmente anche un tantino narcisisti e pretenziosi – sono e, almeno per ora restano, ragazzi. E quindi fondamentalmente inesperti e, giustamente, un po’ ingenui nell’aspettarsi di trovare risposte e soluzioni immediate o definitive.

Eppure, per quanto idealisti, questi rappresentanti della Gen Z, si dimostrano al contempo piuttosto pragmatici nel ricercare occupazioni che rispecchino fedelmente le loro identità e le loro personali esigenze e sembrano serenamente disposti a faticare, mettendosi scrupolosamente in gioco per ottenere ciò che vogliono.

Allo stesso modo, poi, questa generazione così nuova ma a tratti apparentemente già così matura, posata e profondamente imbevuta di coscienziosità,  è anche la stessa che pretende, con quel medesimo ferreo rigore con cui persegue la salute – propria e dell’ambiente – anche la serietà assoluta, la trasparenza e la stabilità nei rapporti sentimentali  ed affettivi.

E se, da un lato, questi ragazzi Z continuano ad essere meravigliosamente giovani e a vivere tutti i tratti della loro adolescenza attraverso il gaming – sfidandosi ai videogames su qualunque piattaforma pervenuta – o ascoltando K-pop e podcast, seguendo TikTok (decisamente molto più di Instagram) ed appassionandosi di anime giapponesi, dall’altro si confermano visceralmente fedeli alla politica del “non perdere un solo attimo di tempo”.

Probabilmente scottati dalla segregazione durante il Covid, sembrano essere ossessionati dalla deprivazione del tempo e di poter sbagliare, cadere, restare indietro e non avere più possibilità e modo di recuperare (sarà un caso che il fantascientifico “In Time” sia nato insieme a loro?)

Nati in un mondo dall’assetto digitale e sempre più variegato, ormai arricchito da matrimoni omosessuali legalizzati e dalla fluidità di genere, i giovani Z sono anche, e per antonomasia, la generazione dell’inclusione.

Curiosi ed aperti, sono venuti al mondo con internet tra le mani e sotto i loro occhi la possibilità ininterrotta di comunicare con i coetanei di ogni area geografica, pertanto non concepiscono veri confini nel linguaggio o tra le persone ed accolgono, senza distinzione, ogni cultura, tradizione e paese come i propri. Proprio per questo, la generazione contrassegnata con l’ultima lettera dell’alfabeto, almeno tendenzialmente,  non possiede i preconcetti e i limiti appartenuti a quelle precedenti e respinge in ogni ambito i canoni predefiniti o strutturati, per lei inconcepibili.

Difatti, il loro rapporto con l’alterità – considerata semplicemente come espressione differente, senza alcuna connotazione valutativa – spoglia anche di ogni etichetta e di stigma sociale il rapporto con il proprio corpo. Non per altro, nessuna generazione prima di questa aveva respinto l’idea di conformarsi agli ideali estetici del proprio tempo, abbracciando invece l’idea di accettazione del proprio corpo in tutte le sue espressioni come emblema di unicità, includendo anche quelle derivanti dalla malattia e dagli handicap (e Bebe Vio, campionessa paralimpica europea e mondiale di fioretto, appartenente a questa generazione, fra tutte, ne è un esempio più che concreto).

 

Ed, almeno in tal senso,

che dire di loro se non che c’è voluto un po’ di tempo,

ma i frutti sembrano essere decisamente buoni?

 

 

 

P.S.

Naturalmente, anche in questo caso, proprio come per tutte le altre generazioni trattate, si stava parlando solo di tendenze ed influenze generazionali e ovviamente mai di singoli individui.

Quindi è chiaro ed evidente che, come negli scenari meno lusinghieri esistevano rappresentanti di tutt’altra pasta, anche negli scenari più ottimistici gli imbecilli ci sono sempre.

Purtroppo non hanno età e non ci sono epoche che possano dirsene esentate.

 

 

 
 
 
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