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TRE MOTIVI PER VOTARE LA SINISTRA ARCOBALENO

Post n°90 pubblicato il 08 Aprile 2008 da dfabio77
Foto di dfabio77

INTERVISTA AL COMPAGNO PIETRO INGRAO

(da Liberazione 8/04/08)
Tre motivi per votare la Sinistra l’Arcobaleno, un ritratto di Veltroni - «troppo moderato per battere Berlusconi come si deve» - e un’appassionata difesa della politica: non di quella affaristica, non di quella che si schiera con i potenti e con i padroni, ma della Politica con la maiuscola. Quella che non perde di vista la vita, l’etica, l’essere umano, le ragioni degli oppressi, gli operai. C’è il senso di tutto il percorso politico ed esistenziale di Pietro Ingrao nelle immagini che lo ritraggono in un’intervista per Reinbò Tv. Sono due filmati che per la regia portano la firma di Paolo Pietrangeli - l’intervistatore è Alberto Olivetti - della durata di 12 minuti ciascuno. Li potrete vedere online su www.ecotv.it e www.reinbo.tv. (le trasmissioni, invece, si tengono di norma dal lunedì al venerdì alle 11.15 e 17.15 su EcoTV alla frequenza 906 di Sky).
A 93 anni, e con i tempi che corrono per la sinistra, si avrebbero tutte le ragioni per buttarsi nel pessimismo. Ingrao, no. «Non mi chiedete di fare un piagnisteo - dice all’intervistatore - che senso ha raccontare quanto era bella la politica di ieri e quanto è brutta quella di oggi? Il pessimismo sarebbe un errore». Le prime parole sono per Veltroni. «Sbaglia perché è un moderato.Non mi convince per nulla il modo in cui cerca di sconfiggere Berlusconi. Ha fatto un grande errore politico. Quello di rompere con la sinistra. Non ha realizzato l’unità degli antiberlusconiani. Avrebbe dovuto concordare insieme il modo per affrontare e battere l’avversario principale. Per sconfiggere davvero il berlusconismo Veltroni avrebbe dovuto costruire un’alleanza tra i moderati come lui e la sinistra, e sommare le rispettive forze. E invece non l’ha fatto».
Tre motivi per votare la Sinistra l’Arcobaleno, gli chiedono, e Ingrao non ha dubbi da quale partire. «La questione fondamentale in questo paese è ancora la lotta in difesa del lavoro e dei lavoratori. E’ tornata a essere il problema principale. La tragedia alla Thyssen Krupp non è accaduta in una piccola fabbrica di provincia, ma a Torino. Quale simbolo più amaro vogliamo prendere a esempio oggi della dura condizione operaia? La vediamo con i nostri occhi la vita del proletario che lavora in fabbrica. E’ lui, l’operaio, il grande protagonista del tempo che viviamo, il fulcro di due interi secoli, l’800 e il ‘900. E’ la storia mondiale che ce lo dice».
Subito dopo viene la pace, «una parola oggi cancellata». «La guerra in Iraq continua. Ci sono soldati che sparano e ammazzano ogni giorno in nome della più grande potenza mondiale contro un paese del Terzo mondo. Di quel mondo che l’Europa e gli Usa hanno stracciato e mutilato più volte nel corso della storia. Abbiamo lottato tante volte per i popoli oppressi. Ecco, lì in Iraq c’è un popolo oppresso da un altro paese distante migliaia e migliaia di chilometri. Gli Stati Uniti hanno portato lì i propri soldati. Sparano, ammazzano e occupano un paese sovrano. Ledono un principio fondamentale. Io sono passato attraverso un secolo che ha visto stermini e guerre spaventose. Ma ho vissuto anche le speranze di quel secolo. La mia generazione ha amato molto Le lettere dei condannati a morte della Resistenza . Abbiamo messo quel libro sugli altari, ci siamo commossi. E facemmo anche giuramento di fedeltà a quelle pagine piene di amore e di passione. Abbiamo tutti giurato che la guerra non sarebbe più tornata. Non è stato così. Adesso è stata inventata una forma nuova, la guerra preventiva. Un tempo chi aggrediva raccontava che lo faceva perché era stato attaccato, per difendersi. Adesso non c’è più neanche questo velame. Bush ha inventato la formula della guerra preventiva. Per evitare la guerra bisogna fare la guerra».
Terzo motivo: sconfiggere il berlusconismo, il fenomeno più regressivo che ha sconquassato la costituzione sociale, civile e morale di questo paese. «Silvio Berlusconi è il simbolo di una reazione padronale di carattere repressivo e selvaggio. E’ l’immagine del padrone sfruttatore che non va molto per il sottile. C’è un dato che mi impressiona e, a volte, mi fa arrossire: il livello di consenso che ancora ha tra la popolazione. I sondaggi lo danno in testa. Certo, la storia di questo paese dimostra che sono venuti alla ribalta anche figure losche. Abbiamo avuto il fascismo. Non voglio fare il confronto con Mussolini e Hitler che Chaplin ha saputo raccontarci così bene. Berlusconi saprà pure parlare bene, porta belle cravatte, ha il cerone sul volto… Ma non dimentichiamo che è un reazionario. Se vince lui la situazione in questo paese diventa drammatica».
Il fascismo, Ingrao lo ricorda. «Da giovanissimo ho partecipato ai Littoriali, alle gare che i fascisti organizzavano tra i giovani studenti. Scrissi una poesia che era l’esaltazione della città di Littoria fondata da Mussolini. Questo per dire come anch’io da giovane abbia patito l’inquinamento del fascismo, anche se è stata un’esperienza molto breve. Poi è arrivata la guerra civile spagnola che ha condizionato tutta la mia vita. Mi ha strappato dai miei interessi, dalla vocazione per il cinema. I libri sul mio tavolo cambiarono». L’amore per il cinema e la poesia non cessò, ma da allora la politica e l’antifascismo divennero l’occupazione principale.
E oggi? «Non c’è il fascismo, Bush è un’altra cosa, è un conservatore. Ma a ogni modo il gruppo dirigente americano ha invaso l’Iraq col proprio esercito. Hanno ammazzato Saddam in un modo ripugnante. Chiunque mi conosca un po’ può immaginare quanto mi fosse odioso. Però vederlo condotto sul patibolo in quella maniera e impiccato mi ha fatto ribellare. Il rapporto tra politica e vita fa parte delle mie condizioni. Già ho dei dubbi sul carcere, sulla presunta utilità di chiudere in gabbia un essere umano, figuriamoci sulla pena di morte. Uccidere un essere vivente… no, questo è un punto dell’esperienza umana che mi suscita non solo collera, ma anche ripugnanza. Io ho fiducia nel genere umano, anche se mi trovo davanti a un assassino ho la speranza di costruire un linguaggio comune».

 
 
 
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