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II - Pioggia improvvisa - I quadri e la chitarra

Post n°21 pubblicato il 17 Marzo 2011 da nuraghin45
 
Foto di nuraghin45

Si mosse lentamente ma in maniera decisa scansando tavoli e sedie. Sulle pareti si apriva un mondo di colori che la riportava all'estate appena trascorsa.

Ombrelloni sgargianti e policromi raggruppano famigliole felici a un passo dal bagnasciuga. Un  mare ambiguo e invitante culla un cielo azzurro e profondo, meta di piccoli sogni che si perdono in lunghe ore di lavoro e di fatica.

Ma i piedi affondano nella bianca rena tra quei granelli microscopici frutto di accumuli millenari di conchiglie sbriciolate e gli occhi infastiditi dalla abbagliante luce solare si volgono alla pineta per riposarsi nel verde di migliaia di aghi così perfetti, così sottili, così eleganti in quei loro ventagli che ondeggiano alla brezza.

La tecnica di quei quadri era molto chiara: pastelli a cera su cartoncino bianco. Le sembrava quasi di vedere le dita stringere il pastello e muoverlo velocemente sul foglio per catturare le forme alla realtà. Erano proprio delle istantanee che qualcuno aveva creato  forse per mantenere nella memoria particolari atmosfere irripetibili.

A volte ci sembra di rivivere sempre le stesse situazioni ma non è così. Panta rei, tutto scorre. Quegli scorci, quei gruppetti sotto l'ombrellone, ci sono ogni estate, ma niente è uguale, niente è come sempre.

Radice sulle dune

Una radice fuori dalla duna inquadra la città sullo sfondo. Era un'estate che si era ormai chiusa per aprirsi in un autunno a volte tiepido e dolce, a volte brusco come i tuoni che a tratti si sentivano in lontananza. Il presente dell'estate si era traformato in passato. Eppure sembrava più vicina la calda stagione perché dalle pareti quelle forme colorate emanavano una vita così prepotente che inondava tutti gli spazi, anche i più lontani.
Catturata da quel sortilegio non riusciva a staccarne lo sguardo.
Un lampo accecante seguito dal rimbombo del tuono vicino illuminò per una frazione di secondo una chitarra appoggiata in un angolo buio del locale. Si avvicinò per vederla meglio. Era una chitarra classica, a sei corde, da studio, come la sua.
Il suo amore per le chitarre datava da molti anni; ricordò il suo primo incontro con una chitarra. Aveva meno di dieci anni e si trovava a Sassari, a casa di sua zia. La sera precedente c'era stata una festa e la chitarra era rimasta nella camera da pranzo, su una sedia, portata da un ospite che doveva tornare a riprenderla. Per lei fu amore a prima vista. Allungò la mano ma la ritirò immediatamente. Non osava toccare le corde, chissà perché. La fissò a lungo studiandone la forma, il grande buco misterioso, le corde, il manico, le chiavi. Era bellissimo vedere la luce che si rifletteva sulla lucida superficie del legno.
Arrivò sua zia che le disse subito di non toccarla e lei si ritirò nella cameretta. Quando tornò nella sala la chitarra non c'era più.
Con il suo primo introito comprò una chitarra da due soldi, giusto quello che poteva permettersi. Più avanti però decise di acquistare una chitarra seria, da studio, e certamente non si pentì. Quel suono era spesso il suo unico compagno in qualsiasi stagione, a qualsiasi ora della giornata.
Prese lo strumento e si sedette sulla sedia vicina. Appoggiò il piede sinistro sulla traversa di un'altra sedia e provò l'accordatura. Nel frattempo pensava a quale musica eseguire. Chissà perché, ma spesso aveva dei vuoti per cui all'inizio le sue mani ciondolavano senza sapere che cosa fare. Poi le dita cominciarono a muoversi. Il suono le piacque molto; era nitido, deciso, penetrante. Andò avanti per un po', quindi involontariamente iniziò un canto a bocca chiusa. Intanto il suo pensiero volava indietro nel tempo e tornava ad un'estate di tanti anni fa quando, appena adolescente, sostava nella sua camera con le persiane socchiuse mentre i sogni, tanti sogni, riempivano quello spazio che si dilatava fino a contenere l'universo.
Una mattina però qualcosa entrò in quella tiepida penombra. Era una voce di donna che cantava. Si avvicinò alla finestra e percepì alcune parole di quel canto: "Chiagneva sempe ca durmeva sola, mo dorme co' li muorte accompagnata... " Ascoltò con grande attenzione ma nonostante lo sforzo  comprese solo a tratti il testo. Intanto quella melodia si insinuava dentro di lei e le dava una profonda pena. La morte: l'aveva colpita l'idea di quel sonno eterno forse meno triste perché condiviso, non solitario. "Dormire accompagnata dai morti" le sembrava un pensiero tanto assurdo quanto consolatore.
Poi il canto era finito. Lei aveva schiuso piano la persiana per cercare di capire da dove provenisse quella voce, ma vide solo tante finestre tutte uguali, silenziose, spalancate ma complici nel proteggere il mistero.
Nel corso dell'estate sentì più volte quel motivo e alla fine aveva imparato anche lei le parole. Non riuscì mai a dare un volto a quella voce e lei immaginò che fosse una giovane donna forse molto triste, forse molto innamorata, o forse soltanto un po' malinconica e nostalgica della sua terra.
Mentre le dita continuavano a muoversi automaticamente sulle corde il canto muto si trasformò e si articolò in parole sussurrate, appena comprensibili. Il locale sparì dalla sua percezione, non c'era più pioggia né vento: esisteva soltanto il suono della chitarra e la sua voce che davano vita a una melodia incredibilmente dolce e trascinante "Fenesta ca lucive e mo nun luce..." Sentì un tremolio nella voce e una lacrima lentamente segnò la sua guancia. La lasciò scorrere e smise di cantare.
La sua voce fu subito sostituita da un altro suono. Un flauto traverso accompagnava adesso la chitarra. Lei non alzò gli occhi dal manico del suo strumento e continuò a suonare. Quando arrivò alla conclusione del brano rimase in pausa aspettando che chi aveva suonato il flauto si allontanasse. Non era in vena di parlare né di ascoltare, voleva solo godersi in pace quella magica atmosfera che era riuscita a creare.
Invece quel momento così unico fu spezzato da un accenno di applauso e da una voce maschile che disse qualcosa che lei si rifiutò di ascoltare.
I capelli le nascondevano in parte il viso e lei non li scostò. Si sollevò, rimise la chitarra nell'angolo buio e tenendo gli occhi rivolti al pavimento di ceramica chiara ed opaca tornò al suo tavolo.

 

 

 
 
 
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