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III Pioggia improvvisa - Carthago delenda est

Post n°22 pubblicato il 25 Aprile 2011 da nuraghin45
 
Foto di nuraghin45

Guardò verso le vetrate. Si accorse che ormai era sceso il buio. Si avvicinò ad una finestra e vide che la pioggia era quasi cessata.  Si mise il giubbotto, prese in mano la sciarpa e si avviò verso la porta per uscire finalmente da quel locale.

Si vedeva già nel suo soggiorno accoccolata sul divano con una tazza di cioccolata calda in mano dopo aver indossato un comodo golfo e una morbida gonna di lana lavorati a mano da lei durante le sere dopo cena, mentre teneva accesa la TV prima di andare a letto.

Spinse la porta e uscì per strada. Sentì subito l' odore di terra bagnata che proveniva dai  terreni intorno ancora liberi da costruzioni. Le automobili correvano lanciando lampi di luce e schizzando l'acqua delle pozzanghere sui marciapiedi. Ben presto si accorse che la pioggia aveva ripreso a cadere copiosa.  Accidenti! Non era proprio possibile andare avanti.

Strinse i pugni dalla stizza e corse verso il locale. Entrò e senza spogliarsi si sedette al tavolo vicino alla porta. Voleva essere pronta a sgusciare via da quel posto prima possibile. Ma subito sentì che il giubbotto bagnato le dava fastidio, così decise di liberarsene. Le tornò il freddo, si sentì a disagio e si alzò quasi senza volerlo.  Guardò fuori e si accorse che la pioggia scrosciava incessante, senza tregua, illuminata dai fari delle automobili.

Tanto valeva prendere lì la cioccolata. Certo non sarebbe stata come la sua, non gliel'avrebbero servita in una tazza di porcellana bordata di oro zecchino, e le sue dita non avrebbero sentito i caldo contatto di un cucchiaino d'argento. Le sarebbe mancato il rito ma non aveva scelta, in quel momento aveva un'assoluta necessità di qualcosa di caldo e di confortante.

Il barista commentava con un altro cliente: "È arrivata la pioggia ... e chi se l'aspettava? Si può dire che fino a ieri si andava in spiaggia..."  Si rivolse a lei con un sorriso: "Desidera?"

"Una cioccolata calda" Mentre lo diceva la sua voce le parve strana, quasi quella di una sconosciuta.

Ogni tanto le capitava di non riconoscere la sua voce e di odiarla.

Dopo poco tempo si vide davanti la tazza con la cioccolata fumante. "Xocolatl" era il suo nome azteco. Moctezuma la beveva fredda, con il pepe e altre spezie, e non la poteva diluire con il latte perché in America non c'erano pecore e mucche. Era il cibo degli dei che i comuni mortali potevano sorbire per fare il pieno di energie fisiche e mentali.

A lei piaceva caldissima, al limite della scottatura della lingua, perché così ne gustava in pieno  l'aroma e si sentiva riscaldare dentro, dove spesso regnava il gelo.

La bevanda la conciliò con quella situazione assurda e cercò di guardarsi intorno per prendere consapevolezza dell'ambiente di cui era prigioniera. I quadri li aveva già visti, con la chitarra aveva fatto la conoscenza, non rimanevano altro che le persone.

Un quadro ha un suo messaggio, tu puoi accettarlo o rifiutarlo e tutto dipende da te, ma con le persone non funziona così. Hai davanti un antagonista, uno che può mettere in crisi le tue certezze, demolire i tuoi ragionamenti, scavare dentro di te per scoprire ciò che nemmeno tu sai, e distruggere le tue faticose costruzioni.

C'è chi adora conoscere persone nuove perché si illude di stabilire rapporti umani di amicizia, stima, apprezzamento. Pensa di avere un amico in più su cui contare in caso di necessità, o di aggiungere un nuovo nome alle liste degli invitati alle feste. Talvolta quando fai una nuova conoscenza ti sembra di aver trovato qualcosa di unico, di interessante, così simile a te che ne sei stupita tu stessa. Ma quando si accende il lume della ragione capisci che non è così, che siamo tutti individui che vagano sulla Terra alla ricerca di un sostegno ma nessuno vuol fare da sostegno, tutti vogliono essere sostenuti.

Da quando aveva capito questa evidenza, Bianca aveva smesso di avvicinarsi ai suoi simili poiché aveva sempre l'impressione che le si attaccassero addosso con dei micidiali viticci che prima o poi l'avrebbero strangolata.

Evitava, quando poteva, anche le semplici conversazioni di cortesia. Il pericolo era sempre in agguato.

Il suo bisogno di contatto umano era ampiamente soddisfatto dal rapporto che riusciva a stabilire con gli scrittori, quelli morti, ovviamente. Per lei, che era letteralmente catturata dai russi, leggere Cechov, Puskin, Gogol, Tolstoj era come parlare con un amico. In loro ritrovava il suo mondo ed era sicura che mai l'avrebbero delusa o tradita. Anche con Proust aveva stabilito un certo rapporto, ma lo trovava più ricercato, meno spontaneo. Peccato che ormai avesse letto e talvolta anche riletto tutte le loro opere. Doveva ora accontentarsi di qualche francese o, siccome era interessata alla storia, aveva passato in rassegna diverse opere di James Michener per non parlare di un libro che l'aveva entusiasmata, "Sarum" di un inglese di cui ora non ricordava il nome.

Tutti questi pensieri la tenevano occupata mentre sorseggiava la cioccolata che era diventata tiepida. Annoiata, si guardò intorno e si imbattè in una palma che svettava da un vaso. Non era una palma nana, né una Washingtonia, piuttosto le sembrava una palma da dattero, come quelle che le crescevano nei vasi dove lei buttava i semi dei datteri. Si ricordò di una palma mai cresciuta perché mai seminata. Aveva acquistato i datteri in Tunisia in quella oasi nel deserto dove i turisti vengono trasportati con le carrozze tirate da cavalli.  Tornata a casa sentì un rifiuto a dare a quei semi una speranza di vita in un vaso.

Quel seme non avrebbe mai potuto conoscere la sabbia delle lontane oasi, non avrebbe mai visto lunghe mistiche foglie librarsi nel cielo africano partendo dal suo cuore, non avrebbe mai sentito il caldo infuocato su di sé. Forse sarebbe divenuto sterile vegetazione con frutti immaturi ed aspri ma nessuno avrebbe più potuto restituirgli distese immense e cieli e terre natii.

A Cartagine lei aveva cercato le sue radici tra millenarie pietre. Le aveva trovate in un tunisino che raccontava la pena di un popolo che, come il seme di dattero, aveva visto spezzarsi ogni speranza di vita e aveva visto sciogliersi quel disegno già elaborato con tratti decisi e con i colori dell'avventura e dell'allegria attraverso mari e spiagge lontane, al di là dell'orizzonte. Delenda Carthago, e così fu.

La sua voglia di passato aveva finalmente trovato un angolo dove ancora era lecito cercare se stessa senza nascondere parole e gesti, sguardi e sorrisi. Il fascino di antiche genti, delle quali anche lei portava il segno, la coinvolgeva dolcemente e la rendeva sensibile alla loro piacevole fisionomia, all'acutezza e profondità del loro pensiero e ad un'umanità che riusciva a svelare l'essenza di tutto ciò che è reale come se fosse stato da sempre davanti ai suoi occhi.

Forse la loro lingua aveva parole più adatte per esprimere i pensieri che nascono in chi cerca di penetrare in mondi interiori sconosciuti fino a farsene sommergere.

Ma ben presto scialbe e vuote immagini si sarebbero sovrapposte al ricordo di mitici racconti e di antichi resti animati da moderne presenze modellate da centinaia di generazioni. E poi, forse, la ricerca del passato era per lei una fuga dal presente. Quel che non c'è più è comunque un punto fermo, un riferimento sicuro per chi ancora deve trapassare. Nel non senso di tutto ciò che Bianca percepiva intorno le sembrava che, se esisteva un valore, questo era nel mondo che non aveva conosciuto, in quei giorni persi per sempre.

Era dunque una rinuncia alla vita? Era paura di mettersi in gioco, di assumersi responsabilità, di dare forma concreta ai suoi pensieri, ai suoi desideri? I giorni passavano, i mesi trascorrevano, gli anni volavano e nulla cambiava.

 

Cyperus alternifolius

In un piccolo vaso di cristallo appoggiato sul bancone vide una rosa dai colori sfumati che prendeva la scena a frondosi tralci di edera argentata e a tre alti papiri. I petali color rosarancio ostentavano una superficie ricca di leggeri e simmetrici rilievi che  davano l'impressione di una seta pregiata.

Quella presenza silenziosa apriva scenari di giardini con roseti fioriti, gruppi di papiri che svettavano con la loro infiorescenza verde su incredibili steli lunghissimi apparentemente esili che si allungavano per superare la vegetazione intorno alla conquista di un raggio di sole, e antichi muri fatti a pietra e fango ricoperti da edere argentate.

La regina dei fiori, al massimo del suo splendore, mostrava una bellezza che non poteva avere rivali. Ma Bianca, osservando meglio, aveva visto qualche segno di stanchezza nei risvolti dei petali, già completamente aperti, che rivelavano un cuore di stami e pistilli, il centro della vita. Il suo ciclo si avviava alla conclusione. Forse domani già un primo petalo sarebbe caduto,  poi un altro, e un altro ancora. Mentre l'edera e il papiro avrebbero continuato a trionfare, per la rosa sarebbe presto arrivata la fine.

 

 
 
 
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