Post n°4 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da nuraghin45
IL PALLONCINO MAGICO Personaggi: principessa - elefante - cane - cavaliere. Prima parte C'era una volta una principessa di nome Viola che viveva in uno splendido castello. Attorno alla costruzione c'era un immenso parco che ospitava numerosi animali. La principessa non aveva nessuno con cui stare e spesso usciva nel parco per cercare qualche bestia con cui giocare un po'. Allora la principessa gli si avvicinava e gli accarezzava le grandi orecchie per farlo calmare e dargli un po' di conforto. Anche lei capiva che il suo amico sarebbe stato molto meglio nella sua terra ma non sapeva come fare per riportarlo in Africa. Oltre a ciò, pensava al suo futuro di solitudine. Se avesse perso quell'unico compagno sarebbe rimasta completamente sola, e nessuno allora avrebbe allietato le lunghe giornate al castello. In una bella mattinata di primavera i due amici decisero di andare a cercare nuove avventure fuori dal parco. La principessa stava seduta sull'ampio dorso dell'elefante che procedeva tra alberi e siepi in fiore per un sentiero di campagna. Ad un tratto si bloccarono a causa di un curioso animale che faceva strani versi, e si era fermato proprio davanti alle zampe del pachiderma impedendogli di procedere. L'elefante però sentiva ancora più acuta la nostalgia per la sua terra e la principessa, distratta dal nuovo amico, talvolta non s'accorgeva nemmeno dei suoi momenti di sconforto. Allora egli barriva disperato, soprattutto nelle belle mattinate estive, quando il caldo sole gli ricordava le roventi giornate tropicali trascorse in riva al fiume a rinfrescarsi con abbondanti spruzzi d'acqua, insieme con i fratelli più grandi. Il cagnolino, sentendo la sua pena, gli andava vicino, gli leccava le grosse zampe, giocherellava con quel grosso "naso" e gli mordeva delicatamente le zanne, quasi fossero dei gustosi ossi da rosicchiare. La principessa infine capì il dolore del pachiderma e nel suo intimo pensò che fosse arrivato il momento di farlo tornare in Africa, visto che ormai lei aveva già qualcuno con cui trascorrere le giornate. Ma come fare? L'Africa era lontana; bisognava percorrere grandi pianure, montagne innevate, strette valli, fiumi, dirupi e strapiombi per raggiungerla. Come avrebbe fatto un animale così grosso ad affrontare un così lungo e faticoso viaggio? E poi, ad un certo punto, sarebbero arrivati al mare... e allora? Come avrebbero fatto ad attraversare quell'immensa massa d'acqua? No, non era proprio possibile. Soltanto volando il nostro amico avrebbe potuto raggiungere la sua terra, ma purtroppo non aveva le ali. Più passavano i giorni, e più i tre amici diventavano tristi. Ormai nessuno aveva più voglia di giocare e divertirsi. Tutti e tre, giorno e notte, cercavano una soluzione per quell'inquietante problema. Ma nessuna idea sembrava realizzabile, nessun progetto sembrava buono.
La principessa lesse e rilesse con molta attenzione, osservò anche i minimi dettagli dei disegni ed infine capì che in un lontano castello, che si trovava ad occidente, esisteva un pallone magico che poteva diventare grandissimo e che poteva volare sul mare. Però era difficilissimo impadronirsene perché era custodito nelle segrete della costruzione. Per avere il palloncino occorreva conoscere il percorso esatto. Non si poteva sbagliare il percorso per più di tre volte. Ma il malcapitato che avesse sbagliato, sarebbe rimasto rinchiuso nel sotterraneo insieme con il palloncino, fino al momento in cui qualcuno non l'avesse finalmente ritrovato. Già diversi cavalieri avevano cercato di impadronirsi del palloncino per provare la gioia di volare liberi nel cielo come gli uccelli, ma nessuno era riuscito nello scopo. Essi vagavano ormai da anni e anni senza scampo nei labirinti bui e freddi cercando una via d'uscita che era sbarrata per loro. La principessa aveva portato con sé il libro perché conteneva anche un disegno del maniero. Vi si vedevano le montagne e poi un picco sul quale sorgeva la costruzione. Spesso il cane avanzava annusando il terreno intorno e guidava l'elefante. Per giorni e giorni i tre vagarono attraversando pianure verdi di grano e rosse di papaveri finché in lontananza, quasi al confine del regno, videro delle alte montagne. Proprio nel punto dove il sole stava per tramontare la principessa vide un castello costruito con pietre scure e chiare, su un alto picco. Forse era il luogo che stavano cercando. Davanti a loro stava ora un fitto bosco che l'elefante a stento riuscì a percorrere passando tra la fitta vegetazione. |
Post n°5 pubblicato il 07 Ottobre 2010 da nuraghin45
IL PALLONCINO MAGICO Seconda parte Ad un tratto grandi uccelli si misero a volare davanti a loro, ma quando il cane si mise ad abbaiare, si dileguarono lanciando alte grida stridule. Le grosse zampe dell'elefante riuscirono a guadare un torrente dalle acque spumeggianti e gelide che trascinavano rami e tronchi. Dovettero camminare ancora per sette giorni ed infine i tre giunsero alla base della rocca. Sollevarono lo sguardo e videro che il sole si nascondeva dietro le possenti muraglie e calava lentamente tingendo le torri di rosso. Per primo andò avanti il cane. Con il suo fiuto non avrebbe avuto difficoltà a ritrovare la via del ritorno. La principessa lo seguì stando attenta a non inciampare sul pavimento sconnesso. Ben presto s'accorse che l'impresa era pressoché disperata. Alle pareti stavano appesi grandi specchi che confondevano ancora di più, e i corridoi si diramavano continuamente a destra e a sinistra creando incertezza e disorientamento. A tratti s'udivano strani e paurosi rumori che venivano ampliati e distorti dal complesso dei cunicoli. Il percorso finiva lì. Non era quella la strada per arrivare al palloncino. Ora bisognava tornare indietro. Risalì i pozzi, riattraversò i cunicoli, ripassò sul ghiaccio, sulle biglie, sul palo, sul ponticello, sulla sabbia, e poi si trovò di nuovo tra gli specchi e i corridoi. Il cane procedeva sicuro ma ad un certo punto si fermò disorientato. Un forte odore di fumo proveniva non si sapeva da dove e la povera bestia non era più in grado di ritrovare la via. I due iniziarono a vagare senza capire più niente e si ritrovarono sempre nello stesso luogo. Il tempo passava e anche l'elefante cominciava a preoccuparsi. Allora s'avvicinò all'ingresso e si mise a lanciare lunghi barriti. Il cane rizzò le orecchie e sentì distintamente il lontano richiamo. Allora iniziò a camminare nella direzione di quel suono e s'accorse che, secondo la strada presa, il barrito diveniva più forte o più debole. Infine capì qual era il giusto percorso e, dopo tanto girare e camminare, i due trovarono l'uscita. La stanchezza era tanta che quella notte dormirono tutti e tre profondamente. L'indomani mattina la principessa stava per proporre d'abbandonare l'impresa, ma poi guardò gli occhi dell'elefante e non ebbe più il coraggio di dire nulla. Bisognava tentare, almeno un'altra volta. - Il palloncino, lo vedi, è qua La fanciulla fu felice per essere giunta nel luogo dove si trovava il palloncino, ma s'arrabbiò perché l'inferriata era chiusa. Provò e riprovò a scuotere quel pesante cancello, ma non si mosse neppure di un millimetro. Pareva inchiodato alle pareti. Rilesse il messaggio, ma non lo capì. Forse non era abbastanza sapiente da conoscere la risposta. Che cosa significava "nella nottata che è più corta"? Forse le notti non avevano tutte la stessa lunghezza? Lei non le aveva mai misurate, e le pareva che fossero proprio tutte uguali. E i giorni non erano forse tutti uguali? Non ci capiva più niente. Il tempo passava ma la porta non si apriva. Dal fondo della sala, ad un tratto, udì una voce. - Fanciulla! Fanciulla! Non andar via! Salvami! La principessa non credeva alle sue orecchie. Guardò meglio nell'oscurità e vide un vecchio con una grande barba bianca che avanzava lentamente. Alla fine egli giunse all'inferriata e continuò con voce tremolante: - Io sono l'ultima persona che ha cercato di prendere il palloncino magico, ma la porta si è richiusa al mio terzo tentativo, prima che io potessi uscire. Molti altri erano entrati prima di me, ma si sono persi nel labirinto e di loro non si sa più nulla. Se vuoi impossessarti del palloncino magico, dovrai tornare qui nel solstizio d'estate. In quel giorno la porta s'aprirà, ed io potrò uscire da questo posto maledetto. Però tu dovrai venire da sola, senza il tuo cane. Per ritrovare la via d'uscita potrai servirti del filo di Arianna. Nel sentire quelle parole la principessa si confuse tutta. Non aveva capito quasi niente. Che cosa voleva dire "solstizio"? E che cosa era il Filo di Arianna? Provava vergogna nel chiedere spiegazioni, perché una principessa non poteva essere così ignorante, ma alla fine capì che se voleva raggiungere il suo scopo doveva servirsi della sapienza del vecchio. L'uomo sorrise quando sentì le sue domande e rispose: - Il solstizio d'estate è il 21 giugno, ed è il giorno più lungo dell'anno. Io ho tenuto scrupolosamente il conto del tempo che passava e mancano ancora sette giorni al solstizio. Tu conta sette giorni da oggi e poi ritorna qui. Per essere più sicura ogni mattina traccia un segno con un coltello affilato sopra un ramo. Quando avrai tracciato sette segni, saprai che è giunto il giorno fatidico. Mi raccomando, non dimenticarti. Ora risponderò alla tua seconda domanda. Il Filo di Arianna è un semplice gomitolo che tu srotolerai man mano che avanzerai nel labirinto. Al ritorno l'arrotolerai e così arriverai, senza sbagliare, al punto di partenza.
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Post n°6 pubblicato il 09 Ottobre 2010 da nuraghin45
IL PALLONCINO MAGICO Terza ed ultima parte - Quando sono entrato qui non ero così giudizioso, ma ero imprudente ed avventato. Rimanendo qua dentro per tanto tempo, ho avuto modo di riflettere. Così ho capito che, per riuscire a realizzare ciò che si desidera, occorre saper ascoltare e pensare. La principessa sentì nelle parole dello sconosciuto un gran rimpianto. Quindi lo ringraziò e pensò che fosse il momento di tornare indietro. - Mi raccomando! Tra sette giorni dovrai tornare! Non sbagliare! - Il cane procedette sicuro nella via del ritorno, ma ad un tratto si fermò. L'elefante, preoccupato per il ritardo, si mise a barrire davanti all'ingresso, ma questa volta i due erano troppo lontani e non l'udirono. Infine il pachiderma decise di passare alle maniere forti. Iniziò a scalciare e a pestare con le sue enormi zampe sul pavimento e sulle pareti, tanto che il labirinto rimbombò paurosamente. Il cane allungò le orecchie e sentì dei boati lontani. L'indomani Viola s'alzò molto presto, e vide che il sole era già sorto. A ben pensarci, nel periodo precedente, a quell'ora il cielo era ancora buio. Allora era proprio vero: le nottate potevano essere più lunghe o più corte. Ma come aveva fatto a non accorgersene prima? E, in effetti, ricordava come erano lunghe le fredde nottate invernali e come erano brevi quei lividi giorni. Per prima cosa prese un ramo e, con un coltellino, fece una tacca. Aveva imparato che, per raggiungere dei risultati, occorre essere precisi, accurati e scrupolosi nel seguire le indicazioni e i consigli. Avrebbe fatto tutto ciò che il vecchio le aveva raccomandato, perché si fidava di lui. Viola doveva iniziare subito il percorso, se voleva arrivare in tempo davanti alla grata di ferro. Prese con sé un gomitolo e, salutati i due amici, entrò da sola nel buio corridoio. In una mano teneva il gomitolo e nell'altra aveva la torcia. Procedeva sicura, senza mai voltarsi indietro, e cercava d'infondersi coraggio. Quando fu di fronte alla scalinata, dall'alto caddero grosse gocce d'acqua rovente. Lei si fermò ed attese che quella pioggia si calmasse. Di corsa salì sulla ripida gradinata, giusto in tempo per evitare un'abbondante nevicata che rese le scale sdrucciolevoli. Che cosa avrebbe detto loro? E che cosa avrebbe raccontato all'elefante? Per lui non ci sarebbe stata più la possibilità di tornare in patria, mai più. E lei non avrebbe più potuto guardarlo negli occhi, perché vi avrebbe letto un dolore senza fine ed un silenzioso rimprovero. Udì tutto intorno dei misteriosi sibili, dei fischi acuti che penetravano nel suo cervello come lame affilate, e poi sentì un gelo che la paralizzava, un formicolio insopportabile in tutto il corpo, e un vento che la avvolgeva tutta dal basso verso l'alto, facendo tremolare la fiamma della torcia. Pareva che mille forze si fossero scatenate per distruggerla, ma lei capiva che era solo l'impotente rabbia di un misterioso e malvagio essere che ormai aveva capito d'aver perso. Avanzò ancora, intrepida, senza più paura. Oramai era vicina alla meta. In lontananza vide l'inferriata, e al di là il vecchio la chiamava a gran voce. Ormai le rimanevano da aprire soltanto cinque scrigni. Sollevò gli occhi verso il vecchio e vide nel suo sguardo lo sconforto. Già dall'inferriata provenivano dei sinistri rumori, e pareva che la grata dovesse abbassarsi da un momento all'altro. -Svelta! Ti prego, più svelta! Il palloncino deve esserci per forza! La principessa non sentiva più nemmeno le sue dita. Come un robot apriva e richiudeva i piccoli forzieri, ma erano tutti vuoti. Infine sul tavolo ne era rimasto uno solo, l'ultimo. Già l'inferriata aveva iniziato a scendere lentamente. La fanciulla ebbe un attimo d'esitazione ed infine lo aprì. La grata era già arrivata alla metà dell'apertura. La sua mano toccò qualcosa di morbido. Viola l'afferrò stretto stretto, mentre il vecchio la prendeva velocemente per la mano e la trascinava fuori. Giusto in tempo per passare sotto l'inferriata che ormai era quasi del tutto abbassata! -Sei stata molto coraggiosa, le disse, e non ho parole per ringraziarti. E' merito tuo se ho ritrovato la libertà che credevo perduta per sempre. Anche il mio aspetto è ritornato normale. Come vedi non sono più quel vecchio che tu hai conosciuto nelle segrete. Ti sarò riconoscente per sempre e tu potrai chiedermi tutto ciò che vorrai. La principessa porse la mano al giovane e gli annunciò che avrebbe voluto sposarlo perché si era dimostrato molto saggio e generoso. Sarebbe stato un buon padre per i suoi figli ed un buon re per il suo regno. Anche il cane e l'elefante approvarono la decisione della fanciulla. L'elefante indicò il palloncino con la proboscide. Il cavaliere sapeva come trasformarlo in una comoda mongolfiera. Tutti salirono a bordo e ... via! Si diressero verso l'Africa, dove arrivarono in un batter d'occhio. Giunti nella savana vicino al grande fiume, scesero tutti vicino ad una famigliola d'elefanti. Alti barriti festosi s'alzarono nel cielo. L'elefante aveva ritrovato i suoi genitori e i suoi fratelli e corse verso di loro sollevando nugoli di polvere. I pachidermi si lanciarono nel fiume e si misero a giocare felici. Dopo aver salutato tutti, il cane, il cavaliere e la principessa risalirono sulla mongolfiera e raggiunsero rapidamente il castello. Pochi giorni dopo si celebrarono le nozze, e per la principessa l'avventura delle segrete divenne solo un lontano ricordo, da raccontare ai suoi figli. Le era rimasto però il prezioso palloncino che permise agli sposi di viaggiare in tutto il globo, Polo Nord compreso, per vedere il sole a mezzanotte, nella nottata più breve che ci sia al mondo.
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Post n°7 pubblicato il 22 Gennaio 2011 da nuraghin45
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Post n°9 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da nuraghin45
Case sui Bastioni, sfondo per i narratori. Personaggi Personaggi della leggenda La scena è divisa in due parti: alla destra si vede uno scorcio dei Bastioni con pescatori, donne, bambini. Alla sinistra c'è il paese di Baratz. Ogni volta viene illuminata la parte dove si svolge la scena. Siamo ai Bastioni negli anni cinquanta. È una giornata primaverile. Il sole è alto nel cielo e l'aria è calma. Seduti alcuni su seggioline e altri sul gradino di casa, tre pescatori cuciono le reti, due donne stanno ricamando, tre bambini giocano a cavall a una monta e tre bambine giocano a peu cossu. Ciù Calminucciu - Tutte le volte i delfini mi tagliano la rete. Non so più cosa fare. Alfonso - Ma non parlarmene! Guarda come è la mia! Tutta a buchi, è tutta distrutta. Ciù Asteva - Che si possano distruggere come Baratz, questi delfini che non fanno altro che imbrogliarsi nella rete. Alfonso - Cosa hai detto? Ciù Asteva - Che i delfini si possano distruggere come Baratz! Alfonso - E che cosa vuol dire? Cià Assuntina - Ma non lo sai? Ah, è vero, tu sei venuto da Napoli e non conosci la leggenda di Baratz. Alfonso - E come è questa leggenda? La voglio sentire. Ciù Calminucciu - E' una vecchia leggenda. Quando io ero piccolo come questi bambini ma la raccontava mio nonno. Alfonso - Ma è una storia molto lunga? Ciù Calminucciu - No, non è lunga. E va bene, ora racconto. Ciù Calminucciu (sistema meglio la rete sopra le ginocchia ed inizia il suo racconto) - Allora ... uno storico dice che tanto, tanto tempo fa, quando Alghero non esisteva ancora, c'erano due villaggi: Si chiamavano Carbia e Baratz. Gli abitanti dei due paesi non andavano d'accordo e hanno fatto una guerra che è durata per più di venti anni. I bambini sentendo che Ciù Calminucciu sta raccontando una storia, interrompono il gioco e si mettono ad ascoltare. Annuccia - Ascoltate, Ciù Calminucciu sta raccontando una favola! Madarena - Io non voglio sentire niente! Io voglio giocare! Rafelica - E con chi giochi? Da sola? Io non ti posso lasciare da sola perché sei piccola e ti devo guardare. Aiò, vieni anche tu ad ascoltare. (Prende per mano Madarena, che si mette a piangere). Le bambine si mettono accanto a ciù Calminucciu che intanto si è fermato nel racconto. Rafelica (parlando con i maschietti) - Aiò, venite anche voi, che ciù Calminucciu sta raccontando una bella storia! Vissente - Aiò, andiamo ad ascoltare il racconto. Già giochiamo dopo! I bambini lasciano il gioco e si mettono vicini a Ciù Calminucciu. Ciù Calminucciu - Ci siamo tutti? Ma voi già siete algheresi. Non conoscete la leggenda di Baratz? Rafelica - Baratz? Vissente - No, io non l'ho mai sentita. Gliuis - Mi sembra di averla già sentita, ma adesso non me la ricordo. Annuccia - Aiò, ciù Calminu', racconti. Madarena - Io voglio giocare. Rafelica - Statti zitta, altrimenti buschi. Ciù Calminucciu - Va bene! Allora ascoltate tutti. E non fate rumori o chiacchiere, altrimenti vi caccio. Stavo raccontando che in un tempo molto antico c'erano due paesi, Baratz e Carbia che si odiavano e hanno fatto una guerra durata più di vent'anni. Alla fine Carbia è riuscita a vincere la guerra e ha distrutto tutto il paese di Baratz. Questo dice uno studioso di storia. Ma sopra questo fatto ad Alghero si racconta una storia straordinaria e terribile, successa al paese di Baratz. Per di più ad Alghero è rimasto un modo di dire: "Che ta pughis dasfè coma Balcia" (Che ti possa distruggere come Baratz). Beh, ora continua tu, Asteva, che la conosci anche tu... Asteva - Va bene, ora ne racconto un po' io. Baratz era un bel villaggio, pieno di gente lavoratrice e allegra. Era un mattino d'estate, e le strade erano tutte piene di vita e di rumori, come ogni giorno. Dal forno si spandeva un odore di pane fresco che faceva piacere sentirlo. Non era ancora mezzogiorno quando nel paese è arrivato un forestiero, pieno della polvere del viaggio, con un mantello rosso tutto a brandelli. Camminava a capo chino, lasciano dietro di sé le impronte dei piedi scalzi.
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Post n°10 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da nuraghin45
Il paese di Baratz con i due forni in primo piano
Mentre Asteva racconta, si spengono le luci sui narratori e si accendono per illuminare il paese di Baratz. Tanta gente cammina per la strada e dalla sinistra esce un uomo con un mantello rosso. Cià Assuntina - Dalla fronte bruciata dal sole gli cadevano gocce di sudore. Le labbra erano spaccate per la sete e lui camminava con affanno in mezzo alla gente che non lo vedeva nemmeno. Cià Antunica - L'uomo aveva fatto un viaggio molto lungo ed aveva anche tanta fame. Ma non aveva nemmeno un centesimo. Allora... L'uomo si ferma presso il banco dove un Panettiere sta vendendo il pane. Forestiero - Buon uomo, vengo da un luogo molto lontano e ho tanta, tanta fame. Non ho soldi per pagare ma per carità, datemi un pezzetto di pane ... Panettiere - Vattene, disgraziato! Non c'è pane per te, se non hai soldi! Vattene in fretta da qui, se non vuoi bastonate. Forestiero - (con grazia) Dio te lo paghi! Si avvicina al banco di una donna Forestiero - Buona donna, per carità, un pezzo di pane! Panettiera - Brutto delinquente, vattene se non vuoi un colpo di pala! Forestiero - Dio te lo paghi, buona donna! Cià Assuntina - L'uomo aveva continuato a camminare e un po' più avanti aveva visto una giovane donna che usciva da un forno portando sulla testa un canestro pieno di pane ancora caldo. Teneva per mano una bambinetta. L'uomo si era avvicinato e l'aveva fermata. Forestiero - Buona donna, ho troppa fame. Mi dai un pezzetto di pane, per carità? La donna ha preso una focaccia e l'ha data all'uomo con grazia. Donna - Tenga, buon uomo, mangi. Asteva - La donna aveva ripreso la bambina per la mano e aveva continuato la sua strada. Ma l'uomo l'aveva seguita e fermata. Forestiero - Buona donna, solo tu in questo paese mi hai aiutato, e adesso ti voglio aiutare io. Ascolta bene ciò che sto per dirti. Devi prendere quella strada che porta fuori da Baratz. Dovrai camminare sempre dritta, senza girarti mai indietro, per nessuna ragione. Anche se ti chiamano, tu devi andare sempre avanti, anche se senti rumori o altro. Donna - Ma perché devo andarmene dal mio paese? Forestiero - Adesso non te lo posso dire. Tu però devi ascoltarmi e devi fare ciò che ti dico. Vai veloce, sempre avanti o sei perduta, tu e la bambina. Ciù Calminucciu - La giovane donna ha guardato fissa gli occhi dell'uomo e in quel momento ha capito che doveva fare ciò che lui diceva. Allora ha iniziato a camminare dando le spalle al paese, cercando di allungare il passo più che poteva, quasi trascinando la bambina che non riusciva a seguire la madre e si lamentava. Cià Antunica - Poco dopo aver lasciato il villaggio la donna ha sentito un mormorio sordo, come un tuono da lontano, che si faceva sempre più forte. Un'onda alta come una montagna si è presentata dall'altra parte di Baratz, e aveva cominciato a distruggere tutto ciò che trovava al suo passaggio. La gente che era nelle strade, nelle botteghe, nella piazza, vedendo quell'onda si è messa a gridare, a correre, e sembrava tutta impazzita. Si sentono grida, pianti, versi di animali terrorizzati, e rumori di un'onda che corre. Ora la luce illumina i narratori. Annuccia - Ohi che paura! Mi sta venendo la pelle d'oca! Rafelica - Ohi babbo mio! Povera gente! Asteva - Qualcuno cercava di salire sul tetto, o correva verso le alture per salvarsi. Anche gli animali si muovevano senza sapere dove andare e si mescolavano alla folla in fuga. Come una lingua lunghissima, l'onda si è divisa nelle strade, si è allargata nella piazza, e si è ristretta per entrare nelle case dalle porte e dalle finestre, per uscire dopo aver distrutto tutto. Annuccia - Ma la madre con la figlia si sono salvate da questo disastro? Vissente - E statti zitta e lascia raccontare! Madarena - Ohi che racconto! Altro che favola! Gliuis - Ci'Assunti', non stia a sentire a queste bambine, concluda il racconto. Cià Assuntina - Il racconto si conclude così. La giovane donna ha preso la bambina in braccio e si è messa a correre sempre più forte. Sentiva alle sue spalle il rumore terribile dell'acqua, e aveva capito che per Baratz era arrivata la fine. Pianti, grida, lamenti di cristiani e di animali la facevano disperare. Cià Antunica - Lei pensava a tutti quelli che conosceva, amici, parenti ... cosa stava succedendo a tutta quella gente? Voleva guardare, voleva capire meglio, ma ricordava le parole dell'uomo "Vai veloce, sempre avanti, o sei perduta tu e la bambina" Ciù Calminucciu - Ad un certo momento la giovane ha sentito una voce disperata che la chiamava: "Caterina, Caterina, vieni ad aiutarmi, non lasciarmi qui a morire! Vieni, Caterina, vieni!" Quando la giovane ha sentito il suo nome, si è fermata di colpo. Chi la chiamava? Non aveva riconosciuto la voce, ma forse era la madre, oppure la sorella. Allora non ha pensato più a nulla, e vinta dalla pietà ha voltato il capo all'indietro. Ma ... in quel preciso momento lei e la sua bambina sono diventate di pietra. Qualche bambina si asciuga le lacrime Bastianino - Hai visto? Io lo sapevo che sarebbe finita male. Annuccia - Oh, che pena!... Cià Antunica - Più tardi l'onda ha perduto la sua forza e si è fermata. Dove prima sorgeva il paese di Baratz adesso c'era un lago. La statua della madre con la bambina era rimasta sul fondo. Ed ancora oggi, nelle giornate di sole, quando l 'acqua è calma e trasparente, si può riuscire a vedere sul fondo del lago la statua di una donna con una bambina in braccio e un canestro sulla testa. Alfonso - Bella questa storia. Vorrei proprio andare a Baratz per vedere questa statua. Ma voi l'avete vista qualche volta? Rafelica - Anche io voglio andare a Baratz per vedere la statua. Gliurenz - Certo, possiamo andare un giorno a Baratz. Io non ho mai visto niente sul fondo, ma almeno ci facciamo una bella passeggiata. Rafelica - Povera donna. Io però non mi sarei girata mai, per nessun motivo... Gliuis - Si, si, proprio tu! Soffiami l'occhio. Annuccia - Ma chi sarà stato il forestiero? Bastianino - Boh! Certo che sapeva troppe cose. Gliurenz - Di sicuro era un uomo che ha distrutto il paese per colpa degli abitanti, che non avevano buon cuore e non aiutavano i poveri e quelli che avevano bisogno. Rafelica - Aiò, Madarè, torniamo a giocare. Madarena - Vedrai che stanotte mi sogno l'onda. Colpa tua! I bambini riprendono i giochi. I pescatori e le donne continuano a lavorare. Si spengono tutte le luci. La rappresentazione si conclude con un coro di tutti i bambini che cantano "Lu conta de Balcia" canzone scritta da Franco Ceravola e musicata da Enrico Ceravola. La traduzione in italiano è letterale. La canzò de Balcia Ritornello Baratz è caduta / nel fondo del lago / la donna di pietra / è ancora là voi se andate / di giorno o di notte / tenete presente / ciò che è successo.
Baratz è caduta / nel fondo del lago / la donna di pietra / è ancora là con la bambina / stretta abbracciata / la notte di luna / quando l'acqua è più chiara. / Il sole tramonta / dove finisce il mare / di giorno l'abbagliava sino a quando era stanco. / La notte il chiarore / della stella più grande colorava le case / di un velo grande e bianco.
Ritornello - Baratz è caduta ...
Ogni uomo al mattino / Andava al lavoro / e ogni vicolo / era pieno di chiasso le donne lavavano / i panni al ruscello / la vita passava / in maniera normale. Ma il cuore della gente / era pieno di veleno / per l'odio nessuno / faceva all'altro del bene vinceva l'invidia / il rancore, il peccato. / Era ora che fossero / dal cielo castigato.
Ritornello - Baratz è caduta ...
Da terra straniera / un povero è venuto / vestito di stracci / un giorno di pioggia un pezzo di pane nero / ha chiesto ad ognuno / non c'è persona / che gliene abbia dato. Una giovane madre / che tornava a casa / sopra la testa / portava un canestro pieno di pane ben caldo / gliene ha dato uno solo / per farlo contento.
Ritornello - Baratz è caduta ...
Solo tu figlia mia / hai avuto pietà / e questo bel regalo / ti sia restituito ora corri signora / più che puoi / lontano da Baratz / più in fretta che puoi e non girarti mai / per vedere nessuno / e non fermarti mai / per sentire qualcuno La donna stringendosi / la figlia al petto / getta il canestro / che l'uomo ha insistito.
Ritornello - Baratz è caduta ...
Mentre lei fugge / dietro la schiena / sente suoni di passi / che schiacciano la sabbia rumori di mare / pianti di gente / suoni di campane / disastro di vento Un tuono grande pauroso / e grida vicino / si gira e di pietra / diventa di colpo è l'acqua di Baratz / che tutto ha coperto / e più nessuno / là si è trovato
Ritornello - Baratz è caduta ... Immagini del lago scattate il 13 novembre 2011 sono pubblicate nel blogspot: |
Post n°11 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da nuraghin45
Il Lago di Baratz (foto 21 maggio 2006) LA CHISTIO' DE LA GLIENGUA Primè de palà del conta de Balcia vul dira che achesc traball ès ascrivit ne la palara algaresa. La gliengua algaresa mus ès arribara coma gliengua palara i quant ès astara ascrivira, als primelz tenz, s'amprava la grafia itariana, s'ascriviva com sa gligiva. Achescia de la grafia de ra gliengua ès una chistiò massa ampultanta i ma randesc conta che no ès fasil dissirì quara grafia amprà. Si ascrivim an pura grafia catalana paldem lu sensu del che ès ascrivit pè cosa manastè fè ascoras o si no, no sa cumpren. Si ascrivim las parauras com sa gligin hi ès un' altra difficultat. No sempra la matescia paraura sa gligi al matesc modu i alora manastè trubà una sora grafia che sa pughi adattà a las diferentas pronuncias. Calchi volta he risulvit la chistiò amprant las duas grafias. Achesc pot essar un modu de agiurà lus algaresus a gligì, i de accuntantà tambè lus che sustenan che ès un fet de agnuranzia ascrira com sa pala. Achescias chistionz ma fanan tanta tristura pe' cosa ascì no sa fa altru che dunà lu cop de grassia a una gliengua che astà murint i che tè manastè de l'agiut de toz pe' trubà lu modu de pala' ancara al cor de ra gent, al cor dels mignonz, dels giovas i de totas acheglias palsonas che no voran viura in una siutat astraniera, ma sa voran antrenda algaresus com eran lus paras i lus iaius. Dit asciò, pas ara a prasantà lu conta de Balcia. Iò no so de famiria algaresa i no cunasceva lu conta. Ma r'ha racuntat mun marit, Franco Ceravola, ascì com el l'havia antès del babu Luigi che era portual i ès vissut del 1906 al 1985. Dasprès he antès altras versions, mès elaboraras, ma no cunesc l'origine de achescias elaborasions. La versiò utirizara de mi fa pansà a la Bibbia. Achescia patita recita ès astara organizara a l'ascora elementar, ama mignonz de quinta classe che l'han praparara an algares. Si calchi u vol, pot amprà lu testo pe' lu matesc mutivu. Daman che sighi ascrivit de qual sito es astat pres lu testo. So' dispunibra pe' crarimenz, o sugerimenz pe' l'allestiment.
L'escena ès divirira en duas palz: a la mà reta sa veu un tros dels Bastions ama pascarolz, donas, mignonz. A la scherra hi és lu pais de Balcia. Vè illuminara cara volta la palt ont s'asvulgesc l'escena. Sem als Bastions nels ans sinquanta. Ès un dia de primavera. Lu sol ès alt nel sel i l'aria ès calma. Saguz an carietas o als gradins del pultò tres pascarolz cusin las reras, duas donas astanan racamant, tres mignonz giugan a cavall a una monta i tres mignonas giugan a peu cossu. |
Post n°12 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da nuraghin45
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Post n°17 pubblicato il 26 Gennaio 2011 da nuraghin45
LU CONTA DE BALCIA
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Post n°18 pubblicato il 26 Gennaio 2011 da nuraghin45
LU CONTA DE BALCIA Alla fine della rappresentazione tutti i bambini insieme cantano " Lu conta de Balcia", canzone scritta da Franco Ceravola su musica di Enrico Ceravola. Algherese con grafia italiana Algherese con grafia catalana
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Post n°21 pubblicato il 17 Marzo 2011 da nuraghin45
Si mosse lentamente ma in maniera decisa scansando tavoli e sedie. Sulle pareti si apriva un mondo di colori che la riportava all'estate appena trascorsa. Ombrelloni sgargianti e policromi raggruppano famigliole felici a un passo dal bagnasciuga. Un mare ambiguo e invitante culla un cielo azzurro e profondo, meta di piccoli sogni che si perdono in lunghe ore di lavoro e di fatica. Ma i piedi affondano nella bianca rena tra quei granelli microscopici frutto di accumuli millenari di conchiglie sbriciolate e gli occhi infastiditi dalla abbagliante luce solare si volgono alla pineta per riposarsi nel verde di migliaia di aghi così perfetti, così sottili, così eleganti in quei loro ventagli che ondeggiano alla brezza. La tecnica di quei quadri era molto chiara: pastelli a cera su cartoncino bianco. Le sembrava quasi di vedere le dita stringere il pastello e muoverlo velocemente sul foglio per catturare le forme alla realtà. Erano proprio delle istantanee che qualcuno aveva creato forse per mantenere nella memoria particolari atmosfere irripetibili. A volte ci sembra di rivivere sempre le stesse situazioni ma non è così. Panta rei, tutto scorre. Quegli scorci, quei gruppetti sotto l'ombrellone, ci sono ogni estate, ma niente è uguale, niente è come sempre. Una radice fuori dalla duna inquadra la città sullo sfondo. Era un'estate che si era ormai chiusa per aprirsi in un autunno a volte tiepido e dolce, a volte brusco come i tuoni che a tratti si sentivano in lontananza. Il presente dell'estate si era traformato in passato. Eppure sembrava più vicina la calda stagione perché dalle pareti quelle forme colorate emanavano una vita così prepotente che inondava tutti gli spazi, anche i più lontani.
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Post n°22 pubblicato il 25 Aprile 2011 da nuraghin45
Guardò verso le vetrate. Si accorse che ormai era sceso il buio. Si avvicinò ad una finestra e vide che la pioggia era quasi cessata. Si mise il giubbotto, prese in mano la sciarpa e si avviò verso la porta per uscire finalmente da quel locale. Si vedeva già nel suo soggiorno accoccolata sul divano con una tazza di cioccolata calda in mano dopo aver indossato un comodo golfo e una morbida gonna di lana lavorati a mano da lei durante le sere dopo cena, mentre teneva accesa la TV prima di andare a letto. Spinse la porta e uscì per strada. Sentì subito l' odore di terra bagnata che proveniva dai terreni intorno ancora liberi da costruzioni. Le automobili correvano lanciando lampi di luce e schizzando l'acqua delle pozzanghere sui marciapiedi. Ben presto si accorse che la pioggia aveva ripreso a cadere copiosa. Accidenti! Non era proprio possibile andare avanti. Strinse i pugni dalla stizza e corse verso il locale. Entrò e senza spogliarsi si sedette al tavolo vicino alla porta. Voleva essere pronta a sgusciare via da quel posto prima possibile. Ma subito sentì che il giubbotto bagnato le dava fastidio, così decise di liberarsene. Le tornò il freddo, si sentì a disagio e si alzò quasi senza volerlo. Guardò fuori e si accorse che la pioggia scrosciava incessante, senza tregua, illuminata dai fari delle automobili. Tanto valeva prendere lì la cioccolata. Certo non sarebbe stata come la sua, non gliel'avrebbero servita in una tazza di porcellana bordata di oro zecchino, e le sue dita non avrebbero sentito i caldo contatto di un cucchiaino d'argento. Le sarebbe mancato il rito ma non aveva scelta, in quel momento aveva un'assoluta necessità di qualcosa di caldo e di confortante. Il barista commentava con un altro cliente: "È arrivata la pioggia ... e chi se l'aspettava? Si può dire che fino a ieri si andava in spiaggia..." Si rivolse a lei con un sorriso: "Desidera?" "Una cioccolata calda" Mentre lo diceva la sua voce le parve strana, quasi quella di una sconosciuta. Ogni tanto le capitava di non riconoscere la sua voce e di odiarla. Dopo poco tempo si vide davanti la tazza con la cioccolata fumante. "Xocolatl" era il suo nome azteco. Moctezuma la beveva fredda, con il pepe e altre spezie, e non la poteva diluire con il latte perché in America non c'erano pecore e mucche. Era il cibo degli dei che i comuni mortali potevano sorbire per fare il pieno di energie fisiche e mentali. A lei piaceva caldissima, al limite della scottatura della lingua, perché così ne gustava in pieno l'aroma e si sentiva riscaldare dentro, dove spesso regnava il gelo. La bevanda la conciliò con quella situazione assurda e cercò di guardarsi intorno per prendere consapevolezza dell'ambiente di cui era prigioniera. I quadri li aveva già visti, con la chitarra aveva fatto la conoscenza, non rimanevano altro che le persone. Un quadro ha un suo messaggio, tu puoi accettarlo o rifiutarlo e tutto dipende da te, ma con le persone non funziona così. Hai davanti un antagonista, uno che può mettere in crisi le tue certezze, demolire i tuoi ragionamenti, scavare dentro di te per scoprire ciò che nemmeno tu sai, e distruggere le tue faticose costruzioni. C'è chi adora conoscere persone nuove perché si illude di stabilire rapporti umani di amicizia, stima, apprezzamento. Pensa di avere un amico in più su cui contare in caso di necessità, o di aggiungere un nuovo nome alle liste degli invitati alle feste. Talvolta quando fai una nuova conoscenza ti sembra di aver trovato qualcosa di unico, di interessante, così simile a te che ne sei stupita tu stessa. Ma quando si accende il lume della ragione capisci che non è così, che siamo tutti individui che vagano sulla Terra alla ricerca di un sostegno ma nessuno vuol fare da sostegno, tutti vogliono essere sostenuti. Da quando aveva capito questa evidenza, Bianca aveva smesso di avvicinarsi ai suoi simili poiché aveva sempre l'impressione che le si attaccassero addosso con dei micidiali viticci che prima o poi l'avrebbero strangolata. Evitava, quando poteva, anche le semplici conversazioni di cortesia. Il pericolo era sempre in agguato. Il suo bisogno di contatto umano era ampiamente soddisfatto dal rapporto che riusciva a stabilire con gli scrittori, quelli morti, ovviamente. Per lei, che era letteralmente catturata dai russi, leggere Cechov, Puskin, Gogol, Tolstoj era come parlare con un amico. In loro ritrovava il suo mondo ed era sicura che mai l'avrebbero delusa o tradita. Anche con Proust aveva stabilito un certo rapporto, ma lo trovava più ricercato, meno spontaneo. Peccato che ormai avesse letto e talvolta anche riletto tutte le loro opere. Doveva ora accontentarsi di qualche francese o, siccome era interessata alla storia, aveva passato in rassegna diverse opere di James Michener per non parlare di un libro che l'aveva entusiasmata, "Sarum" di un inglese di cui ora non ricordava il nome. Tutti questi pensieri la tenevano occupata mentre sorseggiava la cioccolata che era diventata tiepida. Annoiata, si guardò intorno e si imbattè in una palma che svettava da un vaso. Non era una palma nana, né una Washingtonia, piuttosto le sembrava una palma da dattero, come quelle che le crescevano nei vasi dove lei buttava i semi dei datteri. Si ricordò di una palma mai cresciuta perché mai seminata. Aveva acquistato i datteri in Tunisia in quella oasi nel deserto dove i turisti vengono trasportati con le carrozze tirate da cavalli. Tornata a casa sentì un rifiuto a dare a quei semi una speranza di vita in un vaso. Quel seme non avrebbe mai potuto conoscere la sabbia delle lontane oasi, non avrebbe mai visto lunghe mistiche foglie librarsi nel cielo africano partendo dal suo cuore, non avrebbe mai sentito il caldo infuocato su di sé. Forse sarebbe divenuto sterile vegetazione con frutti immaturi ed aspri ma nessuno avrebbe più potuto restituirgli distese immense e cieli e terre natii. A Cartagine lei aveva cercato le sue radici tra millenarie pietre. Le aveva trovate in un tunisino che raccontava la pena di un popolo che, come il seme di dattero, aveva visto spezzarsi ogni speranza di vita e aveva visto sciogliersi quel disegno già elaborato con tratti decisi e con i colori dell'avventura e dell'allegria attraverso mari e spiagge lontane, al di là dell'orizzonte. Delenda Carthago, e così fu. La sua voglia di passato aveva finalmente trovato un angolo dove ancora era lecito cercare se stessa senza nascondere parole e gesti, sguardi e sorrisi. Il fascino di antiche genti, delle quali anche lei portava il segno, la coinvolgeva dolcemente e la rendeva sensibile alla loro piacevole fisionomia, all'acutezza e profondità del loro pensiero e ad un'umanità che riusciva a svelare l'essenza di tutto ciò che è reale come se fosse stato da sempre davanti ai suoi occhi. Forse la loro lingua aveva parole più adatte per esprimere i pensieri che nascono in chi cerca di penetrare in mondi interiori sconosciuti fino a farsene sommergere. Ma ben presto scialbe e vuote immagini si sarebbero sovrapposte al ricordo di mitici racconti e di antichi resti animati da moderne presenze modellate da centinaia di generazioni. E poi, forse, la ricerca del passato era per lei una fuga dal presente. Quel che non c'è più è comunque un punto fermo, un riferimento sicuro per chi ancora deve trapassare. Nel non senso di tutto ciò che Bianca percepiva intorno le sembrava che, se esisteva un valore, questo era nel mondo che non aveva conosciuto, in quei giorni persi per sempre. Era dunque una rinuncia alla vita? Era paura di mettersi in gioco, di assumersi responsabilità, di dare forma concreta ai suoi pensieri, ai suoi desideri? I giorni passavano, i mesi trascorrevano, gli anni volavano e nulla cambiava.
In un piccolo vaso di cristallo appoggiato sul bancone vide una rosa dai colori sfumati che prendeva la scena a frondosi tralci di edera argentata e a tre alti papiri. I petali color rosarancio ostentavano una superficie ricca di leggeri e simmetrici rilievi che davano l'impressione di una seta pregiata. Quella presenza silenziosa apriva scenari di giardini con roseti fioriti, gruppi di papiri che svettavano con la loro infiorescenza verde su incredibili steli lunghissimi apparentemente esili che si allungavano per superare la vegetazione intorno alla conquista di un raggio di sole, e antichi muri fatti a pietra e fango ricoperti da edere argentate. La regina dei fiori, al massimo del suo splendore, mostrava una bellezza che non poteva avere rivali. Ma Bianca, osservando meglio, aveva visto qualche segno di stanchezza nei risvolti dei petali, già completamente aperti, che rivelavano un cuore di stami e pistilli, il centro della vita. Il suo ciclo si avviava alla conclusione. Forse domani già un primo petalo sarebbe caduto, poi un altro, e un altro ancora. Mentre l'edera e il papiro avrebbero continuato a trionfare, per la rosa sarebbe presto arrivata la fine.
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Post n°25 pubblicato il 23 Dicembre 2011 da nuraghin45
30 dicembre 1997 Andavo avanti e indietro per sentire il ticchettio dei miei primi tacchi: un paio di scarpe blu, tanto carine, che non mi stancavo mai di guardarle. |
Post n°26 pubblicato il 25 Gennaio 2013 da nuraghin45
Ivana lavorava a maglia nel suo soggiorno. Un silenzio quasi religioso riempiva l'aria della stanza dove i quadri appesi al muro parevano visioni di un tempo lontanissimo ormai perso per tutti. La lunga sciarpa si arrotolava ad ogni cambio di ferri mentre il gomitolo andava e veniva sul pavimento lucidato a specchio. Ivana ogni tanto tirava il filo e poi lo faceva passare tra le dita della mano destra, così come le aveva insegnato sua madre tanti, tanti anni fa, quando era ancora bambina. Pochi ninnoli sullo scaffale che separava la zona pranzo dal salotto denotavano un gusto particolare per le ceramiche e per i vetri mentre erano del tutto assenti i portacenere. Una bella pianta grassa invasata in un contenitore di rame era appoggiata al centro del tavolino. Dai trafori della tovaglietta in cotone ecrù lavorata a uncinetto posata sul tavolino si intravedeva il colore scuro del legno. Aveva proprio azzeccato il motivo della tovaglietta, era proprio soddisfatta del suo piccolo capolavoro.
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Post n°27 pubblicato il 01 Febbraio 2019 da nuraghin45
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