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Amarcord...

Post n°313 pubblicato il 29 Novembre 2006 da georgeorwell1984

Amarcord: nel dialetto romagnolo significa “Io mi ricordo”

 

Ieri mattina mi è capitato di passare davanti alla vecchia sede dell’Università.

Come un flash mi è tornato alla memoria un episodio della mia vita universitaria.

Mi ero da poco iscritto alla Facoltà di Economia e Commercio e come tutti gli studenti del primo anno avevo il problema di trovare casa.

Mi fu consigliato di rivolgermi al bidello dell’Università, un signore dai capelli bianchi e con un enorme porro sulla guancia, che gestiva il “racket” degli appartamenti. In cambio di un lauto compenso l’usciere forniva due, tre nominativi alla volta di persone che affittavano le loro seconde case.

Durante la mia carriera di studente universitario ho avuto modo di cambiare alloggio in tre occasioni. La prima volta perché la padrona  decise di vendere l’appartamento, la seconda perché i miei coinquilini decisero, grazie a Dio, di non riprendere casa, mentre l’ultima volta riuscii finalmente ad abitare con quelli che sarebbero diventati i miei migliori amici con i quali sono tuttora in contatto.

Al primo ho anche fatto da testimone al matrimonio mentre l’otto dicembre prossimo farò da padrino alla figlia dell’altro mio amico.

Mi ricordo che il secondo anno capitai in casa con due ragazzi che erano fratello e sorella e che ben presto soprannominai “i grigi”. Infatti, loro erano soliti cenare verso le sette di sera, a volte anche prima, e subito dopo andavano a letto. Non li ho mai visti uscire la sera tranne che in un’occasione in cui andarono a cena fuori e tornarono, lo ricordo come fosse accaduto ieri, alle venti e trenta!

I due fratelli non legavano con nessuno ed erano molto riservati, un tantino con la puzzetta sotto al naso e piuttosto antipatici.

Come al solito sto divagando per cui torniamo a bomba.

Quando sei al primo anno e devi cercare casa ne vedi di tutti i colori.

Ricordo che un giorno andai a vedere un’abitazione che apparteneva ad un’impiegata comunale che era alquanto mal messa, la classica catapecchia  che andava sicuramente ristrutturata per la quale la proprietaria chiedeva allora quattrocentomila lire per una camera singola.

In cima alla lista dei nominativi del fantomatico bidello c’era sempre un indirizzo che non scorderò mai con l’indicazione del numero civico ed il riferimento “suonare Tomassoni”. A quel campanello rispondeva una megera che dubito sia mai riuscita ad affittare una stanza e che ogni anno puntualmente l’usciere riproponeva a tutti gli studenti.

Ogni volta che il tizio “scuciva” dalla sua agendina consunta un indirizzo si raccomandava di informarlo sul buon fine della trattativa.

Quello era il suo modo di dirti che si aspettava da te “la mazzetta” e che poi avrebbe telefonato al proprietario per avere anche da lui il compenso pattuito.

Insomma il bidello della facoltà era a tutti gli effetti un intermediario immobiliare. La cosa antipatica di quella persona è che rimuoveva sistematicamente tutti gli annunci messi dagli studenti fuori dalla facoltà tanto per ribadire chi è che gestiva il “racket” e a chi bisognava rivolgersi se si voleva trovare un appartamento in affitto.

Ho sempre avuto per così dire un temperamento ribelle e l’atteggiamento dell’odiato dipendente dell’università non mi andava giù per niente.

Quell’anno avevo bloccato un appartamento e avevo l’urgenza di trovare altri tre inquilini. La casa di cui sto parlando nella quale ho abitato per un anno, si trova a circa trenta metri dall’agenzia in cui attualmente lavoro (quando il caso dice la combinazione).

Decisi allora di mettere un annuncio in facoltà e mi posi l’interrogativo su come fare affinché il famigerato usciere non rimuovesse il cartello.

La soluzione mi venne prospettata da mia sorella che mi suggerì di utilizzare la stessa colla, quella per la carta da parati, che usava lei negli anni 70 quando insieme ai compagni di partito appendeva di nascosto i manifesti elettorali.

I volantini li realizzai io ispirandomi a quelli di Solidarnosc. Con l’Uniposca rosso composi su dei fogli formato A4 delle scritte “ATTENZIONE” a caratteri cubitali  seguite in piccolo dall’inserzione contenente il numero di telefono.

Notte tempo mi recai nei pressi della facoltà munito di manifestini, pennello e barattolino di colla fatta in casa e appesi quattro, cinque volantini in fila.

Avreste dovuto vedere la faccia del bidello il giorno  dopo e quelli successivi quando tentò invano di rimuovere i miei “tazebao”.  Sul muro della facoltà rimasero solamente i manifestini che avevo appeso io con il favore delle tenebre con quella scritta rossa “ATTENZIONE” che si notava ad un miglio di distanza.

Nel giro di un paio di giorni mi giunsero tante di quelle telefonate che trovare i coinquilini fu un gioco da ragazzi. Dal momento che notoriamente sono “bastardo inside” nei volantini indicai non il numero di casa mia, ma quello  di mia sorella alla quale continuarono ad arrivare telefonate per un bel po’ di tempo. Fortunatamente per lei un giorno piovve a dirotto e i manifestini divennero illeggibili. Proprio ieri abbiamo ricordato questo episodio che a distanza di anni ha suscitato ancora la nostra ilarità…soprattutto la mia…(bastardissimo!!!)

Come si dice: “La pubblicità è l’anima del commercio”. Forse avrei avuto un futuro come pubblicitario o…come attacchino!!! 

 

 

 
 
 
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