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LA NON-POLITICA DI SANT'EGIDIO
Post n°437 pubblicato il 03 Giugno 2009 da georgeorwell1984
Il Premio Carlo Magno - il cinquantesimo - ad Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio e professore di storia, non ha avuto in Italia l'eco che meritava: forse perché Riccardi non è un politico. Eppure, proprio questa singolarità impone una riflessione su quello che è e quello che non è politica. Per la verità, la Comunità di Sant'Egidio, fondata nel 1968, presente con 50 mila membri in più di 70 Paesi, ha fatto anche politica nel senso stretto della parola: la pace in Mozambico, dopo decenni di feroce guerra civile, fu il frutto principalmente d'una tenace mediazione di Sant'Egidio. Ma la politica di Sant'Egidio è soprattutto non politica. La Comunità non è la sola Organizzazione non governativa che faccia «politica-non-politica». Ma è forse l'espressione più compiuta, per la varietà e diversità degli scenari su cui si muove, d'una diffusa aspirazione a non lasciare agli Stati il monopolio della politica; nella convinzione che per la salvezza del mondo, unito e pur diviso nell'« era della globalizzazione», è necessario, accanto all'azione delle istituzioni governative, un forte impegno civile, d'ispirazione religiosa o laica, di una schiera sempre più numerosa di volontari soprattutto nei Paesi più poveri, dove la povertà è la causa principale di guerre e stragi, come di epidemie fatali quale l'Aids. Sant'Egidio è nata a Roma, dove opera intensamente a sostegno dei diseredati; e questa sua «missione» si è estesa a un numero sempre maggiore di città e Paesi. Poi la Comunità si è proposta la missione di intensificare il dialogo fra le religioni, estendendolo anche ai non credenti (o a coloro che laicamente «credono in un altro modo»); quel dialogo che ebbe inizio ad Assisi nell'ottobre 1986 per iniziativa di Giovanni Paolo II, e che viene rinnovato ogni anno negli incontri santegidiani. Non per scelta, ma per rispondere a un'urgente richiesta d'aiuto, concentra una parte importante della sua attività in Africa, dove oggi «vive, lotta e spera almeno la metà della Comunità, che è africana», come ha ricordato Riccardi nel discorso ad Aquisgrana. E l'Europa? Dice Riccardi che «una storia ricca e dolorosa lega l'Europa e l'Africa». Ricordando parole di Carlo Azeglio Ciampi, anch'egli Premio Carlo Magno («Abbiamo di fronte a noi un compito epocale: collegare saldamente e durevolmente il futuro dell'Africa all'Europa»), Riccardi ha affermato con forza: «La collaborazione allo sviluppo dell'Africa, la lotta alla malattia e alla guerra, sono compiti europei. Sono la vera risposta al flusso inarrestabile dell'emigrazione, che non sarà fermata alle frontiere o dai controlli nel Mediterraneo. È la rinascita economica e di speranza in Africa che lo ferma... La prima missione dell'Europa si chiama Africa». Ma per adempiere questa missione, per fare il mondo «meno terribile», l'Europa deve essere più che mai unita. Divise, le nazioni europee saranno impotenti. Ma ancora oggi, dopo tanti progressi, l'Europa, per essere unita, deve diventare «una passione nostra, non qualcosa di lontano e nebbioso». Questo è stato il significato dell'assegnazione del Premio Carlo Magno, di cui furono insigniti i più grandi politici europei, al «non politico» Riccardi. Perché, «senza una visione unitaria ed europea..., l'Europa uscirà dalla storia del mondo». E il mondo ne soffrirà. Rimane un inquietante interrogativo: la «politica non politica» che Sant'Egidio ha portato con successo nel mondo ha un futuro in questa nostra «Europa condominio», priva del senso dell'«urgenza della storia»? La risposta santegidiana sta nel proporre un'utopia: l'Europa unita come «prefigurazione della solidarietà universale nel futuro». Unendosi, l'Europa ha già realizzato un'utopia, ed è oggi di modello al mondo. Ma avrà la forza di tendere la mano a chi ha più bisogno d'aiuto, e di fare di un sogno ancora più vasto una realtà? Arrigo Levi |
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