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LE PAROLE DELLE CANZONI/1

Post n°93 pubblicato il 25 Settembre 2016 da malware_jinx

Tutti hanno scoperto Luigi Tenco, dopo che era morto. E’ una sorte che tocca a molti, ma che con lui si è espressa in maniera particolarmente beffarda.
Tutti conoscono “Ciao amore ciao”, l’ultimo pezzo che egli cantò (non saprei dire se l’ultimo che avesse scritto), prima di abbandonare per sempre la vita terrena.
Le elucubrazioni circa il presunto recondito significato di quella composizione si sono, negli anni, sprecate, trovando origine, quasi sempre, nel tragico epilogo dell’esistenza dell’artista, al quale vengono indissolubilmente ed inevitabilmente legati certi passaggi del testo.
L’ultimo a sproloquiare è stato un noto giornalista (?)-conduttore della Rai, di quelli che, dalle mie parti, identificano come “uno che non sa nè parlare nè stare zitto”, il quale dice di aver sempre sentito che, dentro quei versi, era già scritta la fine che il cantautore avrebbe, di lì a poco, messo ai propri giorni.
Per carità…, le parole possono suggestionare: ciascuno di noi ha la tendenza a mettere in relazione determinati eventi con fatti, immagini, scritti verificatisi o concepiti poco prima gli stessi si verifichino.
Ma questa poesia di Tenco (lui sì che era un poeta…, non il mestierante che veniva celebrato nella trasmissione condotta dal tizio di cui sopra…) non contiene veramente nulla che possa far pensare ad un imminente suicidio, né suo né di chicchessia.
In quella canzone si parla di emigrazione (toh! che argomentino fuor del tempo…!). Si parla del travaglio esistenziale di chi è costretto a lasciare la propria terra ed i propri affetti (“ciao amore ciao”, appunto)  per spostarsi in un altro luogo in cerca di un miglioramento economico. Per di più, viene magistralmente descritto il sentimento di timore e di smarrimento, che generalmente assale chi si ritrova in un contesto tanto nuovo, difficile e soprattutto diverso da quello che si è dovuto lasciarsi alle spalle: al punto da voler quasi scappare per ritornare da dove si è venuti (“e non capirci niente e aver voglia di tornare da te”).
Abbiamo dinanzi la contrapposizione tra la strada assolata di un ipotetico sud (“bianca come il sale”) e quella probabilmente tetra di un altrettanto ipotetico nord industrializzato ma avaro di luce e di calore umano (“strade grigie come il fumo” dove, storditi da bagliori di luce artificiale, “sentirsi nessuno”).
Assistiamo all’immagine di una vita lenta e sempre uguale scandita dalla costante apprensione, che agita chi è legato ad un lavoro agricolo primordiale, di guardare con occhio preoccupato al clima, dalla clemenza del quale dipenderà l’abbondanza del raccolto, quindi la sopravvivenza, cui fa da contraltare il balzo repentino in un mondo tutto nuovo, minaccioso, dove si giunge senza conoscenza e preparazione adeguate (“saltare cent’anni in un giorno solo, dai carri nei campi agli aerei nel cielo”).
Cogliamo infine un lieve, quasi impercettibile accenno al dolore che nasce dalla separazione. Non è forse vero che, da sempre, chi parte lascia dietro di sé affetti destinati alla prova durissima della sopravvivenza? Sentimenti che dovranno vedersela con la dura realtà  dell’abbandono, della difficoltà/mancanza di comunicazione, del non vedersi, del non esserci…? Non è forse vero che il mal d’amore sta essenzialmente nella paura della sua perdita?
Luigi Tenco aveva portato questo argomento a quel festival del ’67.
Un tema non di moda, non di tendenza e destinato a spegnersi con  l’andare del tempo. Bensì un tema eterno, come lo è il conflitto tra la condizione di chi vive bene e quella di chi vive male.
Certamente, non un tema sanremese
E infatti Sanremo non lo recepì.
Ma Tenco era un cantautore intelligente e sensibile (forse non un potenziale suicida) e, per esprimersi con le canzoni, sapeva distinguere tra l’eterno e il caduco.
Il ’68 era alle porte. Forse quel vento nuovo l’avrebbe legittimato…, reso meno ostico alle masse conferendogli meritata popolarità terrena… e, chissà?, gli avrebbe salvato la vita.
Le masse si sono accorte di lui tardi. Ne hanno posto genio e talento sul piedistallo, e, come sempre accade, sul piano delle dissertazioni più varie e diverse.
       

 
 
 
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