Kit&MÜrt - UGàL
Ho guardato dentro un bugia ed ho capito che è una malattia dalla quale non si può guarire mai...
Post n°164 pubblicato il 01 Febbraio 2009 da merendero77
Bento Sushibar James aveva fatto le cose in grande per la festa. Il progetto a cui aveva lavorato Libero era andato benissimo, oltre ogni aspettativa del cliente stesso ed ora in azienda si trovavano con un nuovo progetto da 3, 3 milioni di euro da portare a termine entro giugno dell’anno che veniva. Era al settimo cielo James e allora aveva pensato ad una festa aziendale al Bentobar Drink&Sushi, raffinano locale in corso Garibaldi. Libero non beneficiò di nulla. L’unica cosa fu che gli occhietti freddi di James lo lasciarono in pace per un po’ e Libero passava quasi tutta la giornata a surfare sulla rete e a cazzeggiare su facebook. Libero indossò i jeans nuovi attillati e una giacca blù con imbottitura in piumino d’oca e una camicia dal collo e i polsi bianchi di colore viola col collo e i polsi bianchi comprati in fretta la mattina stessa. Si guardò allo specchio dell’armadio, si sistemò la pashmina in tinta con la camicia, e uscì di corsa perché era in ritardo. Era soddisfatto della sua immagine. Stava bene. Si era imposto di fare bella figura e cercare di divertirsi con i suoi colleghi. Voleva ubriacarsi e ridere, voleva non pensare e togliersi la pioggia di Milano di dosso. Giunto che fu al Bentobar, s’allentò la pashmina e si sfilò gli occhiali che subito s’appannarono nel caldo umido del locale già pieno. Ad occhio e croce a Libero parve che non mancava nessuno. Qualcuno già sgranocchiava stuzzichini di pesce crudo. Pensò al pesce crudo immancabile in ogni matrimonio giù nella Puglia barese. A lui non faceva impazzire ma lo mangiava lo stesso se ne aveva l’occasione. James lo accolse caloroso e subito lo introdusse a due personaggi importanti dell’azienda lodandolo per il progetto portato a termine. Libero stupito, sorrise un po’ imabarazzato e rimase imbambolato senza saper che dire. Il discorso poi passò oltre, alla festa, al cibo. Valeriè era appoggiata al lungo bancone nero lucido. Era vestita con un lungo abito da sera nero con generosa scollatura sulla schiena. Parlava e rideva leggera con Piero De Martinis, capo dell’amministrativa, e intanto notò Libero che si guardava intorno. Appena potè lei si liberò di Piero e s’avvicinò a Libero. “Ciao Pugliese”, e sorrise con la testa un po’ inclinata di lato. “Ciao mademoiselle Erard”, finto scherzoso perché non ricordava il nome di battesimo. “Valeriè, chiamami Valeriè, è una festa amichevole…” “Va bene Valeriè”, deglutì imbarazzato. “Come va? Ti piace la festa? Vieni che ci beviamo qualcosa, è free drink staserà”, gli strizzò l’occhio e lo prese leggermente per la giacca indirizzandolo al bancone. “Fabrizio, duè Long Island”, ordinò lei. “Vedo che sei pratica, già conosci il barista…”, Libero cercò di sciogliersi. “Io adoro il sushi e questa è la mia seconda casa…è un locale chic e anche accogliente, mi mette a mio quest’atmosfera soft…” “Infatti…vedo che è davvero bello, non ci ero mai stato” Valeriè prese sotto la sua ala protettiva Libero e non lo mollò per tutta la festa. Lo mise a suo agio e lo sbottonò. S’accorse che sotto la sua aria distratta ed annoiata c’era una persona sensibile e intelligente che sapeva ridere e far ridere se riusciva ad uscire dalla campana di vetro che si era costruito tutto attorno e al di la della quale lui guardava correre in fretta la vita. Fu una bella sorpresa Libero per Valeriè. Era una persona umana e vera. Aveva paura però e lei se ne accorse: aveva paura di svelarsi, di mostrare le sue ferite aperte ancora sanguinanti. Custodiva gelosamente segreti dolorosi che aveva deciso di ingoiare e digerire da solo, ma da solo non ce la faceva. Lei non lo forzò, intuì e girò attorno, senza essere invadente. La pioggia fuori era diventata neve, i long island diventarono prima due e poi tre. La lingua era più leggera, le teste giravano per conto loro. A fine serata presero un taxi insieme su iniziativa di lei. Giunti che furono sotto casa di Valeriè, lei uscì dal taxi poi si voltò indietro bussando al finestrino per fermare la macchina che ripartiva, fece il giro dal lato di Libero, aprì la portiera e lo tirò fuori. “Resta a casa mia questa sera!” Intontito dall’alcool Liberò non rispose niente ma assecondò Valeriè. Poi prese venti euro dal portafogli, le allungò al taxista e corse verso il portone del palazzo di fronte con la francese.
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RICORDI I ricordi possono essere una malattia E tu sei il ricordo dal quale non riesco a guarire ancora... I ricordi possono essere un muro E tu sei il ricordo che non riesco a scavalcare ancora... I ricordi possono essere un vetro E tu sei il ricordo che non riesco a sfondare ancora... I ricordi...! E tu sei il vetro al di là del quale vedo scorrere in fretta la vita... |
Post n°163 pubblicato il 31 Gennaio 2009 da merendero77
Stelle
Anche i tuoi si aggiungeranno al firmamento... Perché le stelle non sono semplicemente stelle... Sono gli occhi di chi abbiamo amato E abbiamo perduto E vegliano qui nostri sonni agitati... Anche nelle notti più buie Anche nelle notti più belle E saranno per noi li per sempre...
NOta: mi scuso per la prolungata assenza ma il blog è rimasto chiuso per un lutto che ha colpito la mia famiglia.
BuOn WeEk-EnD a tutti! |
Post n°162 pubblicato il 18 Gennaio 2009 da merendero77
![]() Certe notti a Milano cadevano inesorabili come un ghigliottina. Sui vivi, sui morti, sui ricordi, sul presente, sul passato, sul futuro, sui pensieri, su Libero. Certe notti non bastava la solita peroni da 66 ghiacciata tirata fuori del frigo deserto e un bicchierino di Padre Peppe gelosamente custodito per le occasioni migliori che puntualmente non arrivano mai, per conciliare il sonno e spegnere quelle sigarette svogliate accese dalla noia. Libero guardava il cielo informe di quella notte da dietro ai finestroni del suo monolocale impersonale e senza pretese. Non vi aveva aggiunto quasi nulla di suo: sembrava la stanza di un motel e infondo lui si sentiva di passaggio, quel luogo non gli apparteneva. La sua casa, quella che aveva amato, l’aveva lasciata più di un anno fa e lì aveva lasciato molto di più di quello che pensava. Il cielo nascondeva le stelle. Milano non ti lascia nemmeno la consolazione delle stelle. Una cappa giallastra inquinava la volta nera della notte: non c’è spazio per la poesia nella pianura ipermercata cantata da Vinicio, nella campagna puzzolente, tra file interminabili di capannoni, industrie, depositi, fiumi morti. Le stelle erano lì dietro ma erano solo un ricordo. Il pc mandava l’album d’esordio di Vasco Brondi, decantato come il nuovo Vasco, quello vero. Ma in realtà di Vasco non aveva niente a parte il nome. Però era bravo e Libero ne ascoltava i testi cupi e post-industriali. Il 2009 stava per iniziare, l’ultimo anno della prima decade di questi spaventosi anni 0, ma che musica sarebbe rimasta? Che musica avrebbe caratterizzato sti cazzo di anni 0? Ascoltando la radio bastano pochi secondi per poter affermare “questa è anni 80, questa anni 70, quest’altra decisamente 60”, ma che cosa sarebbe rimasto della prima decade del nuovo millennio? E degli stessi anni 90 che cosa era rimasto poi? Non sapeva rispondersi… l’emergenza rifiuti decisamente attanagliava anche il campo musicale… Domani era il giorno della festa aziendale e Libero non aveva ancora comperato nulla di nuovo da mettere. Ci avrebbe pensato domani. Ora si ascoltava Vasco, quell’altro Vasco, e storcendo un po’ la bocca disse, “ non è poi mica male sto Vasco!”… |
Post n°160 pubblicato il 16 Gennaio 2009 da merendero77
BUON W-E a tutti! :) |
Post n°159 pubblicato il 10 Gennaio 2009 da merendero77
Libero s’era svegliato col respiro mozzato, trafelato, spaventato. La sveglia sul comodino segnava con cifre rosse divise da due punti intermittenti le 05:45 a.m. Decisamente troppo presto. Le finestre erano ancora appoggiate ad un muro impenetrabile di buio e i vetri riflettevano la sua faccia sconvolta illuminata dalla abatjour e i ciuffi elettrizzati dei suoi capelli che andavano un po’ per fatti loro. Aveva un peso sul petto. Un peso che gli impediva il respiro e che l’aveva tirato fuori dalle coperte a quell’ora antelucana. Forse era stato “u’ munacidd”. Ma che ci faceva quel dispettoso folletto gravinese vestito da monaco, tutto nero, col volto nascosto sotto un cappuccio a punta? Forse era emigrato anche lui? Forse non c’erano più bambini da spaventare, cavalli a cui intrecciare le cole e il crine, giù nel suo profondo sud? Libero andava ponendosi questi frivoli interrogativi tipici di una mente ancora mezza assopita, mentre pian piano riaffiorava alla memoria il sogno della notte appena conclusa. Era sulla giostrina girevole del bosco Difesa Grande. Era con suo nonno e altri suoi amichetti d’infanzia e giravano a velocità sempre crescente sulla giostra, uno di fronte all’altro, spingendosi con le braccia e ridendo come pazzi. Tutto il bosco roteava così forte che le immagini andavano sempre più diventando in discriminabili e tutt’intorno divenne presto un cilindro di un verde con varie sfumature e gradazioni. La giostrina si staccò dal prato e, sempre roteando vorticosamente, prese il volo. I suoi amichetti e lui stesso furono scaraventati in direzioni diverse mentre il nonno, dal basso guardava a bocca aperta la scena. Libero cadde in un posto lontano lontano, una radura del bosco probabilmente e, assunta la posizione del quattro di bastoni, cominciò a sentire un peso sul petto che gli impediva di chiamare suo nonno per chiedere aiuto. Poi si svegliò. “Che cazzo mi sono fumato ieri sera?!”, Libero si chiese con una faccia interrogativa e perplessa, si passò la mano sul viso per schiarire la vista e si tirò giù dal letto. Era sabato e doveva andare a comprare qualcosa per la festa di fine anno della sua azienda. L’anno precedente l’aveva aggirata fingendosi malato ma quest’anno non poteva saltarla di nuovo. Già tutti in ufficio lo guardavano strano perché non aveva rapporti amichevoli con nessuno, stava sempre sulle sue e andava a mangiare quasi sempre da solo. Da quando Marianna era uscita dalla sua vita i colleghi avevano notato comportamenti molto più strani del solito. Libero per un po’ aveva finto portando la sua fedina per mesi, aveva glissato l’argomento coi pochi che la conoscevano e a Natale si era dato per malato perché avrebbe dovuto portarla con se alla festa. Libero non sapeva perché aveva fatto quella cosa. Aveva finto di essere ancora con la sua compagna, si era tenuto tutto dentro compresso e aveva mantenuto una finta e apparente calma mentre in realtà scivolava piano piano in una stretta e scura strada laterale senza uscita. Forse non voleva impazzire, forse aveva paura di ritrovarsi solo, scaraventato in quella fredda Milano chissà in qual punto, con la il cuore schiacciato nel petto e nemmeno la forza di chiedere aiuto. Era un pomeriggio d’ottobre quando iniziò la fine, l’aria era ancora molto mite, il sole caldo e gli alberi ancora tutti verdi… Si sciacquò la faccia dopo aver pisciato, mise a fuoco al sua faccia nello specchio dello specchiò appoggiandosi con una mano alle piastrelle fredde, assunse una espressione un po’ schifata e s’andò a preparare un caffé mentre ripeteva tra se “Il Natale viene ogni anno per ricordarmi che sono solo…bleah!” Quel gusto amaro in bocca che sa di sconfitta gli impastava la lingua. Due passi nel freddo e un po’ di shopping in corso Buenos Aires l’avrebbero tirato su. “Farò un figurone alla festa…devo essere elegantissimo….” E queste parole nella testa di Libero suonavano come un miracolo. |
AREA PERSONALE
GUCCINI
e di colpo ti accorgi
che non sono più quei
fantastici giorni all'asilo
di giochi, di amici e se ti guardi
attorno non scorgi le cose consuete,
ma un vago e indistinto profilo...
E un giorno cammini per strada
e ad un tratto comprendi che
non sei la stessa che andava
al mattino alla scuola,
che il mondo là fuori t'aspetta
e tu quasi ti arrendi capendo
che a battito a battito
è l'età che s'invola...
![](http://images.wikio.com/images/p/26f1/poesia-e-rabbia-nei-piccoli-capolavori-di-francesco-guccini.jpg)
![](http://www.studentistatale.it/portale/images/stories/letto_marta.gif)
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