Creato da merendero77 il 25/08/2007

Kit&MÜrt - UGàL

Ho guardato dentro un bugia ed ho capito che è una malattia dalla quale non si può guarire mai...

 

PoEsIA

Post n°154 pubblicato il 11 Dicembre 2008 da merendero77
 



Polvere di stelle


Dicono che sono solo bugie
Non c’è nemmeno da chiedersi perché
Tutto è destinato prima o poi a finire
E l’amore diventa la monotonia di un “me e te”

Oh Valerié dell’anima mia,
Se questo è vero, tu dimmi una bugia
Dimmi che un giorno sarai mia…
Dimmi che non ti vedrò mai andare via….

Gli occhi tuoi blu sono il mare
No, che non mi possono ingannare,
C’ho visto dentro tutto l’universo
E quel infinto ora mi sono perso…

Dicono che non è polvere di stelle
Di lasciarle sole nel cielo quelle
Noi camminiamo su cocci di vetri rotti
E barcolliamo inciampando in passi goffi

Oh Valerié dell’anima mia,
Se questo è vero, tu dimmi una bugia
Dimmi che un giorno sarai mia
Dimmi che non ti vedrò mai andare via….

Gli occhi tuoi blu sono il mare
No, che non mi possono ingannare,
C’ho visto dentro tutto l’universo
E quel infinto ora mi sono perso…

Dicono che non è polvere di stelle
Allora sono cocci di vetro sulla mia pelle
Ma stringimi forte a te lo stesso
Fino a farmi male…
Fino a sanguinare…
Meglio questo dolce dolore
Che il maledetto “non-sentire”…

Circondami del tuo abbraccio forte
E non guardare mai oltre
Senza il tuo sguardo addosso
Mi sento nudo e solo…

 
 
 

La nebbia

Post n°153 pubblicato il 24 Novembre 2008 da merendero77
 

Vorrei essere felice
come lo sei tu...
Ma non so esserlo
Forse non più....

Vorrei provare
Quello che provi tu...
Ma forse non lo ricordo
Non lo ricordo più...

C'è qualcosa che mi frena
E non è la ragione che mi frena
Forse è il cuore che mi dice che non sei tu
Forse c'è qualcosa che ad ammettere si fatica di più...

 
 
 

Post N° 152

Post n°152 pubblicato il 21 Novembre 2008 da merendero77


Piccione

Presto ti stancherai delle mie malinconie...
Sono come piccione ora:
Non voglio più volare
E mi accontento di razzolare
Nelle immondizie della mia solitudine
Ad ingrassare ed ingrassarmi
Di tempi andati e noia novella...
Salvati almeno tu...
Non lasciarti infettare da me....


 
 
 

TABACCHI

Post n°151 pubblicato il 16 Novembre 2008 da merendero77
 




Mery non credeva alle sue orecchie mentre sentiva la voce del Presidente in persona che dall’altra parte della cornetta la invitava gentilmente a prendersi una bella e lunga pausa dal lavoro. “Un po’ di ferie non le faranno male. Torni a casa, stia un po’ con i suoi, passi una settimana in una Spa, posso darle dei consigli utili a riguardo. Vedrà che si sistemerà, l’azienda è con lei. ”A meri cominciò a tremare il labbro, le mani erano sudate di un sudore gelato, gli occhi fissavano il vuoto. Disse solo “Come vuole Presidente” e riattaccò. Poi scoppiò in lacrime. Probabilmente erano anni che non piangeva.
Pianse in silenzio con la testa tra le mani. Poi si asciugò con un fazzolettino di carta, prese la borsa ed uscì di fretta lasciando un messaggio alla sua segretaria sulla scrivania.
L’aria era ancora affollata. Mery attraversava la folla indifferente con mille pensieri per la testa, con il panico nel cuore. “Mi hanno trombata! Sergio prenderà il mio posto e io sarò tagliata fuori… perché ho ceduto? Perché!? Tutti questi anni di lavoro, di sacrifici per cosa?!”, andava pensando tra se. Camminava senza fretta, diritta, a volte centrava qualcuno senza avvedersene.
Qualcosa quel giorno era cambiato dentro di lei. Il ghiaccio che avvolgeva il suo cuore si scioglieva e man mano che il calore cominciava ad arrivare, si sentiva sempre peggio.
Si sentì nuda in mezzo alla folla e trafitta da un dolore acuto. Si sentì per la prima volta sola, indifesa, bisognosa, fragile. Si toccò il ventre e si sentì donna. La borsa, la finanza, la sua banca divennero immagini sfuocate e altri pensieri cominciarono a consumarla, pensieri che sempre aveva rimandato per rincorrere soldi e successo.
La T di tabacchi attirò la sua attenzione. Una volta fumava. Sentì di nuovo il desiderio di una sigaretta e, affrettando il passo, si diresse verso l’entrata.
PUM!
“Scusi signora… s’è fatta male?”
La signora in tailleur gessato grigio aveva una faccia strana, sbiancata, uno sguardo perso e non rispondeva.
“Signora sta bene?”. La signora spostò dietro l’orecchio il ciuffo di capelli biondi che le era calato sul viso per l’urto con Libero.
“Signora?”, Libero la guardava negli occhi avvicinandosi al suo viso mentre lei si schermiva abbassando la testa e guardando di lato. Aveva occhi bellissimi ma così turbati, con il mascara sbavato, e il correttore che non riusciva a mascherare le occhiaie profonde. Che cos’era successo a questa donna? Perché non parlava?
“Sto bene, sto bene”, scartò Libero ed entrò.
Libero rimase lì impalato per qualche secondo mentre la guardava attraverso la porta vetro nell’atto di pagare un pacco di Marlboro Light. Scrollò le spalle e sfilò una paglia dal pacchetto nuovo mentre non riusciva a dimenticare i suoi occhi neri così belli e così persi. Quegli occhi erano una solitudine specchiata, ecco cosa avevano di così familiare… una solitudine specchiata in un'altra solitudine…

 
 
 

MERY

Post n°150 pubblicato il 14 Novembre 2008 da merendero77
 



Solo per se aveva vissuto e lottato contro tutti. Solo per se aveva deciso e aveva vinto sempre. Solo per se aveva preso tutto e se ne era andata in tutta fretta a Milano. Solo per se aveva studiato per passare un test d’ingresso che molti le dicevano truccato. Solo per se non aveva sentito le prediche scoraggianti dei suoi. Solo per se era entrata in Bocconi e s’era laureata col massimo dei voti. Solo per se aveva trovato lavoro quasi subito a dispetto di chi le diceva che aveva bisogno di raccomandazioni e conoscenze. Solo per se aveva lavorato sodo ed era arrivata ad un punto che molti si sognano di arrivare a dispetto di chi le diceva che per una donna è più difficile fare carriera e a dispetto di chi le diceva che avrebbe dovuto passare per il letto di qualcuno che conta. Solo per se aveva resistito, aveva tirato fuori le unghie e aveva marciato sui cadaveri di chi le sbarrava la strada. A trentaquattro anni, Mery, ex Maria Rosa, nome troppo terrone, era già all’apice della sua scalata alla finanza milanese. Il suo nome era conosciuto, le SICAV, le finanziarie, le banche le facevano una corte spietata, a suon di migliaia di euro. Di bella presenza, con un polso di ferro, una conoscenza smisurata, una dedizione costante al suo lavoro, priva completamente di altri interessi, irremovibile e ferma nelle sue decisioni, con un grande fiuto per l’affare migliore, Mery era diventata qualcuno da sola e l’aveva fatto solo per se, contro tutti. Solo per se aveva lasciato il suo smidollato fidanzato, che avrebbe preferito lei rimanesse a Bari a frequentare l'università, che avesse fatto una vita più tranquilla, che magari un giorno avessero formato una famiglia con lui.
Fino a quel giorno aveva resistito a tutto, anche a 15 ore di lavoro, ma un pomeriggio d’ottobre, mentre il sole era ancora abbastanza caldo e gli alberi ancora erano tutti verdi a dispetto dell’autunno, nel buio della sala operativa piena di monitor di PC e enormi schermi al plasma con gli andamenti di tutti le borse, cadde riversa per terra, sulla moquette bordeaux. La sua cartellina volò di lato, la penna schizzò via lontana, un tonfo sordo attirò l’attenzione degli operatori. Seguì un frenetico e caotico darsi da fare per darle una mano anche se molti avrebbero voluta vedere morire lì su quella moquette.
Il loro capo, Mery, era crollata, come le borse, come i titoli, le obbligazioni, i prodotti strutturati che avevano rifilato a mezzo mondo, come i mutui subprime, come tutta la finanza degli ultimi tempi.
A trentaquattro anni, Mery, aveva ceduto allo stress per la prima volta. Le sue certezze, la sua vita stessa, le si sbriciolava sotto i piedi. Dopo gli ennesimi milioni bruciati, aveva ceduto. Piazza Affari era allagata di merda, la finanza era esplosa, tutti i suoi sogni con essa.
La sua banca perdeva, calava a picco nell’inferno, e lei non riusciva a farci niente. Partite più grosse si giocavano a piani inarrivabili e lei era impotente. Sì, per la prima volta conosceva il significato della parola “impotente”. Lei, artefice del suo destino, lei che voleva e poteva, questa volta voleva ma non poteva ed era finita così, bocconi su una moquette, a mangiare polvere su quel lurido pavimento.
Intanto il sole era ancora caldo, gli alberi erano stranamente ancora tutti verdi, il cielo terso era rigato solo dalle scie chimiche degli aerei… avrebbe potuto esserne felice...

 
 
 

AL BAR

Post n°149 pubblicato il 07 Novembre 2008 da merendero77
 



Liberò approfittò della tregua della pioggia novembrina per andare a mangiare qualcosa al Panino Giusto durante la pausa pranzo. Fece due passi tra i marciapiedi punteggiati di nero da migliaia di schifosi chewing gum schiacciati, scansando i piccioni maleducati che non volano più e intralciano i passanti beccando qualsiasi cosa, imbottendosi di mondezza.
Si sedette al tavolino fuori riscaldati da quegli orribili funghi a gas per poter fumare in santa pace una sigaretta aspettando che il cameriere senegalese venisse a prendere le sue ordinazioni.
Guardandosi in torno, scorse Valeriè, la sua collega parigina che lavorava in amministrazione. Era sola. Fece finta di niente, si spallò sulla sedia per nascondersi dietro il suo vicino di tavolo. Non voleva rompere la sua solitudine e poi non sapeva che fare: avrebbe dovuto proporle di mangiare insieme? In fondo si salutavano a mala pena e non avrebbe saputo che dirle. Nascondendosi, risolse un po’ di rogne nel suo cervello.
Si stava disabituando ai contatti sociali ogni giorno di più, la gente lo annoiava, il dialogo lo spossava: era meglio starsene spento, in attesa… ma di cosa? A quante domande non sapeva rispondere? A quante cose aveva rinunciato ad abbozzare una risposta? Tante, forse troppe…
Ordinò al simpatico senegalese, sempre sorridente, il suo panino con bresaola e mascarpone e un caffé. Mangiò con appetito l’ottimo panino e sorseggiò il suo caffé voluttuosamente.
Diede un’occhiata alle notizie sul giornale e si da solo rovinò il suo momento di pace. Il Presidente del Consiglio ne aveva combinata una delle sue accogliendo la vittoria del presidente statunitense Obama con una infelice battuta delle sue, apostrofandolo come “giovane, bello e abbronzato”!
“Abbronzato!”, sbottò quasi ad alta voce. La gente si voltò a guardarlo. Si alzò di botto facendo versare il resto del caffè sul giornale aperto e andò via incazzato borbottando tra se e se
Valeriè s’accorse di lui e cercò di incrociare senza successo il suo sguardo.
“Abbronzato!”, andò ripetendo Libero mentre si allontanava scuotendo enfaticamente la testa china e Valeriè lo guardava incredula. Era sempre così apparentemente calmo e taciturno, cosa poteva averlo stizzito così?

 
 
 

Eccomi

Post n°148 pubblicato il 27 Ottobre 2008 da merendero77
 

Sono stato a Roma nel W-E. Vado a Roma per ricordarmi che sono vivo e che ancora un pò di giovinezza arde nel mio vecchio cuore. Merito dell'atmosfera della Capitale, merito della sua Bellezza eterna, merito degli amici che rivedo sempre con grande piacere e che mi ospitano e "sopportano", merito della bandabardò che sta volta ci ha fatto saltare alla grande nel ex Pala Eur o Pala Lottomatica se preferite, merito dell'esperienza a Radio Capita con il grande Ciccio, merito di aver conosciuto anche se, ahimè, solo per pochi minuti la bella Pequena, merito di tutte queste cose insieme e cmq soprattutto del calore delle persone che rivedo, mi sono sentito vivo. Ho trovato il mio "sempre" nel "mai", come dice Muriel Barbery, ho trovato la Bellezza in questo mondo triviale, e mi sono sentito felice. E' per questo che la vita merita di essere vissuta...

Grazie ragà a tutti! E granzie anche a Vale che si va ad aggiungere a tutta la bella gente che mi fa sempre ritornare a Roma!
Magari mi trasferissero! Mannaggia alli pescetti!












 
 
 

Sempione

Post n°147 pubblicato il 20 Ottobre 2008 da merendero77
 



Domenica mattina. Libero si era alzato di buon ora dato che sabato s'era barricato in casa per lo più a sonnecchiare tra il divano ed il letto. Da un pò non amava tanto stare in compagnia. I suoi colleghi lo disgustavano. Vuoti fighetti, aspiranti quadri in carriera, si profumavano e si tiravano a lucido, imbottendosi di sostanze eccittanti per essere brillanti ed accelerati e sfoggiare la lora parlantina nei locali alla moda di Milano alla ricerca del sesso. Dopo l'esperienza dello scorso w-e, Libero aveva deciso di starne alla larga.
Uscì per andare a fare due passi. Inforcò la bicicletta e fece qualche chilometro nella città tranquilla della mattina domenicale. Sembrava quasi vivibile così milano: larghi viali semi vuoti con alberi altissimi che cominciavano a perdere le foglie per l'autunno, si sentiva quasi il vento tra le loro chiome.
Era una bella giornata, mite e con un sole pallido. Arrivato che fu al parco Sempione, attaccò la bicicletta ad un palo e fece due passi a piedi.
C'era uno stand della caritas quella mattina. Una lunga folla di disgraziati attendeva composta e silenziosa, quasi volesse essere invisibile. Tutto a torno la vita procedeva: signore che facevano jogging con l'ipod nelle orecchie, coppie che facevano giocare i bambini, gente che portava a spasso il cane. La folla stava lì, in mezzo a quell'apparente normalità. Arrivò una troupe della Rai per un servizio sulla distribuzione di beni di prima necessità. Tra quella gente c'erano immigrati con mocciosi a seguito, barboni e molti vecchi italiani. Vecchi dimenticati, abbandonati dai figli e da tutti. Le misere pensioni non bastavano nemmeno per la loro vita sobria e sparagnina. Tutti si vergognavano, si nascondevano alle telecamere, non volevano essere intervistati.
Si vergnavano di chiedere l'elemosina, si vergognavano di essere poveri. Eppure il senso della vergogna, Libero, pensava fosse sparito. Camorristi arroganti si mostravano in tv, ignoranti occupavano le più alte posizioni sociali vantandosi della propria rozzezza, politici e ladri giravano a piede libero e a testa alta. Tutti sfrontati, arroganti.
" Puah!", Libero sputò per terra la sua amarezza. Non c'è parola migliore per descrivere questo nuovo millennio: amarezza.
Un vecchietto bolso si allontanò dalla fila e si sedette su una panchina e, appoggiata la fronte al suo bastone, pianse. I vecchi non fanno rumore quando piangono. Le lacrime scendono silenziose, dignitose, inciampando tra le rughe profonde.
Libero pensava alla sua misera vita, fatta di gesti usati, rituali, sempre identici, alla sua spartana casa che puzzava di nostalgia. Pensava a tutti gli anni che aveva addosso e che quel bastone che non ce la faceva più a sostenerli. Pensava alla sua solitudine profonda, al suo senso di inutilità per una società a cui aveva regalato i migliori anni della sua giovezza e che ora si era dimenticata di lui. Magari sarebbe morto e i suoi figli l'avrebbero trovato dopo un mese.
"Che amarezza...", sospirò Libero, e andò via per non vedere e per non pensarci più...

 
 
 

METRO 

Post n°146 pubblicato il 17 Ottobre 2008 da merendero77
 



"Da ragazzino il tempo non passava mai. In un'ora si poteva fare di tutto.
Ricordo le estati infinite. Ricordo le giornate interminabili per strada, le orde rumorose di bambini, la pineta e l'odore dei pini e delle siepi, le partite a pallone a sfondare le saracinesche, le liti con le signore che ci cacciavano via, il nascondino, le biglie di vetro, il gioco coi sassi, il disalò col gessetto per terra e tanti altri. Ricordo le risate, le sudate, le memorabili cazziate al rientro per un pantalone strappato o per un ginocchio sbucciato. Ricordo il coro delle mamme alla sera che, uscite dai balconi e dalle finestre, gridavano tutte il il nome del proprio figlio per farlo rincasare vista l'ora tarda e la cena quasi pronta e l'amichetto trafelato che veniva a chiamarti tutto allarmato per dirti che ti stavano chiamando da mezz'ora e con tono sempre più minaccioso. Ricordo.

Ora non ricordo poi tanto, dimentico facilmente. Entrato nell'estenuate ripetizione delle settimane lavorative, da quando sono felicemente impiegato il tempo vola, i giorni sono uguali ai giorni e niente rimane che valga la pena di essere ricordato. Gli anni passono troppo in fretta e ogni volta che ho tempo di guardarmi bene allo specchio trovo i segni del tempo sul mio corpo, sul mio viso e soprattutto nel mio sguardo. I miei occhi mi guardano da lontano e quella luce si fa a mano a mano più fioca e più distate, non sembro quasi più io".
Libero rientrava a casa. Era venerdì ed un'altra settimana era volata via e pensava a ciò che ne rimaneva. Il vagone era semi vuoto perchè era quasi al capolinea. La sua immagine sul vetro del metrò svanì all'improvviso e ritornò alla realtà quando un vecchio mezzo matto cominciò a parlare ad alta voce, blatterando oscenità contro le donne e contro sua moglie. Agitava le mani, faceva una gran bacano, sputacchiava saliva da una bocca con pochi denti superstiti e ben gialli, e ci metteva tutto il disprezzo e il risentimento nelle smorfie che il suo viso assumeva, accentuate dalle rughe profonde e dalla barba incolta. Una signora di mezza età che sembrava rumena e una giovane ricciolina di colore sedute di fronte a lui, ridevano nascondendosi dietro al loro giornale.
Tutto normale. Milano: un milione di solitudini.

 
 
 

Esausto

Post n°145 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da merendero77
 



Esausto ritornò a casa dopo un brutto lunedì di lavoro. Ultimamente non riusciva più a staccare la spina e staccare la spina era vitale per il suo equilibrio. Tornava a casa e continuava a pensare al lavoro. La nuova applicazione di Oracle per un grosso cliente americano richiedeva superlavoro e stress. Il cliente premeva per accelerare i tempi, il suo capo stressava. Libero arrancava sopraffatto da tutta questa pressione. Si sentiva gli occhietti blu freddi di James, il suo capo, addosso tutto il giorno, lo chiamava in continuazione, chiedeva aggiornamenti, relazioni, pretendeva progressi. I problemi dell'applicazione erano molteplici ma a James non interessavano gli impicci, a lui interessavano le soluzioni. Libero non doveva lamentarsi, Libero doveva fare, doveva produrre. Tutto doveva essere perfetto per il 5 novembre quando ci sarebbe stata una grande conferenza a NY per presentareil lavoro finito. Libero naturalmente non avrebbe partecipato, James sì. E possibilmente voleva prendersi dei meriti e per dare nuovo slancio alla sua carriera in azienda.
Libero sbattè il pugno sul tavolo, " maledetto bastardo!", urlò.
Era sfinito, a pezzi, gli occhi che gli bruciavano, il collo e la schiena a pezzi.
"Maledetto Bastardò!", ripettette a voce più bassa sta volta.
James oggi gli aveva detto che lui non avrebbe fatto mai carriera, lui che ogni giorno pretendeva di uscire presto da lavoro. James non andava mai via prima delle 21 e 30, le 22, aveva 2 figlie piccoli e una bella moglie che non vedeva mai, la villa in Liguria per i fine settimana liberi (e quando erano liberi?), una bmw serie 5 touring e giacche di alta sartoria firmatae una collezione infinita di sobrie cravatte. La sua vita di successo si riassumeva in questo.
Ma Libero cosa desiderava? Era quello il successo che voleva?
"Maledetto bastardo...", ripetette sottovoce.
Accese la tele per spegnere i pensieri che facevano troppo rumore...

 
 
 

SARANNO FAMOSI




___________________________



 

AREA PERSONALE

 

FANGO



Cin Cin Vale
!







 
un mondo vecchio
che sta insieme

solo grazie a quelli
che hanno

ancora il coraggio
di innamorarsi!!

 

 

CHE


________________________

Ricordiamoci che anche oggi è
la festa
delle donne, anche
domani, anche
dopodomani,
anche....sempre....


___________________________


 

GUCCINI

E un giorno ti svegli stupita
e di colpo ti accorgi
che non sono più quei
fantastici giorni all'asilo
di giochi, di amici e se ti guardi
attorno non scorgi le cose consuete,
ma un vago e indistinto profilo...
E un giorno cammini per strada
e ad un tratto comprendi che
non sei la stessa che andava
al mattino alla scuola,
che il mondo là fuori t'aspetta
e tu quasi ti arrendi capendo
che a battito a battito
è l'età che s'invola...




 

EMERGENCY




 

CIAO

 

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