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CCHE DICONO DI NOI

Post n°232 pubblicato il 03 Febbraio 2008 da elly611

TIM PARKS, THE WALL STREET JOURNAL   USA

Quant'è estenuante la democrazia quando gli ingranaggi istituzionali girano a vuoto e nessuno sembra più in grado di sollevare gli occhi dagli interessi personali per guardare al bene della collettività. L'Italia è stanca della sua classe politica, del facile pietismo, delle conventicole, delle interminabili polemiche con la magistratura, della presenza costante e rissosa in tv e delle assenze sepolcrali in parlamento. E' stanca dei partiti messi in piedi oggi e demoliti l'indomani, delle coalizioni, delle infinite aggregazioni e diserzioni, delle consorterie, dei clan e delle associazioni.                 Ma, sopratutto, l'Italia è stanca di politici che non sanno fare niente, tranne disfare quel poco che il governo precedente aveva messo in piedi. Come si è arrivati a questa situazione? L'Italia ha sempre scelto i sistemi più idealistici per eleggere i suoi leader. Si potrebbe far risalire questa tradizione a Firenze del trecento e del quattrocento, quando veniva scelto un governo ogni due mesi estraendo a sorte i nomi tra i candidati appartenenti a corporazioni e quartieri diversi. Così ogni gruppo era rappresentato e ogni individuo passava un breve periodo al potere, in modo che nessuno se ne potesse appropiare per troppo tempo. Inutile dire che il sistema era impraticabile.Ipersensibili alle rivendicazioni di gruppi e gruppetti, gli italiani sembrano ossessionati dall'idea che ogni aggregazione di individui, per quanto statisticamente insignificante, abbia il diritto inalienabile alla rappresentanza parlamentare. Gli italiani amano le complicazioni, i rinvii, le seconde opportunità, le terze, quarta e quinta opinione, la capitolazione dell'ultima ora, la saga interminabile. Tutto ciò che appare drastico, o semplicemente decisivo, è considerato brutale. Ogni cosa viene negoziata e rinegoziata. oppure si raggiunge un accordo a condizione che non venga applicato almeno per 5 anni, in modo che in quel lasso di tempo possa essere modificato a proprio piacimento.

La legge elettorale varata da Silvio Berlusconi nel 2005 è estremamente complessa. Ha concesso il voto ai discendenti degli italiani in tutti gli angoli del pianeta, persone che non sono mai state in Italia e non parlano italiano. Alla coalizione che risultava vincente ha concesso un certo numero di seggi-il premio di maggioranza- alla camera,ma non al senato. Ha tolto ai cittadini il diritto di votare direttamente i loro rappresentanti, introducendo un'indicazione generica per il partito. Roberto Calderoli,il suo ideatore, l'ha definita una porcata. Questa legge è fatta apposta per rendere il paese ingovernabile. E ha raggiunto il suo scopo. Continua....

 
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Commenti al Post:
longu
longu il 04/02/08 alle 16:52 via WEB
Non ci resta che Berlusconi dunque? dopo due anni e mezzo di governo amico questa è l’eredità dell’esperienza dell’Unione; eredità amara e misera assai. Ma credi veramente che tutto ciò dipenda da Mastella? O invece non sia il precipitare di una crisi che parte da lontano, da molto lontano con cui ancora non riusciamo a fare i conti, se non parzialmente e in modo discontinuo. Firenze, novembre 2002, Social Forum Europeo, Fortezza da Basso. Le parole e i temi che venivano messi all'ordine dell'attenzione non erano certo quelli cari al liberismo. Dalle stanze di discussione veniva un coro di basta servizi privatizzati, basta deregolazione, basta libero mercato, basta guerre. Qualche mese dopo, marzo 2003, Roma era piena di gente che aveva preso piuttosto male l'inizio dell'ennesima guerra. Genova sembrava superata, la frattura tra le “due sinistre” stava ricomponendosi. A un certo momento è sembrato pure che, sotto la spinta delle mobilitazioni della società, la sinistra dovesse tornare proprio lì, dove era crepata: al governo. Così, quando è stato necessario mettersi lì a pensare come andare alle elezioni, a qualcuno venne in mente di sancire il venir a patti delle “due sinistre” con la stesura del famigerato programmone a buon uso per i tempi a venire. Seguì una campagna elettorale bella ed esaltante, almeno per noi di rifondazione. VUOI VEDERE CHE L’ITALIA CAMBIA DAVVERO? Questo fu lo slogan. Impegnativo. Ma all’apertura dei seggi, la sorpresa. Nonostante il buon risultato di rifondazione, l’Unione aveva vinto per 25 mila voti alla camera; al senato aveva preso addirittura meno voti del centrodestra. È così che dentro l’Unione l’altra sinistra, quella che ha espulso dal proprio corpo il conflitto sociale, che non ha mai rinunciato a cercare un berlusconismo senza Berlusconi, riprende fiato. Tutto può ricominciare esattamente come prima, come nel ’98, come se dal 2001 al 2006 non fosse accaduto nulla, non solo in Italia, ma nel mondo. Il programmone? roba finita, morta, inutile. Di più; se il ventre molle dell’Italia è di destra, allora bisogna inseguire la destra sul suo terreno. Sicurezza, immigrazione, razzismo, lavavetri: così le istanze di ripubblicizzazione di ampi spazi della vita economica, di nuova regolazione del mercato del lavoro, sono semplicemente rimosse, come le istanze sul disarmo e le spese militari. Insomma, la fine dell'esperienza dell'Unione è avvenuta il giorno stesso delle elezioni, quando la parola è passata in via definitiva fuori dalle mani delle mobilitazioni. Nel momento in cui si va al governo, cosa farsene di tutto quel vecchiume vetero-sociale? Ora dobbiamo sentirci orgogliosi quando questa o quella banca internazionale, questa o quella agenzia, rivaluta la nostra posizione contabile. Del resto basta sentire come parlano quelli del partito democratico, basta leggere quello che dice Veltroni. Ma la peggior cosa che possa accadere, a gente come noi, è frustrare le aspettative della nostra gente. Se anche le aspettative simboliche falliscono, il riflusso arriva come un enorme risucchio, lasciandosi alle sue spalle un deserto desolato. Il punto più basso lo raggiungiamo a Roma, qualche centinaio di persone a Piazza del Popolo e la nostra gente da un’altra parte. Infine la “cosa rossa”, orrendo nome. Le lotte, le speranze, la vita di tanta gente: una cosa! Non più un processo di scomposizione e ricomposizione di una generazione di persone, che hanno resistito alla globalizzazione e a Genova hanno riaperto una prospettiva di cambiamento, ma una fusione di ceti politici, per di più fatta nel pantano, nella palude della politica italiana, con l’illusione che così si arriverà a quel fatidico dieci per cento, soglia ritenuta congrua per poter contare qualcosa. Ma contare dove? Per fare che? Che ci facciamo con Mussi che, oltre a voler fare il chierichetto, ancora va dicendo che la manifestazione del 20 ottobre non si doveva fare e che votare no all’accordo sul Welfare è stato un errore? Che ci facciamo con Pecoraro che in queste ore si sta raccomandando con Veltroni per trovare un accordo che gli garantisca qualche posto nelle liste del PD? E che ci facciamo con DiLiberto che vuol far sempre la rivoluzione, purché il governo non caschi? E che ci facciamo con una parte non piccola di rifondazione che ultimamente pensa solo a rivendicare posti di assessore, perché è convinta che la politica, quella vera, si fa solo nelle stanze dove si prendono le decisioni? Siete il partito del no, ci accusano. Invece, in questa legislatura, di sì ne abbiamo detti fin troppi. Allora dobbiamo prendere atto che il progetto dell’Unione è fallito irreversibilmente, è fallito come progetto politico. Dobbiamo prendere atto che siamo soli e solo su noi stessi e sulla nostra gente possiamo contare. L’Unione è stata incapace di reggere non solo un progetto comune, ma anche un programma minimo e che le cose sono degenerate con la discesa in campo di Veltroni e del PD. Altro che Mastella e Dini. Che adesso si ostinino a dichiarare che non c'è stata, nella perdita della maggioranza, nessuna causa politica, ma solo un incidente tecnico, di regole elettorali, è solo il segno di quanto la cultura politica degli ex Pci sia lontana dalla percezione del paese. La politica del meno peggio, per paura del ritorno di Berlusconi, ha portato al peggio e al molto probabile ritorno di Berlusconi con tutti i suoi nani e tutte le sue ballerine. Alla fine di ottobre, ai tempi del protocollo sul Welfare, noi dovevamo abbandonare il Governo, come nel ’98. dovevamo chiamare la nostra gente alla mobilitazione e rivendicare la nostra autonomia da questa politica che non solo non rispetta gli accordi comuni, ma fa esattamente il contrario. Oggi tutti toccano con mano che un pezzo consistente di ciò che credevamo sinistra si è riconfigurata invece come componente tecnocratica di un progetto liberista. Sinistra e destra come due varianti del liberismo. Come negli USA. Oggi siamo finiti in una terra di nessuno dove è difficile orientarsi senza punti di riferimento. Ma il nostro unico punto di riferimento è costituito dalla nostra gente, quella di Vicenza o di Pianura, quella della Val di Susa o quella giustiziata sui posti di lavoro, quella del 20 ottobre a Roma. La nostra gente vale più di un programma, più di un governo. Una cosa spero che sia chiara: senza conflitto, senza volontà di lotta, non andremo da nessuna parte. Scorciatoie non esistono. Se saremo percepiti come appartenenti alla casta, che fra l’altro assomiglia sempre più alla cosca, per noi è la fine.
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