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IL SENTIERO

Post n°99 pubblicato il 02 Giugno 2015 da rozappa

 

La prima volta lo percorsi per caso.

Mio nonno mi aveva portato con sé per andare a "far l'erba per i conigli" e il bosco non era certo il luogo ideale per raccogliere foraggio, erano certamente migliori i prati, ricchi di trifoglio ed erba medica.

Invece prese il sentiero che portava nei castagni, scendemmo fino al torrentello che scorreva a poche decine di metri dalla nostra vigna, lo guadammo e passammo attraverso un intrico di felci, canne e piante acquatiche dalle grandi foglie rotondeggianti.

Vedevo per la prima volta meraviglie sconosciute: il corso d'acqua che scorreva lento formando laghetti e paludi dove crescevano erbe più alte di me e mi muovevo con passo insicuro, attento a seguire le orme dell'adulto che mi faceva strada. Poi c'erano gli insetti: le eleganti libellule, le farfalle variopinte e i buffi gerridi che corrono veloci sull'acqua con le loro lunghe zampette. Le rane gracchiavano nelle pozze e il continuo gorgoglio dell'acqua permeava l'aria.

La curiosità aveva coinvolto tutti i miei sensi, immersi completamente nella natura ancora sconosciuta di quelle colline.

Ritrovammo presto la strada che s'inerpicava sul versante opposto della collina, all'ombra della pineta.

Uscito da quell'abbraccio verde, nonostante la protezione degli alberi, il caldo si faceva sentire e cambiavano anche i profumi che arrivavano alle mie narici: ora era molto forte l'odore resinoso delle conifere e quello di humus del sottobosco che presagiva il profumo di funghi che sarebbero cresciuti mesi più tardi. Ero in grado di percepire anche l'essenza di finocchio, menta e rucola o acidulo di altre erbe selvatiche che reagivano al nostro passaggio.

 

Di sfuggita potevo scorgere gli animali che popolavano il bosco: fagiani, lepri, scoiattoli, ma imparai presto che non dovevo mai guardarli negli occhi altrimenti fuggivano rumorosamente.

Finita la parte più ripida della salita il sentiero diventava quasi pianeggiante e ai lati si aprivano ampie radure i cui alberi erano per la maggior parte castagni, anche se sulle dorsali crescevano strisce di cespugli di scova (che come avrei scoperto più avanti, erano i luoghi ideali dove si nascondevano i porcini più saporiti).

Qui si fermava mio nonno, staccava dalla cintura il falcetto e dopo averne affilato la lama con la pietra, iniziava a tagliare l'erba, mentre io gironzolavo lì attorno curioso delle cose che vedevo.

Le cicale cantavano instancabili ed ecco, nella spaccatura di un castagno, un groviglio di api ronzanti: lo avevano scelto per costruire il loro alveare. Avevo trovato qualche cespuglio di pungitopo, ma era meglio starne lontano, e poi c'erano le bisce che frusciavano fra l'erba provocando un rumore inconfondibile, se restavo fermo abbastanza a lungo era probabile riuscire a vederne qualcuna con la pelle a scaglie dalle innumerevoli sfumature di colori e il movimento sinuoso che le faceva avanzare.

Quando mio nonno aveva deciso di aver raccolto abbastanza erba, la metteva in un sacco di iuta molto grande, lo chiudeva usando come laccio un ramo di ginestra, e prima di ripartire si sedeva e accendeva la pipa.

Era un rito che gli portava via parecchio tempo: prima puliva il tubo d'aspirazione con un ferretto, poi riempiva il fornello con il tabacco, lo pressava col dito e accendeva facendo lunghe tirate per far prendere bene la combustione. Solo allora si godeva il fumo con boccate più brevi che tratteneva in bocca per assaporarne l'aroma. Potevo sentire anch'io il profumo di tabacco che inebriava i miei sensi, forse fu quel piacere che mi avrebbe portato a essere un fumatore incallito per una ventina d'anni.

Era il momento giusto, l'unico per parlare un po' col nonno, che non era uomo di grandi discorsi.

Dopo quella prima volta avrei ritrovato e cercato in quel sentiero un momento di serenità e di conforto quando altre vie si erano ormai chiuse. Lì trovavo sempre il senso dei miei pensieri e la distrazione da essi. A volte incrociavo qualche altro solitario durante la stagione dei funghi e delle castagne, col quale ci si scambiava un cenno di saluto, ma più spesso il solitario ero io e certo lo preferivo.  

Rosario

 

 

 
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