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SABRINA MINARDI

Post n°249 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

SABRINA MINARDISabrina Minardi(una vita bruciata, tra droga e sfruttamento) Trent’anni fa era la ragazza che la Roma del potere sognava di portarsi a letto. Giovanissima, di una bellezza particolare che non tradiva volgarità; aveva sposato il calciatore più famoso, il campione laziale Bruno Giordano, prima di darsi alla vita e diventare la compagna del boss più ricco, Renato De Pedis, il “Dandi” di “Romanzo Criminale.Tra il 1981 e il 1983 Sabrina Minardi è passata dai salotti e dalle camere da letto dove si confondevano sacro e profano, banchieri e mafiosi, cardinali e faccendieri, in un delirio di soldi facili, cocaina e violenza che scandivano l’Italia delle trame: dalla Banda della Magliana al Banco Ambrosiano, dalla P2 ai misteri dello Ior. Lei faceva perdere la testa ai protagonisti di questa capitale immorale, fino a diventare una stella nel sistema di piaceri, favori e ricatti: una leggenda delle notti romane.Sabrina Minardi non accetta la definizione di prostituta: “Una prostituta sta sul marciapiede o in una casa e ti fa il lavoro per pochi spiccioli. Io mi divertivo, facevo la bella vita, vestivo Coco Chanel, Armani, mica ero l’ultima delle femmine. Uscivo tutte le sere o giù di lì. Uscivo tutte le volte che mi andava, frequentavo i migliori ristoranti e i più esclusivi night di Roma, in cambio del mio corpo ricevevo soldi a palate, vacanze, auto, gioielli, case. Calvi mi regalò una villa a Montecarlo. Quale prostituta può vantare le stesse cose? Loro sì che fanno una brutta vita, poverette. La mia era meno brutta, tutto sommato”.Da giovane, Sabrina è bella. Di una bellezza semplice e chic, mai volgare. Minuta, capelli castani, occhi verdi, il naso piccolo, la pelle delicata, il corpo leggero, ma sensuale, la voce squillante, il carattere allegro. Vestita sempre in modo perfetto, con cashmere e seta, bene educata, simpatica, brillante nella conversazione. E poi è elegante. Sempre. Sembra una ragazza della Roma bene, ma senza la puzza sotto il naso. Le piace giocare. Le piace giocare a fare la bambina. Canta spesso tu-mi-fai-girar-tu-mi-fai-girar-come-fossi-una-bambola… e lo fa con malizia, per giocare, appunto, non per un moto di orgoglio, non certo per reclamare una rivolta, anzi, ma per sottolineare la brama di sottomissione. A Sabrina piace fare la bambola. Spalanca gli occhioni, reclina la testa su un lato, sussurra, fa la vocina e scatena un senso di protezione. Ed è proprio questo che cerca: farsi proteggere, farsi guidare. E questo ottiene: farsi usare, ma non per ingenuità. Non solo, almeno, non sempre. Sabrina Minardi e i soldi sporchi del Vaticano :Marcinkus violentò Emanuela Orlandi? Sono uscite su L'Unità inquietanti rivelazioni a sfondo sessuale che riguardano Marcinkus.La Minardi dice:"Marcinkus venne a trovare la Orlandi nella casa di Torvajanica. Io sentii le urla di Emanuela ma De Pedis mi disse di farmi gli affari miei...». Non è la prima volta che la supertestimone chiama in causa monsignor Marcinkus. Già nella prima deposizione la donna aveva raccontato di aver portato più volte alcune ragazze in un appartamento di via di Porta Angelica dove erano messe a disposizione del prelato. Ha poi raccontato di aver accompagnato lei stessa Emanuela ad un appuntamento in Vaticano e che proprio in quell’occasione, vedendo questa ragazza un po’ su di giri, le aveva domandato il nome e lei, candidamente, aveva risposto Emanuela

 
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STORIA DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°248 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

I MOTIVI DELL'AFFERMAZIONE DELLA BANDA DELLA MAGLIANA Il motivo per cui un gruppo riuscì a raggiungere per la prima volta il controllo di una metropoli come Roma è da cercarsi nei metodi che la Banda della Magliana introdusse nel panorama capitolino. Primo fra tutti, gli omicidi. Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni settanta la criminalità romana era divisa in quartieri: ognuno controllava la propria zona dove mantenere il potere era semplice. Non che non si commettessero omicidi, ma le pistole si usavano molto raramente e nessuno di essi veniva premeditato per il mantenimento o la conquista del potere. Quelli della Magliana, invece, vollero allargare il controllo a tutta la città e per farlo usarono sistematicamente le pistole, eliminando gli oppositori alla loro espansione e contemporaneamente incutendo timore a chi avesse voluto intromettersi nella crescita della banda. «Eravamo i più potenti, perché eravamo gli unici che sparavano», avrebbe detto anni dopo in un'aula di tribunale uno di loro. La Banda della Magliana, a differenza di altri nuclei criminali organizzati, come la Camorra o Cosa Nostra, non presentava un'organizzazione piramidale: non aveva infatti un solo capo, ma diversi, divisi in gruppi, che spesso lavoravano anche singolarmente e senza la necessità che gli altri lo sapessero. Questa gerarchia non piramidale ha avuto come effetto collaterale quello di consentire di volta in volta ad entità esterne di fare uso della Banda per i propri scopi, come alcuni ritengono possano aver fatto branche deviate dei servizi segreti.I proventi dei crimini erano comunque divisi sempre in parti uguali, ogni membro riceveva la cosiddetta "stecca", una sorta di dividendo indipendente dal lavoro svolto in quel periodo che anche i membri detenuti continuavano comunque a ricevere attraverso la famiglia. I vari componenti erano tenuti in ogni caso a continuare a partecipare all'attività criminale: anche quando alcuni di loro divennero veramente ricchi, girando su Ferrari con Rolex al polso, continuarono ad essere degli operai del crimine LA BANDA DELLA MAGLIANA E I NAR Nuclei Armati Rivoluzionari Ma il primo vero sodalizio tra la Banda e i gruppi di estrema destra si ha con i giovani dei Nuclei Armati Rivoluzionari, attraverso Massimo Carminati ("il Nero" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) che frequentava lo stesso bar di Giuseppucci e Abbatino. Carminati divenne presto il pupillo del clan della Magliana e con lui strinsero legami altri ragazzi dei NAR come Giuseppe Valerio Fioravanti, detto Giusva, suo fratello Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Francesca Mambro. I due gruppi allacciarono stretti rapporti di collaborazione. La banda principalmente riciclava il denaro sporco proveniente dalle rapine con cui i NAR si finanziavano ed in cambio i ragazzi neofascisti effettuavano lavori di manovalanza come riscuotere i crediti dell'usura o trasportare droga. La collaborazione però, che ha suscitato i maggiori misteri, fu la gestione comune delle armi: mitra, bombe, fucili ritrovati sorprendentemente nei sotterranei del Ministero della Sanità. I PRIMI CONTRASTI INTERNI ALLA BANDA DELLA MAGLIANA Con la morte di Giuseppucci e alcune questioni di denaro aumentano i contrasti all’interno della banda. Tra i giovani boss il più irrequieto è Nicolino Selis che dal manicomio giudiziario dove si trova grazie all’ennesima perizia compiacente manda messaggi minacciosi. Cosa che viene confermata da Antonio Mancini: «Quando ottenne il famoso permesso, la prima cosa che ha chiesto non è stata di vedere gli amici per andare a cena o a un ballo con quattro smadrappate. No, si è presentato con un’agenda piena di conti: “Mi dovete questo, quell’altro, perché non avete ammazzato Danilo Abbruciati, dovete ammazzare anche Enrico De Pedis…”. Allora abbiamo deciso che se ne doveva andare. E se n’è andato, purtroppo per lui». In particolare Selis è indisposto verso De Pedis il quale a differenza degli altri che sperperavano tutti i loro introiti, investe i suoi soldi in attività legali e non, tanto che a un certo punto non vuole più dividere la “stecca” con gli altri perché ormai i suoi proventi provengono in larga parte dalle attività private. Il 3 febbraio, quindi, Selis uscito per un breve permesso viene attirato in una trappola e freddato dai suoi stessi soci Abbatino, Mancini e Colafigli. Il suo corpo, mai ritrovato, viene sepolto in una buca vicino all’argine del Tevere e ricoperto dal pepe per non far avvicinare i cani e per affrettare la decomposizione. Testaccini vs Magliana A Ostia il16 marzo 1989 due sicari dei testaccini uccidono Toscano, uscito dal carcere da poche settimane. La risposta arriva un anno dopo, quando il 2 febbraio del ‘90 Enrico De Pedis, considerato ormai il re della malavita romana, cade vittima di un agguato nella centralissima via del Pellegrino. Poche settimane dopo, il 18 marzo, scompare anche Roberto Abbatino, fratello del latitante Maurizio. Prima di ucciderlo i sequestratori lo seviziano a lungo e il corpo viene restituito dal Tevere solo una settimana dopo. Poi il 18 novembre è la volta di Claudio Sicilia, il pentito ritenuto non attendibile, lasciato al suo destino dallo Stato. La magistratura e la polizia a questo punto intensificano gli sforzi: l’obiettivo è sempre lui Abbatino che nel ’91 dopo sei anni di latitanza commette un errore così come racconta Nicolò D’Angelo: «Noi ogni anno a Natale e Capodanno eravamo lì ad ascoltare se arrivava una telefonata di auguri alla famiglia e per sei anni non è mai arrivata. Ma il sesto anno è arrivata e questo ci ha permesso di arrestarlo». Così nel gennaio 1992 Abbatino che viveva sotto falsa identità in Venezuela, viene arrestato in un bar di Caracas. Non oppone resistenza e in seguito decide di collaborare con la magistratura perché non si era sentito particolarmente tutelato dagli amici: «Potevo evadere tranquillamente e non sono stato aiutato. Poi c’è stata la morte di mio fratello e credo che i responsabili siano stati loro, se non materialmente moralmente perché c’era da parte della banda un sodalizio per cui andavano protetti anche i famigliari. Ormai ero rimasto solo e non sapevo più da che parte stare. Non mi fidavo più di nessuno». Con le dichiarazioni di Abbatino vengono arrestate 56 persone tutte legate alla banda della Magliana, alla destra eversiva, alla P2 e a Cosa Nostra. LA CONTRAPPOSIZIONE DE PEDIS-CRISPINO Dopo la morte di Giuseppucci, comincio' a delinearsi una vera e proprio contrapposizionetra De Pedis e Crispino che man mano porto' la banda al tramonto. De Pedis Sempre più compromesso con mafiosi (Calò) e massoni deviati (Gelli, Pazienza), De Pedis si ritrovò solo nel conflitto che ormai lo contrapponeva a Crispino. Mentre i capi dell'organizzazione e diversi aderenti ad essa venivano arrestati e condannati in tribunale, uno di essi, il falsario Antonio Chichiarelli detto Tony - già coprotagonista di risvolti inquietanti dei delitti Moro e Pecorelli - pianificò ed attuò una spettacolare rapina al deposito blindato della Brink's Securmark, che fruttò ai criminali un bottino di diversi miliardi di lire (il Chichiarelli stesso lasciò poi sul luogo del delitto alcuni oggetti che richiamarono l'attenzione degli inquirenti sugli omicidi Moro, Pecorelli e Varisco). Il falsario però non ebbe il tempo di godersi il frutto del proprio atto criminoso, in quanto un killer rimasto ignoto lo uccise con nove proiettili pochi mesi più tardi. Colpita al cuore dagli omicidi e dal lavoro della magistratura, la Banda della Magliana si avviò verso il tramonto: mentre De Pedis andava incontro al suo tragico destino( fu ucciso in pieno giorno in via del Pellegrino, tra la folla del mercato di Campo de' Fior)i. Tumulato inizialmente al Verano, fu poi sepolto in grande riservatezza, il successivo 24 aprile, nella Basilica di Sant'Apollinare) , si segnalarono i primi casi di pentitismo, con le defezioni di Abbatino, Mancini e di Fabiola Moretti (ex donna di Abbruciati, specialista dell'organizzazione nella raffinazione e qualificazione dei narcotici). LA SCOMPARSA DI EMANUELA ORLANDI Il legame tra Enrico De Pedis e il rapimento di Emanuela Orlandi è ancora oggetto di indagini da parte della magistratura romana, ed è scaturito da una serie di dichiarazioni e sospette coincidenze, prima tra tutte l'insolita sepoltura di De Pedis, scoperta nel 1997 nella cripta della basilica di Sant'Apollinare a Roma, struttura di proprietà dell'Opus Dei Nel 2007 un pentito della Banda della Magliana, Antonio Mancini disse ai magistrati della Procura di Roma che in carcere, all'epoca della scomparsa della quindicenne «Si diceva che la ragazza era robba nostra, l'aveva presa uno dei nostri» Nel giugno 2008, Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano e per molti anni amante di De Pedis ha rilasciato alcune dichiarazioni, secondo le quali De Pedis avrebbe eseguito materialmente il sequestro per ordine del monsignor Paul Marcinkus (allora a capo dello IOR). A detta della Minardi, l'Orlandi fu giustiziata sei, sette mesi dopo e il cadavere sarebbe stato occultato da De Pedis presso Torvajanica in una betoniera, assieme ai resti di un altro giovanissimo ostaggio, Domenico Nicitra, 11 anni, figlio di un ex affiliato della banda della Magliana, il siciliano Salvatore Nicitra. Tuttavia il piccolo Nicitra scomparve solo nell'estate del 1993, tre anni dopo la morte di De Pedis[2]. Le dichiarazioni della Minardi, benché siano state riconosciute dagli inquirenti come parzialmente incoerenti (anche a causa dell'uso di droga da parte della donna in passato) hanno acquistato maggior credibilità nell'agosto dello stesso anno, a seguito del ritrovamento della BMW che la stessa Minardi ha raccontato di aver utilizzato per il trasporto di Emanuela Orlandi e che risulta appartenuta prima a Flavio Carboni, imprenditore indagato e poi assolto nel processo sulla morte di Roberto Calvi, e successivamente ad uno dei componenti della Banda della Magliana Nel dicembre 2009, due pentiti della Banda della Magliana hanno rilasciato dichiarazioni relative al coinvolgimento di De Pedis e di alcuni esponenti vaticani nella vicenda di Manuela Orlandi. Antonio Mancini ha rivelato il 10 dicembre che il sequestro di Emanuela Orlandi venne gestito da De Pedis «nel quadro di problemi finanziari con il Vaticano». Maurizio Abbatino, altro collaboratore di giustizia della Banda, ha dichiarato al procuratore aggiunto titolare dell'inchiesta che - a seguito di confidenze raccolte fra i membri della banda - il sequestro e l'uccisione di Emanuela avvennero per opera di De Pedis e dei suoi uomini, nell'ambito di rapporti intrattenuti da lui con alcuni esponenti del Vaticano . Ora a distanza di anni , per il caso Emanuela Orlandi ci sono tre indagati: Sergio Virtù detto “il macellaio”, 49 anni, presunto autista del boss della Magliana Enrico De Pedis detto “Renatino”; Angelo Cassani detto ”Ciletto”, 49 anni e Gianfranco Cerboni detto ”Giggetto”, 47. Tutti accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte dell’ostaggio e dal fatto che fosse minorenne LE Collaborazioni e le confidenze Abbatino, collaboratore di giustizia da decenni, ha precisato che quanto è a suo conoscenza sul caso Orlandi è frutto di confidenze raccolte da altri componenti della Banda. Al magistrato ha detto che il sequestro avvenne nell'ambito dei rapporti che «Renatino» aveva con alcuni esponenti del Vaticano - ultimamente si è tornati a parlare del fatto che il boss dell'organizzazione criminale che controllava Roma negli anni Settanta e Ottanta sia stato sepolto all'interno della basilica di Sant'Apollinare - e che ad aiutare il boss, poi ucciso nel febbraio del '90 in via del Pellegrino, furono diversi uomini di sua fiducia, alcuni ancora in vita, altri deceduti da tempo. Abbatino avrebbe citato una serie di nomi su cui ora il procuratore aggiunto farà i dovuti riscontri. Nega, invece, ogni coinvolgimento della Banda della Magliana nel sequestro di Emanuela Orlandi, Claudiana Bernacchia, 53 anni, detta "Casco d'oro", sentita dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo che l'ha convocata come persona informata sui fatti. La Bernacchia ha escluso un ruolo di Enrico De Pedis e di altri suoi uomini nel rapimento della 15enne cittadina vaticana, avvenuto il 22 giugno del 1983, ma le sue risposte non sarebbero state particolarmente convincenti. La donna ha smentito quanto affermato nei giorni scorsi dai pentiti Antonio Mancini e Maurizio Abbatino, ma a chi indaga sarebbe apparsa più che reticente. Stando agli inquirenti, infatti, la Bernacchia, attualmente legata a un imprenditore (che non ha mai avuto conti in sospeso con la giustizia pur avendo conosciuto Renatino), sarebbe depositaria di molti segreti dell'organizzazione criminale. Arrestata nel '90 in occasione di un sequestro di 10 chili di cocaina e poi nuovamente in manette nel '93 nell'ambito dell'operazione Colosseo mentre si trovava in una villa alla periferia di Marino, grazie anche alle rivelazioni di Abbatino, la Bernacchia ha prima convissuto con Claudio Sicilia, il pentito assassinato nel novembre del '91 e dal quale ebbe due figli. Successivamente è stata la moglie di Giorgio Paradisi, altro esponente della Magliana vicino a Renatino, in carcere dal '92 e poi deceduto nel 2006 per malattia mentre era nel carcere di Secondigliano. LA BANDA DELLA MAGLIANA E IL CASO CALVI Per Giuffé il mandante fu Pippo Calò Nella programmazione dell’omicidio di Roberto Calvi, Ernesto Diotallevi ebbe un «ruolo manuale», mentre Flavio Carboni, principale imputato nel processo, recitó la parte del «compare», ossia di «amico-boia che dapprima si guadagnó la fiducia del banchiere e poi l’accompagnó nell’ultimo pezzo di strada consegnandolo alle persone che lo uccisero». È quanto emerge dalla deposizione del pentito di mafia Antonino Giuffré al processo per l’omicidio di Calvi, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra, il 18 giugno 1982. Il collaboratore di giustizia ha sottolineato di aver appreso le circostanze della morte dell’ex presidente del Banco Ambrosiano da Lorenzo Di Gesù, uomo d’onore di Caccamo, deceduto, nel periodo in cui i giornali parlavano del “suicidio” di Calvi. «Appresi così» - ha aggiunto Giuffré - «che non si era suicidato, ma era stato suicidato». «A farsi carico dell’omicidio» - ha raccontato ancora il pentito - «fu Pippo Caló, il quale aveva rapporti con la Banda della Magliana ed, in particolare, con Danilo Abbruciati, Domenico Balducci ed Ernesto Diotallevi. E proprio quest’ultimo ebbe un ruolo manuale nell’ omicidio». Secondo le bollenti rivelazioni, Roberto Calvi fu ucciso perchè fece il passo più lungo della gamba: «quando la magistratura cominciò ad indagare, lui iniziò a minacciare, tra gli altri, il cardinale Marcinkus, esponenti della P2 nonché rappresentanti di Dc e Psi». Collegato in videoconferenza con l’aula bunker di Rebibbia, Giuffrè ha ribadito che Calvi aveva un legame abbastanza solido con Cosa Nostra: «Era considerato utile e veniva utilizzato per investire i profitti derivanti dal traffico di droga». Misteri italiani e depistaggi: con Lupacchini si parla di Magliana e della strage di Bologna 28 marzo 2006 Pistole e misteri: era una «spa» criminale dalle attività diversificate la Banda della Magliana, che per anni impose la sua legge nella capitale. Una storia che vede legami mai del tutto chiariti con P2, politica e intelligence «deviata», ipotizzando un ruolo dell'organizzazione in molti «misteri italiani», dal sequestro Moro alla strage di Bologna. Proprio nei depistaggi per sviare le indagini sull'attentato del 2 agosto 1980 incombe l'ombra mai sufficientemente svelata della Magliana. E di questo aspetto si parlerà domani alle 16.30, in via di Ripetta, 22, dove l'associazione Edmond Dantès presenta il libro sul sodalizio criminale scritto da Otello Lupacchini, alla presenza dell'autore e dei giornalisti del Manifesto e di Libero Andrea Colombo e Renato Besana. Un'occasione per confrontarsi senza pregiudizi, tentando di rinunciare al mero interesse di parte in nome di quella ricerca della verità sempre più indispensabile per un paese che continua a pretendersi civile. I DUE AVVOCATI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA INDAGATI Tra gli avvocati della banda, ad un certo punto ve ne furono due che furono indagati ed erano Antonio Pellegrino e Piergiorgio Manca .li tirarono in balli i pentiti ma furono ben presto prosciolti. BIAGIO ALESSE IL CUSTODE DELLE ARMI nato a Leonessa un paesino di montagna in prov. di Rieti, essendo risultato invalido era stato assunto presso il ministero della sanita' prima come centralinista e poi come custode. Era lui che custodiva nei sotterranei del ministero l'intera santabarbara della banda della magliana.19 tra pistole e revolver,una machine pistol M12,un mitra moschetto automatico Beretta (mab), un mitragliatore Sten,altri fucicili mitragliatori, oltre a cartucce e a bombe a mano. Biagio ALESSE, si fece convincere agevolmente a fare anche il custode delle armi, con un compenso fisso di circa un milione al mese e con la tacita garanzia che, per ogni necessita’ economica, la banda avrebbe fatto fronte ai suoi impegni. Per vero, attese le difficolta’ che si potevano incontrare di giorno ad accedere al Ministero, un certo quantitativo, alquanto esiguo, venne ancora custodito in appartamenti come quello di via degli Artificieri che, tramite Gianni TRAVAGLINI era stato preso in affitto da Massimo MINATI, incensurato, legato a Marcello COLAFIGLI. A proposito di Alesse ,Abbatino in un interrogatorio dice:"ogni qualvolta si dovesse portarle fuori per essere usate, ALESSE ci aveva messo a disposizione un ampio locale nei sotterranei dello stesso Ministero. Quando dico “preparare” le armi, intendo far riferimento all’indispensabile attivita’ di pulitura delle armi reputate necessarie alla specifica operazione per cui dovevano essere usate, previa individuazione delle stesse, di caricamento, di predisposizione dei guanti e di approntamento dei contenitori.Salvo che non si rendesse indispensabile, queste operazioni, come pure quelle di consegna al custode venivano effettuate di sera, per non dare nell’occhio: l’ALESSE, di solito previamente avvertito telefonicamente dal SICILIA, si faceva trovare al Ministero o al bar dell’Eurcine, di fianco al Ministero. Noi non si disponeva delle chiavi di accesso al Ministero.Per quanto poi concerne, in particolare, la riconsegna, questa veniva effettuata quasi sempre da Claudio SICILIA e da Gianfranco SESTILI: essi si limitavano a lasciare il borsone all’ALESSE, il quale provvedeva autonomamente all’occultamento. Mentre per quanto concerne il ritiro e la preparazione delle armi, l’ALESSE poteva consentirla soltanto ai due predetti, a me, a Marcello COLAFIGLI e alle persone che si fossero presentate in nostra compagnia. Per quanto sono in grado di ricordare e per quel che mi risulta personalmente, mi recai al Ministero una volta in compagnia di Danilo ABBRUCIATI ed un’altra in compagnia di Massimo CARMINATI. Ora, mentre Danilo ABBRUCIATI non era autorizzato a recarsi da solo presso il Ministero – in altre parole non era consentito all’ALESSE di consegnargli armi – a Massimo CARMINATI venne consentito, invece, in un secondo momento, di accedere liberamente al Ministero. La decisione di consentire l’accesso con maggiore liberta’ al CARMINATI, venne presa da me, nell’ottica di uno scambio di favori tra la banda ed il suo gruppo. Massimo CARMINATI, d’altra parte, nei limiti del possibile avrebbe dovuto avvertirmi di quando si recava al Ministero e, comunque, era tenuto, per le ragioni di sicurezza piu’ volte spiegate, a non riconsegnare armi “sporche”. Non si trattava, nel suo caso, di vero e proprio obbligo, in quanto non era vincolato alle regole della banda, tuttavia, non sembravano sussistere ragioni per poter sospettare che non si attenesse alle regole comportamentali il cui rispetto garantiva la sicurezza di tutti. 28 maggio 2006 Torna in carcere il "cassiere" della Magliana Enrico Nicoletti è stato arrestato insieme ai due figli. L'accusa è di aver riciclato, attraverso prestanome titolari di alcuni supermercati, ingenti somme di denaro provenienti dal clan camorristico dei Casalesi Soldi, malavita organizzata, riciclaggio e supermercati: milioni di euro da "pulire" perché provenienti dal giro dell'usura e del traffico di droga dal clan dei Casalesi, famiglia di spicco della Camorra napoletana. A tenere i conti uno che di giri loschi se ne è occupato per una vita, Enrico Nicoletti, considerato dalle cronache giudiziarie l'ex cassiere della Banda della Magliana. In aiuto dell'ormai 70enne "imprenditore" romano, i due figli: Antonio e Massimo Nicoletti, rispettivamente di 43 e 42 anni. Per tutti e tre i carabinieri della Capitale hanno notificato i provvedimenti di custodia cautelare emessi dai pm Francesco Curcio e Raffaele Catone, che insieme alla Dia di Napoli hanno già spedito in carcere 24 persone coinvolte nella stessa inchiesta. L'accusa, per i Nicoletti, è di aver riciclato denaro "sporco" per conto dei Casalesi attraverso alcuni prestanome titolari di supermercati - sono 16 quelli già sequestrati dagli uomini della Dia e della Guardia di Finanza - che in realtà erano controllati dal malavitoso romano. I tre erano tornati in libertà nell'ottobre scorso. Per Enrico erano scaduti i termini di carcerazione preventiva, mentre per i figli ha fatto buon gioco un cavillo burocratico. Secondo gli inquirenti il sodalizio malavitoso tra la famiglia Nicoletti e il clan dei Casalesi non è mai stato interrotto sin dai primissimi anni '90. La Camorra, sostengono gli investigatori napoletani, "ha invaso il basso Lazio con forti disponibilità economiche e capacità operative che possono spingere i clan molto lontano". Il punto centrale del sistema era di aggirare la normativa antiriciclaggio che impone ai direttori degli istituti di credito di segnalare agli uffici competenti i soggetti che presentano assegni con ingenti somme di denaro. Se poi si tratta di persone con precedenti penali, l'informativa viene inviata alla Dia nazionale e alla polizia valutaria della Guardia di Finanza. Dunque i supermercati rappresentavano un escamotage perfetto per eludere i controlli e far entrare diverse migliaia di euro al giorno direttamente nelle tasche del clan. Per Nicoletti e figli si tratta solo dell'ennesimo arresto come tanti altri hanno segnato la vita del boss a partire dagli anni '80. Protagonista inossidabile della malavita romana, l'ex cassiere della Banda della Magliana, è stato più volte arrestato e poi scarcerato. Ha subito un numero impressionante di confische e sequestri per milioni di euro, che poi in parte gli sono stati restituiti. Eppure, lui ha sempre negato ogni legame con il crimine definendosi un semplice imprenditore. Ma con la Camorra napoletana Nicoletti ha sempre fatto "buoni affari" e intrattenuto relazioni pericolose, anche se si è sempre e solo occupato di business.

 
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FOTO DELLA LAPIDE E DELL'OMICIDIO DI ENRICO DE PEDIS BOSS DELLA BANDA DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°247 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

LAPIDE DI ENRICO DE PEDISFOTO DELL'OMICIDIO DEI ENRICO DE PEDISLa sepoltura di “Renatino” De Pedis a Sant’Apollinare Impiegò quattro giorni il Vaticano a dare l’ok alla sepoltura da santo di Enrico De Pedis, detto Renatino, il boss della banda della Magliana ucciso in un agguato a Roma in via del Pellegrino, a un passo da Campo de’ Fiori. E a concerderlo fu l’allora Vicario generale della Diocesi di Roma e presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Ugo Poletti. La richiesta era stata inoltrata il 6 marzo 1990 dal rettore di Sant’Apollinare, monsignore Piero Vergari: «Si attesta che il sig. Enrico De Pedis nato in Roma-Trastevere il 15.05.1954 e deceduto in Roma il 2.02.1990 è stato un grande benefattore dei poveri che frequantano la Basilica ed ha aiutato concretamente a tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana». Il 10 marzo 1990 la risposta del cardinale Ugo Poletti: «Si dichiara che da parte del Vicariato, nulla osta, per quanto è di sua competenza, alla tumulazione della salma di Enrico De Pedis, deceduto il 2.2.1990, in una delle camere mortuarie site nei sotterranei della Basilica di Sant’Apollinare a Roma». Per la Chiesa un benefattore che amava i giovani, quindi. Ma non proprio tutti, sono state le recenti conclusioni della procura della repubblica di Roma, che addebita al boss la scomparsa, nel 1983, di Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, il postino del Papa, uno dei 73 cittadini laici residenti nello Stato Vaticano. A portare sulla pista gli inquirenti è stata l’amante di Renatino, Sabrina Minardi, sposata in prime nozze con l’ex calciatore della Lazio Bruno Giordano, da giugno 2010 indagata insieme con i tre presunti sequestratori: l’autista di De Pedis, Sergio Virtù, Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni.

 
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BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°246 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

I CASI ECLATANTI DOVE E' STATA IN QUALCHE MODO INVISCHIATA LA BANDA DELLA MAGLIANA Usura, droga, riciclaggio. Rapporti con personaggi della politica, dell'alta finanza, dei servizi segreti, della mafia, della destra eversiva. Le attività della "banda della Magliana", nella seconda metà degli anni Settanta, trasformano Roma in un "crocevia eversivo", una "zona grigia non ancora conoscibile nei dettagli e con indagini ancora in corso, come quella sull'omicidio di Roberto Calvi", come la definisce la relazione della Commissione stragi. Ecco in sintesi alcune vicende in cui la "banda della Magliana" è stata coinvolta: Sequestro e omicidio Moro Era legato alla banda il falsario Chichiarelli, autore del falso comunicato del lago della Duchessa e organizzatore e autore della rapina del marzo 1984 alla Brink's Securmark che fruttò un bottino di circa 30 miliardi di lire. A Chichiarelli sono attribuiti due messaggi: un borsello contenente oggetti che alludevano all'omicidio Pecorelli, al sequestro Moro e al depistaggio del Lago della Duchessa. Omicidio Pecorelli Sono stati assolti a Perugia Pippo Calò e Massimo Carminati ma è stata successivamente arrestata la "primula rossa" della banda, Fabiola Moretti, ex convivente di Danilo Abbruciati, il killer della banda della Magliana freddato nell'82 durante il fallito agguato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco ambrosiano. L'accusa: depistaggio delle indagini sull'omicidio Pecorelli Tentato omicidio di Roberto Rosone Condannati il faccendiere Flavio Carboni e il boss della banda Ernesto Diotallevi per l'agguato al collaboratore di Roberto Calvi. Furto nel caveau del Palazzo di giustizia di Roma Tra gli arrestati anche un esponente della banda della Magliana, Manlio Vitale, soprannominato "er Gnappa" ex braccio destro del boss della Magliana Maurizio Abbatino. Il rapimento di Emanuela Orlandi

 
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BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°245 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

iovanni Girlando detto Gianni il roscio 1956 – 1990 Ucciso nella Pineta di Castel Porziano nel maggio 1990. Gianfranco Urbani detto Pantera 1938 L’ultimo arresto risale al 1999 per traffico di droga. È tuttora in carcere. Raffaele Pernasetti detto Palletta 1950 Sta scontando una condanna a 30 anni nel carcere di Prato. Antonio Leccese detto Ricciolodoro o Tonino 1956 – 1981 Legato a Selis, viene ucciso da Mancini e Abbruciati. Giuseppe Magliolo detto Killer 1948 – 1981 Ucciso a Ostia il 24 novembre 1981 dagli stessi killer di Selis. Roberto Fittirillo 1954 Assolto dalla Corte di Assise di Roma il 12 ottobre 2007 per prescrizione e “comportamento irreprensibile”. Libero. Salvatore Nigro 1953 – 1997 Ucciso - presumibilmente dalla ‘ndrangheta - nel 1997. Paolo Frau detto Paoletto 1949 – 2002 Ucciso a Ostia il 18 ottobre 2002 da un killer in moto. Gestiva il parcheggio di Cineland. Giuseppe Valentini detto Tortellino 1967 – 2005 Viene ucciso il 23 gennaio 2005 a Roma, in un bar del quartiere San Giovanni. Umberto Morzilli detto Umbertino 1957 – 2008 Legato a Enrico Nicoletti, viene ucciso il 29 febbraio 2008 nel quartiere romano di Centocelle mentre è a bordo della sua Mercedes. Emidio Salomone 1955 – 2009 Viene ucciso ad Acilia il 4 giugno 2009. La sua esecuzione sarebbe stata ordinata – per contrasti su un traffico di droga dalla Colombia – da capi della banda detenuti. Libero Angelico detto Rufetto Mai arrestato. Gestisce un ristorante a Roma.E’ stato indicato come uno dei membri della Banda che si rivolge alla famiglia di Emanuela Orlandi nei primi giorni del sequestro. Angelo Cassani detto Ciletto Libero, vive a Cerveteri. È anche lui finito nell’inchiesta sul sequestro Orlandi.

 
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NICOLINO SELIS DETTO IL SARDO

Post n°244 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

NICOLINO SELIS DETTO IL SARDONicolino Selis detto Sardo 1952 – 1981 Ucciso da Abbruciati, Mancini e Colafigli perché dopo la morte di Giuseppucci punta al comando della banda.

 
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FULVIO LUCIOLI DETTO IL SORCIO

Post n°243 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

FULVIO LUCIOLIFulvio Lucioli detto Sorcio 1954 Pentito e libero.

 
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FABIOLA MORETTI COMPAGNA DI DANILO ABBRUCIATI

Post n°242 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

FABIOLA MORETTI1954 Arrestata nel 1996 per traffico di droga, nel settembre 2009 torna in carcere per violazione degli obblighi della detenzione domiciliare. Fabiola Moretti

 
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BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°241 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

EChe fine hanno fatto quelli della banda della magliana Alcuni sono stati uccisi trent'anni fa, altri sono ancora (o di nuovo) in carcere. Altri hanno parlato e per questo sono stati fatti fuori. Qualcuno si è rifatto una vita. Qualcuno non ha mai pagato per i crimini commessi. Franco Giuseppucci detto Negro (1947 – 1980) Ucciso dai fratelli in Piazza San Cosimato il 13 settembre 1980. A farlo fuori è il clan rivale dei Proietti. Enrico De Pedis detto Renatino (1954 – 1990) Ucciso il 2 febbraio 1990 in Via del Pellegrino da Dante del Santo e Alessio Gozzani. Claudio Sicilia detto Vesuviano 1949 – 1991 Pentito, non viene creduto dalla magistratura e non riceve alcuna protezione. Viene ucciso per vendetta a Roma il 18 novembre 1991. Angelo De Angelis detto Catena 1954 - 1983 Ucciso il 10 febbraio 1983 da Maurizio Abbatino, Vittorio Carnevale e Roberto Fittirillo perché accusato di tagliare la cocaina che avrebbe dovuto vendere. Edoardo Toscano detto Operaietto 1953 – 1989 Ucciso su ordine di De Pedis il 16 marzo 1989 a Ostia. Danilo Abbruciati detto Camaleonte 1944 – 1982 Ucciso a Milano il 27 aprile 1982 da una guardia giurata dopo aver fallito l’uccisione del vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone. Marcello Colafigli detto Marcellone 1954 Detenuto nel manicomio criminale di Aversa. Antonio Mancini detto Accattone 1948

 
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BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°240 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

Antonio Mancini, detto l'accattone (1948) Antonio Mancini, originario del quartiere San Basilio, iniziò la sua carriera criminale in giovane età come membro di una batteria specializzata nell’assalto ai treni, di cui era membro, tra gli altri, anche Gianfranco Urbani detto Er pantera (1). Nell’ambiente era conosciuto con il soprannome di accattone poiché andava vantandosi di una somiglianza tra lui e il protagonista dell’omonimo film di Pasolini (2). Durante i suoi soggiorni in carcere rafforzò i legami con numerosi esponenti della malavita romana e non, tra cui Nicolino Selis, ras di una batteria che operava tra Acilia e Ostia (anch’essa tra l’altro specializzata nell’assalto ai treni in cui militò il primo futuro pentito di quella che sarà la banda della Magliana, Fulvio Lucioli detto Er sorcio) nel carcere di Regina Coeli. Il contatto con Selis sarà importante per l’accattone, poiché sarà grazie a costui che sposerà a pieno il progetto di partecipare alla creazione di una forte organizzazione malavitosa composta di soli romani e volta al controllo in esclusiva dei traffici criminali nella Capitale . In tale progetto il duo Selis-Mancini coinvolse molti criminali di loro conoscenza che da lì a poco tempo sarebbero diventati celeberrimi boss del nuovo sodalizio criminale: Edoardo Toscano detto l’operaietto, Giuseppe Magliolo il killer, Angelo de Angelis detto Er catena, Gianni Girlando il roscio e Libero Mancone. Membro storico della Banda della Magliana, nell’ambito della quale svolgeva principalmente il compito di drizzare i torti (ovvero di “persuadere” eventuali debitori morosi o altri temerari che si ribellavano alla lex de imperio della banda), Mancini era legato da profonda amicizia al boss testaccino Danilo Abbruciati detto Er camaleonte, che accompagnò diverse volte a Milano nel periodo in cui il bandito Francis Turatello era sotto processo ; con il camaleonte formò il plotone d’esecuzione di Antonino Leccese, nell’ambito della medesima spedizione che portò all’eliminazione dell’ex compare e compagno di detenzione Nicolino Selis (cognato di Leccese) il 3 febbraio del 1981(7), per dissidi interni alla banda. Poco più di un mese dopo prese parte all’ agguato di via di Donna Olimpia a danno dei fratelli Proietti detti pesciaroli, accusati da quelli della Magliana di essere gli esecutori dell’omicidio del loro leader Franco Giuseppucci detto Er negro avvenuto il 13 settembre del 1980 . La sera del 16 marzo 1981, Antonio Mancini e Marcello Colafigli intercettarono Maurizio Proietti detto il pescetto e il fratello Mario soprannominato palle d’oro nei pressi via di Donna Olimpia n°152 a Monteverde (quartiere di Roma): nel furibondo scontro a fuoco che ne seguì perse la vita il pescetto, mentre i due banditi della Magliana furono feriti. Nel tentativo di evitare l’arresto e aprirsi un varco, Colafigli e Mancini inscenarono il rapimento di uno dei figli dei Proietti, senza riuscire nell’intento (9). In seguito ai fatti di via di Donna Olimpia per Mancini si aprirono le porte del carcere(10), tra cui quelle della fortezza di Pianosa dove fu trasferito con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Sisto Nardocchi. L’esperienza a Pianosa durò meno del previsto, infatti fu trasferito inaspettatamente a Busto Arsizio; il pentito racconterà in seguito che l’intercessione di Enrico “Renatino” De Pedis presso “qualcuno al ministero” si rilevò determinante per il raggiungimento di questo inatteso risultato . Nel 1986 rifiutò, insieme a Toscano, di evadere al termine di un’udienza del maxi processo alla banda della Magliana dall’aula Occorsio del tribunale di Roma, episodio ancora oggi famoso e per certi versi scandaloso che vide alla fine protagonista un altro membro della banda, Vittorio Carnovale detto Er coniglio. Mancini era infatti vicino a ottenere un regolare permesso dopo ben sei anni di detenzione . Una pagina particolarmente importante della vita di Mancini fu quella riguardante la relazione con Fabiola Moretti, l'ex compagna di Abbruciati nel frattempo ucciso a Milano il 27 aprile del 1982. Con la Moretti, legata tra l’altro a Enrico De Pedis da una profonda amicizia (legame che predilesse temporaneamente allorquando costui, entrato in conflitto con l’ala maglianese della banda di cui Mancini era esponente, venne ucciso in via del Pellegrino il 2 febbraio del 1990), visse intensi anni al limite della legalità: trascorse con lei l’ultimo periodo da criminale, fino all’ arresto avvenuto nella primavera del 1994 che precedette di poco la decisione di collaborare con la giustizia . Le dichiarazioni dell’accattone aiutarono gli inquirenti a svelare molti dei misteri che ancora avvolgevano la banda e numerosi fatti di cronaca nera degli ultimi trent’anni: dal delitto Pecorelli, ai rapporti con i servizi segreti e il ruolo della banda nelle ricerche della prigione di Aldo Moro (15). Nel corso degli interrogatori di Mancini, la sua convivente Fabiola Moretti fu vittima di strane visite e atti intimidatori, non ultimo l’irruzione in casa di misteriosi ladri, avvenimento assai strano per un boss del calibro dell’accattone . Nel 2006 Mancini tornò alla ribalta della cronaca affermando di riconoscere nella voce di “Mario”, il misterioso telefonista del rapimento di Emanuela Orlandi, un killer al servizio di Enrico De Pedis . Adesso Antonio Mancini sta scontando agli arresti domiciliari gli ultimi scampoli di pena inoltre, si dedica all’assistenza di ragazzi disabili. TONI CHICCHIARELLI Toni Chicchiarelli è il falsario della Banda della Magliana, specializzato nei falsi De Chirico. È lui a scrivere – durante il sequestro Moro – il falso comunicato n. 7, quello che il 18 aprile 1978 annuncia che il cadavere di Moro si trova nel Lago della Duchessa. Oggi è accertato che quel comunicato fu commissionato dai servizi segreti per smuovere le acque in una fase di stallo del sequestro. Chicchiarelli viene ucciso il 26 settembre 1984. Nel corso della perquisizione della sua abitazione, la polizia trova un filmato della rapina al deposito della Brink’s e altri materiali provenienti dalle Br. Si parla addirittura di due polaroid di Moro nella “prigione del popolo”. Il suo commercialista Osvaldo Lai sosterrà che la rapina alla Brink’s Securmark gli era stata commissionata da “un membro della P2 legato a Sindona''. L’avvocato Pino De Gori, legato all’uomo politico Dc Flaminio Piccoli dichiarerà: ''E’ stato il Mossad (il servizio segreto israeliano) ad autorizzare la rapina. Era una ricompensa per il comunicato falso del Lago della Duchessa, poi però l’hanno fatto fuori''. Ad oggi non si sa chi abbia ucciso Chicchiarelli. NICOLETTI ENRICO IL BANCHIERE DELLA BANDA Uno dei personaggi meno noti e più inquietanti della saga della Banda della Magliana. Costruttore, amico di Giuseppe Ciarrapico e politicamente vicino a Giulio Andreotti, Nicoletti svolge un’intensa attività di prestiti e depositi che serve a riciclare denaro sporco. Nel mandato di cattura a suo carico, il giudice Lupacchini scrive: ''Nicoletti funziona come una banca, nel senso che svolge un’attività di depositi e prestiti e attraverso una serie di operazioni di oculato reinvestimento moltiplica i capitali investiti dell’organizzazione''. Con l’operazione “Colosseo” la polizia sequestra ai boss della Magliana ottanta miliardi di beni mobili e immobili.

 
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DANILO ABBRUCIATI DETTO IL CAMALEONTE MEMBRO DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°239 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

DANILO ABBRUCIATI DETTO IL CAMALEONTENato e cresciuto nel quartiere popolare di Primavalle a Roma, figlio del pugile Otello Abbruciati, campione italiano pesi piuma nel 1928, 1938 e 1940, si cimentò lui stesso nel pugilato per poi abbandonare la disciplina visto l'estremo rigore e la perfezione richiesta da suo padre, suo allenatore. Iniziò a frequentare un gruppo di ragazzi, che poi si scoprirono rapinatori, denominata dai giornalisti "Gang dei Camaleonti" e nelle cui vicissitudini rimase coinvolto appena diciottenne, poi i locali frequentati dalla Banda dei Marsigliesi. Abbandonato il settore delle rapine, Abbruciati si unì ai Marsigliesi con i quali pose in essere numerosi sequestri di persona. In carcere a Milano conobbe Francis Turatello con il quale strinse un forte legame di amicizia. Arrestato nel 1975 per l'omicidio di Ercole Tabarini e per una serie di sequestri di persona, torna in libertà solo nel 1979. Appena fuori dal carcere Abbruciati riallaccia i rapporti con i vecchi amici del Testaccio Enrico DePedis e Raffaele Pernasetti, con i quali inizia a lavorare nel milieu della Banda della Magliana nel frattempo in via di formazione. Ad Abbruciati fu affidata la vendita della droga nel quartiere di Trastevere insieme alla convivente Fabiola Moretti. Lo spirito imprenditoriale portò Abbruciati a stringere rapporti di collaborazione con personaggi del calibro di Domenico Balducci, un usuraio di Campo dei fiori, il boss mafioso Pippo Calò e indirettamente con il faccendiere Flavio Carboni (il quale tuttavia affermerà di non aver mai conosciuto direttamente il boss della Magliana) con i quali investì i proventi dello spaccio della droga in operazioni immobiliari in Sardegna. Grazie al buon rapporto con Calò e il boss palermitano Stefano Bontade, Abbruciati portò in dote alla banda un canale di rifornimento di stupefacenti direttamente connesso a Cosa Nostra. Oltre al fiuto per gli affari, Il Camaleonte era anche un killer senza scrupoli. Partecipò alla esecuzione di Antonino Leccese, cognato di Nicolino Selis, il 3 febbraio 1981, nonché all 'omicidio dello stesso Balducci otto mesi dopo. Particolarmente aspra fu la sua guerra personale con altri due esponenti della criminalità romana quali Roberto Belardinelli (detto Bebbo) e Massimo Barbieri. Con il primo il motivo del contendere fu una rissa in un locale notturno, nel corso della quale Abbruciati esplose alcuni colpi di pistola all'indirizzo del Belardinelli, ex pugile con il quale era meglio non scontrarsi fisicamente. Lo scontro con Massimo Barbieri fu causato da un festino organizzato da questi insieme alla ex compagna di Abbruciati. Il Camaleonte non accettò questa mancanza di rispetto, e cercò di vendicarsi uccidendo Barbieri: ma la pistola si inceppò all'ultimo, costringendo il malavitoso testaccino a ripiegare su un più "morbido" pestaggio a sangue con il calcio della pistola. Dal canto suo Barbieri cerco di vendicarsi del pestaggio attentando alla vita di Abbruciati con un colpo di pistola alla tempia: il proiettile, che il Camaleonte decise di far rimuovere solo a vendetta eseguita, fortunatamente non lo uccise e non lascio conseguenze gravi, segnando tuttavia la condanna a morte dell'attentatore. Come se non bastasse, Barbieri si rese responsabile del rapimento e delle sevizie a danno di Fabiola Moretti, che in quegli anni era la donna di Abbruciati. La tanto attesa occasione per la vendetta venne offerta ai Testaccini da un compare di Barbieri, Angelo Angelotti, il quale sfruttò il dissidio dell'ex amico con gli esponenti della banda per sbarazzarsi di lui, in quanto segretamente innamorato della moglie. Attirato con una scusa a un droga party presso un'abitazione di Ladispoli, Barbieri venne narcotizzato e legato per poi essere torturato per ore con un coltello da Abbruciati e Depedis. Una volta ucciso, il suo corpo venne mezzo carbonizzato e abbandonato. La particolare personalità di questo bandito lo spinse a stringere rapporti anche con neofascisti ed esponenti dei servizi segreti, che in più di una occasione come remunerazione per i propri servigi gli offrivano protezione ed impunità. Ma forse, proprio per fare un favore ad una di queste amicizie importanti, Danilo Abbruciati perse la vita il 27 aprile del 1982: recatosi a Milano insieme a Bruno Nieddu per attentare alla vita di Roberto Rosone , vice presidente del Banco Ambrosiano, non riuscì nell'impresa di ucciderlo subito a causa di un guasto alla sua pistola (cosa che gli capitò per la seconda volta). Dopo essere riuscito solo a gambizzarlo, fu ferito a morte da una guardia giurata con un colpo di 357 magnum alle spalle mentre scappava a bordo di una motocicletta guidata dal suo complice Nieddu. La notizia colse di sorpresa i suoi ex compari della Magliana, che un po' come la Polizia si chiedevano cosa ci stesse a fare a Milano un boss del suo calibro. Sembrava infatti strano che Abbruciati si riducesse al ruolo di semplice killer su commissione, ma la nota avidità del personaggio (come testimoniato dal suo amico e sodale Antonio Mancini) potrebbe essere stata la motivazione dell'accettazione di un compito così rischioso quanto ben remunerato. Tale episodio, come poi altri avvenimenti, fu una delle cause della successiva disgregazione tra l'anima maglianese e testaccina della banda. Come presunti mandanti dell'agguato furono indicato Michele Sindona, ma anche il collega Roberto Calvi nonché in ultimo Flavio Carboni.

 
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BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°238 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

Nicolino Selis detto Il sardo (Nuoro, 6 giugno 1952[1] – Roma, 3 febbraio 1981) Nato a Nuoro in Sardegna, si trasferisce molto presto ad Ostia, quartiere di Roma. Strettamente legato al boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo, da lui conosciuto durante la detenzione in carcere per tentato omicidio e furto, ed appartenente alla cosiddetta "batteria" che controllava le zone di Acilia e di Ostia, ne divenne il referente su Roma per il traffico di droga, il riciclaggio e la vendita di armi. Soprannominato "il sardo" per via delle sue origini, si fece strada nella criminalità romana e, grazie alla sua amicizia con Gianfranco Urbani (detto er Pantera), uno dei componenti della "batteria" del Tufello, e con Edoardo Toscano (detto l'Operaietto), componente della "batteria" della Magliana, fece parte negli anni 70 della cosiddetta Banda della Magliana, diventandone un elemento di rilievo All'inizio degli anni 80 i rapporti in seno alla banda cominciarono a deteriorarsi e due dei componenti più influenti della banda, Danilo Abbruciati (detto Er Camaleonte) ed Enrico De Pedis (detto Renatino), pensarono alla sua eliminazione dopo avere intuito la sua intenzione di assumere la posizione di leader della banda dopo la morte di Franco Giuseppucci (detto Er Negro). Selis fu ucciso il 3 febbraio 1981 da Maurizio Abbatino con la complicità di Antonio Mancini e Edoardo Toscano; il suo corpo fu sepolto in una buca vicino all'argine del fiume Tevere e ricoperto di pepe e calce per non far avvicinare i cani e per affrettare la decomposizione. A tutt'oggi i suoi resti non sono stati ancora ritrovati. Marcello Colafigli, detto Marcellone. Colto in flagrante con Ricotta mentre ammazzava uno dei fratelli Proietti .non poté evitare una lunga detenzione. Bufalo e Ricotta aspettarono i fratelli Proietti in via Donna Olimpia 152, dove i due si nascondevano da mesi. Quando li videro arrivare, spararono. Con i Proietti c'erano anche mogli e figli. I due killer della Banda rimasero feriti, le urla e gli spari attirarono l'attenzione dei vicini che chiamarono la polizia. Quando arrivò, Colafigli chiese con strafottenza all'agente: "Ditemi che l'ho ammazzato, quell'infame che ha sparato a Franco mio". Lo aveva ammazzato, Maurizio "il pescetto" Proietti era morto. Si era invece salvato (per la seconda volta) l'altro fratello Proietti, Mario "Palle d'oro", che però non sembra aver partecipato al commando che uccise Er Negro.(l'altro Proietti implicato era probabilmente Fernando, ucciso nel 1982). Una volta uscito, sembra accertato che Colafigli commissionò l’omicidio del Dandi, punendolo dello scarso interesse “giudiziario” per la sua situazione. Bufalo è poi accusato di essere stato anche il mandante di altri omicidi caduti nella fase finale della Banda (1990-91).

 
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CLAUDIO SICILIA DETTO IL VESUVIANO PER LE SUE ORIGINI MEMBRO DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°237 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

CLAUDIO SICILIA DETTO ER VESUVIANOFa parte del gruppo originario della Magliana con a capo Abbatino. Latitante all'apertura del processo del 1984, mentre lo stesso Abbatino e Edoardo Toscano sono in carcere, assume un ruolo di primo piano nell'organizzazione ed è vittima di un attentato il 23 marzo 1986. Questo fatto rappresenta la spinta necessaria a pentirsi, in seguito all'arresto nell'ottobre dello stesso anno. È il primo a parlare dei contatti della Banda con la camorra di Lorenzo Nuvoletta e Michele Zaza e con gli ambienti dell'estremismo nero, il primo a svelare i rapporti fra malavita e Istituzioni. A suo tempo non viene creduto dai giudici, e rilasciato senza l'adeguata protezione. Viene ucciso il 18 novembre 1991 a colpi d'arma da fuoco da due sicari, a riprova che avesse detto la verità.

 
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MAURIZIO ABBATINO BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°236 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

MAURIZIO ABBATINOMaurizio Abbatino detto Crispino (Roma, 1954) è un collaboratore di giustizia. Nato e cresciuto in una stradina della Magliana Vecchia, Maurizio Abbatino, a molti noto come Crispino o il Maurizio della Magliana, è stato il capo storico, insieme ad Enrico De Pedis, Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati, dell'organizzazione criminale conosciuta come Banda della Magliana, nonché ultimo rimasto in vita. Dalle degradate periferie romane Crispino e compagni, che erano arrivati a dividersi i quartieri della città con una rigida compartimentazione (stecca), controllavano praticamente tutto: scommesse clandestine, toto nero, il mondo dell' usura, la droga, il traffico di armi, la ricettazione, la "pulitura" dei soldi sporchi; gestendo in prima persona i contatti con la mafia, la 'ndrangheta, la camorra e il terrorismo nero." Sopravvissuto alla sanguinosa faida scaturita dopo la divisione della Banda tra il gruppo dei Testaccini e quello della Magliana e fuggitivo dal 20 dicembre 1986 dopo la fuga da una clinica dell'EUR (dove si era fatto ricoverare per un tumore avanzato), era scappato in Venezuela dove cercò di rifarsi una vita. Gli uomini della Squadra Mobile romana e della Criminalpol l'avevano individuato da tempo in terra sudamericana, ma la telefonata decisiva la intercettarono la sera di capodanno e neanche un mese più tardi, il 24 gennaio 1992, lo arrestarono a Caracas all'uscita di un locale notturno. Subito avviarono le pratiche per il trasferimento del boss in patria e il 4 ottobre di quell'anno Abbatino fu espulso dal Venezuela, preso in consegna dagli uomini della Squadra Mobile e riportato in Italia. Ad attenderlo all'aeroporto di Fiumicino c'era un notevole spiegamento di forze dell'ordine che presidiava la pista e un folto numero di giornalisti, fotografi e telecamere e Abbatino, il boss freddo e determinato, il Maurizio della Magliana, avrebbe collaborato e parlato come già aveva annunciato in Venezuela e ribadito durante il viaggio in aereo. Grazie al pentimento di Abbatino il 16 aprile 1993 scatta una gigantesca operazione di polizia denominata "Operazione Colosseo" che vede il fermo di 55 persone, decimando così la più feroce holding criminale che Roma abbia mai conosciuto. Le sue confessioni hanno in gran parte confermato quelle precedenti di Fulvio Lucioli e Claudio Sicilia e sono state il punto di partenza di un nuovo maxiprocesso ai "bravi ragazzi" degli anni Settanta e Ottanta. Il magistrato/scrittore Giancarlo De Cataldo si è ispirato a Maurizio Abbatino e alle sue gesta durante la 'militanza' decennale nella Banda della Magliana per creare "il Freddo", protagonista del suo best seller Romanzo Criminale. Da questo romanzo verranno tratti un film (in cui Abbatino è interpretato da Kim Rossi Stuart) ed una serie televisiva (il ruolo del freddo è qui interpretato da Vinicio Marchioni).

 
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ENRICO DE PEDIS BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°235 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

ENRICO DE PEDIS Enrico De Pedis Enrico De Pedis, detto Renatino (Roma, 15 maggio 1954 – Roma, 2 febbraio 1990), è stato un criminale italiano, boss dell'organizzazione criminale romana nota come Banda della Magliana. Il suo nome, oltre a molti dei misfatti della Banda, è legato alla vicenda di Emanuela Orlandi, la ragazza di cittadinanza vaticana scomparsa nel 1983, il cui caso è stato spesso messo in relazione con il caso Calvi e i rapporti tra Vaticano e Banco Ambrosiano. De Pedis è stato ucciso in un agguato a Roma in Via del Pellegrino, nei pressi di Campo de' Fiori: la sua uccisione va catalogata come un regolamento di conti tra "ex compari"[6]. De Pedis, infatti, al contrario degli altri appartenenti alla banda, fu l'unico a possedere uno spiccato "spirito imprenditoriale": mentre gli altri sperperavano i propri bottini, egli investiva, anche in attività legali, tali illeciti proventi (in imprese edili, ristoranti, boutique...).[7] Arrivò al punto di non voler più dividere i proventi delle sue attività coi compari carcerati. Si sentiva sciolto da tale obbligo, in quanto ormai i suoi introiti provenivano in buona parte da attività proprie e non rientravano più nei bottini comuni. Gli altri interpretarono ciò come uno smacco da far pagare caro. Così nel 1989, uscì dal carcere Edoardo Toscano detto "Operaietto" (appartenente alla fazione Magliana, opposta a quella dei testaccini di cui De Pedis era il leader) e si mise sulle sue tracce. De Pedis, però, fu più rapido e fece uccidere Toscano dai suoi killer personali (tali Angelo Cassani detto Ciletto e Libero Angelico, meglio noto negli ambienti malavitosi col soprannome di Rufetto) dopo averlo fatto cadere in una imboscata con un pretesto. Quando evase successivamente dal carcere Marcello Colafigli, la fazione dei maglianesi iniziò a riorganizzarsi per eliminare De Pedis. L'occasione si presentò quando riuscirono a sapere da un antiquario di Roma (Angelo Angelotti, anch'egli legato in passato alla famigerata banda romana) dell'appuntamento che "Renatino" avrebbe avuto il 2 febbraio 1990 con lui nella sua bottega in via del Pellegrino. Appena uscito dal negozio De Pedis salì sul suo motorino Honda Vision e si avviò, ma venne affiancato da una potente motocicletta con a bordo due killer toscani assoldati per l'occasione, Dante Del Santo detto "il cinghiale" e Alessio Gozzani,il quale però negli ultimi anni sembra sia stato scagionato dall'accusa di essere quel giorno alla guida della moto,condotta forse da Antonio D'Inzillo deceduto poi da latitante in sud africa nel 2008

 
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FRANCO GIUSEPPUCCI BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°234 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

FRANCO GIUSEPPUCCIFranco Giuseppucci, prima detto Er Fornaretto e in seguito Er Negro. (Roma, 12 aprile 1947 – Roma, 13 settembre 1980) Anche se il suo nome rimarrà per sempre legato al quartiere di Trastevere, inizia la sua carriera criminale come leader di una batteria di rapinatori del Trullo, e si fa conoscere per la sua acuta intelligenza e capacità di ottenere rispetto anche grazie alla sua predisposizione allo scontro fisico, dovuta alla forza incredibile delle sue braccia. Il suo primo soprannome, Er Fornaretto, lo eredita dal padre che lavorava come fornaio e presso il quale aveva lavorato per vari anni. Aveva una passione per il fascismo e Mussolini, del quale conservava come reliquie busti, dischi con incisi discorsi, stemmi ed altro materiale. Ma la sua prima passione rimane comunque il guadagno facile, ed infatti lascia il lavoro al forno, che ritiene troppo faticoso, e comincia a lavorare come buttafuori di una bisca clandestina di Ostia, facendosi conoscere per la sua determinazione. Il padre era morto ucciso dalla polizia durante una rapina. Giuseppucci viveva con la madre in un piccolo appartamento a Trastevere. Nel 1976 nasconde e trasporta armi per conto di altri criminali, oltre a numerosi neofascisti legati ai NAR. Un giorno, con l'auto carica di armi, si ferma ad un bar davanti al Vittoria, un cinema del quartiere Testaccio per prendere un caffè; fatalità vuole che quell'auto gli venga casualmente rubata. Le armi contenute nel bagagliaio della Volkswagen sono di un suo amico, Enrico De Pedis detto Renatino, un rapinatore che gode di buon rispetto all'interno della malavita romana. Giuseppucci trova il ladro che gli ha sottratto l'auto, ma le armi sono state vendute ad un gruppo di rapinatori appena formatosi nel nuovo quartiere romano della Magliana. Giuseppucci decide allora di andare a parlare con quelli di via della Magliana, in particolare cerca e trova Maurizio Abbatino, detto Crispino, un giovane rapinatore dal sangue freddo che aveva acquistato le armi. I due, stranamente, si accordano per compiere alcuni colpi; nel gruppo rientrano anche De Pedis e gli altri della Magliana. Nasce così la Banda della Magliana e Giuseppucci diverrà uno dei leader carismatici della Banda. In particolare egli sogna, assieme ai suoi giovani compagni, di riconquistare Roma, allora terra di conquista di organizzazioni criminali esterne come il Clan dei marsigliesi, la Mafia e la Camorra e di controllare tutte le attività illegali in città proprio come le mafie meridionali. Tuttavia Er Negro, come è ormai conosciuto Giuseppucci in tutta Roma, si è fatto anche parecchi nemici, tra questi, gli uomini del Clan Proietti che lo feriscono mortalmente a colpi di pistola la sera del 13 settembre 1980, nella piazza trasteverina di San Cosimato.

 
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LA VERA STORIA DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°233 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

I PRINCIPALI BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANAun giovane rapinatore dal sangue freddo che aveva acquistato le armi. I due, stranamente, si accordano per compiere alcuni colpi; nel gruppo rientrano anche De Pedis e gli altri della Magliana. Da semplice associazione di rapinatori, il patto prende la forma di una potenziale organizzazione per il controllo della criminalità romana, nella quale iniziano a lavorare anche criminali di altre zone: Marcello Colafigli (detto "Marcellone"), Edoardo Toscano detto l'Operaietto e Claudio Sicilia detto er Vesuviano per le sue origini. Il loro primo lavoro, lunedì 7 Novembre 1977, sarà un sequestro: quello del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, che però finirà male. Per l'inesperienza nel campo, Giuseppucci e gli altri non riescono a gestire la situazione e devono chiedere aiuto ad un altro gruppo criminale (una piccola banda di Montespaccato), un componente del quale, per distrazione, si fa vedere in faccia dal duca, che per questo verrà ucciso. Riescono, comunque, ad incassare il riscatto (due miliardi, contro i 10 della richiesta iniziale[5]), lo dividono con l'altro gruppo ed invece di suddividere tra loro la loro quota, decidono di reinvestirla in nuove attività criminali. Da qui, l'unione con altri gruppi romani: uno del quartiere Tufello con a capo Gianfranco Urbani (er Pantera), uno di Ostia con a capo Nicolino Selis che ha forti legami con la Camorra e i Testaccini, un violento gruppo di Testaccio comandato da Danilo Abbruciati, er Camaleonte. Nasce così la Banda della Magliana. La conquista del potere « "Roma è nelle nostre mani", si dicevano l'un l'altro i nuovi boss, spavaldi e col sorriso sulle labbra, interessati solo ad allargare il controllo sulla città e a entrare in nuovi affari, incuranti di chi ci fosse dietro. La droga poteva arrivare e andare indifferentemente a uomini della mafia, della camorra, della 'ndrangheta, dell'eversione nera, di organizzazioni mediorientali. Agli ex rapinatori cresciuti nelle batterie di quartiere, passati al giro più grosso delle bische e delle scommesse clandestine e diventati in pochi anni impresari di morte attraverso il traffico di droga, non interessava servire ed essere serviti da questa o quella banda. » Il motivo per cui un gruppo riuscì a raggiungere per la prima volta il controllo di una metropoli come Roma è da cercarsi nei metodi che la Banda della Magliana introdusse nel panorama capitolino. Primo fra tutti, gli omicidi. Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni settanta la criminalità romana era divisa in quartieri: ognuno controllava la propria zona dove mantenere il potere era semplice. Non che non si commettessero omicidi, ma le pistole si usavano molto raramente e nessuno di essi veniva premeditato per il mantenimento o la conquista del potere. Quelli della Magliana, invece, vollero allargare il controllo a tutta la città e per farlo usarono sistematicamente le pistole, eliminando gli oppositori alla loro espansione e contemporaneamente incutendo timore a chi avesse voluto intromettersi nella crescita della banda. «Eravamo i più potenti, perché eravamo gli unici che sparavano», avrebbe detto anni dopo in un'aula di tribunale uno di loro. Il primo e più celebre degli omicidi ad opera del gruppo, fu quello di Franco Nicolini detto Er criminale, che controllava il mondo orbitante attorno alle scommesse ippiche. Gli affari della Banda della Magliana, dalle semplici rapine, passarono in poco tempo ai sequestri, alle scommesse ippiche appunto, ai colpi ai caveau e soprattutto al traffico di droga, affare per cui era necessario avere un controllo capillare del territorio. La banda estendeva la sua influenza nelle zone di Trastevere-Testaccio, della Magliana, di Acilia-Ostia, del Tufello e dell'Alberone. Nella zona di Trastevere-Testaccio si muovevano gli uomini di Danilo Abbruciati, implicato soprattutto nel riciclaggio del danaro sporco, grazie ai suoi rapporti con Flavio Carboni, Roberto Calvi e Francesco Pazienza. Con gli stessi operava Domenico Balducci, legato a sua volta al noto mafioso Pippo Calò. La zona della Magliana era sotto il controllo degli uomini di Giuseppucci, in cui militavano personaggi quali Marcello Colafigli, Maurizio Abbatino, Antonio Mancini detto Accattone, Claudio Sicilia, ecc. La zona di Acilia-Ostia, era in mano al gruppo di Nicolino Selis, che si avvaleva di uomini come i fratelli Carnovale, Ottorino Addis, Libero Mancone e Gianni Girlando. Nelle zone del Tufello e dell'Alberone spiccava la figura di Gianfranco Urbani, anche se il gruppo criminale presentava una minor omogeneità rispetto ai precedenti. Urbani favorì i rapporti con il clan di Nitto Santapaola e con la 'Ndrangheta calabrese, grazie alla cosca De Stefano, operante a Reggio Calabria, capeggiata all'epoca dal boss Paolo De Stefano Organizzazione La Banda della Magliana, a differenza di altri nuclei criminali organizzati, come la Camorra o Cosa Nostra, non presentava un'organizzazione piramidale: non aveva infatti un solo capo, ma diversi, divisi in gruppi, che spesso lavoravano anche singolarmente e senza la necessità che gli altri lo sapessero. Questa gerarchia non piramidale ha avuto come effetto collaterale quello di consentire di volta in volta ad entità esterne di fare uso della Banda per i propri scopi, come alcuni ritengono possano aver fatto branche deviate dei servizi segreti[6][7]. I proventi dei crimini erano comunque divisi sempre in parti uguali, ogni membro riceveva la cosiddetta "stecca", una sorta di dividendo indipendente dal lavoro svolto in quel periodo che anche i membri detenuti continuavano comunque a ricevere attraverso la famiglia. I vari componenti erano tenuti in ogni caso a continuare a partecipare all'attività criminale: anche quando alcuni di loro divennero veramente ricchi, girando su Ferrari con Rolex al polso, continuarono ad essere degli operai del crimine. Inutile dire che appartenere alla Banda della Magliana significava anche non poter sgarrare: un errore avrebbe potuto facilmente costare la vita. Provenienza geografica dei clan Magliana Maurizio Abbatino (detto "Crispino" o il "Maurizio della Magliana" o san BUCA) (il Freddo del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Edoardo Toscano (detto "Operaietto" o " il cavaliere ") (Scrocchiazeppi del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Marcello Colafigli (detto "Marcellone") (il Bufalo del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Antonio Mancini (detto "l'accattone") ("Ricotta" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Claudio Sicilia (detto "il vesuviano" o "etnaniano") (Trentadenari del film e della serie TV di Romanzo Criminale GLI INTRECCI POLITICI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA Alcuni dei capi della banda erano simpatizzanti di destra, e tra questi spiccava Franco Giuseppucci, il quale conservava in casa alcuni dischi con i discorsi di Mussolini e diversi gagliardetti e simboli inneggianti il regime fascista. I primi legami con i gruppi neofascisti li ebbero attraverso il professor Aldo Semerari, celebre criminologo leader del gruppo Costruiamo l'azione, che durante l'estate del 1978 organizzò diversi incontri politici nella sua villa di Poggio Mirteto a cui parteciparono anche i componenti simpatizzanti della Banda della Magliana. Il contatto della banda con il prof. Semerari fu organizzato dal pregiudicato Alessandro D'Ortenzi, detto "zanzarone", il quale era in buoni rapporti con lo stesso professore. Tale contatto era estremamente funzionale alla banda in quanto, data la levatura del professor Semerari sul piano delle perizie mediche psichiatriche effettuate per conto dei tribunali, poteva tornare assai utile agli elementi della banda per ottenere falsi certificati di infermità mentale, onde scongiurare così la detenzione in caso di cattura. Dal canto suo, Semerari intendeva sfruttare la banda come braccio armato del gruppo politico che andava formando ma questa era già una matura organizzazione criminale che difficilmente si sarebbe fatta abbagliare da fumosi progetti senza un immediato ricavo materiale. Dagli incontri uscì solo un accordo pratico: la Banda della Magliana avrebbe finanziato il suo gruppo in cambio di perizie psichiatriche "su misura" effettuate dal criminologo per i frequenti arresti che la banda subiva. Aldo Semerari era anche un esponente della loggia massonica P2 ed aveva forti legami con il SISMI, legami e conoscenze che trasferì velocemente a quelli della Magliana. Il sodalizio durò poco perché Semerari aveva preso accordi simili anche con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Semerari fece l'errore di accordarsi anche con l'organizzazione rivale di Cutolo, la famiglia di Roberto Ammaturo, e alla Nuova Camorra Organizzata questo non piacque. Oltre a ciò, il professore rimase implicato nelle indagini della procura di Bologna relative alla strage del 2 agosto 1980 (85 morti e più di 200 feriti). Incarcerato per breve tempo, Semerari diede segni di cedimento psicologico, prospettando ai magistrati una sua ampia collaborazione in cambio della libertà. Scarcerato ad inizio marzo del 1982, il criminologo iniziò a temere per la propria vita, parlandone prima con la propria segretaria (anch'ella successivamente ritrovata uccisa) e poi con il proprio referente del SISMI, tale Renato Era: costui informò il suo diretto superiore, il colonnello Demetrio Cogliandro, il quale parlò della cosa all'ex direttore del Servizio, Generale Giuseppe Santovito che - benché fosse stato destituito in seguito allo scandalo P2 - disse che avrebbe risolto la faccenda di persona. A fine marzo, mentre si trovava a Napoli, Aldo Semerari scomparve. Il 1º aprile 1982 il suo corpo venne ritrovato decapitato ad Ottaviano (NA) nel bagagliaio di un'auto, con la testa posta dentro una bacinella sul sedile anteriore. Ma il primo vero sodalizio tra la Banda e i gruppi di estrema destra si ha con i giovani dei Nuclei Armati Rivoluzionari, attraverso Massimo Carminati ("il Nero" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) che frequentava lo stesso bar di Giuseppucci e Abbatino. Carminati divenne presto il pupillo del clan della Magliana e con lui strinsero legami altri ragazzi dei NAR come Giuseppe Valerio Fioravanti, detto Giusva, suo fratello Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Francesca Mambro. I due gruppi allacciarono stretti rapporti di collaborazione. La banda principalmente riciclava il denaro sporco proveniente dalle rapine con cui i NAR si finanziavano ed in cambio i ragazzi neofascisti effettuavano lavori di manovalanza come riscuotere i crediti dell'usura o trasportare droga. La collaborazione però, che ha suscitato i maggiori misteri, fu la gestione comune delle armi: mitra, bombe, fucili ritrovati sorprendentemente nei sotterranei del Ministero della Sanità.All'interno del covo nel sotterraneo del Ministero, vengono ritrovate anche cartucce di una marca particolare - Gevelot - difficilmente reperibili sul mercato. Apparentemente non vi era nulla di strano, ma quattro proiettili dello stesso tipo, appartenenti allo stesso lotto e con lo stesso grado d'usura del punzone che marca la punta, vennero utilizzati per un omicidio particolare. La vittima era Mino Pecorelli, direttore di un'agenzia di stampa specializzata in scandali politici, e del delitto saranno successivamente accusati Giulio Andreotti e Claudio Vitalone, poi assolti. Al processo emergerà un chiaro coinvolgimento della banda nel delitto, anche se Massimo Carminati, imputato di aver commesso materialmente l'omicidio sarà poi assolto. Dal processo emerse anche - secondo i giudici - «la prova di rapporti tra Claudio Vitalone e la banda della Magliana in persona di Enrico De Pedis». A parere dei magistrati però «gli elementi probatori non sono univoci» e non permettono «di ritenere riscontrata la chiamata in correità fatta nei suoi confronti». Insomma, Vitalone aveva rapporti con l'organizzazione criminale ma non ci furono prove abbastanza evidenti dal punto di vista penale Testaccio-Trastevere Franco Giuseppucci (detto Fornaretto poi er Negro) (il "Libano" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Danilo Abbruciati (detto er Camaleonte) ("Nembo Kid" della serie TV di Romanzo Criminale) Enrico De Pedis (detto Renatino) (il "Dandi" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Raffaele Pernasetti (detto er palletta) Acilia-Ostia Nicolino Selis (detto er Sardo) Antonio Leccese (detto Ricciolodoro) Giuseppe Magliolo (detto "Il killer") Giuseppe e Vittorio Carnovale (detti "il tronco" e "il coniglio") (i Fratelli Buffoni del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Fulvio Lucioli (detto "il sorcio") Giovanni Girlando (detto "Gianni il Roscio") (Satana della serie TV di Romanzo Criminale) Libero Mancone (il "Fierolocchio" del film e della serie TV di Romanzo Criminale) Orazio Pannosecchi Tufello e Alberone Gianfranco Urbani (detto er Pantera) (il Puma della serie TV di Romanzo Criminale) Angelo De Angelis (detto er Catena) Il declino Il primo, grave contraccolpo all'organismo della Banda avvenne ad inizio anni ottanta, quando si sviluppò una sanguinosa faida all'interno della malavita romana tra questa ed il clan criminale della famiglia Proietti. Vittima eccellente di questa guerra fu Franco Giuseppucci, ucciso a Piazza San Cosimato (Trastevere) il 13 settembre 1980 con colpi di pistola, da parte di esponenti del Clan della famiglia Proietti, detti i pesciaroli per via della loro attività commerciale, una famiglia molto numerosa e molto vicina a quel Franchino er Criminale, abbattuto dai componenti della Magliana all'Ippodromo di Tor Di Valle. All'inizio la morte di er Negro fu un pretesto per scatenare una guerra contro il clan dei pesciaroli (con gravissime perdite riportate da parte del clan Proietti) la quale segnò però l'inizio della disgregazione della Banda: da quel momento i due gruppi prevalenti - i Testaccini di Abbruciati e De Pedis da una parte, quelli della Magliana guidati da Abbatino dall'altra - entrarono in una fase di continua tensione, stante comunque la predominanza sul piano affaristico dei Testaccini. Nell'aprile del 1982 Abbruciati si incaricò di eseguire un atto di intimidazione a danno del vicepresidente del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone: la sua arma inizialmente si inceppò, poi il malvivente riuscì comunque a gambizzare il banchiere ed il suo autista, ma durante la fuga in moto venne freddato alle spalle da alcuni colpi di pistola esplosi da una guardia giurata. Sempre più compromesso con mafiosi (Calò) e massoni (Gelli, Pazienza), De Pedis si ritrovò solo nel conflitto che ormai lo contrapponeva a Crispino. Mentre i capi dell'organizzazione e diversi aderenti ad essa venivano arrestati e condannati in tribunale, uno di essi, il falsario Antonio Chichiarelli detto Tony - già coprotagonista di risvolti inquietanti dei delitti Moro e Pecorelli - pianificò ed attuò una spettacolare rapina al deposito blindato della Brink's Securmark, che fruttò ai criminali un bottino di diversi miliardi di lire (il Chichiarelli stesso lasciò poi sul luogo del delitto alcuni oggetti che richiamarono l'attenzione degli inquirenti sugli omicidi Moro, Pecorelli e Varisco). Il falsario però non ebbe il tempo di godersi il frutto del proprio atto criminoso, in quanto un killer rimasto ignoto lo uccise con nove proiettili pochi mesi più tardi. Colpita al cuore dagli omicidi e dal lavoro della magistratura, la Banda della Magliana si avviò verso il tramonto: mentre De Pedis andava incontro al suo tragico destino (vedi seguito), si segnalarono i primi casi di pentitismo, con le defezioni di Abbatino, Mancini e di Fabiola Moretti (ex donna di Abbruciati, specialista dell'organizzazione nella raffinazione e qualificazione dei narcotici). La sepoltura di Enrico De Pedis L'ultimo capo della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto Renatino, muore il 2 febbraio 1990. Ultimo grande boss della gang romana, trasteverino puro sangue, proprietario di note trattorie, Renatino fu ucciso in pieno giorno in via del Pellegrino, tra la folla del mercato di Campo de' Fiori. Tumulato inizialmente al Cimitero del Verano, fu poi sepolto in grande riservatezza, il successivo 24 aprile, nella Basilica di Sant'Apollinare, dove si era sposato nel 1988: riguardo particolarissimo, che quando fu risaputo diede molto da parlare ai cronisti. La notizia uscì sul quotidiano "Il Messaggero" nel 1995 e solo due anni dopo, in un servizio della giovane reporter Raffaella Notariale, inviata speciale per la trasmissione "Chi l'ha visto?" (Rai Tre), furono resi pubblici i documenti originali e le foto del sarcofago sistemato nel sotterraneo della Basilica di Sant'Apollinare. La notizia dei documenti originali, mai visti prima, lanciò la stagione televisiva del programma facendone la sua fortuna.[8]. A Renatino i soldi non mancavano: con l'operazione "Colosseo" la polizia sequestrò ai boss della Magliana ottanta miliardi di beni mobili e immobili, un fiume di denaro sporco, frutto di riciclaggio del traffico di armi e droga, poi reinvestito in affari e appalti resi possibili dagli appoggi politici, di alto livello. Pur sposato, Renatino è stato legato per lungo tempo a una donna, Sabrina Minardi che, intervistata da Raffaella Notariale e poi interrogata dalla Procura, ha permesso di legare a doppio filo la vicenda Orlandi alle malefatte della holding criminale.

 
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STORIA DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°232 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

MAURIZIO ABBATINO un rapinatore di Trastevere che gode di buon rispetto all'interno della malavita romana. Giuseppucci trova il ladro che gli ha sottratto l'auto, ma le armi sono state vendute ad un gruppo di rapinatori appena formatosi nel nuovo quartiere romano della Magliana soliti ritrovarsi in un bar di Via Chiabrera. Giuseppucci decide allora di andare a parlare con quelli di via della Magliana, in particolare cerca e trova Maurizio Abbatino detto Crispino,

 
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STORIA DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Post n°231 pubblicato il 07 Giugno 2011 da tignalucida

ENRICO DE PEDISuno dei futuri componenti della banda - è un piccolo criminale del quartiere di Trastevere: nasconde e trasporta armi per conto di altri criminali. Un giorno, con l'auto carica di armi, si ferma davanti ad un bar per prendere un caffè; fatalità vuole che l'auto, una Volkswagen "Maggiolone", gli venga casualmente rubata. Le armi contenute nel bagagliaio della Volkswagen sono di un suo amico, Enrico De Pedis detto Renatino,

 
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