Creato da AlvinKuntz il 31/10/2005
Un matematico che non abbia un po' del poeta, non può essere un perfetto Matematico... (K. Weierstrass)
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Per la serie "a volte ritornano", eccomi ancora qui a deliziarvi con un po' di bella matematica. Anzi, di più, questa è la teoria che m'ha fatto innamorare della matematica quando ero al liceo, perciò... Fin da bambini ci insegnano che i numeri sono infiniti. Addirittura, per chi lo ricorda, tempo fa, su questo bolg, riportai anche la dimostrazione del fatto che i soli numeri primi sono infiniti. Il discorso sembra parecchio scontato a noi, ma non lo era cento anni fa. E mi spiego. Anche cento anni fa sapevano che i numeri erano infiniti, ma non avevano ancora formalizzato la questione, che veniva sempre lasciata a margine: l'infinito spaventava, come secoli prima aveva spaventato lo zero. Un bel giorno però, un grande matematico cominciò a pensare che forse era ora di studiare la questione. Illo si chiamava Gerorge Cantor, e ad oggi è conosciuto come il "matematico dell'infinito". Partì da due semplici presupposti:
1) è possibile immaginare un insieme infinito
2) è possibile confrontare insiemi infiniti mediante applicazioni.
Per quanto riguarda la prima affermazione non c'è nulla da spiegare se non la necessità di farlo: infatti all'epoca si accettavano insiemi infiniti solo "in potenza" (per usare un'espressione aristotelica), ossia un infinito in divenire. Cantor aveva invece bisogno di insiemi di per se infiniti e non cose che, "andando avanti arrivi all'infinito"... La seconda affermazione sottointende un po' più di matematica: Cantor infatti voleva confrontare il tipo di infinito degli insiemi numerici nel seguente modo. Immaginate di vivere in un mondo in cui la gente sa contare solo fino a tre: n questo mondo bizzarro non è possibile contare le dita di una mano. d'altra parte chiunque capisce che le dita della mano destra sono tante quante le dita della mano sinistra, e questo semplicemente perché facendo corrispondere dito con dito, non c'è una mano con delle dita in più. Logico, no? Ebbene, Cantor pensò di estendere questo ragionamento agli insiemi infiniti: se esiste un'applicazione biunivoca tra due insiemi, allora questi avranno lo stesso numero di elementi, anche se non siamo in grado di contare effettivamente questo numero. Cominciamo con un caso facile. Prendiamo tutti i numeri naturali N e prendiamo il sottoinsieme di tutti i numeri pari e li facciamo corrispondere nel seguente modo: ad ogni numero naturale associamo il suo doppio:
1 2 3 4 5 6 ... n ...
| | | | | | |
2 4 6 8 10 12 ... 2n ...
Risulta del tutto evidente che si tratta di un'applicazione biunivoca dato che ad ogni naturale corrisponde univocamente il suo doppio e viceversa, ad ogni numero pari corrisponde univocamente la sua metà. Da questo segue che i numeri naturali sono tanti quanti i soli numeri pari (che se uno invece non ci fa caso sarebbe tentato naturalmente di dire che sono esattamente la metà). Cominciamo quindi a vedere come all'infinito succedano cose strane. Proviamo ora a confrontare gli interi (positivi e negativi) con i naturali. Per fare ciò dovremo semplicemente riordinare gli interi:
0 1 -1 2 -2 3 -3 4 -4 ...
Già vedendoli così si capisce facilmente che la corrispondenza l'abbiamo trovata: infondo, una volta riordinati sono messi come i naturali... no?
(fine prima parte)
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