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La sindrome di Peter Pan

Post n°47 pubblicato il 18 Ottobre 2005 da maxsof1
 
Tag: Varie

C'era una volta il lavoro volontario. Lo aveva inventato ai tempi della rivoluzione cubana il ministro dell'Industria Ernesto Che Guevara. Un sacrificio necessario per la crescita industriale del paese e primo passo verso la formazione morale dell'uomo nuovo. Oggi, l'ultima frontiera del lavoro precario, dopo i co.co.co e i co.co.pro, si chiama stage, o meglio corso di formazione. Il Ministro Tiziano Treu, che otto anni fa gli diede vita, lo descrisse attraverso la sua legge, come un'appendice della scuola. Secondo il 23% dei giovani che decidono di frequentarne uno si tratta, invece, dell'unico modo per essere poi assunto.

Gli stagisti sono neolaureati, hanno meno di 30 anni, hanno voglia di lavorare, ma poca esperienza e solo nel 12% dei casi hanno un rimborso spese. Insomma, le aziende (ma anche i Comuni, le associazioni, i sindacati, ecc...) si lamentano del costo del lavoro, chiedono con insistenza l'alleggerimento della pressione fiscale, ma da anni hanno trovato una specie di forza magica, ultraqualificata e assolutamente gratuita, per usare i termini del quotidiano francese Le Monde. La scorsa settimana in Francia un milione di cosiddetti invisibili ha sfilato per le vie di Parigi. In Italia un censimento di questa categoria è impossibile. Secondo Paolo Citterio, presidente del Gidp (associazione nazionale direttori del personale), "lo strumento (lo stage, ndn) è buono e funziona – ha detto a Repubblica – Il 45% degli stage termina con un contratto, mentre solo in 15 casi su 100 le aziende ne fanno un uso distorto". Percentuali attendibili?

Questa è la storia di Maria (il nome è di fantasia, ndn), 23 anni, neolaureata in Neuropsichiatria delle Scienze cognitive. Da qualche settimana frequenta un corso di formazione presso un importante ospedale specializzato in malati d'Alzhaimer, proprio il tema della sua tesi. Maria frequenta l'addestramento dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 17. E questa è la sua testimonianza: "Mi occupo dei malati, affianco un'altra dottoressa e insieme a lei sottopongo i pazienti ai test per valutare lo stato della malattia. Ogni giorno visito da due a quattro persone, spesso da sola. A volte passo la mattina in una clinica e il pomeriggio in un'altra, a seconda degli appuntamenti. Mi muovo con mezzi propri, non ho rimborsi e nemmeno buoni pasto, ovviamente non ho nemmeno un mensile. Quanto durerà l'addestramento? Non lo so, spero tre o quattro mesi. Poi mi piacerebbe essere assunta. Ora non ho un contratto, né niente che attesti la mia presenza all'interno di questi ospedali. Insomma, se cado e mi faccio male a una caviglia, oppure se un paziente si agita e magari mi colpisce, non credo che sarei coperta da un'assicurazione. Se credo che questo si chiami sfruttamento o lavoro nero? Non lo so. Per il momento non mi lamento, sono giovane e questo mi sembra un modo per entrare a contatto con il mondo del lavoro".

Questa invece è quello che è successo a Loredana (anche in questo caso il nome è di fantasia, ndn), 27 anni, laureata in Antropologia Culturale: "Terminati gli studi ho fatto domanda presso un importante museo etnografico. La mia richiesta è stata accolta e per sei mesi mi sono occupata dell'organizzazione di una mostra su una popolazione del Nord America. I miei compiti? Più che altro ho dovuto promuovere l'evento, scrivere e mandare in giro comunicati stampa, invitare ospiti. No, no ho ricevuto nessun compenso né rimborso. Contratti? No, assolutamente. L'unico documento che attestava la mia presenza era una lettera dell'Università che autorizzava la mia collaborazione della durata di sei mesi. Poi cosa è successo? Niente, fatta la mostra, scaduto il tempo della collaborazione, arrivederci e grazie. Ora però ho maturato dei crediti all'Università. Così mi hanno detto".

Manuel (lo chiameremo così, ndn), 25 anni, si è iscritto a un corso della durata di 300 ore per diventare redattore web organizzato dal Comune e finanziato dall'Unione Europea. Per accedere al corso, Manuel ha dovuto superare una prova di selezione dopo essere stato ammesso alla stessa grazie al suo curriculum. "Le lezioni si tenevano tutti i giorni, per cinque ore al giorno. Alla fine del corso siamo stati messi in contatto con alcuni uffici per frequentare uno stage. Io ho scelto l'ufficio di un sito web che organizza eventi in città promossi dalla Provincia. Ho lavorato per tre mesi presso dalle 9 alle 16,30. Mi occupavo dei contenuti del sito e della promozione degli eventi. Non ho ricevuto una paga tanto meno un rimborso. Prima dell'estate ho interrotto la collaborazione perché l'ufficio chiudeva. Contratto? No, niente. Però mi hanno promesso un'assunzione. A settembre mi hanno proposto un co.co.pro. fino a dicembre. Lo stipendio? Non abbiamo ancora parlato di cifre".

Maria, Loredana, Manuel e tanti altri. Lavoratori senza tutele, senza garanzie, senza sindacato, senza volto. Avranno un futuro? I giovani non fanno più figli, dice la Chiesa. I giovani sono mammoni e irresponsabili, commenta Renato Mannheimer da Bruno Vespa. I giovani non hanno voglia di crescere, racconta Muccino nei suoi film. Tutti affetti dalla famosa sindrome di Peter Pan, oppure il modello economico e sociale chiamato flessibilità viene imposto anche a livello culturale?

Tratto da http://www.noantri.splinder.com/post/6024352

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