Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
 

Messaggi di Giugno 2009

Di cosa parliamo quando parliamo d'amore?

Post n°521 pubblicato il 23 Giugno 2009 da middlemarch_g

Si, di cosa parliamo? Si può sapere di quale stramaledettissima cosa parliamo?

Perché io parlo d'amore. Credo di parlare d'amore. Ho la netta, esplicita sensazione di parlare d'amore. Anzi ho la certezza, la matematica incrollabile fiducia di circoscrivere stati emotivi che non possono suonare altro che come parole d'amore.

E allora cosa capita alle mia parole d'amore dal momento in cui le pronuncio a quello in cui raggiungono il condotto uditivo del destinatario? 

Non lo so. Ma evidentemente qualcosa succede. E come se non bastasse, sono troppo vecchia per dare la colpa agli altri.

La chiamano attribuzione di causa interna. E vaffanculo anche alla teoria di Heider.

 
 
 

Occhio al roveto ardente

Post n°520 pubblicato il 23 Giugno 2009 da middlemarch_g

Di fronte a quanto sta accadendo nel mondo, dal piano economico di Obama alle vicende dell'Iran, sarebbe stata una scelta incomprensibile privilegiare polemiche basate sul gossip.

Questo è Augusto Minzolini, il nuovo direttore del tiggiuno, quello che s’attendeva come il Messia dopo l’improvvida sostituzione di Riotta che tanto ci sconvolse.

Belle parole. Serie. Rigorose. Solo, tenga conto di una cosa, Minzolini: che personalmente intendo scolpirle nella pietra, tipo Tavole delle Legge, e tirargliele sul cranio a ripetizione qualora – Dio non voglia – lei dovesse eventualmente disattendere alle indicazioni ivi riportate in un prossimo futuro. Sillaba-per-sillaba. Chiaro? Appena la vedo dirazzare di un centimetro da questo sacrosanto principio - magari nell’occorrenza in cui non ci sia da tutelare gli interessi di Berlusconi - zamm, parte la Tavolata dritta sul cranio. Che nel suo caso poi è anche facile da centrare data l’ampia superficie lucida disponibile. Per cui: cautela. Estrema cautela. Chè io posso essere la femmina più dolce della terra. Ma, se provocata, ci metto un secondo a scatenare le sette piaghe d’Egitto.

E adesso buona prosecuzione.

 
 
 

Imprevedibili magisteri ecclesiastici

Post n°519 pubblicato il 18 Giugno 2009 da middlemarch_g
 

Ah be’: questa ve la devo proprio raccontare. Mi è tornato in mente leggendo un articolo, che già di suo è abbastanza spassoso.  Me lo vedo con questi occhi, il caro Joseph, che scrive la sua missiva pastorale con accorati appelli: facciamo qualcosa!

Mi ha evocato un episodio che credo di aver letto molti anni fa nel libro di una tipa che si chiama Uta Ranke-Heinmann, Eunuchi per il regno dei cieli, una storia dei costumi sessuali del cattolicesimo. Mi rimase impresso un particolare episodio, sia per la sua capacità di esplicitare in modo assoluto certe perversioni integraliste, sia perché non può non farti sganasciare dalle risate.

Nel XVIII secolo, in Francia, una crisi delle confessioni di analoga portata di quella di cui oggi si lamenta il papa, portò alla completa riorganizzazione pastorale e alla creazione di una precisa figura professionale da scegliersi fra consacrati: il prete confessore. Una classe di sacerdoti preparati appositamente per questo compito con tutta la cura del caso. Perché la gerarchia cattolica sulle pieghe più nascoste della natura umana, specie quelle oscure o che lei giudica tali, l’ha sempre saputa molto lunga. Ché confessare è un’arte: che vi credete, che uno arriva, si inginocchia, e in un istante vi rivela tutti i suoi pensieri più nauseabondi? No cari, non è così che succede. Perché l’orrendo peccatore, giustamente, si vergogna delle sue miserie, e ne ha grandissimo scuorno. E allora ci vuole una figura professionale con ben precise competenze che ti metta a tuo agio e ti spinga a rivelare tutttotuttotutto senza nulla omettere, che si insinui con abilità nelle pieghe della tua anima, che affondi il bisturi stuprando la tua coscienza, ma senza che tu te ne accorga. Non sia mai detto che ti rimanga dentro qualcosa, del pus peccaminoso potenzialmente infetto. Tutto devi espellere, poi pentirti, e infine espiare. E solo allora la Chiesa saprà di aver fatto il suo dovere. Solo che, anche a mettere in campo una nazionale confessori da Champion’s League capace di estirparti l’ombra del peccato col napalm dalle budella, sul fronte delle confessioni sessuali c’era il fondato sospetto che tanto zelo non sarebbe bastato. Perché, si sa, quasi tutti siamo cresciuti cattolici in questa devotissima penisola, e suppongo che a ognuno di noi sarà capitato di fare almeno la prima confessione. Ce lo ricordiamo che se avevi fatto cose zozze non era facile entrare nel dettaglio col prete, no? Tanto più che sapevamo in anticipo che il reverendo padre non si sarebbe accontentato di una descrizione di massima. Vogliamo scherzare? Avrebbe chiesto i dettagli, e haivoglia a evocare lo spirito di Magellano e a circumnavigare l’anatomia umana, non è che la puoi tirare tanto lunga raccontando che lui t’ha toccato là. Perché arrivava implacabile il supplemento d’inchiesta: si ma là, dove? E con cosa? E quanto a lungo? Per cui insomma non sono rari i casi in cui certe cose si evita proprio di dirle. E questo ancora oggi. Figuratevi un po’ nel XVIII secolo.

Allora i reverendi padri transalpini fecero questa bella pensata: tiriamo giù un questionario! Il fedele non deve dare i dettagli: siamo noi che gli facciamo le domande giuste, e lui deve solo rispondere: si, questo l’ho fatto, oppure gesummio no, questo mai!. Hai commesso atti impuri? Ti sei ricordato di astenerti dai piaceri della carne in Quaresima? Hai guardato con cupidigia le tette della moglie del mugnaio? Cose così, insomma. Il prete si portava l’agile pamphlet in confessionale, e le domande le faceva lui, in modo da evitare al peccatore l’umiliazione di entrare in dettagli imbarazzanti. Ed era effettivamente tutto più facile. Lì per lì sembrò l’idea più clamorosa dopo l’invenzione del primato del vescovo di Roma, tanto che in pochi anni, da una prima edizione che conteneva solo una decina di domande, il manuale si arricchì di una casistica prodigiosa arrivando a contarne più di cento. Risultava che per rendere una confessione piena – cioè solo per dare al prete il tempo di leggerle tutte - ci voleva un’oretta buona, per cui vi lascio immaginare la misura in cui si surriscaldava l’ambientino. Per forza ci voleva una figura professionale preparata che carburasse a damigiane di bromuro. Tutto il giorno così, è una roba che stroncherebbe un bue maremmano.

Ma è il finale della storia che sfiora le vette del sublime. Il manuale restò in uso all’incirca per una generazione, diciamo una ventina d’anni, fino a quando non si dovette prendere atto di un curioso fenomeno che non poteva essere interpretato in altro modo se non come una ricaduta imprevedibile di quella riforma. Perché insomma, lasciamo perdere Parigi che avrà fatto storia a sé, ma voi riuscite a immaginare la vita sessuale media dei contadini francesi? E i contadini francesi nel XVIII secolo – come del resto in tutta Europa – saranno stati allora l’85% della popolazione. Si trattava di personcine che in casa concepivano a malapena la posizione del missionario, e fuori casa al massimo lo stupro coatto della gallina. E’ verosimile supporre che nei momenti di svago non si intrattenessero certo in sessioni di evoluzione tantrica. Nel senso che non avevano mai sentito parlare di nulla che andasse oltre la pura pulsione biologica espletata nel modo meno invasivo possibile, compatibilmente con la necessità di dare figli a Dio. Quel che successe invece fu che, dopo aver passato vent’anni a sentir descrivere dettagliatamente dal prete confessore le pratiche più inenarrabili, parecchi di loro ne trassero fecondissima ispirazione. Cose che non avevamo mai osato nemmeno immaginare, d’improvviso si materializzarono di fronte ai loro occhi nel segreto del confessionale, e una volta tornati a casa divenne impossibile accontentarsi di quel sesso sbrigativo, triste e catacombale a cui erano abituati. Provarono, s’accorsero che poteva essere una cosa piuttosto gradevole, e ci presero gusto! Certo, poi confessavano. Però intanto…

E insomma questo decretò la fine della circolazione del manuale, non ricordo bene se seguito a ruota dalla figura del prete confessore oppure no. Si prese atto che le cose avevano preso un'anda deviante, si attese pazientemente che quella generazione fortunata lasciasse questo mondo - contando anche sul fatto che si trattava di argomenti su cui non era probabile che intendessero lasciare indicazioni testamentarie a beneficio dei posteri - e si fece in modo che tutto tornasse come prima. Le vecchie, care abitudini, appunto. Ché quelle si, non muoiono mai.  

 
 
 

Siamo una Grande Famiglia Felice

Post n°518 pubblicato il 17 Giugno 2009 da middlemarch_g
 

Nei giorni della visita di Gheddafi a Roma avevo il disperato desiderio di scrivere un post, ma non ho fatto in tempo. Allora ho elevato al cielo la preghiera del blogger, e sono stata ascoltata. Il post è stato scritto. Non è stato scritto qui e non l'ho scritto io, ma questo non ha molta importanza nella Grande Economia della Rete.

Quello che conta è che si tratta esattamente del genere di post a cui avevo pensato, sebbene il risultato finale sia senz'altro molto più divertente di quanto sarebbe stato se l'avessi fatto io.

Per cui, tutto sommato, direi che v'è andata di lusso.

 
 
 

Minuscole prove di maturità

Post n°517 pubblicato il 17 Giugno 2009 da middlemarch_g
 

Ieri al tiggiuno ho visto la Gelmini. O almeno, la Busi ha detto che era lei, e in effetti ho avuto il mio bel da fare a darle credito perché, come già accadde diversi mesi fa all’altra Amara Ministra, anche la Gelmini sta visibilmente subendo un processo di mutazione. Dev’essere una cosa che Berlusconi fa alle donne con la sola imposizione del suo noto carisma da leader. Da minorenni gli fioriscono intorno come calendule in primavera, spumeggiano sulle prime pagine di riviste gossippare tipo il Corriere della Sera, e smarchettano a servizio del proprio microscopico momento di gloria in vari ambienti di dubbia reputazione, tipo palazzo Grazioli, villa Madama, o qualche seggio elettorale del sud, con tanto di scorta della polizia. Lo chiamano papi per farlo stare allegro, e bisogna proprio dire che una cosa buona almeno ce l’hanno: sono oggettivamente delle belle gnoccolone sorridenti e comunicative. Insomma gli si può rimproverare tutto, ma non che vengano male in fotografia. E ai ricevimenti diplomatici, in compagnia di ospiti internazionali di un certo livello, contribuiscono a dare quel tocco da bordello di lusso che – diciamoci la verità – insieme alla pizza e ai mandolini appartiene da sempre all’iconografia italiana così come se la immaginano in qualsiasi altro paese al mondo.

 

Nella fase successiva, in virtù della funzione di supporto così scrupolosamente osservata, Berlusconi le promuove a qualche prestigioso incarico istituzionale, con o senza portafoglio. Ed è lì che comincia la trasformazione. Inizia sempre con un restyling dell’abbigliamento che le porta ad acquisire quella deliziosa sfumatura ibrida così seducente che sta tra Jackie Kennedy e Paola Binetti - probabilmente perché convinte che sia questo di cui si parla quando si fa riferimento all'estetica crociana -, e prosegue con apparizioni deliranti in tivvù o su Youtube nel disperato tentativo di acquisire una credibilità minima malgrado ogni evidenza contraria.

E infine si produce la metamorfosi che conclude la belfagorizzazione. La Carfagna ormai da mesi pare un’anima del Purgatorio, pesa 35 chili, e ha due calamari nerastri sotto gli occhi che la fanno assomigliare sputata a certi santini di protomartiri delle catacombe mentre subiscono lo strazio delle carni, e la Gelmini ieri s’è mostrata in prima serata coi capelli corti e spalmati di gel, l’occhiale scuro con le lenti spesse un dito, e una vocetta meccanica come se il disco registrato che le avevano piazzato dietro la poltrona andasse a 75 giri invece che a 33. Sono sintomi preoccupanti: schizofrenia paranoide, come minimo.

Ha detto: questa è la scuola che funziona, quella del merito, e non quella che voleva la sinistra. O una roba così. Perché è su questo che hai basato le tue riforme, no? E quando dico: è su questo che hai basato le tue riforme ovviamente non mi sogno nemmeno di indurvi a supporre che do il minimo credito a quel che fa la signora. Dico così, in  senso lato. E’ palese per tutti che la Gelmini non conta un cazzo e non riforma niente, ma insomma, ci siamo intesi. Per cui fatemi capire: sarebbe questa l’immensa premessa epistemologica di matrice gentiliana che sta alla base della vostra riforma, fare una cosa diversa dalla sinistra? Non chiedersi: si, ma a parte il fatto che è una cosa diversa da quella che la sinistra fa o avrebbe fatto, ha un minimo di senso compiuto, o è una cagata? La vogliamo dare un’occhiata a un bignamino di pedagogia prima di procedere, così ci facciamo un’idea? Oppure no, basta che sia una cosa diversa dalla sinistra, e a posto così, grazie?

Perché se le cose stanno in questo modo allora mi scuso e vi do ragione. Non valeva la pena scritturare una figurante più convincente della Gelmini, che magari ci costava anche di più, faceva le bizze, e pretendeva un mazzo di 200 rose bianche e una cassa di Perrier freschissima tutti-i-santi-giorni nel suo camerino al Ministero. Per fare questo la Gelmini basta. Basta e avanza. Anche perché, credetemi, parlo con cognizione di causa: non è mica tanto facile trovare della Perrier a viale Trastevere.

 
 
 

Great expectations

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

Samuel Beckett

 

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