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Poetry slam al «Circolo dei lettori»
Post n°10 pubblicato il 09 Giugno 2007 da molinaro
Ieri sera ho partecipato a un poetry slam organizzato al «Circolo del lettori», a Torino in un palazzo sontuoso, del Seicento, mi pare, che mette soggezione. È un palazzo dove abita anche della gente, certo gente un po’ particolare, non credo precari da 700 euro al mese. C’è pure un portinaio che sembra un ammiraglio (ma non è sempre il medesimo: anche lì, ormai, cooperative sparse di ammiragli a tempo determinato e senza pensione). Quindi è un condominio, e funziona come tutti i condomìni: i condòmini si lamentano del viavai del «Circolo dei lettori», benché tale circolo sia aristocraticissimo. È nella natura del condomino lamentarsi: dove c’è una discoteca si lamenta della discoteca, dove c’è un bar si lamenta del bar, dove ci sono bambini che giocano si lamenta dei bambini che giocano, dove non c’è nulla si lamenta che il quartiere è abbandonato. Comunque: ho partecipato al poetry slam e sono arrivato terzo su sette. Non male, anche se come al solito (è almeno la terza volta che mi succede) dopo la partenza lanciata con un componimento classico di sicuro effetto (il Recitativo contro i treni rapidi), mi sono fregato al secondo giro con una poesia che stavo ancora scrivendo, nuova, neppure ancora finita, e per di più vagamente d’amore. Poco adatta. È un errore che commetto spesso, ma non importa. Mi rifiuto di scegliere sempre i pezzi più adatti alla competizione, altrimenti la poesia poi comincia a sembrarmi un mestiere e se mi sembra un mestiere poi rischio di odiarla come si odiano tutti i mestieri: come si odia, naturalmente, ogni cosa che deve essere fatta in cambio di qualcosa. La poesia in questione avevo cominciato a scriverla il pomeriggio all’Imbarchino, un posto affacciato sul Po che vi consiglio vivamente (è al Valentino, più o meno sotto il castello della facoltà di Architettura, un po’ a valle, mi pare, delle società di canottieri Armida e Cerea – o un po’ a monte, adesso non riesco a focalizzare, comunque nelle vicinanze) perché è bellissimo, è gestito da una cooperativa di ragazzi e puoi passarci tutto il pomeriggio prendendo un caffè (80 centesimi) o anche prendendo niente, ma qualcosa prendi, dai, se no finisce che fallisce e chiude e sarebbe un vero peccato. Poi avevo continuato a scriverla cenando con un’insalata al Brek di piazza Carlo Felice. Quando l’ho letta al poetry slam non era proprio finita, ma quasi; adesso è finita e ve la offro qui. La copertina di libro a cui è ispirata la potete comodamente vedere: è l’immagine attaccata al messaggio che precede questo. Bene. Va così.
LE ALI DI CHIARA
Osservando una fotografia intitolata appunto Le ali di Chiara, sulla copertina del libro di Ornela Vorpsi La mano che non mordi, nell’edizione Einaudi, collana L’Arcipelago Einaudi, 110, Torino, febbraio 2007.
Il fiume s’è alzato, ha coperto i tre gradini più bassi. Le ali di Chiara sono dipinte sulla schiena. Hanno tolto i tavolini dalla terrazza inferiore. Le ali di Chiara sono dipinte sulla schiena in color sangue. Si resta a bere sul terrazzo più alto. Le ali di Chiara, color sangue, non sono per volare. Si servono caffè in tazze di plastica. Le ali vere sono nascoste. Gli studenti sfogliano dispense in fotocopie rilegate con spirali. Le ali scendono sulla schiena come sangue. Squilla un telefono. Bisogna cancellare le ali di sangue perché possano schiudersi le ali vere. Quattro canottieri spingono un armo nella corrente. Come cancelli il sangue? È giugno, è tempo d’esami, due ragazze s’interrogano di biologia. Non lo cancelli ma seccherà, e si distaccherà. Il fiume è gonfio, dopo la siccità prende respiro. Le ali di Chiara si apriranno leggere, invisibili, frantumeranno il sangue. Un ragazzo si toglie gli occhiali. Asciugate dal sangue le ali di Chiara la porteranno in volo, via dall’amore in eccesso, via dallo stringere di braccia senza garbo, via dalla nostalgia carnivora, da tutte le trappole del tempo. Un cameriere prepara per la sera. Osserveremo il volo libero, non alzeremo il braccio per fare segni, non racconteremo come si svela il suo mistero. Il fiume trascina tronchi grigi. Eviteremo di fare chiasso, d’innamorarci troppo o di esternare chissà che sciocchezze. S’accende qualche luce dietro il banco, un uomo indossa il grembiule e risciacqua i boccali. Le ali di Chiara non saranno più argomento per discorsi quando Chiara, ordinata una birra, sorriderà come dovrebbero sorridere tutte le donne, in piedi, fra gli amici.
Torino, 8-9 giugno 2007
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