Un blog creato da molinaro il 04/06/2007

Carlo Molinaro

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Il teatro Alcyone

Post n°190 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da molinaro
Foto di molinaro

Mi è venuto in mente in questi giorni, non so perché, il vecchio teatro Alcyone di corso Regina Margherita angolo Porta Palazzo, qui a Torino. Lo chiusero più o meno quando mi laureai, quindi intorno al 1977. Trent’anni fa. Ci facevano lo spogliarello, o strip tease. Quella cosa lì, non altro: una cosa semplice, non eros show live hard porno super star e iperboliche grosse obese simili scemenze. Palco di legno e sedie da cinema. Spettacolo tutte le sere e qualche pomeriggio. Prezzo equivalente a quello di due film in prima visione, qualcosa come sarebbe oggi quindici euro, via.

Lo spettacolo aveva una struttura alquanto fissa. Era diviso in due tempi (o, essendo in fondo sempre teatro, meglio diremo due atti). Ogni atto si svolgeva così: due spogliarelli, il numero di un giocoliere o prestigiatore o mago o saltimbanco, altri due spogliarelli. Quindi in totale ci lavoravano due saltimbanchi, otto ragazze spogliarelliste e un presentatore, più un paio di tecnici, la maschera e la cassiera. Quindici persone impegnate per ogni spettacolo. Considerato il prezzo d’ingresso relativamente modesto e il numero di spettatori che raramente arrivava a cinquanta (ma la media sarà stata trenta; erano soprattutto operai Fiat, lo percepivo dai discorsi, impiegati e studenti), si capisce subito che nell’economia di oggi sarebbe impensabile. Eppure invece lo facevano. Guadagnavano certamente poco, ma lo facevano. Dal dopoguerra, credo, fino alla fine degli anni Settanta, il teatro Alcyone ha funzionato.

Io l’ho frequentato alcune volte ai tempi dell’università, quindi nei suoi tempi ultimi. Dirò francamente che lo spettacolo mi piaceva. Cominciamo dai giocolieri prestigiatori maghi saltimbanchi: facevano cosine da piazza, elementari, ma dignitose e poetiche. Magari semplicemente giochi con le clavette o le palle, oppure trucchi con le scatole, i tavolini, le carte da gioco; o un po’ di ginnastica contorsiva. Roba che adesso tutti guarderebbero con sussiegoso disdegno, tranne se fosse in televisione, dove passano cose anche ben più sciatte e stupide, basta che ci sia un po’ di fragore pubblicitario intorno!

Lì non c’era nessun fragore pubblicitario. Veniamo alle otto ragazze. Non erano sempre le stesse, ma alcune restavano a esibirsi a lungo, le rivedevo dopo mesi. Erano rigorosamente otto: se una sera capitava che fossero solo sette, parte del pubblico mormorava, poco ci mancava che chiedessero la restituzione di un ottavo del prezzo del biglietto. E pensare che adesso in certi posti fanno pagare cifre astronomiche per l’esibizione di una o due ragazze al massimo. Però le chiamano pornostar, che si capisce subito che è molto più costoso.

Lì non c’era il porno, c’era lo spogliarello. Alcune ragazze avevano semplici costumi di scena, presi nella tradizione dello strip tease, insomma un po’ di piume e sciarpe rosse di raso, magari un reggiseno di lustrini, il reggicalze, un tocco di Crazy Horse o Moulin Rouge del tempo che fu. Ma molte non avevano neppure quelli: entravano in scena con una maglietta e una gonna, un golfino, senza calze, e spogliandosi mostravano biancheria intima da bancarella al mercato. Ma, che partissero con un sommario costume di scena oppure vestite come appena uscite di casa o dall’ufficio o dal negozio, tutte danzavano un po’, chi meglio e chi peggio, e restavano nude, completamente nude, in quattro o cinque mosse.

Qualcuna, una volta nuda, scendeva in platea e si sedeva in braccio a qualche spettatore a caso. No, nessuno infilava banconote da nessuna parte. Era compreso nel prezzo e la scelta andava a simpatia. Si fermavano dieci secondi, se lo spettatore era meno timido tocchicchiava un po’ qua e là, almeno le tette, e se invece era più timido si limitava a restare immobile ed estasiato. E bon.

Il massimo del porno lo faceva qualcuna che, sporgendosi dal parco a cosce larghe, si toccava la patata, aprendo un po’ la fessura con le dita. Andava tutto così, regolarmente. Ogni tanto c’era qualche ragazza più strana, come una ballerina classica che entrava con il tutù e ballava discretamente, prima di spogliarsi anche lei. C’era una, si chiamava Lisa mi pare, che quando scendeva in platea provava anche a parlare con il privilegiato su cui si sedeva: e mai nessuno che osasse rispondere una sillaba.

Ora ripeto: a me piaceva. Era così semplice e naturale! Le ragazze erano perlopiù carine, graziose: la ragazza della porta accanto, sì, però quella più bellina del condominio, diciamo – mediamente. Credo che molte fossero davvero studentesse, commesse, ragazze del vicino mercato, giovani casalinghe, o in attesa di prima occupazione (dicitura che ebbi anch’io per qualche mese sulla carta d’identità, dopo la laurea: si chiamavano così i disoccupati mai stati occupati, non so se si usa ancora).

Fra gli habitués c’era chi mormorava che alcune delle ragazze si facessero trovare, dopo lo spettacolo, al bar accanto all’ingresso, disponibili per essere accompagnate in un albergo a ore della zona (che credo ci sia ancora, l’albergo: ci ho portato tre o quattro morose negli anni Novanta). Non so se fosse vero, non ho elementi per dirlo; ma, quand’anche, rimaneva pure quella una cosa pulita, almeno nella mia personale Weltanschauung.

Ragazze che si spogliavano danzando (e perlopiù con grazia o almeno con impegno, e un po’ di sorriso) per guadagnare una cifra certamente molto piccola; e forse alcune di loro guadagnavano dopo lo spettacolo una cifra un po’ maggiore con una trombata in albergo. Era una cosa che stava nella vita normale, senza enfasi, senza quel gonfio-tronfio-esagerato che accompagna quasi tutte le cose oggi.

Ragazze oneste: guadagnavano per quel che facevano. Non andavano a strisciare come adesso dietro politici o faccendieri o presunti uomini di spettacolo o agenti procacciatori di chissacché o pseudocoreografi falliti o professionisti di false promesse, non mendicavano a cosce spalancate una particina in tivù, magari pronte a offendersi se glielo si fa notare...

Erano come i giocolieri, e infatti stavano bene insieme nello spettacolo, spogliarelliste e giocolieri. Il presentatore le chiamava artiste – come i giocolieri – e aveva ragione: artiste, sì, come chi suona la fisarmonica sotto i portici, come chi fa teatro di strada, come chi scrive poesie e le mette su un blog. Mica roba da rivoltare il mondo, ma artiste.

E sono scomparse, le spogliarelliste di quel tipo, così come sono scomparsi i giocolieri e i saltimbanchi dai teatri. I giocolieri poi hanno recuperato, più recentemente, uno spazio nelle vie e nelle pubbliche piazze. Le spogliarelliste («quelle» spogliarelliste semplici) non hanno potuto: la gente avrebbe da ridire – già hanno da ridire sui saltimbanchi e sui musicisti – e poi, cazzo, fa freddo! E così si sono estinte. Peccato. Io mi fidanzerei con una ragazza del teatro Alcyone, e non le direi mai di smettere! Con una che striscia dietro i produttori e i faccendieri no, non mi fidanzerei. Non vorrei rischiare di trovarmeli per casa.

 
 
 
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