Usciamo un po' dal diario quotidiano: oggi voglio mettere qui un racconto scritto vent'anni fa, e non autobiografico. La vicenda è di pura invenzione, anche se ispirata dalla figura reale di una ragazzina che, all'epoca, mi accendeva il sangue solo a vederla, e la vedevo spesso dato che abitava nel portone accanto al mio. Ne sentivo, o credevo di sentirne, l'odore a venti metri di distanza. Stavo nel quartiere torinese di San Salvario, che non era ancora diventato famoso come fucina multietnica - stava appena cominciando a fermentare. Ragazzina reale come figura, quindi, ma racconto completamente inventato. Oggi forse lo scriverei diverso, lo ritoccherei, ma non ho nessuna intenzione di metterci più le mani, e quindi ve lo tenete com'è. Buona giornata!
Odor d'Eliana
«Il vento soffiava moderato ma sensibile, nella piazza semideserta, da me verso di lei. Sì, lei era sottovento, vicina all’angolo del bar, a una quindicina di metri da me che la guardavo, appoggiato allo spigolo dell’edicola già chiusa. Nemmeno un animale selvatico, dunque, avrebbe potuto percepire l’odore di Eliana. Eppure che cos’era, se non un odore, quello che mi eccitava le narici? E non c’era nessun dubbio, veniva da lei. La sera di luglio addolciva la città e attenuava i rumori. L’odore della pelle di Eliana entrava in me fortissimo, era un effluvio che sbuffava dall’orlo della sua minigonna, quasi lo vedevo...»
Nuto parlava con fervore, seduto al tavolino del caffè della Prosa, tormentando il bicchiere ormai vuoto. Anche Sergio, davanti a lui, accarezzava il suo bicchiere coi polpastrelli, lentamente, e lo interruppe:
«Esatto, quasi lo vedevi. Il fenomeno è spiegabile scientificamente: la vista di Eliana ti eccitava, e l’odore lo producevi tu stesso, era l’odore della tua pelle che si scaldava. Però», aggiunse, preoccupato di essere stato troppo pedante, «in fondo era comunque Eliana a provocarlo, e quindi possiamo dire che era un suo odore, sì».
Nuto si strinse nelle spalle, lasciò il bicchiere e appoggiò le dita sul tavolo, come per fermarlo. «Ero ormai preso, capisci, questo è il fatto. Avevo fiutato un’esca alla quale non potevo più sfuggire, e al cui amo d’altronde neppure potevo mordere, perché si teneva a quella distanza da me che favorisce il desiderio, ma nega l’appagamento».
«Più che a un amo», replicò Sergio con un sospiro solidale, «paragonerei Eliana a una rete: non prendeva un pesce per volta, ma anzi ne tirava su in grandi quantità, se non sbaglio».
«Non sbagli, no; e questo mi faceva bruciare di voglia ancor più tesa e violenta. Ciò che negava a me, lo concedeva invece a moltissimi. E quando ebbe chiaro che io la desideravo, cominciò anche a stuzzicarmi e a deridermi in modo sottile. Non tentò mai di rendermi ridicolo davanti alla gente, questo no; però non perdeva occasione per attizzare la mia passione».
«Già ti è andata bene», esclamò Sergio convinto. «Una puttanella sedicenne, corteggiata da un uomo sposato di quarant’anni, può sputtanarlo per quartieri e città, e può anche cacciarlo in un mare di guai».
Nuto alzò gli occhi a guardare il cielo che da rosazzurro stava diventando blumarino. «No, Eliana questo non l’ha mai fatto né a me né ad altri. A differenza di altre ragazze, che giocano con freddezza a farsi desiderare, e rimangono aride e spente, Eliana finiva a mescolare sé stessa nei fuochi che accendeva, s’inumidiva degli stessi sudori degli uomini che ansavano per lei. Perciò, pur motteggiando e scherzando e deridendo, da ragazzina, aveva in sé come un rispetto profondo per la passione, per la voglia, per gli amplessi. Aveva insomma, sia pure inconsciamente, per il sesso quel rispetto che tutti riusciamo ad avere soltanto per le cose che condividiamo veramente, per le cose che conosciamo dentro di noi: mentre per tutte le altre cose, per le cose esterne, al massimo il rispetto lo fingiamo, per correttezza».
«Verissimo», ribatté Sergio, «e forse proprio per questo ti ha affascinato tanto, a differenza di altre ragazze che avevi intorno e che pure non erano meno belle né meno fresche di lei. Eliana, puttanella sincera, che non si tiene in disparte dai fuochi che accende. Però a te si negava. Quale può essere il motivo? Non l’età, perché so che ha girato nei letti di cinquantenni e oltre. Non il tuo matrimonio, perché di uomini sposati se ne è fatti a decine. Non il fisico, perché sei un bell’uomo e dimostri dieci anni di meno di quelli che hai. E allora? Perché ti ha fatto penare tre anni, concedendosi alla fine solo per una via molto, mi dicevi, traversa e perversa?».
«E, soprattutto, quando i suoi sedici anni erano ormai diventati diciannove, e il sesso per lei stava diventando anche un mestiere», soggiunse Nuto inspirando forte e poi lasciando uscire lentamente l’aria dai polmoni.
«Questo ti ha tolto gran parte del piacere, immagino».
«Diciamo che non ho mai avuto quella ragazzina, la ragazzina che mi mandava il suo odore controvento da un angolo all’altro della piazza. Il piacere che Eliana mi ha dato tre anni dopo è stato intenso, direi intensissimo; se non fosse, appunto, per il paragone con ciò che poteva essere tre anni prima».
Il cameriere si avvicinò al tavolo e Sergio ordinò altri due bicchieri di succo fresco d’albicocca. Si mise più comodo sulla poltroncina e disse:
«Capisco, certo. Raccontami qualche episodio dell’Eliana sedicenne».
Nuto socchiuse gli occhi, come per riflettere o per scegliere l’episodio da raccontare, e cominciò: «Una sera sento il suo odore prima ancora di svoltare l’angolo, poi la vedo davanti all’androne di casa sua, che era ed è una vecchia casa di ringhiera, col portone sempre aperto perché se tentassero di chiuderlo probabilmente crollerebbe. È lì con un ragazzo, uno che ho già visto altre volte con lei. Eliana ha la solita minigonna: portava minigonne cortissime anche in pieno inverno, sembrava che non avesse mai freddo. Dunque, rallento il passo per guardarla, lei mi vede, se ne accorge. Allora abbraccia il ragazzo e lo spinge appena dentro l’androne, si accovaccia davanti a lui e gli slaccia i pantaloni».
«Accidenti, gli ha fatto un pompino praticamente in strada?».
«Sì. E non solo: accovacciandosi a cosce larghe, fa in modo di girarsi verso di me, e di farmi scorgere che non ha le mutandine, sotto la gonna che si rimbocca fin sulla pancia. Il ragazzo è un po’ sorpreso, ma neanche troppo, perché la conosce bene: si appoggia al muro, stiracchiandosi, e la lascia fare. Eliana ci si impegna, se lo fa scivolare in bocca fino alle palle e ci gira intorno con la lingua. Io sono lì inchiodato che non posso andare via. Sai qual era in quel momento la mia preoccupazione principale?».
«Quale?».
«Che non arrivasse qualcuno, dal marciapiede o da dentro la casa, a disturbarli».
«O a disturbare te, piuttosto!».
«Forse. Ma la sensazione era di timore per loro. Io in fondo ero solo un passante, c’erano cinque o sei metri fra loro e me».
«E poi?».
«Lui le è venuto in bocca, abbastanza in fretta, mi è parso, anche se non saprei dire quanti minuti fossero passati. Lei si è rialzata in piedi e si è pulita la bocca con la manica della giacchetta di panno che aveva indosso».
«Che maialina!».
«Maialina sì. E anche irriverente e talvolta blasfema. Una sera stava seduta con un ragazzo, un altro, sui gradini della chiesa del quartiere. Anche quella volta ho sentito il suo odore prima ancora di vederla, sai? Si avvinghiava al ragazzo, lo baciava. Mentre io passavo, si è alzata in piedi, è andata ad accovacciarsi contro il portone della chiesa e ci ha fatto pipì. Il ragazzo, pensa, si è spaventato, le ha gridato “ma sei scema” e se ne è andato di corsa».
«Posso immaginarlo», replicò Sergio. «I ragazzi sono sbruffoni, volgari, sboccati, però si terrorizzano davanti a molti tabù. E tu che cosa hai fatto?».
«Sono rimasto a guardare. Lei si è girata, ha alzato le spalle, è venuta verso di me, mi è passata accanto. Allora le ho detto “sei bellissima”; lei ha fatto schioccare la lingua e ha tirato diritto. In quel momento il suo odore mi ha preso talmente che mi sono sentito cadere, sono rimasto in piedi per miracolo. Diverse ore dopo, me lo sentivo ancora addosso».
Sergio sorseggiò un poco di succo, lentamente, per creare una pausa nel discorso, necessaria a guardare Nuto francamente negli occhi e dire:
«Non offenderti, ma io non ci credo. Non credo che tu potessi sentire il suo odore prima di vederla, o prima di sentire la sua voce, o prima comunque di sapere, in qualche modo, che lei era presente. Anche ammettendo che Eliana abbia un odore molto particolare (certe persone lo hanno), gli odori non viaggiano controvento, e non si muovono alla velocità della luce, e poi si disperdono e si mescolano. Io credo, ripeto, che quell’odore tu lo sentissi, sì, ma che venisse da te stesso, che fossi tu a produrlo con il tuo desiderio quando la vedevi».
Nuto bevve a sua volta, scosse il capo e rispose:
«Immaginavo che questo sarebbe stato il tuo parere, e non voglio discuterlo troppo. Io resto però della mia idea: l’odore era reale. Posso concederti, al massimo, che il mio naso fosse, come dire, specializzato nel percepirlo, per una qualche misteriosa corrispondenza di sostanze».
Sergio non insisté, e cambiò argomento:
«Ti avevo chiesto perché, secondo te, Eliana non ti si è concessa, a sedici anni, quando pure andava a letto con molti. Non mi hai risposto».
Nuto si passò una mano sulla fronte e sulla guancia, lasciò scivolare negli occhi una nuvola sottile di malinconia o di rimpianto, e disse:
«Ragionandoci su dopo, ho pensato che i motivi siano stati soprattutto due, collegati fra loro. Il primo è che io ero veramente preso, innamorato di lei, la adoravo. Credo che lei lo percepisse, questo, e ne fosse in qualche modo spaventata. Gli altri uomini la trattavano più brutalmente da sgualdrina, e la durezza creava per lei una barriera di sicurezza. Il secondo motivo è che io, proprio perché innamorato, non osavo prenderla con quella forza rude, spavalda, alla quale lei era abituata. È poi anche una regola abbastanza generale che le ragazze cadano più facilmente nelle braccia di quelli che non le amano, no?».
«Sì, certo», convenne Sergio, «l’amore rende timidi e le ragazze, soprattutto le adolescenti, cedono meglio alla spavalderia che alla timidezza. Coi ragazzi timidi magari fanno lunghi teneri discorsi, ma coi ragazzi spavaldi scopano, e dato che per una donna scopare è sempre una cosa importante, abbastanza importante, ecco che si convincono di amare gli spavaldi, per avvalorare la scopata».
Nuto rise:
«Hai detto bene. Benché Eliana scopasse molto con molti, era pur sempre un’adolescente, e sceglieva i suoi molti, alla fine, con gli stessi meccanismi con cui altre più morigerate adolescenti scelgono i loro pochi. La spavalderia affascina, e allo stesso tempo, come dicevo, tiene le distanze di sicurezza nei sentimenti».
«È una bella storia», commentò Nuto, «la tua con Eliana. Ma ora dovresti raccontarmi di quando, tre anni dopo, te la sei fatta. Mi avevi detto che è successo per vie... come avevi detto?».
«Traverse e perverse», sorrise Nuto. «Ma forse ho esagerato. Rispetto a ciò che poteva essere tre anni prima, è stato anzi un banale caso di prostituzione, benché alquanto raffinata. Ma il gioco che ho costruito con lei dovrà convincerti della realtà del suo odore speciale».
«Ah, con quest’odore! Non so se mi convincerai, lo sai che sono un tipo molto razionale. Ma, fra l’altro, sapresti descrivermelo, l’odore di Eliana?».
Nuto storse la bocca:
«Descrivere a parole un odore, così come un colore o un sapore, è sempre solo un gioco di approssimazioni e di similitudini. Posso provarci, ma non è garantito che l’idea che ti farai assomiglierà all’odore che sentivo io veramente. Era un odore salmastro, portuale, ma con molta vita vegetale, anche; mettici dell’erba, oltre al pesce e al mare, e poi ancora qualcosa di più metropolitano, gli angoli trasformati in pisciatoi, però tutto in una tonalità molto azzurra, e con mille altri ingredienti ancora».
«Va bene. Forse è un po’ semplicemente l’odore di una ragazzotta che fra le cosce si lava di rado - non offenderti se dico questo, è solo un’impressione».
Nuto rise:
«Figùrati se mi offendo. Di Eliana sono abituato a sentir parlare malissimo, come puoi immaginare».
«Raccontami piuttosto com’è andato l’adempimento, alla fine, del tuo desiderio. Ne sono ormai molto curioso».
«Oh, la partenza, ti dicevo, è banale: l’ho trovata in un bordello. Cioè, in una lussuosa casa di massaggi-estetica la cui tenutaria è amica della polizia, ovviamente. Ci sono andato per sentire qualche odore nuovo, in un periodo di stanchezza e di problemi, avevo appena lasciato mia moglie, sai. E invece ho sentito il suo, di odore, ben conosciuto, nella stanza dove la ruffiana mi ha fatto entrare, e c’era lei, Eliana, ad aspettare il cliente».
«Eliana adesso fa il mestiere?».
«Dice di prendere due o tre appuntamenti alla settimana, per mantenersi agli studi. Nonostante tutto è arrivata all’università, la ragazzina; dopo qualche bocciatura ci è arrivata. Poi balla sui cubi, posa per i fotoamatori, si spoglia nei locali notturni, insomma mette a profitto in vari modi la sua straordinaria capacità di seduzione».
«Allora, semplicemente, l’hai pagata e te la sei scopata».
«Era ciò che naturalmente avrei potuto fare. Invece dedicai l’ora con lei in camera, che pure mi era costata una bella cifra, alla conversazione. Le dissi quanto m’avesse affascinato tre anni prima; aggiungendo, ovviamente, che mi piaceva ancora tantissimo. E le parlai, finalmente, del suo odore. Lei fece l’offesa, esclamò “ma come, allora puzzo?”, rise, mi diede del pazzo. Intanto, io lo sentivo fortissimo, inconfondibile, il suo odore, benché lei si fosse lavata e deodorata a puntino, se non altro per ordine perentorio della ruffiana, che ci teneva al livello della sua casa. E le proposi un gioco, pur sapendo che ci avrei speso metà dei miei risparmi».
«Accidenti! Che gioco sarà mai stato, così dispendioso?».
«Ci mettemmo d’accordo con la tenutaria, che per un pomeriggio convocasse, pagandole quello che volevano, tutte le ragazze che poteva convocare: tutte le frequentatrici più o meno abituali della casa, più altre ancora che conosceva nei suoi diversi giri. Si sarebbero messe in fila nel salone, sdraiate sui tappeti, nude, in perfetto silenzio, immobili, lavate e deodorate a loro piacimento. Prima, io sarei stato perfettamente bendato al centro del salone. E avrei avuto in mano tre stelline adesive dorate di carta, di quelle per ornare i vetri alle feste. Seguendo solo l’odore, senza toccare nulla, sarei dovuto andare ad appiccicare la prima stellina sul corpo di una ragazza, appiccicare e via, senza palpare. Poi le ragazze si sarebbero rimescolate, sempre con me bendato al centro del salone. E io sarei andato ad appiccicare la seconda stellina. E così per la terza. Con la tenutaria a controllare la regolarità, come un arbitro. Solo a quel punto, dopo appiccicata la terza stellina, mi sarei tolto la benda. E avrei vinto il gioco io se e solo se tutte e tre le stelline si fossero trovate sul corpo di Eliana».
«Un gioco di virtuosismo erotico olfattivo! Avrebbe successo in un circo, se al circo si potessero fare giochi erotici. Ma che cosa c’era in palio?».
«Se avessi vinto io, avrei potuto fare l’amore con Eliana tutte le volte che volevo per un anno, gratis, o meglio, pagando solo la quota per la ruffiana, e neanche un soldo a Eliana. Se avessi perso, avrei pagato a Eliana l’equivalente di cento prestazioni, senza usufruire di nessuna, senza toccarla mai più - e nota che non l’avevo mai toccata, fino a quel momento, ancora».
Sergio annuì:
«Sei riuscito a caricare di significato quella che poteva essere ormai solo una banale scopata con una puttana. Hai voluto in qualche modo recuperare l’importanza che Eliana aveva avuto per te. È comprensibile. Hai trovato un modo ingegnoso per farlo. Poi, se avessi perso, ti saresti fottuto anche l’altra metà dei risparmi, eh! Un bel rischio. Sì, proprio quello che volevi per debanalizzare la cosa, infatti».
«A volte il tuo psicologizzare tutto mi irrita», replicò Nuto, «ma lo accetto perché tu sei fatto così. La ruffiana protestò che il gioco era pericoloso, che far venire tutte quelle ragazze insieme poteva attirare troppo l’attenzione, ma insomma, la pagai bene e naturalmente accettò. Non si trattava di un gioco rumoroso, del resto, anzi, tutto doveva avvenire in silenzio, dato che solo l’odore, non la voce o altro, doveva guidarmi verso Eliana».
«Ed Eliana, lei, fu d’accordo sul gioco?».
«Eliana accettò immediatamente. Aveva conservato il suo spirito di sfida e d’avventura, anche se non faceva più pipì sulle porte delle chiese, e probabilmente nemmeno pompini negli androni».
«Dunque la partita si giocò davvero».
«Si giocò. La ruffiana trovò diciotto ragazze disponibili. Eliana si mise d’accordo con loro, ovviamente, per rendermi il compito impossibile. Profumi balzani, deodoranti per tutte, una confusione d’olfatto. Fu anzi così abile e maliziosa da incaricare una delle altre, una sua amica, di non mettersi nessun profumo e di non lavarsi per due giorni prima, pensando di trarmi in inganno e di spedirmi verso quella».
«Diabolica! Ma da come sorridi, capisco già che fu tutto inutile contro il potere del tuo naso».
Nuto infatti sorrideva disteso:
«Contro il potere del mio naso, forse; o contro l’assoluta unicità e potenza dell’odore di Eliana. Infatti vinsi, sì. Ma non fu neppure facile, perché l’atmosfera del salone era diventata un frullato irrespirabile di odori artificiali violenti. Però quell’odore li attraversava, era come un filo che partiva dalle cosce di Eliana e arrivava al mio naso, superando i mille disturbi della altre stupide puzze. Quando attaccai sulla sua pelle la terza stellina, Eliana esclamò un “minchia, ma com’è possibile?” che mi annunciò la vittoria prima ancora che mi togliessi la benda dagli occhi. Ti dirò: anche la ruffiana e le altre ragazze rimasero molto impressionate!».
«Lo credo», replicò Sergio, e poi aggiunse pensieroso e vagamente ammirato: «A volte una forte passione sembra vanificare persino le leggi di natura, rendendo possibili le cose impossibili».
«Non farla poi tanto grossa», scherzò Nuto, «alla fine si tratta solo del riconoscimento dell’odore di una fica, no? Non ho mica sballato la gravitazione universale o qualche principio della termodinamica!».
«Certo, però è già abbastanza straordinario».
«Insomma».
«E il premio, un anno di scopate, l’hai incassato?».
Nuto sorrise di nuovo, più soddisfatto e più malizioso:
«Ho incassato molto di più».
«Come?».
«Eliana adesso sta con me, abbiamo preso casa insieme. Oh, in tutta libertà, intendiamoci: lei continua a gestire a suo modo la sua vita, la sera va sempre a spogliarsi nei locali, e va anche alla casa d’appuntamenti, perché non vuole che io la mantenga: si sentirebbe prigioniera. Però abitiamo insieme, e il motivo che l’ha indotta ad abitare con me è che mi ama o, se preferisci, è innamorata di me».
Sergio era davvero sorpreso:
«Accidenti, questo non l’avrei detto davvero. Innamorata di te. Dopo tutte le sue esperienze, e dopo che ti aveva respinto quand’eri innamorato tu».
Nuto allargò le braccia respirando forte:
«Tutti i timidi appassionati corteggiamenti erano inutili e sarebbero stati inutili per sempre, ma la performance di riconoscere il suo odore al buio fra venti altre l’ha sedotta, l’ha sedotta di colpo. C’è rimasta presa. E così adesso io quell’odore me lo sono messo in casa, posso goderne ogni giorno».
«Non voglio dire una cosa cattiva», ridacchiò Sergio, «ma temo che adesso te ne stuferai!».
Nuto si strinse nelle spalle, ancora tutto contento, alzandosi per andare alla cassa del bar a pagare i succhi:
«Può darsi. Ma per ora ne godo appieno. E poi lo scrivono persino le rivistine rosa, che la coppia funziona se il naso è d’accordo, no?».
I due amici si allontanarono insieme. Era ormai scesa la sera, tutta carica di aromi.
(Torino, 1987)
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