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Carlo Molinaro

Pensieri sparsi, poesie e qualsiasi cosa

 
 
 
 
 
 

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Jahvì

Post n°583 pubblicato il 15 Aprile 2009 da molinaro
Foto di molinaro

Si lavora, oggi anche tanto, ma ho ripensato un attimo al giorno di Pasquetta, con gli amici a pranzo e a cena in casa e il pomeriggio sui prati, e la pallavolo, e i castagni, e i discorsi del dopocena, e allora ho scritto questa specie di poesia, forse più specie che poesia, ma insomma è venuta così. Nell'immagine, scorcio di tavolata pasquettale.


JAHVÌ

Dopo la cena di Pasquetta a Mallare
l'amico Mac, che si dice monogamo e geloso,
discutendo fra un amaro e un dolcetto
dichiara che per lui l'amore è come
il dio della religione ebraica arcaica,
Jahvè prima maniera, il dio geloso
che non negava ancora l'esistenza
di altre divinità - come poi avrebbe fatto
con il putsch monoteistico - ma già comandava:
«Tu - dico a te - non avrai altro dio all'infuori di me».
Cioè quando l'amore arriva è unico
ed è geloso, dice Mac, cosicché gli altri dei
vanno messi da parte - se ho capito
bene, è questo che Mac intende. Ho pensato
alla vita, alla vita di quasi tutti,
dove ci sono amori in successione
fin dall'infanzia, e ciascuno di essi
allora è unico, è Jahvè, ed è geloso.
Questi Jahvì me li sono immaginati
(lo so che Jahvì non è il plurale corretto
di Jahvè, me lo sono inventato, ma d'altronde
non credo che ne esista un plurale in ebraico)
tutti in fila, in bell'ordine, attenti
al loro turno, a non pestarsi i piedi:
che non sia mai che nella successione
Jahvè 1, Jahvè 2, ... Jahvè n
magari Jahvè (13) entri in campo mentre
è ancora presente Jahvè (12) e faccia confusione
e magari arrivi in anticipo anche Jahvè (14)
e ripassi per caso Jahvè (7) che era via da un po'
e venga fuori un bordello di Jahvì
tutti unici e gelosi - perché non succeda
i Jahvì dovrebbero avere un servizio d'ordine
che nemmeno il PCI negli anni Settanta.
Mi sembra inverosimile. Checché ne dica Mac
a me par naturale e inevitabile
che più amori, tutti veri, stiano insieme
nel tempo e nello spazio, e siano tutti
importanti, che mancandone uno
c'è perdita e dolore. Se vogliamo
far paragoni su cose divine
mi trovo meglio coi greci e romani
dove di dei ce n'è un sacco e nessuno
ha il potere assoluto: anche Zeus
ha i suoi casini e non di rado s'innamora
di ragazze mortali che lo mandano a cagare
e lui per conquistarle si traveste
da albero, da bestia, da qualsiasi cosa
e loro niente, loro scappano via
da quel vecchio ridicolo dio
ma lui insiste, eh! Mi è simpatico.
Non divaghiamo. Dicevo che gli amori
sono divini e sono tanti e importanti.
Mac non si convince, Chiara scuote il capo
e poi consente che gli uomini in fondo
sono poligami e non c'è soluzione, Cesare
se ne sta sulle sue senza entrare
nel vivo del discorso, Lella racconta
una sua storia e poi finisce lì.
Ci si abbraccia, che questo è l'importante,
ognuno sente le cose a modo suo
e i paragoni con gli dei non reggono:
che poi io con gli dei mica ci parlo,
loro sono immortali e io sto qua
a sbattermi entusiasta per un pugno
d'incerta breve mia felicità
che nel farsi è già lì che si disfà:
va bene il dialogo, sì, però ammettiamolo:
siamo troppo diversi. Io se fossi
un dio onnipotente
inventerei un modo che gli amori
ne trovi sempre nuovi ma nessuno
si perde nel passato: io farei
così. E non sono dio, però canticchio
da solo in auto tornando a Torino
canticchio perché sono contento
di un pomeriggio passato fra amici
e ragazze sull'erba
piccola cosa piccola
ma forse è tutto lì
forse tutti quegli Zeus e quei Jahvì
la loro invidia è questa cosa qui.

 
 
 
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