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Carlo Molinaro

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Le printemps de la jupe

Post n°584 pubblicato il 16 Aprile 2009 da molinaro
Foto di molinaro

C'è un film che si intitola La journée de la jupe. Me lo sono visto in francese (non so se esiste una versione sottotitolata o doppiata in italiano: nei cinema italiani non mi risulta sia uscito) e, per quel che ne ho capito, racconta la storia di una professoressa esasperata, in una violenta scuola di periferia. La professoressa un giorno trova una pistola e sequestra i suoi allievi. Il clima è quello di quartieri disgraziati in cui se una ragazza si mette una (mini)gonna è automaticamente insultabile e magari stuprabile.

A partire dal film ho scoperto un'iniziativa che si chiama Le printemps de la jupe e che si pratica da quattro anni in diverse scuole francesi. Una bella iniziativa: partendo dalla (mini)gonna, arriva al discorso pedagogico sul rispetto, sul valore della donna, sull'amicizia e persino sull'amore per la bellezza. Non mi risulta che in Italia sia mai stato fatto nulla di simile.

Quand'ero ragazzino, le donne avevano appena conquistato il diritto di portare i pantaloni, in alternativa alla tradizionale gonna. Ma, accanto ai pantaloni, c'era l'opzione dell'innovativa minigonna. Era tutto un momento abbastanza libero e rivoluzionario.

Oggi mi rendo conto che in molti quartieri il diritto di portare i pantaloni si è trasformato per le ragazze in un dovere, un pesante dovere. Perché se una si mette una gonna (mini, ma anche poi neppur tanto mini) viene individuata come una «poco di buono»: prima dai compagni (e dalle compagne) di scuola, e poi dall'altra gente del quartiere.

Ne risulta uno scenario triste, impaurito, maschi e femmine omologati nello stesso vestiario conforme, in una cappa di pesante e violento neomoralismo. Come si è tornati tanto indietro, dopo le aperture sessantottesche? Su come sia accaduto si può discutere a lungo. Ma è accaduto e direi che bisogna fare qualcosa.

I francesi avranno i loro difetti, ma sanno reagire un po' meglio di noi, e dunque hanno cominciato a reagire: con l'educazione, con le parole, ma non solo - perché le parole non bastano: ci vuole qualche manifestazione concreta, qualche fatto visibile: anche l'ultimo degli educatori lo sa.

In molte scuole (e mi permetto di sottolineare scuole, pubbliche scuole: non discoteche o club) è partita l'iniziativa del printemps de la jupe. Una giornata in cui tutte le ragazze (tutte quelle che vogliono, ma l'adesione è alta) vanno a scuola in minigonna e pretendono, solidali, di non essere fischiate, insultate, additate come puttanelle.

L'effetto c'è: molti ragazzi, intervistati dopo queste iniziative, hanno dichiarato di avere capito di essere stati dei deficienti (è sempre un attimo decisivo per la crescita, capire di essere stati dei deficienti!), e che una ragazza in minigonna è qualcosa di bello, non qualcosa da insultare. E le ragazze hanno potuto continuare a indossare la minigonna anche dopo, in tutto il printemps e anche nelle stagioni successive.

Sì, è una bella iniziativa: partire da qualcosa di immediatamente visibile e gradevole, l'abito leggero, per arrivare al nucleo profondo del rispetto, della parità, della dignità, della libertà. Strano che in Italia di questa iniziativa non si sia quasi parlato... Strano, o non strano.

Sarebbe bello fare qualcosa di simile pure da noi, magari partendo da certe scuole di periferia anche torinesi. Sarebbe possibile? Forse sì: nulla è impossibile. Ma certo sarebbe dura. Provo a immaginare le reazioni nostrane. Prima di tutto scetticismo e sorrisetti sarcastici. Poi la «ferma opposizione» di qualche famiglia pia e timorata. Quindi, l'intervento contrario di qualche autorità, religiosa e non. A seguire, discorsetti frivoli sull'estetica: e chi non ha belle gambe? Infine, la chicca: ma ci sono le immigrate islamiche, è scorretto nei loro confronti (ovvero: quando il politically correct serve a coprire il ritorno al Medioevo).

Eppure anche in Francia ci sarà stato qualche scettico e qualche moralista a contrastare l'iniziativa; ci saranno state famiglie contrarie; anche lì esistono vescovi e parroci; non tutte le ragazze francesi hanno gambe da modelle; e di immigrate islamiche ce ne sono molte più che in Italia. Dov'è dunque la differenza, la differenza per cui da loro iniziative così si fanno e da noi no? Sarà forse qualcosa che c'entra con quegli strani concetti a noi così ostici, tipo la dignità e libertà della persona, la civiltà, il senso di cittadinanza, la laicità, i valori della propria cultura, il progresso, quelle baggianate lì?

 
 
 
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