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Los podridos sueños
Post n°627 pubblicato il 02 Giugno 2009 da molinaro
Stamattina ho fatto un giro in centro e in un'edicola internazionale ho comprato El País. L'ho comprato perché probabilmente comincerò un lavoretto che implica la lettura di giornali spagnoli, e voglio familiarizzarmici un po'. Bene. A pagina 30 di El País di oggi ho trovato un articolo interessante di José Errasti, uno psicologo, intitolato Los podridos sueños: «i marci sogni». Trovate qui il ritaglio della pagina (l'articolo è in basso). Prendendo lo spunto dal caso di Susan Boyle, la «donna qualsiasi» bruttina scozzese che, dopo avere cantato molto bene in un importante spettacolo televisivo, è stata travolta dall'improvvisa popolarità ed è finita in manicomio, si fa un'analisi della pericolosità dei sogni, e soprattutto di una società che mitizza (e mercifica) i sogni personali individuali, facendo perdere il senso della realtà (e della socialità): sogni astratti che si costruiscono senza fondamenta, in una fragile pirotecnìa spettacolare, e rapidamente crollano, come un castello di carte, al primo soffio della concretezza. I sogni che si consumano nella società dei consumi, insomma. Susan Boyle è stata certamente «usata» dalla mercadotecnia de la telebasura (bellissima quest'espressione castigliana, si potrebbe tradurre «tecnica di mercato della spazzatura televisiva», ma in castigliano è molto più incisiva): qualcuno ha scoperto che il contrasto fra l'aspetto dimesso e la bellissima voce di questa donnina di provincia poteva «fare ascolto» (il sogno di una poveraccia che si realizza; la rivincita della sfigata, in sostanza: bel colpo mediatico), e l'ha buttata sull'arena: il risultato è stato incassato, il mondo ne ha parlato, dopodiché la persona, ormai inutile, è stata buttata nella pattumiera, ovviamente. Sì, è un caso esemplare. Il sogno è una cosa meravigliosa, ma non può conciliarsi con la banalità e la superficialità. Il sogno è una cosa preziosa e, come molte cose preziose, è fragile e va maneggiato con cura. Il sogno è una cosa potente e, come molte cose potenti, richiede cautela, perché non esploda e distrugga tutto come una bomba. Essendo io un grande sognatore, la faccenda mi chiama in causa. Potrei in un certo senso considerarmi anch'io vittima dei sogni: se avessi impiegato in attività produttive di studio e lavoro le centomila ore (non è un numero iperbolico, anzi è una stima prudente, mi sa che sono forse anche di più) che ho speso a sognare, a scrivere lettere d'amore e non d'amore, a fantasticare, a rincorrere ragazze impossibili, a immaginare storie assurde, a perdermi in un riflesso o in un odore, a costruire lingue solo mie, a vivere vite nel pensiero (sono stato quasi chiunque, credetemi, dalla puttana al capostazione), a far poesie, a scrivere cazzate gratis in un blog (ehm), a imparare le più inutili geografie di donne e ruscelli e treni in un mondo mio, insomma a far cose del tutto infruttifere, oggi sarei ricco e sistemato, probabilmente. Ma mi sa che non era ciò che desideravo. Dunque non mi considero vittima dei sogni, anche se certi prezzi li ho pagati. Il sogno è un veicolo che non si lascia guidare bene: ho sbandato, mi sono capottato, mi sono fatto male, ma ho sempre ripreso la strada. Forse perché i miei sogni non erano sogni da telebasura, erano - e sono - sogni, come dire, più «seri». «Seri» non significa concreti e realizzabili, non è questo il punto. Un sogno non può subordinarsi a concretezza e realizzabilità, altrimenti non si chiamerebbe «sogno», forse si chiamerebbe «progetto», che è un'altra cosa. No. Forse «seri» significa solo, con un cambio di consonante, «veri». Radicati nel profondo, non nella tivù o nel successo. Sogni non da veline, ma nemmeno da scrittori emergenti in cerca di premi letterari. Sogni più pazzi ancora, e perciò più maturi, più consapevoli. Ci vuole vita spesa, ci vuole del talento e della pazienza, ci vuole (paradossalmente) tanta realtà digerita, per giungere al proprio sogno, quello che non attraversa né il reality show né l'accademia dei Lincei. Il sogno che non fa ascolto, che non interessa alla telebasura, ma che fa vivere te, non ti sfilaccia in manicomio. Poi, si può sempre cadere. Solo chi non vola non rischia di cadere. Ma il sogno vero, il sogno coltivato o lasciato crescere nel profondo della propria anima o delle proprie viscere, è sogno buono, non podrido, perché si costruisce solido, solido davanti a te stesso o al mondo: non ho detto realizzabile o concreto, ho detto solido. Solido, sodo: pian piano sfrondi via le cazzate e arrivi al sodo, al nucleo. A ciò che ti val la pena sognare e desiderare. Una cosa personalissima e realissima. Oggi lo so, definitivamente lo so, che fra il premio Nobel per la letteratura e un bacio di ragazza io scelgo, desidero e sogno il bacio. Si fa un po' di chiarezza. Quando sogni così forte che ti esce il sangue dal naso, finisce che scopri i valori, i famosi valori. Ma non quelli della telebasura, e però neppure quelli dei filosofi o delle accademie, tantomeno quelli delle religioni o delle politiche, meno che mai quelli delle mode o del successo, e neanche quelli della morale o delle più diffuse spiritualità. No, niente di tutto questo. Scopri i valori tuoi. Cioè, in definitiva, te stesso. E allora è un sogno buono, per te e per il mondo. |
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