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Carlo Molinaro

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Afasìa

Post n°851 pubblicato il 25 Marzo 2010 da molinaro

Forse sono troppo perfezionista, troppo diligente, esigo troppo dalla scrittura, dall'espressione: e questo a volte mi blocca (o mi fa prolissamente sbrodolare). Praticamente non tollero che siano veicolati sensi paralleli contrari a ciò che voglio dire: la frase deve essere pulita, senza rumore di fondo, senza disturbo. E lo so che è impossibile. Eppure, se sento un rumore di disturbo, butto via tutto. Anche una poesia. Ma faccio un esempio più banale. Ieri stavo per scrivere nel mio «stato» su Facebook quest'arguta proposizione: «Meglio avere le pezze al culo che il culo a pezzi». Abbastanza divertente, morale, adatta come satira al clima politico che va in direzione opposta, pantaloni di lusso su rottissimi culi.

Ma ho aspettato un minuto, e poi non l'ho scritta. Perché ci ho sentito un brusìo non morale ma moralista, ci ho sentito la piccola borghesia, quella di Claudio Lolli, che se la prende con le puttane, ci ho sentito un'eco di sagrestia e/o sezione PCI, ci ho sentito del vecchio, mi sono accorto che la metafora è scivolosa, perché il culo a pezzi può avercelo anche una simpatica ragazza amante di sesso plurimo e anale, per esempio, e non è mica una cosa criticabile (se non da un talebano). E può avercelo, il culo a pezzi, un gay dopo una notte con il suo amore, nella placida gioiosa spossatezza di un mattino. E poi, alla fine, il culo ognuno se lo gestisce come vuole e può.

E allora la frase non m'è piaciuta più. Certo - si obietterà - appare evidente il valore figurato, appare evidente che ci si riferisce ai politici che si fanno rompere il culo in cambio di poltrone, ai servi del potere, ai venduti, ai portaborse, e così via. Evidente, evidente. Ma non abbastanza per me. Sento il fastidioso rumore di fondo, sento la stupidità che assedia, non posso lasciare spiragli. Tutto deve essere perfettamente chiaro. Ma «perfettamente» è parola che porta dritto in manicomio.

Il problema è che questo mi succede, mi succede sempre di più, sia quando scrivo, sia quando leggo, sia quando parlo, sia quando ascolto. Ogni giorno di più. E mi rendo conto che è un rischio forte, è una malattia, devo trovare un rimedio. Altrimenti, presto resterò muto a occhi chiusi davanti a un foglio bianco, con le orecchie tappate. E non capirò più un cazzo. Peggio ancora di adesso. Abisso di follìa. Afasìa.

Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Franco_gi il 25/03/10 alle 13:45 via WEB
Forse "Meglio le pezze al culo che il culo un tanto al pezzo" avrebbe potuto suonarti meglio, e riferirsi più pertinemente alla situazione politico-morale attuale? Ma il fatto è che per parlare devi per forza prendere fiato, e vista l'aria che si respira poi è chiearo che quello che esce suona poi ambiguo a te medesimo.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Francesco il 18/04/10 alle 23:42 via WEB
Minchia!!! questa cosa della "chiarezza" la sento pure io, da un sacco di tempo. E anche io la vivo male, come una cosa che devo per forza fare, ma che so già che non ce la farò. Chissà perché poi, in fondo tu ce l'hai fatta a essere chiaro, perché ti ho capito. Certo, tu potrai dire che non è vero, che un residuo rimane sempre, ed hai ragione, perché è proprio questo che ho capito... ora, dimmi se non era questo che volevi dire!!! Insomma, secondo me, sei stato chiaro e io, che per te sono un perfetto sconosciuto, ti ringrazio. Grazie.
 
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