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NON SPRECHIAMO L'ACQUA
Ecco 12 regole per risparmiare il consumo di acqua potabile. Rispettare queste regole significa imparare a considerare l’acqua come un bene prezioso che non deve essere sprecato
REGOLA 1 - Far riparare tempestivamente le perdite dell’impianto interno. Un rubinetto che gocciola al ritmo di 90 gocce al minuto spreca 4.000 litri di acqua all’anno.
REGOLA 2 - Non fare uso eccessivo di prodotti chimici per la pulizia della casa.
REGOLA 3 - Non usare la toilette come discarica di sostanze tossiche (vernici, lacche, prodotti chimici, sigarette, solventi) altrimenti si riduce la funzionalità del sistema fognario.
REGOLA 4 - Contenere i lavaggi delle autovetture con un secchio piuttosto che con acqua corrente consente un risparmio di 130 litri ogni lavaggio.
REGOLA 5 - Innaffiare l’orto con acqua piovana raccolta precedentemente.
REGOLA 6 - Far funzionare la lavatrice o la lavastoviglie a pieno carico; si ottiene cosi’ un risparmio pari a 8.000 / 11.000 litri di acqua potabile all’anno per famiglia.
REGOLA 7 - Pulire i piatti subito dopo i pasti, togliere lo sporco più grossolano, condire la pasta nel tegame ancora caldo evitando di sporcare un’altra terrina.
REGOLA 8 - Usare l’acqua di cottura della pasta per lavare i piatti e le stoviglie.
REGOLA 9 - Fare la doccia la posto del bagno in vasca, ciò consente un risparmio di 1.200 litri di acqua potabile all’anno.
REGOLA 10 - Chiudere il rubinetto mentre si lavano i denti e tappare il lavandino al momento di farsi la barba; questo permette di risparmiare fino a 7.500 litri l’anno per una famiglia di tre persone.
REGOLA 11 - Applicare un frangiflutto a un rubinetto per arricchire d’aria il getto d’acqua.
REGOLA 12 - Utilizzare per lo scarico del water un sistema a rubinetto o a manovella al posto di quello a sciacquone; si risparmiano così circa 26.00 litri all’anno.
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Post N° 164
Post n°164 pubblicato il 14 Dicembre 2008 da Akire28
Quegli operai vanto dell'Italia La sottovalutazione e il mancato allarme durano dagli anni Sessanta e sono continuati anche dopo la bonifica degli impianti, mentre gli operai del cantiere e delle ditte in appalto entravano in agonia senza sapere perché, muti di fronte a quella parola, "mesotelioma", che li inchiodava dopo decenni di salute apparente. Oggi si sa che qualcuno sapeva; era stato informato che l'amianto è una bestia che non perdona e il mesotelioma, quando lo scopri, ti ammazza in sei mesi. I polmoni ti strangolano come una garrota e la diagnosi precoce serve solo ad avvelenarti il tempo che resta. In caso di amianto il miglior referto è semplicemente sapere più tardi possibile. E così gli uomini che hanno "vissuto di cantiere" sono morti senza copertura Inail, senza assistenza legale, senza interesse della politica e persino della giustizia che per dodici anni ha ricevuto denunce di morti sospette senza chiudere fino ad ora nessun processo. Per questo la Procura generale ha rotto gli indugi e svolto un'indagine-lampo unica in Italia. C'è voluto un giudice perché il Friuli-Venezia Giulia sapesse di questa tragedia, e per far capire che non affrontare l'emergenza significava semplicemente non governare. Non si poteva più ignorare che a Monfalcone e Trieste gli esposti al rischio sono diecimila, per l'effetto congiunto del porto e dei cantieri. A livello regionale, il top in Italia. Ma se i morti sono un esercito, per i vivi è in atto un micidiale conto alla rovescia. Un gioco dove la paura distrugge prima della malattia; una roulette russa in cui ci si conosce tutti e alla fine ci si incontra ai funerali. È perfido l'amianto. In greco vuol dire "il candido", e in una straziante poesia Massimo Carlotto lo descrive come neve che incanta i bambini. La mamma sbatteva la tuta del papà per toglierne la polvere a fine lavoro, i fiocchi volavano come a Natale e la pestilenza entrava nei familiari. Ma amianto vuol dire anche "l'incorruttibile", perché non si consuma mai. Tu muori, il corpo si dissolve, e le fibre restano lì per sempre. Qui accade in concentrazioni mostruose, quasi come nella miniera di Barangero in Piemonte, dove si consumò la prima strage. Ma sì, dicono amaramente i superstiti, il cimitero è solo una discarica autorizzata di amianto. Ora che si è scavato nella Fincantieri come mai in passato, l'azienda - inchiodata da prove inconfutabili - parla di depenalizzare il reato e compensare le famiglie con un fondo nazionale. Come dire: il costo è di tutti e la colpa di nessuno. Un classico finale all'italiana. Ma chi ha sofferto non ci sta. "Altro che malattia sociale!", quasi piange Rita Nardi, vedova di Gualtiero, morto alla vigilia di natale del '98 dopo mesi da incubo. "Questi li hanno ammazzati come conigli per un tozzo di pane". |
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