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amore, follia e sacro

Post n°47 pubblicato il 11 Aprile 2010 da m_de_pasquale
 
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Quando Platone nel Simposio commenta il desiderio che anima le due metà in cui gli esseri originari sono stati divisi da Zeus, afferma: “… evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio”. Cos’è questo fondo enigmatico e buio che l’anima cerca e non sa esprimere? Potrebbe essere quell’altra parte di noi inaccessibile alla luce del giorno della ragione? Platone, forse, fa riferimento a quella dimensione che precede la distinzione tra razionale ed irrazionale (ed in questa accezione possiamo intenderla come follia, non intendendo con questo termine solo il contrario della ragione), è quella dimensione che precede ogni distinzione per cui al suo interno esiste la disponibilità per tutti i sensi, è prima della morale e della legge che stabiliscono i criteri per distinguere il bene dal male, il consentito dal proibito. E’ quella dimensione a cui consente di affacciarci amore che nella sessualità opera una dislocazione dell’io aprendolo alla parte oscura di sé. La follia, quindi, abita la sessualità perché quest’ultima contribuendo al cedimento dell’io - nell’orgasmo il nostro io è così estraniato da perdersi, avviene una sorta di diluizione della nostra individualità -, permette l’accesso alla parte nascosta di noi. Se la dimensione precedente ogni distinzione e divisione dove c’è questo e quello (e dove questo non è distinto da quello) la definiamo dimensione simbolica (in greco syn-bàllein = composizione degli opposti, indifferenziato), possiamo affermare che la sessualità è connessa alla condizione simbolica dell’uomo: quando Platone parla della metà che cerca l’altra metà intende che ciascuno di noi è il simbolo di un uomo che cerca la metà corrispondente per la sua ricomposizione. Afferma Galimberti: “… prima degli altri che sono fuori di noi e a cui ci indirizza Eros, l’”altro” ci abita intimamente come ciò da cui ci siamo separati per dare origine alla nostra storia. Ma il fondo non-storico da cui la nostra storia ha preso avvio ancora ci possiede come follia rimossa”. Sfondo pre-umano abitato indifferentemente da animali e dèi, follia rimossa che Freud ha definito inconscio, condizione originaria dove coscienza e inconscio non sono ancora distinti come nel junghiano, comunque la si voglia intendere, con questa dimensione dobbiamo fare i conti se vogliamo essere noi stessi perché costituisce l’altra parte di noi, ignota, che deve dialogare con quella parte di noi nota. Se per Jung il fine e il senso dell’esistenza è il processo di individuazione (= il confronto dell’Io col , cioè con quella dimensione che precede il dischiudersi della coscienza razionale, offrendo, così, la possibilità di aprirsi a sensi sconosciuti), vuol dire che noi abbiamo speranza di conoscere noi stessi nella misura in cui riusciamo ad accedere a questa condizione simbolica originaria che possiamo definire follia. Così ci spieghiamo alcune espressioni di Platone nel Fedro: “I beni più grandi ci vengono dalla follia data per dono divino… la follia proveniente dal dio è assai più bella della saggezza di origine umana”. La follia ha a che fare con gli dèi che abitano quel mondo che sta prima della ragione umana. Di fronte all’esperienza di istinti e pulsioni (che abitano la nostra parte oscura), l’io razionale li avverte come qualcosa che non gli appartengono – infatti li patisce, li subisce -, ed interpretandoli come “altro da sé” li fa diventare proiezioni antropologiche: nascono gli dèi. Il sacro (cioè la follia che abita l’uomo, ovvero la violenza dell’indifferenziato) è espulso dall’uomo e diventa un mondo a sé stante, separato e divino (religione = relegere, cioè recingere l’area di separazione del sacro). La ragione si è ulteriormente difesa dallo sfondo pre-umano che incute paura all’uomo - perché luogo dell’indifferenziato, della violenza pulsionale, della sessualità selvaggia, della confusione totale, del disordine radicale, della distruttività -, ponendo i divieti che devono impedire i desideri bestiali, la violenza omicida. Ma è anche vero che una separazione totale è impossibile se la follia – nonostante il processo di proiezione – continua ad abitarci: ecco perchè le religioni – che hanno sempre raccontato di un atteggiamento ambivalente nei confronti del sacro (tremendum e fascinans) – hanno assolto alla difficile funzione di regolare l’accesso alla follia. (Amore - 9 precedente)

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