Creato da m_de_pasquale il 05/10/2009
"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
 

 

quando l'indignazione "ribolle e s'adira"

Post n°14 pubblicato il 25 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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C’è un imprenditore italiano che, negli ultimi anni, ha dichiarato al fisco molto meno di quanto abbia guadagnato. Grazie ad un giro di fatture gonfiate è riuscito ad accumulare, in una fiduciaria estera, l’80% di quanto guadagnato, non sempre legalmente. Per lo stato italiano è un piccolo imprenditore, i cui affari non vanno neanche tanto bene visti i suoi scarni introiti e quindi, poverino, paga le tasse al minimo (anzi certi anni non le paga proprio perché il suo reddito è sotto soglia). Un suo amico, uomo di spettacolo, ha avuto, negli stessi anni, la grande abilità di riuscire a nascondere al fisco una quantità ingente di denaro che ora è ben custodito in una banca delle Caiman. E da ultimo, un cittadino italiano, in verità particolare essendo un mafioso di alto grado, custodisce in una banca del Lussemburgo vari milioni di euro frutto del traffico di droga ed armi costituenti la sua attività imprenditoriale. Da cosa sono accomunate queste tre persone? Certamente da un comportamento delinquenziale. Ma non solo. Essi condividono una grande opportunità che si chiama scudo fiscale. Infatti, grazie ad una legge approvata recentemente dal Parlamento italiano, tutti e tre possono far rientrare in Italia i loro tesori (acquisiti illegalmente) per ora depositati in banche estere pagando allo Stato una “multa” del 5% sui capitali e con la sicurezza dell’anonimato (mai nessuno saprà chi sono). In Italia i cittadini che onestamente guadagnano soldi devono lasciare allo Stato circa la metà (40-45%) in imposte che lo Stato utilizza per pagare i servizi di pubblica utilità di cui tutti usufruiamo. Questi privilegiati, invece, non solo hanno guadagnato disonestamente, ma vengono anche premiati dovendo lasciare allo Stato solo il 5%! Anche negli U.S.A. esiste lo scudo fiscale, ma funziona molto diversamente: chi vuol far ritornare i suoi soldi in patria deve versare allo Stato il 50% del capitale rientrato e senza anonimato (diventando così un soggetto particolarmente controllato dal fisco). Quando gli onesti ascoltano certe storie hanno una reazione che possiamo definire d’indignazione, di rabbia, di ira (con ripercussioni somatiche: il sangue ci affluisce alle mani, sentiamo una scarica adrenalinica ed è bene non avere tra le mani chi ha votato questa legge). E’ quella che Platone chiamava thymoeides (irascibilità). Nel IV libro della Repubblica dopo aver constatato che nella nostra anima vanno distinti due principi, quello razionale e quello irrazionale (quando l’anima è in preda alle passioni, pervasa dal desiderio insaziabile), Platone si chiede: “ma quello dell’ira non è poi un terzo principio? O avrà la natura di uno dei due precedenti?”. Saremmo portati a rispondere che quando siamo presi dalla indignazione, dalla collera, dall’ira siamo come posseduti da qualcosa che non controlliamo e pertanto il terzo principio è più congenere al secondo (irrazionalità). Ma osserva Platone che “talvolta la collera combatte coi desideri, come due principi differenti tra loro”. Ed avanza l’ipotesi dell’alleanza del terzo principio col primo (razionalità): “E non notiamo anche in numerose altre occasioni che, quando una persona è dominata da violenti desideri che contrastano con la ragione, essa si rimprovera e prova un senso di sdegno contro l’elemento violento che è in lei? e che, in questo contrasto a due, il suo animo si allea alla ragione?”. Platone sembra indicarci il modo per valorizzare la nostra indignazione. Spesso la nostra rabbia di fronte all’ingiustizia si risolve in un grande fuoco di paglia (nell’istante, in preda alla collera, vorremmo fare la rivoluzione … qualche minuto dopo basta una distrazione o un’emozione più forte che ci fa dimenticare quanto provavamo), mentre la forza che si sprigiona dall’anima thymoeides dovrebbe essere incanalata ed alimentare nel tempo la nostra azione volta a contrastare l’ingiustizia sì che il nostro proponimento raggiunga il risultato desiderato: “E che succede quando uno ritenga di essere vittima di un sopruso? Non è vero che allora ribolle d’ira e prende le parti di ciò che gli par giusto e, sfidando la fame, il freddo ed ogni altra sofferenza, resiste e combatte, senza desistere dai suoi nobili sforzi finché non riesce o muore o si ammansisce alla voce della ragione che è in lui, come si ammansisce un cane alla voce del pastore?”. E allora l'indignazione più che essere una rabbia passeggera, deve costituire quella energia volta ad alimentare il nostro impegno politico per la giustizia.


 
 
 

das innere auge

Post n°13 pubblicato il 23 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando
o uno sciame di api accanite divoratrici di petali odoranti
precipitano roteando come massi da altissimi monti in rovina.
Uno dice che male c'è a organizzare feste private
con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato?
Non ci siamo capiti
e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?
Che cosa possono le Leggi dove regna soltanto il denaro?
La Giustizia non è altro che una pubblica merce...
di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori
se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente.
La linea orizzontale ci spinge verso la materia,
quella verticale verso lo spirito.
Con le palpebre chiuse s'intravede un chiarore
che con il tempo e ci vuole pazienza,
si apre allo sguardo interiore: Inneres Auge, Das Innere Auge
La linea orizzontale ci spinge verso la materia,
quella verticale verso lo spirito.
Ma quando ritorno in me, sulla mia via,
a leggere e studiare, ascoltando i grandi del passato...
mi basta una sonata di Corelli, perchè mi meravigli del Creato!
(Battiato)  ASCOLTA

Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos'è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
e tutto gli appartiene.
Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni!
Questo paese è devastato dal dolore...
ma non vi danno un po' di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
no cambierà, forse cambierà.
Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
Me ne vergogno un poco, e mi fa male
vedere un uomo come un animale.
Non cambierà, non cambierà
si che cambierà, vedrai che cambierà.
Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po' da vivere...
La primavera intanto tarda ad arrivare (
BattiatoASCOLTA

 
 
 

l'ansia è figlia della hybris

Post n°12 pubblicato il 22 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Il dizionario così definisce l’ansia: stato tormentoso dell’anima, provocato dall’incertezza circa il conseguimento di un bene sperato o la minaccia di un male temuto. L’ansia è uno stato d’animo che in apparenza sembra abbia a che fare con il futuro (la gravità del compito che devo sostenere “mi mette in ansia”, il pericolo che mi potrebbe accadere “mi mette in uno stato di agitazione ansiosa”, …), ma forse è più corretto affermare che ha a che fare col mio presente: in ogni situazione di ansia passato e futuro precipitano nel presente, il futuro con tutti i pericoli e le incertezze presagiti viene anticipato. E’ un futuro non vissuto come “possibilità” (Kierkegaard: “L’angoscia - l’ansia - si può paragonare alla vertigine della libertà” e quindi della possibilità), ma come già realizzato nel presente. Ho avuto modo di osservare tra i miei studenti lo stato d’animo dell’ansia come condizione legata all’adolescenza e di cui quell’ansia, che si presenta in occasione di particolari prove (interrogazioni, compiti, …), ne è solo una manifestazione. Nelle pieghe delle contraddizioni che entrano in gioco nel passaggio tra l’adolescenza e la preadolescenza va ricostruito lo scenario dell’ansia. Le chiarisce Eugenio Borgna: “ Le contraddizioni fra le esigenze personali dell’adolescente, e le attese (le sollecitazioni) dell’ambiente familiare e sociale; le contraddizioni fra la coscienza immaginaria, dalla quale provengono gli impulsi creativi, i sogni, le fantasie, le speranze e gli ideali, e la coscienza reale, con la quale avviene la valutazione obiettiva delle realtà sociali ed interpersonali, dei compiti e delle mete che ciascuno di noi si trova ad affrontare; le contraddizioni fra la conservazione e la continuazione di quelle che sono state le precedenti forme di vita e le modificazioni che il salto nella postadolescenza trascina con sé; le contraddizioni, infine, fra l’esigenza di modelli di comportamento spontanei e liberi da legami e da vincoli, e l’esigenza di inserirsi nel solco degli ordinamenti sociali dominanti”. Quindi quando l’integrazione tra adolescenza e postadolescenza non riesce, possono manifestarsi esperienze ansiose che in genere non evolvono patologicamente (come ad esempio nella tossicomania ed anoressia, e purtroppo anche nella schizofrenia o nel suicidio). Volendo semplificare, l’ansia è quella condizione che mi pervade di fronte alla novità del futuro, al compito che mi spetta, stato d’animo che può essere più o meno enfatizzato a seconda della immaginazione di ciò che mi spetta. Ho riletto in questi giorni il Manuale di Epitteto (filosofo stoico vissuto a Roma nel I secolo d.C.) e vi ho trovato alcune indicazioni che potrebbero contribuire a governare l’ansia che sempre più oggi si presenta come conseguenza della nostra idea di inadeguatezza ai compiti richiesti o ai modelli che risultano dominanti. Per iniziare teniamo bene a mente che ciò che turba l'uomo non sono i fatti, ma la sua immaginazione: “Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti” §. 5; “Quando vedi qualcuno in lacrime non farti trascinare dalla rappresentazione, ma pensa: lo affligge non ciò che è accaduto, bensì il suo giudizio sull’accaduto” §. 16. Non tutto ciò che immaginiamo è in nostro potere e quindi non possiamo incidere su di esso: “Esercitati a dire a ogni rappresentazione che ti colpisca per la sua asprezza: sei soltanto una rappresentazione, non sei affatto ciò che sembri in apparenza. Poi analizzala e sottoponila alla valutazione degli strumenti in tuo possesso, accertando se essa sia relativa a cose che ricadono in nostro potere ovvero a quelle che non vi rientrano” §. 1. Liberarsi dalle preoccupazioni frutto della nostra immaginazione: “Se vuoi progredire, lascia da parte i ragionamenti di questo genere: se trascurerò i miei beni non avrò di che vivere. Meglio morire di fame, ma libero da afflizioni e paure, piuttosto che vivere nell’abbondanza, ma nell’inquietudine.” §. 12. Se noi volessimo agire su qualcosa che non è in nostro potere “inevitabilmente falliremo” §. 2. Per essere un uomo libero “devi disprezzare ciò che non dipende da noi” §. 19. A noi che ci affanniamo nella competizione sociale, verso obiettivi che superano le nostre forze perché tutto va in questa direzione (più veloce, più forte, …), dice Epitteto: “Se hai assunto un ruolo che va oltre le tue possibilità, oltre a rimediare, in quello, una brutta figura, hai trascurato il ruolo che era alla tua altezza” §. 37. E’ la riproposizione di quel grande principio che ha caratterizzato il pensiero greco: la giusta misura. “La morte e tutto ciò che appare terribile ti sia quotidianamente davanti agli occhi: non avrai mai alcun pensiero meschino, né desidererai mai nulla oltre misura” §. 21.

 
 
 

quando il medium diventa un assoluto

Post n°11 pubblicato il 20 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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C’è un nesso tra l’assolutizzazione di ciò che dovrebbe svolgere una funzione di mediazione e l’alegalità (o peggio l’illegalità)? C’è una relazione tra l’arroganza del potere di un politico (mediatore tra il consenso ottenuto e l’azione di governo), di un sindacalista (mediatore tra il consenso ottenuto e l’azione di tutela), di una banca (medium tra il risparmio raccolto e l’investimento del denaro), di una azienda di distribuzione (medium tra la produzione e il consumo) e il diffondersi del clima di alegalità (o peggio d’illegalità)? Qualche sera fa ho visto un’ interessante indagine giornalistica trasmessa dalla trasmissione Report: due imprenditrici della Romagna costrette a chiudere la loro azienda, con esperienza pluriennale nella fabbricazione di divani, a causa del ritiro delle commesse da parte di una grande ditta di divani (che a parole appare come il produttore del bene ma in realtà svolge funzione di tramite/intermediario tra il produttore – in genere piccole imprese - e il consumatore) e dell’affidamento delle stesse a piccoli imprenditori cinesi che accettano il prezzo stracciato imposto dalla grande ditta. Aumenta così il margine di guadagno per la grande ditta che poi vende il bene ai consumatori con un ricarico del 1600%: impallidisce Marx con le sue teorie del plusvalore relativo ed assoluto! Il piccolo imprenditore italiano, rispettando le regole fiscali, gli obblighi della sicurezza, non riesce ad abbassare ulteriormente i costi; il piccolo imprenditore cinese, non rispettando alcuna regola o, peggio, aggirandola con la complicità degli organi preposti a controllare, può accettare le condizioni imposte dalla grande ditta. In questa storia troviamo due sconfitti: il piccolo imprenditore italiano rispettoso delle regole che è costretto a chiudere per mancanza di ordini; il consumatore che deve pagare 4.000 euro un divano pagato al piccolo imprenditore cinese 250 euro. Il problema, come risulta chiaro, è nell’autonomia che è riuscito a ritagliarsi l’intermediario (la grande ditta) tale da esercitare una vera e propria dittatura del prezzo sul mercato. In teoria l’intermediario dovrebbe essere solo un tramite tra produttore e consumatore e giustamente dovrebbe essere retribuito per questo servizio che svolge: ma un ricarico del 1600% è scandaloso. La questione, pari pari, la potremmo riportare nella politica dove i rappresentanti (cioè le persone che eleggiamo – si fa per dire! - nelle tornate elettorali) che dovrebbero essere gli intermediari tra il consenso (il nostro voto) e l’azione politica (le scelte di governo a vari livelli), una volta eletti si “autonomizzano” da chi ha fornito loro il consenso, agendo in dispregio del mandato ricevuto. Potremmo dire la stessa cosa della intermediazione bancaria (vedi la differenza esistente tra il tasso d’interesse se prendi i soldi in prestito o li depositi) o del sindacato (leader sindacali che alla tutela dei diritti sostituiscono altre “tutele”). Quando una realtà si autonomizza inizia a viaggiare per fatti propri ed è molto probabile che incroci nei suoi percorsi “poteri forti” esercitanti su di essa un grande fascino. Questi connubi diventano talmente forti da influenzare anche quegli organi di controllo della legalità che la legge prevede: per tornare alle nostre due imprenditrici, esse dichiaravano che l’ufficio del lavoro di fronte all’esplosione del lavoro illegale (quello dei piccoli imprenditori cinesi) ha diminuito i controlli … un favore alla grande ditta (= intermediario) che non vuole che “si disturbi il conducente”? Così il cerchio si chiude: l’alegalità (che non è violazione della legge, ma significa non esercitare diligentemente la funzione per tutelarla) si allea col potere autonomizzato di intermediazione: il medium diventa assoluto, sciolto , cioè, da ogni vincolo e quindi essendo al di sopra della legge (che come è noto vincola) mal la sopporta. Come se ne esce? Colpendo l’arroganza del medium con il riavvicinamento dei due poli ricollocando, così, nella giusta dimensione la funzione mediatrice. Non intendo il ritorno alla democrazia diretta (al posto della rappresentativa), ma certamente forme di controllo, di partecipazione civiche più spinte di quelle riconosciute oggi, tali da ristabilire la giusta misura trascesa dalla hybris (tracotanza, arroganza) della politica. E dove si gioca l’intermediazione economica (banche, grandi ditte, …) riavvicinare i due poli (piccoli produttori e consumatori, creditori e debitori) per ridimensionare e ricollocare l’intermediario nello spazio che gli è proprio. Sicuramente il clima di alegalità e di illegalità che infesta il nostro Paese subirebbe una drastica sterzata.



 
 
 

la musica è l'utopia di se stessi

Post n°10 pubblicato il 18 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Tradizionalmente la musica è stata ritenuta l’espressione dell’armonia che ha a che fare con la spiritualità, con l’equilibrio, con la pace interiore. Platone nella Repubblica salvava solo la lira e la cetra (strumenti di Apollo, dio dell’ordine e delle forme) e bandiva gli auloi (strumenti di Dioniso, dio della confusione). Nella pratica musicale dei giovani emerge, invece, una esperienza della musica che è più vicina alla contraddizione che alla pacificazione. Più che essere uno specchio dell’immobilità dell’essere sembra essere l’espressione del movimento tra essere e non-essere. Bloch parla della natura utopica della musica: esperienza dello scarto tra ciò che noi siamo e ciò che sappiamo di noi, e pertanto la musica è l’utopia di se stessi (capacità di risvegliare la nostra dimensione più profonda che ci appartiene ma di cui siamo inconsapevoli). La problematicità del futuro, le incertezze e le paure di un progetto (= tensione verso il futuro) di vita, spiegano, nella vita dei giovani, l’insistenza sul presente e forse il desiderio di un ritorno a quel passato da cui abbiamo origine (mi piace pensare che il ritmo/ripetitivo che caratterizza molta musica ascoltata dai giovani ricordi il ritmo del nostro respiro, del battito cardiaco, i primi ritmi sentiti quando eravamo nella pancia della madre). Uscire fuori dal tempo: mi diceva una ragazza che quando balla il suo corpo si immedesima col ritmo frenetico, provando un senso di leggerezza, evanescenza capace di far dimenticare tutto, “è come se mi ubriacassi”. La musica si “sente” col corpo, è il “linguaggio” delle emozioni suscitate nel nostro corpo o recepite da esso; e le emozioni vengono prima delle parole che sono l’espressione della nostra ragione: se per i giovani, allora, è incomprensibile una vita senza musica, vuol dire, forse, che le parole della nostra società sono per loro insignificanti? Che non trovano ascolto le loro parole che sono diverse dalle solite? O forse che nell’ipocrisia generale della nostra società (composta da individui-maschere omologati che nascondono la verità di se stessi) per i giovani la musica è uno strumento privilegiato per accedere alla loro dimensione più profonda, divenendo, così, esempio per tutti contro ogni conformismo? Probabilmente i giovani hanno capito la lezione di Nietzsche che dice: “Tra santi e prostitute, tra Dio e mondo, la danza”. La musica e il ballo come liberazione del corpo che, andando oltre i codici della ragione, riesce a familiarizzare con quella parte di noi rimossa dalle ragioni dell’omologazione sociale. Allora ben venga l’iniziativa di Art Village a San Severo che mette a disposizione dei giovani una sala prove “free music”.

 

 
 
 

se sei il ventre del mondo diventerai come un bambino immortale

Post n°9 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
Tag: lao tzu
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Conoscere il mascolino e tuttavia afferrarsi al femminile significa essere il ventre del mondo. Se sei il ventre del mondo e non ti distacchi mai dall’eterno potere del Tao, ridiventerai come un bambino, immortale” §. 28. Mascolino e femminile insieme significa cogliere quella complementarità prima di ogni distinzione: così si è il ventre del mondo [ritorna l’idea del vuoto (non-essere) che accoglie e genera: “Il non-essere dà origine all’unità. L’unità dà origine allo yin e allo yang. Lo yin e lo yang danno origine al cielo. Alla terra e agli esseri. Il cielo, la terra e gli esseri danno origine a tutto ciò che esiste". § 42]. Che la legge fondamentale del Tao sia l’unità originaria che ospita le due polarità è un pensiero distante dal nostro il quale, abituato dalla logica della ragione (principio di non contraddizione) ad opporre le cose e distinguerle, divide la realtà in elementi frammentati ed antagonisti favorendo il processo di oggettivazione che comporta il senso del possedere, del dominare. Pensare nella distinzione significa pensare nello smarrimento del fondamento originario, quando ogni cosa, separandosi dall’altra, si erge falsamente a totalità e si assolutizza nella divisione dimenticando l’Uno.  “Quando tutti riconoscono che una cosa è bella, un’altra diventa brutta. Quando un uomo viene ritenuto buono, un altro viene giudicato cattivo. Ma l’essere e il non-essere si equilibrano a vicenda, il difficile e il facile si definiscono a vicenda, il lungo e il corto si misurano a vicenda” §. 2. Quindi nessuno dei due poli ha un valore superiore all’altro, anzi nessuno dei due poli può fare a meno dell’altro perché l’uno determina lo stato dell’altro. Allora se i due poli convivono ed essendo questo un rapporto dinamico, ogni processo pone in essere il suo opposto in un’alternanza ciclica. Tutti siamo convinti che bene e male si escludano a vicenda; per Lao-Tzu i due principi sono complementari, si sorreggono a vicenda e come tutti gli opposti sfumano l’uno nell’altro: “Il bene si basa sul male. Il male si nasconde nel bene: chi conosce il punto di svolta?” §. 58. Per ritrovare l’unità originaria del Tao bisogna acquisire quella flessibilità che è capacità di adattarsi al fluire delle cose (adeguarsi al fluire è il contrario d’imporre un ordine, di esercitare un possesso, la volontà di potenza che ha caratterizzato la storia del nostro Occidente): “Niente sotto il cielo è così morbido e flessibile come l’acqua, eppure niente è altrettanto capace di vincere il duro e il forte. Il debole vince il forte. Il morbido vince il duro. Tutti sanno queste verità, ma nessuno è capace di metterle in pratica” § 78. In fin dei conti il messaggio del Tao è chiaro: bisogna morire per vivere, morire alla distinzione della ragione per cogliere l’unità originaria, raggiungere quel “vuoto” in grado di farci “vedere” il senso a-razionale delle cose: “Raggiungi il vuoto e l’apertura. Coltiva la calma. Assorbi l’armonia. Conserva la tranquillità. Mentre le diecimila cose sorgono e svaniscono, contempla il loro ritorno alla radice. Tutto ciò che fiorisce si dissolve di nuovo nella fonte. Dissolversi nella fonte è ritrovare la pace. Ritrovare la pace è riacquistare la propria vera natura. Riacquistare la propria vera natura è conoscere la costanza del Tao. L’unità col Tao è libertà dal dolore, è indescrivibile piacere, vita eterna.”§. 16. (seconda parte - fine)

 

 
 
 

domina il mondo e lo rovinerai, afferralo e lo perderai

Post n°8 pubblicato il 14 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Il pensiero delle origini – quello che si è manifestato dal VI secolo a.C. sia in Occidente che in Oriente – non parla il linguaggio del possesso. “Se cerchi di conquistare il mondo e farne quel che vuoi, non avrai successo. Il mondo è un contenitore dello spirito e non è fatto per essere manipolato. Dominalo, e lo rovinerai. Afferralo, e lo perderai” (Lao-Tzu, Tao te Ching §. 29). Da dove deriva questa antica saggezza? Come spiegarci il desiderio di dominio, la frenesia dell’accumulo e del possesso, della crescita illimitata che ci animano e che stanno modificando (in maniera irreversibile?) la faccia della terra e rovinando la nostra relazione col mondo? Lao-Tzu [vissuto, secondo la tradizione, nel VI secolo a.C. in Cina] ci risponderebbe che, essendoci una interconnessione tra la nostra natura interiore e quella esteriore, quando ignoriamo le leggi dell’armonia cosmica [“Non violentare le cose, o ne sarai violentato” §. 64] il nostro equilibrio interiore è sconvolto e tale sconvolgimento si manifesta nel rapporto di conquista e dominio del mondo [“Gli uomini comuni odiano soprattutto essere piccoli, incapaci e immeritevoli. Tuttavia è in questo modo che gli uomini superiori descrivono se stessi. Guadagnare è perdere; perdere è guadagnare” §. 42]. E’ l’espressione della volontà di potenza dell’uomo che vuole imporre il proprio ordine alla natura. Come guarire? “Abbandona ciò che è fuori. Coltiva ciò che è dentro. Vivi per il tuo centro” §. 12. Trovare il centro del proprio essere, il centro vuoto, è trovare il Tao [difficile tradurre questa parola – la sua intraducibilità segno della sua inafferrabilità – che all’origine significava “via” ed in seguito significò “ordine dell’universo” e “azione giusta” dell’uomo conforme a quest’ordine]. “Trenta raggi si riuniscono in un centro vuoto ma la ruota non girerebbe senza quel vuoto. Un vaso è fatto di solida argilla, ma è il vuoto che lo rende utile. Per costruire una stanza, devi aprire porte e finestre; senza quei vuoti, non sarebbe abitabile. Dunque, per utilizzare ciò che è devi utilizzare ciò che non è” §. 11. Se l’idea del vuoto richiama quella dell’assenza [considerata precedentemente per Anassimandro] non siamo lontani dal vero se si considera il Tao come il fondamento dell’essere in quanto totalità onnicomprensiva che per la sua nullità (vuoto) di ente è in grado di ospitare gli enti quanto al loro apparire. Può salvarci un pensiero che dal vuoto rinvia (l’assenza che richiama una presenza) a quell’origine onnicomprensiva precedente a tutte le differenze e distinzioni? A quell’origine che per la sua natura [inafferrabile perché vuoto, non-essere] rende insensato il possedere, l'accumulare, il dominare? (prima parte)

 

 
 
 

ma di cosa parliamo?

Post n°7 pubblicato il 12 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Talvolta uso facebook per inviare un messaggio a più utenti, ma anche per tastare il livello della comunicazione giovanile (lo strumento è molto usato dai giovani). Purtroppo spesso è una delusione: tra “cazzeggi”  che riproducono luoghi comuni, post standardizzati o la “rivelazione” di azioni eclatanti compiute dallo scrivente (“Franco si è alzato nervoso” … “Maria si sta scaccolando il naso” …), risulta arduo rintracciare una comunicazione profonda. Sembrerebbe che la potenza dello strumento [con due click ci si può mettere in contatto con l’altra parte del mondo] non riesca a stare al passo con la sua finalità [instaurare una comunicazione]. Lo strumento ha prevalso sul fine: l’estensione della comunicazione ha avuto il sopravvento sulla sua intensità. Anche se sono individui che scrivono, ciò che si legge sembra tutto impersonale, nulla a che fare con la singolarità dell'esistenza, con la sua interiorità; esteriorità, leggerezza, immediatezza impulsiva, banalità della chiacchiera che corrode ogni dialogo. Scrive Heidegger: “Nell’uso dei mezzi di comunicazione pubblici, ognuno è come l’altro. Questo essere assieme dissolve completamente il singolo esserci nel modo di essere ‘degli altri’, sicchè gli altri dileguano ancora di più nella loro particolarità e determinatezza. In questo stato di irrilevanza e di indistinzione il Si esercita la sua tipica dittatura. Ce la passiamo e ci divertiamo come ci si diverte; leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e di arte come si vede e si giudica; troviamo scandaloso ciò che si trova scandaloso. Il Si, che non è un esserci determinato, ma tutti (non però come somma), decreta il modo di essere della quotidianità… La medietà sorveglia ogni eccezione. Ogni primato è silenziosamente livellato. Ogni originalità è dissolta nel risaputo, ogni segreto perde la sua forza. La cura della medierà rivela una nuova ed essenziale tendenza dell’esserci: il livellamento di tutte le possibilità di essere….”. Alla dittatura del Si [all'omologazione] ci si sottomette perché è tranquillizzante fare e comportarsi come generalmente “si” fa e ci “si” comporta. E’ il vivere della quotidianità in cui si riduce il più possibile l’eccezionale, il diverso, per uniformarsi a quel modo d’essere che è “in generale”. E’ possibile auspicare che la comunicazione d’esistenza [il rapporto empatico fatto di ascolto autentico e di parole significative] abbia il sopravvento sull'uso superficiale dello strumento? Trovare un po’ di post intelligenti, divergenti, insoliti, originali su network come facebook sì che "il colloquio - come dice Gadamer - possieda una forza trasformatrice e lasci in noi qualcosa che ci ha cambiato" ?

 
 
 

si può cambiare?

Post n°6 pubblicato il 10 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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In politica siamo contesi tra il realismo della ragione e l’idealismo dell’immaginazione. Realisticamente sperimentiamo che contiamo sempre meno [il cittadino trattato come un suddito, riverito e ricercato al momento del voto e poi abbandonato perché non serve più], abbiamo l’impressione di non essere noi a decidere. Ci sentiamo ingabbiati in un sistema [economico]  che ci usa e di cui costituiamo i meccanismi: siamo gli strumenti utilizzati dalla politica/economia per perpetuare il sistema stesso.  Non decidiamo noi ciò che dobbiamo fare, ma eseguiamo semplicemente ordini: il Fare si è separato ed ha subordinato a sé l’Agire (= lo spazio decisionale degli uomini sulla direzione delle nostre azioni). La nostra immaginazione si ribella: sogna un mondo diverso e vuole cambiare. Probabilmente non sulla spinta di questa o quella ideologia [arnesi del passato] ma perché non vuole appiattirsi nel ruolo di funzionaria di un sistema e così si apre degli spazi di possibilità: è la trascendenza (l’insopprimibile bisogno di andare oltre: ec-sistenza) che fa dire all’uomo “un altro mondo è possibile”. Si potrà realizzare il sogno? Tornando al realismo della ragione constatiamo che la forza del sistema/apparato [economico] è nella riduzione dell’uomo a mezzo favorendone un consenso passivo: ma se si agisce nella direzione del rafforzamento del potere del cittadino per lo meno una scossa al sistema (e quindi alle consorterie economiche e politiche che lo costituiscono) si potrebbe darla. E’ il passaggio dalla sovranità teorica sancita dall’art. 1 della nostra Costituzione ad una effettiva sovranità pratica: cittadino non più suddito, ma padrone di casa. Potere effettivo di controllo sulla economia e sulla politica: l’Agire riprende il controllo sul Fare. Utopia? Non lo so. Comunque sono interessanti quelle esperienze che si muovono in questa direzione come ad esempio il Movimento Cinque Stelle lanciato da Beppe Grillo il cui programma superando il vecchiume dello scontro ideologico (né destra, né centro, né sinistra) sostiene il recupero della centralità del potere [di controllo in particolare] del cittadino sull’economia e la politica.


 

 
 
 

il tutto avvolgente di Anassimandro

Post n°5 pubblicato il 09 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Oggi con i ragazzi di terza abbiamo studiato Anassimandro (“Principio di tutte le cose è l’àpeiron che comprende in sé tutte le cose e a tutte le cose è guida.”).  Nella discussione ci siamo soffermati sul termine principio (archè): come intenderlo? Noi occidentali, cresciuti in una cultura cristiana e poi tecnico-scientifica, affibbiamo a questo termine il significato di causa. La relazione di causa, introdotta dalla ragione, ci ha liberato dall’angoscia e dalla paura perché ha messo ordine nel mondo: un fenomeno fintanto che è ignoto ci fa paura, quando scopriamo da che cosa deriva rientra sotto il nostro controllo. Tutte le cose nel momento in cui soggiacciono alla relazione di causa sono sottoposte alla nostra disponibilità: la categoria della utilità (a che servono?) determina il senso delle cose [il denaro completa l’opera perché consente l’appropriazione/utilizzazione delle cose]. Dio ci rassicura perché è la super-causa di tutto. La scienza non ha ragionato diversamente dalla cultura cristiana facendo della relazione di causa l’ossatura della fisica. Anche Dio – sebbene sia definito l’essere – è diventato un ente (super-ente) ed in quanto tale noi ne disponiamo. L’apeiron di Anassimandro parla, invece, un linguaggio precedente alla nostra riduzione di tutto ad ente: parla il linguaggio dell’essere. Esso è l’inesauribile, l’infinito, è ciò che abbracciando fornisce l’essere alle cose. Non è la causa trascendente (come Dio) esterna al mondo, ma è una trascendenza immanente perché l’essere essendo onnicomprensivo consente l’accadere dell’ente ma non si identifica con esso: quando appare l’ente, l’essere indietreggia e scompare (una presenza che si annuncia nell’assenza) lasciando l’apertura e non rinchiudendo l’orizzonte in quello della utilizzabilità. Dovremmo ritornare a questo linguaggio per guarire dalla smania del possesso.

 

 
 
 

"è tutto falso"

Post n°4 pubblicato il 09 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Ci sono le testimonianze, ci sono i fatti accertati dai processi, ci sono le prove, ci sono le intercettazioni ...., ma "è tutto un complotto; non è mai successo niente di quello che dicono!". Negare, negare, negare, nonostante l'evidenza. La negazione semplifica la realtà: o meglio adattiamo la realtà - che è notoriamente complessa e complicata - alla nostra immaginazione - semplificata - di essa. E' una forma di dominio (e in quanto tale  rassicurante) della complessità del reale. Il diniego assume varie figure: il discredito, la definizione errata, il giustificazionismo o addirittura il diniego assoluto secondo cui "non è proprio successo". Se la realtà è negata rimaniamo passivi di fronte ad essa: cade la sensibilità, il senso civico, il senso della comunità. Quando poi lo strumento della negazione è usato deliberatamente (perchè chi lo usa sa che tutto ciò che nega è invece vero) da chi ha responsabilità politiche; quando, grazie al controllo dell'informazione, si amplifica la negazione che viene ripetuta come un messaggio ossessivo con il risultato d’insinuare il dubbio in chi è lontano dai fatti, ci troviamo di fronte ad un grave problema per la tenuta della democrazia perché le scelte e le decisioni dei cittadini, non essendo consapevoli per l’immagine falsata della realtà, saranno irresponsabili. La negazione/occultamento è stata una pratica costante nella storia della nostra Repubblica (l’Italia dei misteri), pratica, indubbiamente, funzionale al mantenimento di un determinato assetto di potere. Ricercare cocciutamente la verità (= togliere il velo dai misteri), sostenere la libertà d’informazione, privilegiare l’informazione non serva del potere, coincide con il potenziamento della speranza del cambiamento.

 
 
 

GAS-zero a San Severo

Post n°3 pubblicato il 07 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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Ci lamentiamo di contare poco, siamo sfiduciati nella possibilità di cambiare le cose: sembra che le vicende del mondo accadano al di là dell'ininfluente nostra azione. Questo, forse, spiega la sfiducia nella politica ed il fatalismo che spesso ci prende. Questo accade, probabilmente, perchè non usiamo convincenti strumenti per modificare una realtà che mal sopportiamo; o meglio riteniamo inefficaci quegli strumenti che normalmente usiamo per modificare la realtà (una parola di protesta, uno sciopero, una manifestazione...). E se usassimo il mezzo fondamentale che è diventato il punto di riferimento generale che regola sostanzialmente la nostra vita? Che cosa? il denaro! Dovremmo prendere in seria considerazione la potenza del denaro, del nostro denaro (che è quello che riusciamo a controllare: infatti i grandi flussi di denaro - ad esempio quelli pubblici - per un perverso meccanismo e pur essendo denaro che proviene dalle nostre tasche ci è sottratto al controllo): abbiamo il potere di decidere come spendere il nostro denaro, possiamo orientarlo in un senso o in un altro con evidenti differenze nelle conseguenze. Se io acquisto un maglione in un negozio il cui proprietario è persona discutibile perchè si è procurato illegalmente il denaro per aprire la sua attività, io alimento l'attività criminale nella mia città. Mentre se spendo gli stessi soldi in un negozio "per bene" io alimenterò la sana economia della mia città. Insomma è possibile far politica col carrello della spesa ottenendo risultati tangibili immediatamente. Se poi questo comportamento viene adottato, coerentemente, da cento, mille, decine di migliaia  di persone, le conseguenze avranno un impatto straordinario: potremmo eliminare l'economia illegale e mafiosa. Il potere non ha una forza intrinseca, ma siamo noi che lo rafforziamo col nostro consenso (=dandogli soldi). Un gruppo di nostri concittadini sta tentando di applicare questi principi all'alimentazione: mangiare cibo sicuro (senza veleni), favorire i prodotti della nostra terra (e non quelli che devono fare centinaia di km inquinando l'ambiente), pagare un giusto prezzo agli agricoltori (oggi la maggior parte dei soldi del costo di un bene se la pappano gli intermediari che si passano il prodotto di mano in mano) mettendo in collegamento produttori e consumatori locali. Sono evidenti gli effetti benefici di una scelta del genere: diminuzione delle malattie da avvelenamento, rivalutazione degli antichi sapori, potenziamento della nostra agricoltura locale, benefici per le nostre tasche. Questi nostri concittadini che hanno deciso di spostare il loro denaro dal canale tradizionale degli acquisti a questo alternativo hanno formato un G.A.S. (= gruppo di acquisto solidale): GAS ZERO

 
 
 

la decrescita felice

Post n°2 pubblicato il 06 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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"La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio." (Pallante)

http://www.decrescitafelice.it/

 
 
 

che cos'è la filosofia

Post n°1 pubblicato il 06 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 
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" Filosofia" significa, in verità: essere in cammino. Le interrogazioni e le domande sono per essa più essenziali delle risposte, e ogni risposta viene nuovamente e continuamente rimessa in questione. (Jaspers)

"Ogni interrogare essenziale della filosofia permane necessariamente inattuale. E questo sia perchè la filosofia si spinge molto più avanti del suo presente attuale, sia perchè essa ricongiunge il proprio presente al suo remoto ed iniziale passato: in ogni caso la filosofia permane un genere di sapere che non solo non si lascia attualizzare ma, al contrario, sottopone alla propria misura il tempo" (Heidegger)

 
 
 
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