Creato da m_de_pasquale il 05/10/2009
"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
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"La filosofia guarda da un altro livello cose, problemi, sofferenze, desideri, piaceri. E qui cade la solitudine del filosofo che non gode come gli altri, non soffre come gli altri, perchè non guarda le cose al livello dove le vedono gli altri. Per questo il filosofo è solo e incompreso. Della solitudine ringrazia ogni giorno gli dèi che gli tolgono di torno gli abitatori del tempo; dell'incomprensione si rammarica, non per sé ma per gli altri che non sanno quello che dicono e fanno." (Galimberti)
Come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere |
Post n°12 pubblicato il 22 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
Il dizionario così definisce l’ansia: stato tormentoso dell’anima, provocato dall’incertezza circa il conseguimento di un bene sperato o la minaccia di un male temuto. L’ansia è uno stato d’animo che in apparenza sembra abbia a che fare con il futuro (la gravità del compito che devo sostenere “mi mette in ansia”, il pericolo che mi potrebbe accadere “mi mette in uno stato di agitazione ansiosa”, …), ma forse è più corretto affermare che ha a che fare col mio presente: in ogni situazione di ansia passato e futuro precipitano nel presente, il futuro con tutti i pericoli e le incertezze presagiti viene anticipato. E’ un futuro non vissuto come “possibilità” (Kierkegaard: “L’angoscia - l’ansia - si può paragonare alla vertigine della libertà” e quindi della possibilità), ma come già realizzato nel presente. Ho avuto modo di osservare tra i miei studenti lo stato d’animo dell’ansia come condizione legata all’adolescenza e di cui quell’ansia, che si presenta in occasione di particolari prove (interrogazioni, compiti, …), ne è solo una manifestazione. Nelle pieghe delle contraddizioni che entrano in gioco nel passaggio tra l’adolescenza e la preadolescenza va ricostruito lo scenario dell’ansia. Le chiarisce Eugenio Borgna: “ Le contraddizioni fra le esigenze personali dell’adolescente, e le attese (le sollecitazioni) dell’ambiente familiare e sociale; le contraddizioni fra la coscienza immaginaria, dalla quale provengono gli impulsi creativi, i sogni, le fantasie, le speranze e gli ideali, e la coscienza reale, con la quale avviene la valutazione obiettiva delle realtà sociali ed interpersonali, dei compiti e delle mete che ciascuno di noi si trova ad affrontare; le contraddizioni fra la conservazione e la continuazione di quelle che sono state le precedenti forme di vita e le modificazioni che il salto nella postadolescenza trascina con sé; le contraddizioni, infine, fra l’esigenza di modelli di comportamento spontanei e liberi da legami e da vincoli, e l’esigenza di inserirsi nel solco degli ordinamenti sociali dominanti”. Quindi quando l’integrazione tra adolescenza e postadolescenza non riesce, possono manifestarsi esperienze ansiose che in genere non evolvono patologicamente (come ad esempio nella tossicomania ed anoressia, e purtroppo anche nella schizofrenia o nel suicidio). Volendo semplificare, l’ansia è quella condizione che mi pervade di fronte alla novità del futuro, al compito che mi spetta, stato d’animo che può essere più o meno enfatizzato a seconda della immaginazione di ciò che mi spetta. Ho riletto in questi giorni il Manuale di Epitteto (filosofo stoico vissuto a Roma nel I secolo d.C.) e vi ho trovato alcune indicazioni che potrebbero contribuire a governare l’ansia che sempre più oggi si presenta come conseguenza della nostra idea di inadeguatezza ai compiti richiesti o ai modelli che risultano dominanti. Per iniziare teniamo bene a mente che ciò che turba l'uomo non sono i fatti, ma la sua immaginazione: “Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti” §. 5; “Quando vedi qualcuno in lacrime non farti trascinare dalla rappresentazione, ma pensa: lo affligge non ciò che è accaduto, bensì il suo giudizio sull’accaduto” §. 16. Non tutto ciò che immaginiamo è in nostro potere e quindi non possiamo incidere su di esso: “Esercitati a dire a ogni rappresentazione che ti colpisca per la sua asprezza: sei soltanto una rappresentazione, non sei affatto ciò che sembri in apparenza. Poi analizzala e sottoponila alla valutazione degli strumenti in tuo possesso, accertando se essa sia relativa a cose che ricadono in nostro potere ovvero a quelle che non vi rientrano” §. 1. Liberarsi dalle preoccupazioni frutto della nostra immaginazione: “Se vuoi progredire, lascia da parte i ragionamenti di questo genere: se trascurerò i miei beni non avrò di che vivere. Meglio morire di fame, ma libero da afflizioni e paure, piuttosto che vivere nell’abbondanza, ma nell’inquietudine.” §. 12. Se noi volessimo agire su qualcosa che non è in nostro potere “inevitabilmente falliremo” §. 2. Per essere un uomo libero “devi disprezzare ciò che non dipende da noi” §. 19. A noi che ci affanniamo nella competizione sociale, verso obiettivi che superano le nostre forze perché tutto va in questa direzione (più veloce, più forte, …), dice Epitteto: “Se hai assunto un ruolo che va oltre le tue possibilità, oltre a rimediare, in quello, una brutta figura, hai trascurato il ruolo che era alla tua altezza” §. 37. E’ la riproposizione di quel grande principio che ha caratterizzato il pensiero greco: la giusta misura. “La morte e tutto ciò che appare terribile ti sia quotidianamente davanti agli occhi: non avrai mai alcun pensiero meschino, né desidererai mai nulla oltre misura” §. 21. |
Post n°10 pubblicato il 18 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
Tradizionalmente la musica è stata ritenuta l’espressione dell’armonia che ha a che fare con la spiritualità, con l’equilibrio, con la pace interiore. Platone nella Repubblica salvava solo la lira e la cetra (strumenti di Apollo, dio dell’ordine e delle forme) e bandiva gli auloi (strumenti di Dioniso, dio della confusione). Nella pratica musicale dei giovani emerge, invece, una esperienza della musica che è più vicina alla contraddizione che alla pacificazione. Più che essere uno specchio dell’immobilità dell’essere sembra essere l’espressione del movimento tra essere e non-essere. Bloch parla della natura utopica della musica: esperienza dello scarto tra ciò che noi siamo e ciò che sappiamo di noi, e pertanto la musica è l’utopia di se stessi (capacità di risvegliare la nostra dimensione più profonda che ci appartiene ma di cui siamo inconsapevoli). La problematicità del futuro, le incertezze e le paure di un progetto (= tensione verso il futuro) di vita, spiegano, nella vita dei giovani, l’insistenza sul presente e forse il desiderio di un ritorno a quel passato da cui abbiamo origine (mi piace pensare che il ritmo/ripetitivo che caratterizza molta musica ascoltata dai giovani ricordi il ritmo del nostro respiro, del battito cardiaco, i primi ritmi sentiti quando eravamo nella pancia della madre). Uscire fuori dal tempo: mi diceva una ragazza che quando balla il suo corpo si immedesima col ritmo frenetico, provando un senso di leggerezza, evanescenza capace di far dimenticare tutto, “è come se mi ubriacassi”. La musica si “sente” col corpo, è il “linguaggio” delle emozioni suscitate nel nostro corpo o recepite da esso; e le emozioni vengono prima delle parole che sono l’espressione della nostra ragione: se per i giovani, allora, è incomprensibile una vita senza musica, vuol dire, forse, che le parole della nostra società sono per loro insignificanti? Che non trovano ascolto le loro parole che sono diverse dalle solite? O forse che nell’ipocrisia generale della nostra società (composta da individui-maschere omologati che nascondono la verità di se stessi) per i giovani la musica è uno strumento privilegiato per accedere alla loro dimensione più profonda, divenendo, così, esempio per tutti contro ogni conformismo? Probabilmente i giovani hanno capito la lezione di Nietzsche che dice: “Tra santi e prostitute, tra Dio e mondo, la danza”. La musica e il ballo come liberazione del corpo che, andando oltre i codici della ragione, riesce a familiarizzare con quella parte di noi rimossa dalle ragioni dell’omologazione sociale. Allora ben venga l’iniziativa di Art Village a San Severo che mette a disposizione dei giovani una sala prove “free music”.
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Il pensiero delle origini – quello che si è manifestato dal VI secolo a.C. sia in Occidente che in Oriente – non parla il linguaggio del possesso. “Se cerchi di conquistare il mondo e farne quel che vuoi, non avrai successo. Il mondo è un contenitore dello spirito e non è fatto per essere manipolato. Dominalo, e lo rovinerai. Afferralo, e lo perderai” (Lao-Tzu, Tao te Ching §. 29). Da dove deriva questa antica saggezza? Come spiegarci il desiderio di dominio, la frenesia dell’accumulo e del possesso, della crescita illimitata che ci animano e che stanno modificando (in maniera irreversibile?) la faccia della terra e rovinando la nostra relazione col mondo? Lao-Tzu [vissuto, secondo la tradizione, nel VI secolo a.C. in Cina] ci risponderebbe che, essendoci una interconnessione tra la nostra natura interiore e quella esteriore, quando ignoriamo le leggi dell’armonia cosmica [“Non violentare le cose, o ne sarai violentato” §. 64] il nostro equilibrio interiore è sconvolto e tale sconvolgimento si manifesta nel rapporto di conquista e dominio del mondo [“Gli uomini comuni odiano soprattutto essere piccoli, incapaci e immeritevoli. Tuttavia è in questo modo che gli uomini superiori descrivono se stessi. Guadagnare è perdere; perdere è guadagnare” §. 42]. E’ l’espressione della volontà di potenza dell’uomo che vuole imporre il proprio ordine alla natura. Come guarire? “Abbandona ciò che è fuori. Coltiva ciò che è dentro. Vivi per il tuo centro” §. 12. Trovare il centro del proprio essere, il centro vuoto, è trovare il Tao [difficile tradurre questa parola – la sua intraducibilità segno della sua inafferrabilità – che all’origine significava “via” ed in seguito significò “ordine dell’universo” e “azione giusta” dell’uomo conforme a quest’ordine]. “Trenta raggi si riuniscono in un centro vuoto ma la ruota non girerebbe senza quel vuoto. Un vaso è fatto di solida argilla, ma è il vuoto che lo rende utile. Per costruire una stanza, devi aprire porte e finestre; senza quei vuoti, non sarebbe abitabile. Dunque, per utilizzare ciò che è devi utilizzare ciò che non è” §. 11. Se l’idea del vuoto richiama quella dell’assenza [considerata precedentemente per Anassimandro] non siamo lontani dal vero se si considera il Tao come il fondamento dell’essere in quanto totalità onnicomprensiva che per la sua nullità (vuoto) di ente è in grado di ospitare gli enti quanto al loro apparire. Può salvarci un pensiero che dal vuoto rinvia (l’assenza che richiama una presenza) a quell’origine onnicomprensiva precedente a tutte le differenze e distinzioni? A quell’origine che per la sua natura [inafferrabile perché vuoto, non-essere] rende insensato il possedere, l'accumulare, il dominare? (prima parte)
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In politica siamo contesi tra il realismo della ragione e l’idealismo dell’immaginazione. Realisticamente sperimentiamo che contiamo sempre meno [il cittadino trattato come un suddito, riverito e ricercato al momento del voto e poi abbandonato perché non serve più], abbiamo l’impressione di non essere noi a decidere. Ci sentiamo ingabbiati in un sistema [economico] che ci usa e di cui costituiamo i meccanismi: siamo gli strumenti utilizzati dalla politica/economia per perpetuare il sistema stesso. Non decidiamo noi ciò che dobbiamo fare, ma eseguiamo semplicemente ordini: il Fare si è separato ed ha subordinato a sé l’Agire (= lo spazio decisionale degli uomini sulla direzione delle nostre azioni). La nostra immaginazione si ribella: sogna un mondo diverso e vuole cambiare. Probabilmente non sulla spinta di questa o quella ideologia [arnesi del passato] ma perché non vuole appiattirsi nel ruolo di funzionaria di un sistema e così si apre degli spazi di possibilità: è la trascendenza (l’insopprimibile bisogno di andare oltre: ec-sistenza) che fa dire all’uomo “un altro mondo è possibile”. Si potrà realizzare il sogno? Tornando al realismo della ragione constatiamo che la forza del sistema/apparato [economico] è nella riduzione dell’uomo a mezzo favorendone un consenso passivo: ma se si agisce nella direzione del rafforzamento del potere del cittadino per lo meno una scossa al sistema (e quindi alle consorterie economiche e politiche che lo costituiscono) si potrebbe darla. E’ il passaggio dalla sovranità teorica sancita dall’art. 1 della nostra Costituzione ad una effettiva sovranità pratica: cittadino non più suddito, ma padrone di casa. Potere effettivo di controllo sulla economia e sulla politica: l’Agire riprende il controllo sul Fare. Utopia? Non lo so. Comunque sono interessanti quelle esperienze che si muovono in questa direzione come ad esempio il Movimento Cinque Stelle lanciato da Beppe Grillo il cui programma superando il vecchiume dello scontro ideologico (né destra, né centro, né sinistra) sostiene il recupero della centralità del potere [di controllo in particolare] del cittadino sull’economia e la politica.
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Ci lamentiamo di contare poco, siamo sfiduciati nella possibilità di cambiare le cose: sembra che le vicende del mondo accadano al di là dell'ininfluente nostra azione. Questo, forse, spiega la sfiducia nella politica ed il fatalismo che spesso ci prende. Questo accade, probabilmente, perchè non usiamo convincenti strumenti per modificare una realtà che mal sopportiamo; o meglio riteniamo inefficaci quegli strumenti che normalmente usiamo per modificare la realtà (una parola di protesta, uno sciopero, una manifestazione...). E se usassimo il mezzo fondamentale che è diventato il punto di riferimento generale che regola sostanzialmente la nostra vita? Che cosa? il denaro! Dovremmo prendere in seria considerazione la potenza del denaro, del nostro denaro (che è quello che riusciamo a controllare: infatti i grandi flussi di denaro - ad esempio quelli pubblici - per un perverso meccanismo e pur essendo denaro che proviene dalle nostre tasche ci è sottratto al controllo): abbiamo il potere di decidere come spendere il nostro denaro, possiamo orientarlo in un senso o in un altro con evidenti differenze nelle conseguenze. Se io acquisto un maglione in un negozio il cui proprietario è persona discutibile perchè si è procurato illegalmente il denaro per aprire la sua attività, io alimento l'attività criminale nella mia città. Mentre se spendo gli stessi soldi in un negozio "per bene" io alimenterò la sana economia della mia città. Insomma è possibile far politica col carrello della spesa ottenendo risultati tangibili immediatamente. Se poi questo comportamento viene adottato, coerentemente, da cento, mille, decine di migliaia di persone, le conseguenze avranno un impatto straordinario: potremmo eliminare l'economia illegale e mafiosa. Il potere non ha una forza intrinseca, ma siamo noi che lo rafforziamo col nostro consenso (=dandogli soldi). Un gruppo di nostri concittadini sta tentando di applicare questi principi all'alimentazione: mangiare cibo sicuro (senza veleni), favorire i prodotti della nostra terra (e non quelli che devono fare centinaia di km inquinando l'ambiente), pagare un giusto prezzo agli agricoltori (oggi la maggior parte dei soldi del costo di un bene se la pappano gli intermediari che si passano il prodotto di mano in mano) mettendo in collegamento produttori e consumatori locali. Sono evidenti gli effetti benefici di una scelta del genere: diminuzione delle malattie da avvelenamento, rivalutazione degli antichi sapori, potenziamento della nostra agricoltura locale, benefici per le nostre tasche. Questi nostri concittadini che hanno deciso di spostare il loro denaro dal canale tradizionale degli acquisti a questo alternativo hanno formato un G.A.S. (= gruppo di acquisto solidale): GAS ZERO |
Post n°2 pubblicato il 06 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
"La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio." (Pallante) |
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