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Messaggi del 29/03/2010

 

IL CORSIVO:OCCHIALI, TIMIDEZZA, COSTUME&SOCIETA', MODA, PSICOLOGIA, SOLE, UOMINI, DONNE, SESSUALITA'

Post n°3932 pubblicato il 29 Marzo 2010 da psicologiaforense

IL CORSIVO

Occhiali da sole? Uno schermo
anti-timidezza




Gli occhiali da sole? Non è solo una moda: un italiano su due li mette per eccessiva timidezza. Più che per proteggersi dal sole, o perché fa «in», gli occhiali da sole vengono indossati per proteggersi dagli altri. Mettersi al riparo dallo sguardo altrui o mascherare le proprie emozioni diventa una delle motivazioni principali per cui, da adesso fino a quest'estate, si andrà in giro «mascherati». Infatti, a utilizzare le lenti scure unicamente per la loro reale funzione protettiva dai raggi ultravioletti è solo un italiano su cinque. È quanto emerge da una ricerca effettuata su circa 850 italiani di età compresa tra i 18 e i 50 anni. Per cominciare: perché gli italiani indossano gli occhiali da sole? Solo il 21% degli intervistati – poco più di un italiano su cinque – afferma di ricorrervi unicamente per proteggersi dai raggi del sole troppo forte. Per gli altri, a prevalere sono altre motivazioni. Innanzitutto, quella di proteggersi dallo sguardo altrui. Il 45% degli italiani, infatti, quasi uno su due, ammette candidamente che indossa e indosserà un paio di lenti scure «per timidezza o per paura di sentirsi osservato dagli altri». Insomma, una vera e propria fuga dagli sguardi indagatori. A soffrire maggiormente di questo tipo di timidezza sono di più gli uomini (68%) delle donne (32%) e la fascia d'età più a rischio è quella dei quarantenni (33%), che risulterebbero più timidi dei ventenni (15%). È evidente inoltre che l'essere coperti dall'occhiale scuro ha anche un certo nesso con la sessualità e il rapporto complesso e misterioso che con questa ognuno di noi ha o nasconde.

 
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LA FOTO CURIOSA DEL GIORNO

Post n°3931 pubblicato il 29 Marzo 2010 da psicologiaforense

 

 

Al dito due milioni di dollari.
Nella sede della casa d'aste di Christie's a Hong Kong una modella mostra un anello di diamanti del valore compreso tra 1.250.000 e 2.000.000 di dollari che sarà messo all'asta il prossimo maggio (Afp)
 
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ULTIMA ORA: ELISA CLAPS, DELITTO DI POTENZA, CRIMINOLOGIA, CRIMINALISTICA, PSICOLOGIA FORENSE, MESSINSCENA, MISTERI,

Post n°3930 pubblicato il 29 Marzo 2010 da psicologiaforense

Il ritrovamento del cadavere di Elisa? «Una messinscena»

 

Un ritrovamento che puzza di montatura. Terribile pensarlo, terribile scriverlo. Ma anche tra gli inquirenti il sospetto è forte. Nulla di ufficiale, ma una frase buttata lì conferma come ’a nuttata non è ancora passata: «Per almeno tre volte si è cercato di far scoprire ad altri il corpo di Elisa Claps». Una serie infame di pseudo-avvistamenti «pilotati» di cui, quello del 17 marzo, avrebbe rappresentato l’unico andato a buon fine.
Il senso di questa macabra melina è l’ennesimo rompicapo in un giallo già di per sé complicato. Certo è che attorno a quel maledetto sottotetto della Santissima Trinità che nascondeva il corpo della studentessa sparita 17 anni fa ha ronzato (in tempi e con modalità diverse) una folla di persone: dal vescovo ai due parroci della cattedrale, dalle due donne delle pulizie ai tecnici della ditta incaricata di riparare le infiltrazioni d’acqua. E poi chissà quanti altri, considerato che nella «tomba» di Elisa ci sono chiare tracce di vari passaggi (tegole rimosse, un materasso lercio, detriti coperti di polvere e altri stranamente «puliti»).
Ma tutti quelli che si sono infilati nel budello - dove una mano misteriosa ha avuto cura di tagliare i fili della luce - ora negano di aver visto «veramente» qualcosa; ci si dà reciprocamente del bugiardo scegliendo, prudentemente, di cambiare aria. Le due donne delle pulizie (mamma e figlia) che, già a gennaio, avrebbero avvisato il viceparroco della presenza dei resti di Elisa, hanno lasciato la città; chiusi come in un bunker pure i due sacerdoti «titolari» della Santissima Trinità, mentre il vescovo - dopo il contraddittorio profluvio di parole dei giorni scorsi - ha ridotto le esternazioni.
Ieri, domenica delle Palme, sui muri della cattedrale potentina dove Elisa fu vista l’ultima volta il 12 settembre 1993 sono apparsi manifesti poco lusinghieri verso i rappresentanti ecclesiastici: la sensazione è che i parrocchiani della Santissima Trinità guardino a propri preti con grande diffidenza; il confine tra silenzio e omertà è molto sottile, e qualcuno in abito talare forse l’ha abbondantemente superato.
Oggi, intanto, si apre un’altra settimana intensa per gli investigatori del giallo Claps. Obiettivo primario: «Non perdersi in dettagli inutili, ma trovare le prove che inchiodino l’assassino di Elisa». Ma prima di decidere qualcosa di concreto (probabile una richiesta di rogatoria per interrogare Daniele Restivo, residente in Inghilterra, unico indagato per il caso Claps), la Procura di Salerno dovrà aspettare l’esito dell’autopsia sul corpo della ragazza attesa tra un paio di settimane.
Bisogna capire come la ragazza è stata uccisa e se c’è stata violenza sessuale, un elemento decisivo ai fini processuali. Le prime evidenze sui vestiti alimentano l’ipotesi perché i pantaloni sarebbero stati trovati sbottonati. Il corpo è però in estremo stato di decomposizione (in parte scheletrizzato e in parte mummificato) e gli accertamenti non sono affatto facili. Così l’inchiesta procede su due piani, da una parte le indagini di polizia scientifica che tornerà nella chiesa per altri rilievi nei prossimi giorni e dall’altra l’autopsia. Altro piano di azione è l’ascolto di possibili testimoni. Da questa attività è nata l’ipotesi del ritrovamento anticipato del corpo. Riferendosi alla possibilità che i parroci della Santissima Trinità sapessero del corpo di Elisa già da gennaio, Gildo Claps (uno dei due fratelli della vittima) ha detto: «Se ciò fosse vero, vorrebbe dire che il ritrovamento di mercoledì 17 marzo era una messa in scena. Così avrebbero ucciso mia sorella per la seconda volta».
Anche in Inghilterra seguono con grande attenzione la vicenda di Potenza. A Bournemouth, città balneare del Dorset, dove vive Danilo Restivo, si cerca la verità su un altro omicidio, quello della sarta Heather Barnett, trovata morta il 12 novembre del 2002, uccisa con un grosso corpo contundente, trovata nel bagno di casa con i seni mutilati e con due ciocche di capelli nelle mani. Per questa vicenda Restivo è stato interrogato due volte dai detectives del Dorset. Abita molto vicino alla casa del delitto. Danilo Restivo si è sempre proclamato innocente per la scomparsa di Elisa Claps e non è stato formalmente incriminato per l’omicidio Barnett.
L’estraneità di Restivo dal caso Claps è ribadita dal suo avvocato, Mario Marinelli, che lo difese già nel processo per falsa testimonianza in cui Restivo fu condannato nel 1998 a due anni e 8 mesi per non aver saputo spiegare un buco di oltre un’ora nella ricostruzione dei suoi spostamenti del 12 settembre del ’93.
«Noi - replica la famiglia Claps -, dal 12 settembre 1993, abbiamo indicato Danilo Restivo come principale sospettato della scomparsa di Elisa. Crediamo che dovrebbe rientrare spontaneamente dall'Inghilterra in Italia, riconsegnarsi alle autorità italiane e cominciare a spiegare quella giornata».
Ma questa è solo un’illusione.

 
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PRETI, PEDOFILIA, PAPA, RELIGIONE, TARCISIO BERTONE, RATZINGER, ( VEDI IL PRECEDENTE POST IN MATERIA)

Post n°3929 pubblicato il 29 Marzo 2010 da psicologiaforense

SCELTI PER VOI: MARINA CORRADI
La frenesia livida di sporcare piegare e colpire


Non è vero che la Congregazione per la dottrina della fede, negli anni in cui era guidata da Joseph Ratzinger, insabbiò il procedimento canonico a carico di Lawrence Murphy, il sacerdote americano colpevole di abusi su dei bambini sordi. Chi legga i documenti pubblicati dal New York Times a sostegno di questa accusa scopre che in realtà solo i vertici della Chiesa americana insistettero a indagare su fatti, che erano stati archiviati dalla giustizia civile.

È vero invece che la terribile vicenda delle 29 denunce contestate a padre Murphy – e risalenti ad abusi avvenuti tra il 1950 e il 1974 – arrivò alla Congregazione solo nel 1998, quando l’ ormai anziano sacerdote scrisse a Ratzinger chiedendo l’interruzione del processo anche a causa delle sue gravi condizioni di salute. Tuttavia l’allora segretario della Congregazione, Tarcisio Bertone, rispose ordinando che si procedesse secondo le misure previste dal canone 1341 «per ottenere la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia». Il prete accusato morì quattro mesi dopo.

Della realtà sulla denuncia del New York Times riferiamo a pagina 5. Ma un simile attacco (il secondo in pochi giorni) sulla prima pagina di uno dei più autorevoli quotidiani americani è una cosa che fa pensare. È un piegare quasi con la forza i fatti a una tesi che sembra precostituita e ordinata a uno scopo preciso: attaccare, nella persona del Papa, la Chiesa. Con una determinazione e una tendenziosità che lascia sbalorditi. Le accuse contro quel sacerdote americano sono terribili, ma dopo la prima denuncia il prete venne allontanato e da allora visse ritirato. La giustizia civile lasciò perdere. Da Roma invece, 24 anni dopo l’accaduto, non si consentì alla richiesta di cancellare la vicenda. Chi è l’insabbiatore dunque?

La sproporzione fra le accuse e la realtà è troppa per non vedere la volontà di addossare alla Chiesa l’immagine di una sorta di "cupola" opaca, che sa e non vede, che è informata e finge di ignorare. Quasi come se la dolorosa e limpida lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda, ammettendo le colpe di alcuni sacerdoti e le mancanze di una Chiesa locale, avesse risvegliato un rancore inespresso ma aspro, un’ansia di lanciare accuse gravi e non provate contro la Chiesa tutta, e il Papa per primo. C’è un sentore quasi di voglia di lapidazione in certi titoli forzati, sparati e subito ripresi da altre testate: come quando tra bande di ragazzi si decide all’improvviso che "quello" è il nemico, e insieme lo si attacca.

Perché? Noi non sappiamo di complotti. Abbiamo invece il dubbio di trovarci di fronte a una di quelle onde mediatiche che a volte traversano l’informazione: gli episodi di pedofilia in Irlanda, denunciati dallo stesso Benedetto con una accorata richiesta di verità e giustizia, usati come anello di una catena che va a cercare singoli episodi, ora veri ora dubbi, ora vecchi di trenta o cinquant’anni, in cui gli accusati spesso sono morti; e serra l’uno all’altro gli anelli, fino a farne una catena vera, da prigionieri, che mette addosso ai sacerdoti cattolici, tutti, alla Chiesa, tutta.
Di "onde mediatiche" se ne creano spesso, come se i media amplificassero se stessi in un gioco incontrollabile di echi. Ma questa volta si avverte in alcuni almeno una frenesia strana di lanciare il sasso, di sporcare, di insinuare che, in realtà, coloro agiscono nel nome di Cristo sono poi uguali a noi, e anzi molto peggiori. Il che talvolta tragicamente può essere vero. Ma non cambia la essenza della Chiesa, il suo essere corpo di Cristo, pure fatto di uomini peccatori.

Che strana, livida voglia di fango emerge da certi titoli, dalla realtà piegata e costretta nei propri disegni. Viene in mente l’Eliot dei Cori da «La Rocca», viene in mente quella Straniera che non è amata dagli uomini – perché è «la Testimone»: «Colei che ricorda la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare». La Chiesa, che ancora pretende di affermare che esiste un Bene, e un Male. Che questo dia fastidio? Sembra diretto ai nostri giorni la profezia di Eliot, siamo noi, forse, «gli uomini che deridono/ tutto ciò che è stato fatto di buono».

 
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LA FOTO DEL GIORNO

Post n°3928 pubblicato il 29 Marzo 2010 da psicologiaforense

Nella lunga storia dei molossi, pochi cani hanno avuto un’importanza paragonabile a quella del Tibetan Mastiff o Mastino Tibetano. Questo cane avrebbe avuto origine nell’altopiano del Tibet, dove ancora oggi vive. Considerato da molti studiosi il progenitore di tutti i molossi (sia di quelli a pelo lungo sia di quelli a pelo raso) dal Tibet si è diffuso nel bacino del mediterraneo seguendo le principali rotte commerciali dell’antichità e incrociandosi con le razze locali ha dato origine a numerose altre razze.
La sua origine antica è testimoniata da alcune sue raffigurazioni, addirittura il filosofo Aristotele ebbe modo di ammirarlo, tanto da definirlo un lottatore terribile. In epoche più recenti, ma sempre remote, Marco Polo ne parla come di un cane che allora sembrava essere il gigante della specie canina, che così da lui fu descritto: “hanno grandissimi cani, mastini grandi come asini, che sono buoni da pigliare bestie selvatiche”.
Rispetto alle razze canine più conosciute il Tibetan Mastiff è sempre apparso come un mondo a parte, come un sopravvissuto e, a volte, come un animale semiselvatico.

 
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