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Messaggi del 18/01/2021

 

Lo Statuto del Movimento 24 Agosto Equità Territoriale

Post n°499 pubblicato il 18 Gennaio 2021 da AngeloQuaranta
 

PINO APRILE 

Lo statuto del Movimento 24 Agosto  Equità Territoriale 

https://pinoaprile.me/carta-dei-principi-e-logo-di-m24a-per-lequita-territoriale/ 

 

L’INARRESTABILE CRESCITA DEL MAGGIOR MOVIMENTO MERIDIONALISTA DI SEMPRE

Fatto 20…, facciamo 21: questo l’anno che abbiamo atteso. Ci siamo quasi. Per strada abbiamo perso un po’ di opportunisti, pavidi, qualcosisti, tiepidi, alcuni ambiziosi che pensavano di salire su un’idea e un sentimento diffuso, come su un taxi, per obiettivi propri, non di tutti. Ma abbiamo continuato a crescere di numero, ambizione e capacità. Non importa quanti siamo, importa essere quelli giusti. Solo la pazzia di crederci ci farà riuscire. E una volta arrivati, ce li rivedremo tutti intorno, sapendo già chi e cosa sono.

C’è stupore, negli osservatori della nostra avventura, per la velocità con cui dilaga il Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale, nato in un bosco appena un anno e cinque mesi fa, e già capace di dettare l’agenda politica ai partiti di governo, sul più imponente programma di spesa nazionale di sempre, il Recovery Fund; capace di proporre uno studio sui criteri di ripartizione che convince il Parlamento a farlo proprio e a votare in tal senso, contro le indicazioni del governo; e di riunire i presidenti delle Regioni del Sud, per la prima volta in mezzo secolo, con una iniziativa contro il governo e le Regioni del Nord, in difesa dei diritti del Mezzogiorno. Ma, ancor prima di nascere ufficialmente (atto notarile, tesseramento, nome e logo depositato: Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale, M24A-ET), il gruppetto di fondatori aveva organizzato l’opera di informazione e divulgazione (con il massiccio sostegno all’appello pubblico del professor Gianfranco Viesti), che ha portato al blocco dell’Autonomia differenziata, ormai da più di due anni.

E ora le elezioni regionali in Calabria, ovvero nel posto e nelle condizioni peggiori in assoluto. Perché non cominciare da un punto più facile? Perché abbiamo fretta di cambiar le cose, di mandare a casa i poteri masso-mafiosi di politici e imprenditori corrotti, collusi e non vogliamo girarci attorno, ma colpirne il centro. Presuntuosi? Lo vedremo alla fine. E per noi, finisce quando avremo vinto, non prima, per quanto difficile potrà rivelarsi (non ci illudiamo, ma non è previsto il pareggio).

A chi si stupisce di questa, diciamo così, potenza di fuoco di un gruppo di persone senza mezzi, finanziamenti, organi di stampa, sfugge una cosa: è il frutto di una lunga selezione. In dieci anni, ho girato il Sud come nessuno mai, prima, fermato solo dal lockdown; sono stato anche in cinque città diverse nello stesso giorno; ho incontrato centinaia di migliaia di persone, e sono milioni quelle con cui ho stabilito contatti tramite i social, raggiunto con i miei libri, le partecipazioni a trasmissioni tv e radio.

E quando capivo di avere di fronte qualcuno di valore, o di buona volontà, ne prendevo nota, stabilivo rapporti, lo ponevo in contatto con altri, suggerivo aggregazioni, iniziative… Ho fatto il collezionista di energie da spendere su un progetto. Ancora oggi, molti di loro ci ridono, visto che non ricordo chi di loro mi ribattezzò, mutuando uno slogan della Nokia, “Pino connecting people”: ho distribuito più numeri di telefono io che un call center. E poi facevo i controlli: vi siete parlati? Quando vi incontrate? E il progetto lo avere varato? Tanti, poi, a loro volta, sono diventati “agenti di connessione”.

Dieci anni così. Non pensavo a creare un Movimento. Lo facevo perché provvedessero loro. Ma proprio quella mia opera ha finito per rendermi, purtroppo (per me: non sono più padrone del mio tempo), il punto di raccordo. Certo, errori ne ho fatti, sorprese ne ho avute, belle e anche molto brutte. Più di qualcuno che blaterava (ma io li prendevo sul serio, e non solo io) di meridionalismo, identità, vite da spendere “per i figli e nipoti”, si è scoperto che pensava solo a usare un’azione comune per la realizzazione di progetti personali, con ambizioni più grandi delle proprie capacità. E quando non ha avuto quello che si era promesso, più di un “lider maximo” incompreso, si è trasformato in “odiatore” sui social, spargitore di veleni in un campo cui questi guastatori dicono di appartenere ma vorrebbero distruggere, perché non corrisponde alle loro attese (sproporzionate, non solo alle loro capacità, ma alle stesse possibilità del campo). Persino persone con cui ritenevo fosse sorta un’amicizia vera si sono rivelate altro; l’opportunismo di alcuni alla fine ha prevalso e li ha rivelati, ponendoli ai margini. Un paio, e in particolare uno, sono stati l’inimmaginabile: persone cui avresti consegnato le chiavi del nascondiglio della tua famiglia, se ti avessero catturato i nazisti, convinto che l’avrebbero protetta come fosse la propria, e scopri che l’avrebbero consegnata alle SS.

Ma i percorsi di vita, non solo di grandi progetti, sono raccontati da ferite e cicatrici, la cui trama è il disegno stesso dell’impresa, delle scelte, giuste e sbagliate, delle illusioni e degli errori: sono una biografia fatta con i segni dei colpi ricevuti. A volte diventano medaglie. Ma ognuna rimanda a un dolore la cui traccia è chiusa, non scomparsa; e qualcuna stenta a chiudersi. Vale per ognuno di noi.

Al tirar le somme, però, queste delusioni sono il trascurabile dettaglio di una comunità forte e crescente, motivata, capace. Il cui operato appare tanto lusinghiero agli occhi altrui, quanto insoddisfacente ai nostri, che negli occhi abbiamo la meta non ancora raggiunta, perché la lunga attesa rende impazienti. Questo, però, non deve nasconderci che i risultati ottenuti in così poco tempo sono straordinari. Mai un movimento meridionalista (intendendo con questo un’idea di equità che va oltre il Sud, ed è universale) aveva assunto tali dimensioni, mai aveva contato tanto, non avendo nemmeno un parlamentare, un consigliere regionale. In un anno siamo presenti in tutte le regioni d’Italia e all’estero, siamo fra i protagonisti del primo confronto elettorale del 2021, ce la giochiamo con (contro) partiti che hanno dalla loro parte tutti i poteri possibili. Loro hanno un passato, noi il futuro. Che sta diventando, e forse già è, presente.

 

 
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Il Movimento 24 Agosto per l'Equità Territoriale

Post n°498 pubblicato il 18 Gennaio 2021 da AngeloQuaranta
 
Foto di AngeloQuaranta

IL  MOVIMENTO 24 AGOSTO PER L'EQUITÀ TERRITORIALE.
Di Pino Aprile 

Il Movimento 24 Agosto per l'Equità Territoriale nasce, il 24 agosto scorso, dall'incontro al Parco storico della Grancia (Potenza), di alcune centinaia di meridionalisti da decenni impegnati nel recupero e diffusione di dati storici ed economici sul divario Nord-Sud, inesistente prima dell'Unità. Dopo aver riposto inutilmente fiducia nell'opera di partiti, enti, organizzazioni, perché si ponesse fine alla concentrazione delle risorse nazionali in una sola area, il Nord, lasciando sguarnito il Sud di treni, strade, scuole, opere pubbliche, investimenti e lavoro, “il popolo della Grancia” sorto su invito di Pino Aprile, decise di intraprendere un percorso autonomo, per ottenere l'equità negata, attraverso “azioni politiche” così poco ideologiche, che il Movimento ha per nome una data e per siglia, ET, quella di un simpatico alieno.
M24A-ET si propone di raggiungere un obiettivo molto pratico: a tutti le stesse possibilità e gli stessi mezzi per sviluppare le proprie doti. Ovunque qualcuno sia discriminato, lì c'è lavoro per M24A-ET. Non è una questione geografica, ma pratica (e morale).
Ecco cosa vogliamo e dove andiamo; veniamo da un secolo e mezzo di riduzione a colonia con la forza delle armi (ma così nacquero anche tanti altri Stati nazionali) e riconosciamo “dei nostri” quanti non riescono a sopportare che un proprio simile sia considerato “meno”, per sottrargli diritti, rispetto, futuro.

Qui di seguito, un'ampia sintesi dell'invito di Pino Aprile alla Grancia, dove nacque il Movimento.

 LA QUESTIONE MERIDIONALE È FRUTTO DI SCELTE POLITICHE RAZZISTE E IMPOSTA CON LE ARMI UN SECOLO E MEZZO FA

Tale Paese doppio, uno europeo e uno men che nordafricano, è il risultato di scelte politiche nazionali da un secolo e mezzo, con l’appoggio di ben remunerate classi dirigenti locali (è così nelle colonie: sono favoriti e sostenuti i complici e avversati quanti vi si oppongono, a volte pure a danno della loro vita; la selezione non esclude nessun mezzo per fermare sindacalisti, amministratori, magistrati e politici non collusi).

In questo, non c’è quasi mai stata vera distinzione partitica: quando si tratta di monopolizzare risorse pubbliche, il Nord ha agito e agisce in blocco. La vicenda dell’Autonomia differenziata per togliere altri soldi al Sud ne è la prova più recente: dalla Lega al Pd, incluso M5S del Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia del Nord, insieme per disegnare un Paese a diritti calanti per latitudine, geograficamente, e pretendere risorse crescenti con la ricchezza dei territori. In tal modo, si innesca un meccanismo che si auto-alimenta, leva sempre più ai poveri e dà sempre più ai ricchi (tali, in gran parte, per aver preso di più dalla cassa comune, a spese di altri: basti guardare la differenza di infrastrutture oubbliche, che vuol dire pagate da tutti e godute da pochi).

Non è, come pure potrebbe sembrare, una rivendicazione meridionalista: un Paese che non riconosce a tutti i suoi cittadini uguali diritti non è un Paese, ma un sistema malato. In tal senso, l’Italia non è mai stata unita, ma divisa. Un Paese così fatto genera disaffezione, distacco, risentimenti e persino odio (la Lega si nutre di quello ed è nata sfruttando il razzismo contro i meridionali). Sino all’apparente assurdità (ma psicologia e psico-sociologia spiegano il fenomeno) di tanti meridionali che votano Lega e Salvini, che per decenni li hanno insultati.

Questa situazione è entrata nelle coscienze e persino chi ne è vittima la giustifica incolpandosene (sempre quei meccanismi psicologici...)

NON DEVONO ESSERCI CITTADINI DI SERIE B. O NON HA SENSO UN PAESE COMUNE

Ma l’azione politica che si vuol far nascere per correggere queste storture non è, ripeto, una pura rivendicazione meridionale: i valori sono universali, o non sono tali. Se a una città viene negato il treno, poco importa che sia Matera o Sondrio: ci sono degli italiani ritenuti di serie B e il cui diritto ad avere il necessario viene dopo il superfluo da aggiungere a chi già ha (cioè, mai). Ovunque ci sia un nostro simile la cui qualità umana viene ridotta, la nostra qualità umana è in pericolo (da uno si comincia, poi tocca agli altri…).

Quindi, un’azione politica risanatrice non può avere come valore un territorio o i suoi abitanti (questo lo fanno i razzisti), ma il principio che cittadini di uno stesso Stato debbano avere diritti, possibilità e trattamenti uguali o quello Stato non merita di esistere. Per quanto possa suonare male: l’equità è il valore, non il Sud o altro riferimento geografico, etnico. La denuncia diviene (appare) meridionale, perché il Mezzogiorno e i suoi abitanti sono stati discriminati e deprivati.

Mai, nei quasi 160 anni di finta unità a mano armata, il divario fra Nord e Sud è stato così ampio; ed è voluto, costruito. Il Mezzogiorno è in calo demografico, come avvenuto soltanto per le stragi risorgimentali dei piemontesi e per la più assassina epidemia della storia dell’umanità: la “spagnola”, dopo la prima guerra mondiale. E il futuro del Sud se ne va con i giovani, costretti a cercarne uno in giro per il mondo.

LA POLITICA DI LORSIGNOSI SI È ACCORTA CHE IL SUD REAGISCE E VUOLE GUIDARLO, A SUO VANTAGGIO (COME AL SOLITO)

Ora sanno che il Mezzogiorno non è più un corpo morto e, sia pur confusamente, qualcosa fa e riesce determinante; ripeto, è un dato di fatto, ormai: vince chi vince al Sud. Nel 2015, alle regionali, il Pd fece il pieno e prese il governo di tutte le regioni meridionali. Letta, Renzi e Gentiloni provvidero a far pentire chi li aveva votati a Sud. Alle politiche 2018, quei voti migrarono in blocco sui cinquestelle, che divennero, grazie a ciò, il primo partito italiano. Per allearsi con la Lega e veder svanire in pochi mesi il capitale di consensi; ereditato in parte proprio dal partito sorto dal razzismo contro i terroni.

Questo mostra un Mezzogiorno si muove da soggetto politico unitario e detta l’agenda ai partiti, non avendone uno proprio. La vicenda dell’Autonomia differenziata è stata uno choc, per l’Italia di lorsignori: era cosa fatta; si erano messi d’accordo, con l’ammucchiata di Lega, Pd, FI e FdI del Nord, a scopo di rapina contro i meridionali. La campagna di informazione condotta da un gruppo di cittadini, docenti, scrittori, meridionalisti, ha reso pubblico quello che si teneva nascosto (il furto del secolo), ha raccolto in pochissimi giorni 60mila adesioni, indotto il M5S (va riconosciuto) a far le pulci all’alleato e a frenare lo scempio programmato.

Quel mondo abituato a fare a suo piacimento, nel silenzio complice della classe dirigente del Sud (e chi non tace è segato), ha scoperto di non avere più le mani libere, che il Mezzogiorno può fare la differenza. E la fa. La sorpresa li ha disorientati.

È finito un tempo.

«Siamo tanti, ma non lo sappiamo», diceva don Paolo Capobianco, figlio dell’ultimo nato duosiciliano, mentre Gaeta si arrendeva alle bombe dei fratelli carnefici d’Italia.

 
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"Vogliamo un governo che ascolti le imprese", dice Bonomi "ECCO PER CHI Lavora Renzi " , replica il M24A ET

Post n°497 pubblicato il 18 Gennaio 2021 da AngeloQuaranta
 
Foto di AngeloQuaranta

"Vogliamo un governo che ascolti le imprese", dice Bonomi

Il presidente di Confindustria: "La politica esca fuori dalla gabbia dei personalismi". Critiche sul Recovery Plan: "Non è adatto a cogliere un'occasione unica"

AGI. - Ora un governo che sappia ascoltare e una politica che metta uno stop ai personalismi. E' la richiesta del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che in un'intervista al 'Corriere della sera' non risparmia critiche all'esecutivo che "non ha mai dato risposte" a proposte e istanze delle imprese e non ha mai interpellato le parti sociali sul Recovery "approvato senza dibattito e confronto", risultando privo di una "visione".

L'augurio di Bonomi è che arrivi "un governo disponibile ad ascoltare chi ha dimostrato capacità di far crescere il Paese", visto che "l'industria manifatturiera è quella che tiene in piedi" l'Italia. Ai nostri politici Bonomi chiede di "uscire dalla gabbia dei personalismi": "Nessuno - osserva - parla più della realtà ma la realtà bussa alla porta e presenta il conto". 

Secondo il leader degli industriali, il piano del governo per il Recovery non è "adatto a cogliere un'occasione unica" e non se ne capisce la coerenza; un errore non prendere il Mes. "Il Paese - sottolinea Bonomi - è sfiduciato, non ne può più di decisioni che cambiano ogni pochi giorni o di scoprire solo nelle conferenze stampa della domenica cosa si potrà fare il lunedì". A fronte dell'aumento del debito, Bonomi si chiede cosa succederà quando gli altri Paesi ripartiranno se l'Italia resta ferma come in passato. 

Secondo il presidente di Confiundustria, il Paese rischia un dramma sociale sul fronte occupazione e il modello di Cassa integrazione Covid alla lunga non può funzionare. "La politica - ribadisce in conclusione Bonomi - esca dalla gabbia dei personalismi e guardi in faccia la realtà".  

Il punto di vista del Movimento 24A Equità Territoriale

ECCO PER CHI LAVORA DAVVERO RENZI.

Di Antonio Picariello*
Chi non vorrebbe conoscere il vero il motivo per il quale il mezzo sigaro toscano ha chiuso il sipario sul Conte II. Beh, eccovi accontentati. Vi basterà leggere le dichiarazioni di Bonomi al Corriere della Sera. Parla Bonomi e sembra il riverbero delle parole dell’ex sindaco di Firenze. Confindustria, e non si capisce a che titolo, pretende di essere ascoltata, altrimenti potranno esserci altri dieci governi, ma cadranno tutti sotto la scure dei pupi confindustriali. E che proposte ha Bonomi per l’Italia? Niente personalismi, cioè il Presidente del Consiglio deve essere il suo portavoce; un governo che ascolti, cioè che esegua gli ordini senza fare domande; che dia risposte alle proposte e alle istanze delle imprese, ovvero che dica eternamente sì padrone. Un governo “disponibile ad ascoltare chi ha dimostrato capacità di far crescere il Paese", visto che "l'industria manifatturiera è quella che tiene in piedi" l'Italia.
E qui, inesorabilmente, mi vien da ridere perché se Bonomi chiede al governo di parlare della realtà, pare proprio che il primo a non tenerne conto sia lui! Dov’era il signor Bonomi negli ultimi vent’anni quando se il Pil italiano sfiorava l’1% i politici gridavano al miracolo economico? Dov’era la sua industria manufatturiera? Dov’erano gli investimenti pubblici concessi alla manifattura per riprendere la propria competitività? Ve lo dico io: all’estero. Si chiama delocalizzazione. Quella che sperimentiamo in questi giorni a Napoli con Whirlpool e MeB e che le virtù nordiche hanno usato per fare cassa privata in vent’anni di governo del Partito Unico del Nord, incamerando i lauti incentivi per poi portare le fabbriche altrove con costi di manodopera molto più bassi. Ma questo è solo un aspetto della faccenda e non è questa la sede per approfondire il discorso. Tuttavia che Bonomi parli di personalismi al governo, è per lo meno da comiche.
E continuando il nostro cammino nel continuo nonsenso del Bonomi pensiero (che in verità perdura dalla sua nomina a presidente), ecco spuntare anche il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES): un errore non prenderlo, dice. Perché? Non è dato sapere. O forse sì. I 36 miliardi risolleverebbero le sorti della sanità, ovviamente quella privata, attraverso semplici partite di giro. Un’ipotesi? Certo, ma alquanto verosimile.
Cosa succederà quando gli altri Paesi ripartiranno? Se mettessimo in pratica i consigli di Bonomi rimarremmo fermi al palo per altri vent’anni! Inoltre se la cassa integrazione fosse abolita in favore dei licenziamenti, a fine pandemia si verificherebbe una nuova corsa alle assunzioni, ma in condizioni di sfruttamento per i lavoratori costretti ad accettare qualsiasi tipologia di contratto dalle imprese bonomiane, pur di portare a casa il pane. E sor Carlo c’avrà guadagnato due volte. Un progetto affine e perfettamente sovrapponibile a quello renziano (probabilmente identico perché portato avanti su commissione) che ai più potrebbe spiegare le vere ragioni della crisi e perché mai Matteo II si sia spinto tanto oltre.
Su una cosa, tuttavia, posso essere d’accordo con Bonomi: il piano del governo per il Recovery Fund non è adatto a cogliere un'occasione unica. Ma immediatamente le nostre strade divergono qui, perché mentre per Bonomi l’occasione è unica per riempire l’opulento Nord dei soldi europei e quindi operare ancora una volta assistenzialismo di stato, per noi si tratta di creare le condizioni favorevoli a Mezzogiorno per una ripartenza che veda tutti pronti ai nastri e soprattutto sulla stessa linea. Al Sud spetta il 70 % del Recovery Fund e non faremo un passo indietro, qualsiasi sia il Bonomi pensiero di turno.
*M24A ET - Campania
 
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