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Quattro Amici al Bar

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Post N° 4

Post n°4 pubblicato il 22 Febbraio 2006 da quattroBinunN

Cammino, lentamente lungo la strada polverosa.

C’è un gran viavai di mezzi di ogni genere, dei tipi più disparati: vecchi camion di produzione italiana; vecchie auto, soprattutto Peugeot e Renault, testimoni di una colonizzazione francese terminata non tanto tempo fa; vecchi e scassati motorini, carichi all’inverosimile di gente e merci di ogni tipo.

Il sole batte, forte, costante. La temperatura è quasi opprimente, il sudore cola copioso dalla mia fronte rigando il mio viso mentre percorro il corso principale. 

Poche palme si stagliano svettanti contro il cielo azzurro smagliante come solo qui ho visto.

Trovo una panchina, o perlomeno quello che resta di una panchina in pietra alla flebile ombra di vecchi alberi che non riconosco tanto sono rinsecchiti. Mi siedo ed inizio a fumare il mio solito sigaro. Solo dopo qualche minuto mi accorgo di lei. È seduta per terra, sul marciapiede, vicino a me; indossa un vestito bianco con ampi fiori colorati, i capelli raccolti in due trecce legate da vistosi elastici color arancio, la carnagione è olivastra, del colore tipico delle popolazione di questa area del nord africa. Davanti a lei, su una cassetta in legno, fanno bella mostra di se una serie di pomodori rossi; sono così ordinati che sembrano quasi dei soldatini pronti a marciare.

La guardo, lei mi sorride; ha due meravigliosi occhi marroni ed un sorriso smagliante, avrà non più di dieci, dodici anni.

Iniziamo a scambiare qualche parola; all’inizio lei è timida, quasi riservata; del resto gli stranieri non sono molto comuni da queste parti e quasi sempre non armati delle migliori intenzioni. Questa è sempre stata terra di confine, di gente che è abituata ad essere sfruttata, il turismo di massa non è ancora giunto fin qua.

Il mio francese strascicato, studiato poco e male a scuola e solo un poco perfezionato dai miei viaggi in aree di lingua francese è comunque sufficiente a comprenderci. Inizia pian piano a raccontarmi di sé.

Mi dice che viene da un piccolissimo villaggio, a qualche chilometro dalla capitale dove vive con la madre e due fratellini, più piccoli di lei. Il padre non lo ha mai conosciuto, è stato ucciso in uno delle mille guerre che quotidianamente uccidono migliaia di persone in tutta l’Africa; una delle mille guerre dimenticate o, per meglio dire, delle quali mai nessuno ha mai sentito parlare in Europa; dimenticate perché mettono di fronte fazioni nemiche, signori della guerra, tribù che si ammazzano da così tanto tempo che quasi nessuno si ricorda quasi più il motivo.

La madre lavora in un piccolo orto dietro casa nel quale produce una misera quantità di ortaggi; lei l’aiuta trasportando l’acqua in otri di coccio, percorrendo un paio di chilometri ogni giorno dalla sorgente più vicina. E tutte le mattine carica quel poco di prodotto che l’orto regala loro su una specie di carrettino, realizzato con vecchie assi di legno marcio e ruote di bicicletta, e raggiunge la città dove si siede sempre sullo stesso angolo di strada e vende la sua merce. Quando le va bene e vende tutto quel che ha, riesce a raggranellare il corrispondente di un paio di euro; con quei soldi, di ritorno verso casa, passa da un vecchio pastore, che accudisce uno sparuto gregge di capre, compera un po’ di latte per i suoi fratellini, e con quel prezioso liquido ed una specie di pane fatto da sua madre con farina di segala, cenano.

Non sa nulla del mondo, al di là di questa piccola cittadina; la sua vita nasce e finisce lì, in questi pochi chilometri quadrati, vissuta giorno per giorno, tutti come se fossero l’ultimo.

Mi allontano, lentamente. Il fumo del sigaro disegna ampi cerchi nell’aria immobile ed umida; un caldo tramonto colorava il cielo di riflessi vermigli.

Questa sera Safya tornerà a casa felice, non solo ha venduto tutta la sua mercanzia sufficiente a comperare la solita bottiglia di latte, nella sua mano stringe un pugno di banconote che, per qualche momento, regaleranno a lei ad alla sua famiglia, qualche attimo di felicità. Io, questa sera, non prenderò il mio solito aperitivo in albergo, ma sarà lo stesso una cena speciale.

gulliver

 
 
 
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