Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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Viaggiando su un treno diretto in Ungheria per far visita a uno zio miticamente scampato alle persecuzioni naziste, Melik apprende che la Seconda guerra mondiale non c’è mai stata. Glielo spiega il dottor Oscar, un veterinario che prende posto di fronte a lui nello scompartimento, sedendosi sul sedile che viaggia in direzione contraria al senso di marcia del treno. È proprio da qui che si dipartono i due binari opposti e paralleli che legano le vicende narrate. Quello antistorico del veterinario nazista che procede a ritroso cancellando e ricomponendo la realtà e quello dei ricordi del protagonista ebreo, che si protende tra passato e presente avanzando per accumulo di memorie familiari vivide, eppure indefinite. Quando il treno è ormai già entrato nella campagna ungherese, Melik riceve una bastonata sulla testa. E a questo punto, oltre alle verità storiche anche i vocaboli per raccontarle scompaiono dalla sua mente confusa.
Si ride tanto e si ride amaro seguendo le acrobazie revisioniste di Oscar: dalla immensa rappresentazione scenica che sarebbe stato il bombardamento su Londra, con migliaia di insuperabili attori nella parte delle vittime alla inesistente guerra lampo di Danzica, che sarebbe stata il frutto fantasioso di una disputa cabalistica tra due studenti del seminario di Cracovia. Meno male che il treno dei ricordi e della speranza non arriverà mai a destinazione dallo zio Coso ungherese...
I GIUDIZI
"Non so come sia possibile scrivere un romanzo straordinario in cui convivono il Pinocchio di Collodi, il Candido di Voltaire, il Come risolvere la questione della fame in Irlanda di Swift e i racconti dei fratelli Singer. È riuscito ad Alessandro Schwed nel romanzo Lo zio Coso."
Fabrizia Ramondino, L’Espresso
"Esilarante, tagliente e mai concluso viaggio attorno al problema dell’identità."
Pier Mario Fasanotti, Panorama
"... un’epopea buffa e a volte struggente, densa di pagine irresistibili e di altre che fa male anche solo a leggerle."
Elena Loewenthal, Tuttolibri
"... un libro che, miracolosamente, sa accordare le note d’una straordinaria levità alla musica più cupa e sorda del secolo che è appena trascorso."
Massimo Onofri, La Nuova Sardegna
"Il romanzo... è una sorpresa, uno scarto. In ogni caso un’invenzione."
Edmondo Berselli, la Repubblica
UN BRANO
"La nostra lunga conversazione, del cui verificarsi sono quasi certo ma non del tutto, come accade per certi sogni appena fatti, fu mormorata in una continua penombra, dentro a uno stato di veglia, mentre lo spazio tra i divani e il finestrino giaceva sepolto nell'oscurità delle gallerie; poi il tu tuu usciva all'aperto, sotto un cielo al limite del violaceo. In quel mondo all'aperto che sembrava al chiuso, la natura iniziò a essere rischiarata dai lampi della tempesta imminente e i vetri del ciuf ciuf furono colpiti dalle prime ampie gocce, grandi ampolle tenui pronte a disfarsi sul finestrino. In un momento, un oceano d'acqua prese a rovesciarsi su di noi. O almeno così mi pare di ricordare.
«Bene» disse ancora il mio compagno di viaggio. «Adesso mi segua con attenzione. Lei ha mai sentito parlare della Seconda guerra mondiale?»
«Abbastanza» dissi.
«Be'» credo che abbia proseguito «non c'è mai stata»."
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