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« IL DENTE DA PULIREINTELLETTUALI ALLA RISCOSSA »

INTELLETTUALI ALLA RISCOSSA

Post n°694 pubblicato il 29 Settembre 2009 da quelluomo

Nell'ambito della dicotomia riflessione sul sè e sul mondo reale/elaborazione di un'utopia personale, gli artisti possono configurarsi come coloro che privilegiano la seconda dimensione intellettuale.

Nella produzione delle proprie opere essi si ritengono sollevati dal dovere di dimostrare la veridicità dei propri assunti. Il duro lavoro dell'artista consta infatti della ricerca dell'equilibrio fra forma e contenuto nel testo, dimensione raggiunta ogni qualvolta che il fruitore dell'opera dell'arte, attraverso l'utopia dell'artista, è posto in condizione di evocare da questa sentimenti e riflessioni intellettuali perfettamente adattabili all'esperienza del mondo reale: si dice infatti che chi legga un romanzo, stia in un certo senso cercando il senso della propria vita. L'arte ha una vocazione "morale". Essa può configurarsi come "tematizzazione" del problema morale, attraverso la finzione dell'utopia. Per questa ragione l'opera d'arte non è proiettata unicamente nella ricerca del "bene", quanto, piuttosto, nella rappresentazione del conflitto morale, il quale può essere presentato da prospettive diverse, che possono giungere fino all'elusione dello stesso conflitto. 

La scienza, intesa in prima istanza quale interpretazione di un fenomeno reale attraverso un modello matematico, si sottrae al problema morale. Gli scienziati, però, a differenza di quanto non accada ai loro colleghi artisti, hanno il dovere, in un certo senso "sono" il dovere, di produrre rappresentazioni il cui risultato sia verificabile, o, per usare la terminologia popperiana, risultati che siano falsificabili. Gli scienziati rinunciano all'elaborazione di una utopia, concentrandosi unicamente sul mondo empirico. Tra l'altro, dalla questione della falsificabilità, che potrebbe essere altrimenti definita la tendenza a instaurare un dibattito circa l'attendibilità dei dati e dei risultati della ricerca scientifica (cosa assolutamente diversa dalla critica aristica la quale pur potendo vantare una natura tendente alla creazione di parametri generali, non ha pretese di scientificità, presentandosi, anzi, essa stessa come un tipo particolare di arte) deriva un'importantissima conseguenza. Per quel che concerne la politica, intesa nel senso machiavelliano di scienza politica, scienza volta a identificare gli obiettivi politici e a indicarne i mezzi per la realizzazione, essa, la scienza, diviene il banco di prova dove misurare la potenzialità effettiva di una dottrina, laddove, proprio grazie ai risultati scientifici, essa si può ritenere spogliata da qualsiasi implicazione metafisica.

Non tutta la scienza, e quindi non tutti gli intellettuali che in essa operano, secondo i criteri di nominalizzazione delle discipline, soprattutto in ambito accademico, hanno però la possibilità di usare allo stesso modo modelli matematici per la rappresentazione della realtà. In massima parte la possibilità di rappresentare un fenomeno reale attraverso modelli matematici dipende dalla natura dell'oggetto e dal modo in cui, dallo stesso oggetto, si possa procedere all'isolamento di alcune variabili intorno alle quali verranno costruiti i risultati.

Appartengono indubbiamente a questo ambito di parziale utilizzazione del metodo matematico, scienze quali l'economia, le scienze della comunicazione e la sociologia. Esse infatti non possono essere considerate quali semplici passaggi di natura logico-matematica che procedendo dall'osservazione di un fenomeno reale pervengono senza timore ad un risultato quantificabile. In esse, al pari di strutture dall'identità spiccatamente matematica, permangono elementi diversi. Per comprendere in che modo esse non perdano la propria natura di scienza è bene prendere in considerazione due discipline di cui fin'ora è stato taciuto: la storia e il diritto.

La storia, in questo caso intesa come storiografia, scienza che cerca e ed esamina le fonti al fine di produrre una rappresentazione dei fatti umani nella realtà empirica, pur non servendosi di modelli matematici, se non in modo estremamente marginale, è pur sempre oggetto del principio popperiano della falsificabilità. La storia non è il passaggio dalla grande nozione di taglio avvenimentale fino alla conoscenza del più piccolo elemento di un fatto, o, almeno, non è solo questo. La storia è soprattutto lo studio di come si possa assumere che un fatto sia accaduto veramente.

Allo stesso modo il diritto non usa modelli matematici di interpretazione della realtà. Esso può configurarsi come la scienza che determina l'organizzazione del potere e strumento per dirimere controversie fra stato e cittadini  e fra cittadini. Se è pur vero che esso ha una vocazione alla più pura attività speculativa di natura filosofica, concentrandosi di fatto circa la soluzione possibile di un problema morale, soprattutto nella giurisprudenza, studio delle sentenze, essa produce risultati falsificabili. Avvicinare quanto più possibile il diritto alla giustizia è compito politico. Il modo in cui esso avviene nella realtà, attraverso le leggi, sia nell'ambito delle controversie, sia per quanto riguarda l'organizzazione dello stato, è attività giuridica. Le scienze sociali, della comunicazione e l'economia, possono dunque essere presentate come discipline che adottano sia modelli matematici sia modelli storico-giuridici di interpretazione della realtà. L'equilibrio dei due diversi metodi è di pertinenza esclusiva dell'autore e dipende dalle sue inclinazioni e dall'oggetto di studio.

 

 

 

 

 

 

 
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