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LO SCANNATOIO - EMILE ZOLA

Post n°874 pubblicato il 05 Maggio 2012 da turbine_di_pensieri
 

Non ricordo di preciso quando è successo e dove. Fatto sta che qualche tempo fa, girovagando tra gli scaffali di un supermercato, ho trovato un libro a neanche 5 euro. Era "Lo scannatoio" di Emile Zola. Non lo avevo mai sentito. Di Zola, finora non avevo ancora letto nulla, anche se a casa ho Nana, comprato quando  il quotidiano romano Il Messaggero, aveva creato la collana "classici dell'800" - dieci anni fa... oh mio Dio! DIECI ANNI FA - e lasciato a prender polvere sulla mia libreria, in attesa di tempi migliori.

Sulla copertina dell'economica casa editrice Newton Compton, campeggiava, in basso, un breve incipit di 4 righe:

 "Gervaise aveva aspettato alla finestra Lantier fino alle due del mattino. Poi, tremante di freddo per essere rimasta, in camicia, esposta all'aria della notte, si era assopita, buttata di traverso sul letto, febbricitante, con le guance bagnate di lacrime."

 Leggendo la quarta di copertina, sono emerse fuori frasi come: "impossibile riscatto dalla miseria", "processo della propria autodistruzione, il costo di una rivoluzione industriale che ha necessità di trasformare gli individui in merci."

 Tutto ciò mi ha incuriosito parecchio. L'800 secondo me è il periodo più prolifico della letteratura. Dieci anni fa, quando mi piaceva cullarmi nelle storie d'amore con il lieto fine, leggevo con vivo interesse la Austen, ma anche le sorelle Bronte. Questi climi così romantici. Perfetti per una 17 enne in cerca del suo Mr Darcy.

 Poi ho attraversato gli inverni rigidi russi, con Gogol, Tolstoj e Dostoevskij. Tutto un altro sistema di scrivere. Il loro modo di mettere il nome delle località appuntandone solo la prima iniziale, che non ho mai compreso appieno.  La cosa che mi è rimasta impressa, era il freddo che mi giungeva pagina dopo pagina. Uomini vestiti con cappotti pesanti, risvegli traumatici, in stanze gelate sprovviste di bagni. Amori infelici, vizi irrinunciabili, ossessioni. Un clima decisamente opprimente, ma comunque dipinto in modo ottimo.

 Dalla Russia alla Francia il passo è stato breve. E l'amore è scoppiato. Dai romanzi con il lieto fine, in cui vengo esaltati i sentimenti; dove alla fine è il bene che vince, e le buone azioni pagano sempre, alla descrizione della vita così com'è veramente. Con tante persone di buone intenzioni, non esonerate per questo dalle disgrazie, contornate dagli individui più abietti del mondo. Sanguisughe del genere umano, che spesso e volentieri, riescono ad avere anche la meglio. Andando contro quella visione così romanzesca - e diciamo pure poco veritiera - del giusto che trionfa su tutto.

 Ci vedo un po' proiettata la mia crescita in questo cambiamento di gusti. Lasciato per un po' da parte il mio aspetto sognate, mi sono accostata al naturalismo. Il bisogno di vedere con occhi i torti che la brava gente può subire, solo perché nata nella miseria.

 Vi chiederete perché abbia deciso di scrivere un post del genere. Ebbene, come si può leggere anche dalla colonna a sinistra del blog, sul mio comodino ora c'è Lo scannatoio. E io non posso fare a meno che elogiare Zola per la sua bravura. Vabbè, sono pazza probabilmente, ma quando c'è qualcosa che mi colpisce davvero tanto, devo parlarne con qualcuno. Diciamo che non sono contornata da gente molto interessata alla lettura. E' poco stimolante ritrovarsi a descrivere con slancio la bravura di uno scrittore e sentirsi dire che non si ha tempo per starmi ad ascoltare, in questo momento. Mia madre ormai ha il terrore ogni volta che mi accosto a lei e nomino un libro.

E comunque, lasciare il mio pensiero scritto lo preferisco. Scrivere mi porta a guardarmi dentro, a fare riflessioni più approfondite, ad illuminare ciò che magari rimarrebbe nascosto durante un discorso verbale, in cui non ho molto tempo per analizzare il tutto. O meglio, il tempo lo avrei pure, ma le cose da dire sono talmente tante, che spesso mi ritrovo a  doverle metterle in coda. Il risultato è che escono fuori solo le prime.

 Ritornando a Zola, è magistrale il suo modo di scrivere. A parte la lettura che scorre molto veloce, ha quest'arte nell'usare le parole che, spesso e volentieri, mi son ritrovata a pensare a quanto sia importante scegliere i vocaboli giusti per descrivere al meglio una scena. Si legge Zola e magicamente le parole sembrano non avere limiti nella loro capacità di descrizione. Sembrano perfette. Incastrate come dei tasselli di puzzle, tutte insieme riescono a dare l'idea del quadro intero. Non so se riesco a rendere bene il concetto, ma è una sensazione che non mi era mai capitato di provare prima. Non è solo l'uso di vocaboli appropriati, ma anche il suono che questi hanno.

 

E sapete quando me ne sono accorta?

 Quando alle 8 di mattina, ho aperto il libro per leggere la scena del banchetto che Gervaise aveva organizzato per festeggiare il suo compleanno. Minestra, lombata di maiale con patate, fricassea di vitello, oca arrosto, il tutto innaffiato da vino rosso.

Di solito ai pranzi mi fermo sempre al primo. Non sono per nulla golosa della carne. Al vino rosso preferisco quello bianco. Ciononostante, io alle 8 di mattina avevo voglia di tutto quel ben di Dio. Ero inebriata dai profumi e dai sapori che si sprigionavano nella bottega. Un po' come tutti i commercianti di rue Goutte D'Or, che spiavano con occhi spalancati e narici ben aperte, tutto il cibo che sfilava sulla tavolata. Intontiti anche solo dall'odore delle pietanze che arrivava loro fin sulla strada.

 

Detto questo, spero di avervi incuriositi un pochino, se ancora non avete letto nulla di questo autore. Vale la pena. Almeno per questo libro .

 
 
 
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