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L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. E allora a cosa serve l'utopia ? A questo: serve per continuare a camminare.

 

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ADESSO LA MIA MACCHINA è COSì

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LA MIA MACCHINA... FINO AL 26 GENNAIO 2007

immagineIn realtà, è una foto presa in rete, raffigurante una macchina dello stesso modello e colore. 
 

LA MACCHINA CHE AVEVO...

18 novembre 2004, un cretinetti alla guida di una Golf ci si è andato a schiantare contro, sfasciandola completamente. Per quanto potesse essere bella, era del 1992. L'assicurazione del deficiente mi ha risarcito con pochi spiccioli, quanto mi è bastato per prendere una vecchia Passat SW, sempre del 1992 (senza riscaldamento), con la quale mi sono mosso fino al 26 gennaio.immagineimmagine
 

IL MITICO ESORCISTA DI DANIELE CALURI

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Porta a porta? Che schifo, anzi, che palle!

Post n°352 pubblicato il 25 Ottobre 2007 da kleombroto

13 settembre 2007. Luciano Pavarotti è morto da poco e, nella sua rubrica "L'amaca", sulla "Repubblica", Michele Serra scrive (ora potremmo dire: "Fu facile profeta"):

Tra le tante preghiere che certamente NON saranno esaudite, ci sarebbe questa: se per favore si può evitare di aggiungere ai tanti "generi" giornalistici già in voga (non tutti indispensabili) anche la faida tra gli eredi Pavarotti. A chi vadano le cravatte e a chi i "do di petto", francamente non sono cose che è educato discutere in pubblico, anche se è noto che esiste un pezzo di pubblico ansioso di saperlo. A nome del pubblico restante, quello che preferirebbe essere tenuto all’oscuro di così intime e così sconvenienti beghe, mi domando se un’eventuale carenza di discrezione da parte di questo o quello degli amici e dei parenti di Pavarotti, debba necessariamente essere amplificato da microfoni aperti e taccuini spianati.
Si sa che la natura umana rivela soprattutto in due occasioni la sua bassezza strutturale: le riunioni di condominio e le spartizioni di eredità. Ma per essere all’altezza di quella bassezza, ci si dovrebbe servire della grande letteratura, o della profonda psicoanalisi. Della potenza del grande teatro comico o tragico. Altrimenti si rischia solamente di moltiplicare schiamazzi e meschinità, e soprattutto di dare la stura a nuovi sotto-generi del gossip, che è poi il surrogato scadente e falsificante della narrazione. Siamo già circondati. Già ci anneghiamo dentro. Per favore, davvero per favore: non aprite altri tombini.


Ieri sera, rincasato a tarda ora dopo una dura giornata di lavoro, ho acceso la tv e, su Raiuno, chi c'era? Bruno Vespa intento a dissertare di testamenti pavarottiani con notai e quant'altro. A oltre un mese e mezzo dalla morte del tenore, ancora si ciarla dei suoi lasciti ereditari. Posso esprimere il mio dissenso? Oltre a quanto già affermato nel titolo del post, permettetemi di aggiungere: ecchissenefregaaaaaa

Visitate http://www.pieroricca.org/2006/08/05/movimento-no-vespa

 
 
 

Ancora sulle attenuanti per (in)cultura...

Post n°351 pubblicato il 24 Ottobre 2007 da kleombroto


VIOLENZA SCONTATA
In una settimana di un ottobre ancora tiepido l’Italia si indegna di fronte alla notizia che in Germania un tribunale ha condannato per maltrattamenti e sequestro un cittadino italiano ma gli ha concesso uno sconto di pena in quanto sardo, poiché il giudice ha stabilito che devono essere tenute in considerazione “le particolari impronte culturali ed etniche dell'imputato”. I telegiornali riportano la notizia nella sezione dell’assurdo, seguono servizi e interventi atti a dimostrare quanto sia civile la terra sarda, ricca di millenni di storia, e in cui le donne sono considerate e trattate con rispetto. Nascono anche articoli su giornali e blog in cui si sviscerano le diverse opinioni, da chi grida vendetta, chi si chiede come abbia fatto un avvocato donna a difendere un simile individuo, a chi fa notare che nonostante lo sconto di pena in Germania costui almeno è andato in carcere, mentre in Italia se la sarebbe cavata con molto meno.
 
In realtà ….

…la sentenza è del marzo 2006 ed è venuta agli onori della cronaca solo ora, poiché l’avvocato dell’accusato sta tentando di fargli scontare la pena in Italia. Nel leggere la traduzione degli atti processuali, in aggiunta alla descrizione di dettagli raccapriccianti della violenza effettuata sulla compagna, degni di un film dell’orrore, possiamo leggere le frasi incriminane: “È un sardo. Il quadro del ruolo dell'uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusa, ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante”, pur non scampando all’aggravante di aver “pianificato e agito in modo straordinariamente spietato” e che la “parte lesa ha subíto un trauma durevole a causa dei maltrattamenti a lei inflitti”.
 
Se non c’è dubbio che la decisione di concedere l’attenuante per la violenza è molto piú che criticabile, e che, giustamente, il messaggio passato da giornali e tv è che tutto ciò non si può giustificare, penso che anche in questa occasione sia stato molto comodo fermarsi alle frasi di circostanza senza scavare un po’ sotto la comoda crosta della facile indignazione, dell’orgoglio nazionale e dell’enfasi del momento.
 
La prima cosa che mi è stata richiamata alla mente sono stati i casi del tutto simili che ci sono stati in Italia. Una donna di Verona ha avuto la mascella rotta ma il marito marocchino non ha fatto neanche un giorno di carcere perché il giudice ha riconosciuto che ha agito secondo la sua cultura. È sconvolgente, ma potremmo ancora credere che sia stato un caso, invece no. Quest’estate è arrivata una sentenza della Corte di Cassazione che ha definitivamente assolto dalle accuse di sequestro e maltrattamenti genitori e fratello di una ragazza, non negando che ci siano stati sequestro e maltrattamenti, ma concedendo che tutto ciò sia stato fatto, seppure nell’eccesso, con un fine di bene, ossia per evitare che la ragazza frequentasse cattive compagnie, nell’ambito della cultura islamica di appartenenza. Qualche articolo è apparso, ma poi tutto si è perso con il caldo d’agosto. Magari gli addetti ai lavori potranno anche spiegarci i dettagli tecnici della sentenza, ma il nocciolo della questione, purtroppo, rimane, e non né lo sdegno né il semplice fatto di guardare cosa accade in casa nostra rispetto a ciò che è accaduto in Germania facendo dei paragoni su quale delle situazioni sia stata la peggiore in due paesi in cui dal dopoguerra esistono costituzioni che dicono chiaramente che i cittadini hanno uguali diritti senza distinzioni di sesso. Il problema è un altro, e si tratta di capire che in tutti i casi, tedeschi o italiani che siano, si  tratta del fallimento del multiculturalismo, ossia dell’atteggiamento contemporaneo di ragionare per culture, aggiudicando a tutte lo stesso valore e concedendo lo status di espressioni culturali ad atteggiamenti che non lo sono affatto. E la conseguenza di tutto ciò è stata che la laicità e il diritto, ossia i principi che hanno consentito proprio alle varie culture di coesistere, sono stati distrutti, schiacciati dal peso di chi urla piú forte. Solo sotto l’ombrello della laicità e del diritto non invasivo (ma in grado di sanzionare i comportamenti pericolosi) tutte le culture, le etnie, e soprattutto gli individui possono convivere senza che nessuno prevarichi un altro. I processi che concedono attenuanti per appartenenze a culture non rispettose dei diritti umani, islamica o sarda che siano o che si possano definire (si potrebbe discutere molto su ciò), non sono che un aspetto della sconfitta del principio di inviolabilità della persona, del diritto di ciascuno alla felicità.
 
Potremmo fare dell’umorismo macabro, pronosticando che ora i sardi potranno fare ciò che vogliono in Germania senza doversi preoccupare troppo di finire in prigione. Eppure l’Italia ha già in casa tutto ciò che serve perché ciò accada: una politica sull’immigrazione basata sull’assoluta indifferenza, lo stato laico sempre piú inesistente, una giustizia su cui è meglio stendere un velo pietoso, e da poco persino una sentenza della Corte di Cassazione.
Ma soprattutto mancano il rispetto e la cultura delle differenze, e poi c’è l’assenza cronica di chi dovrebbe far sentire la propria voce, come le donne. Negli anni settanta ci sarebbe stato la sede della Cassazione assediata da una manifestazione di protesta, ora no. Non solo il femminismo italiano è morto (i referendum del 2005 sono stati una triste dimostrazione) ma se sono sopravvissute almeno le leggi sul divorzio e sull’aborto (che qualcuno in Italia mette continuamente in discussione), manca una legge sulle unioni civili, e abbiamo la legge 40 sulla fecondazione assistita che oggi a due anni dall’entrata in vigore è risultata, come prevedibile, un fallimento. Insomma, non sono sopravvissuti i valori della dignità della donna, delle conquiste, delle differenze, come dire che insieme con l’acqua sporca abbiamo buttato via anche il bambino. Infatti, se un cittadino della Germania, una nazione oggi guidata da una donna e dotata di una legge sulle unioni civili, venisse a chiedere non solo ai sardi, ma agli italiani in generale a che punto siamo, nessuno potrebbe negare che abbiamo perso tante occasioni e che il potere è ancora un’esclusività maschile.
 
Potremmo concedere anche noi le attenuanti ai criminali (alias bulli) che hanno contribuito a suicidio di un ragazzino a Torino perché lo emarginavano e lo insultavano con epiteti come “brutto frocio”? Ebbene sí, se continuiamo a ragionare per culture anziché in termini di diritto della persona, perché sarebbe giustificabile tutto; in questo caso si direbbe che hanno agito in modo eccessivo, ma con l’attenuante di averlo fatto all’interno della loro cultura di appartenenza, ossia di una “cultura” che ogni giorno declama l’omosessualità come condizione sbagliata, di inferiorità, di peccato. Sembra una parodia macabra, una provocazione, ma non lo è.
 
Non si tratta solo di indignarsi di fronte al tribunale tedesco, che pure ha sbagliato, o alla Corte di Cassazione italiana (che ha fatto peggio), ma di pensare piú a fondo come e quanto simili atteggiamenti siano nocivi per la società civile, che ragionando per culture tutte ugualmente buone e pronte a dialogare fra loro per combattere il razzismo, finisce proprio per farlo rinascere in altre forme piú subdole e striscianti, permettendo quelle forme di sopraffazione che inevitabilmente si abbattono sulla donna, sul suo corpo, sulla dignità delle persone omosessuali e di tutti coloro che per un motivo o per l’altro esulano dalla figura della normalità e sono quindi i bersagli privilegiati di modi di pensare violenti (mi è difficile chiamarli culture).
Insomma, senza laicità e diritto, violenza scontata per tutti.
 
 Mario Moisio
 “Amici della Fondazione Sandro Penna”
 Associato LINFA

 
 
 

Ambulanti: chi è più abusivo?

Post n°350 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da kleombroto

Riporto dal quotidiano EPolis:

Roma Porta Portese.
Prosegue l'operazione di risanamento del mercato: tre maxisequestri di merce contraffatta

Quinto blitz coi vigili tra i banchi

sette uomini fermati, un arresto

Ristretto il perimetro dei venditori.
Rizzo:
a novembre un avviso pubblico per i titoli

Beatrice Nencha roma@epolis.sm

Si è conclusa con tre maxisequestri di merce contraffatta, con il fermo di sette ambulanti e l'arresto di un venditore con precedenti penali, la quinta operazione di risanamento di Porta Portese. Un “restringimento” dello storico mercato trasteverino voluto dall'assessore capitolino al Commercio, Gaetano Rizzo, che sta studiando il progetto della nuova Porta Portese. Da piazza Ippolito Nievo e lungo tutto il perimetro del mercato, dalle tre di mattina fino al pomeriggio di ieri hanno operato circa 160 vigili, coordinati dal vice-comandante Angelo Giuliani.  Grazie al lavoro svolto dal  Git ( Gruppo intervento traffico) e da pattuglie di pronto intervento, le squadre dirette dai comandanti Gino Caioni, Pietro di  Girolamo e Antonio di Maggio hanno sgomberato tre strade tra le più assediate dagli abusivi: via Marcora, via Musolino e via Bezzi.

Impedendo l'accesso a 90 banchi. E proprio in questo triangolo non sono mancati attimi di tensione con gli ambulanti, costretti a dimezzare i propri spazi.

«Noi ci siamo autoridotti il banco da 18 a 3 metri, ma molti stranieri se ne fregano -si lamenta un antiquario- da quando sono partiti i controlli guadagniamo il 30 per cento in meno, però c'è più ordine e ci sta bene. L unica paura è che ci vogliano

mandare via tutti». Anche al commerciante vengono richiesti documenti e licenza. Di fronte, un abusivo è costretto a smontare tavolo e ombrellone. Mentre tutta la merce, ricambi per cellulari, gli viene confiscata. «È dal 2000 che non subiva controlli, gli è andata fin troppo bene», chiosa un vigile impegnato nel sequestro. «Grazie ai controlli ora nel mercato si può camminare ma servirebbe un servizio d'ordine permanente -commenta un venditore egiziano- nel tempo gli abusivi hanno creato un mercato parallelo, che danneggia chi è regolare». Soddisfatti i residenti, a cui è stata restituita una porzione di quartiere.

Giustissimo, sacrosanto intervenire contro gli ambulanti abusivi e contro tutti coloro che, col passare degli anni, hanno reso il mercato di Porta Portese (così come tanti altri mercati in tutta Italia) un luogo invivibile e pericoloso, dove oltre alle frodi sono in agguato anche i borseggiatori. Occorre però sottolineare due argomenti non di poco conto: anzitutto, se gli abusivi non pagano tasse e affitti, spesso anche i "regolari" si dimenticano di rilasciare lo scontrino. Inoltre, va ricordato che, spesso, gli "abusivi", proprio perché fanno concorrenza sleale, raccolgono clienti in virtù dei prezzi bassi. Detto tra noi, inteso come tutti coloro che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, trovare un paio di occhiali da vista a 2 euro, un caricabatterie per il cellulare a 3, una cover a 5 e via dicendo, spesso, rappresenta un'opportunità da non lasciarsi scappare, specie se si considera che la stessa roba Made in China, nei negozi, viene venduta a prezzi cinque-dieci volte più alti. Provare per credere, specie nel settore dei ricambi per cellulari. Se i prezzi non tendessero a crescere di continuo (e se qualcuno, tra i "regolari", non fosse troppo avido), forse, anche gli abusivi non avrebbero ragion d'essere. Lungi da me l'intenzione di fare apologia di reato, ma credo sia indiscutibile che, per chi ha pochi soldi da buttare, spesso non ci sono alternative al senegalese o al cinese e alle sue cianfrusaglie a basso costo.

 
 
 

Post N° 349

Post n°349 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da kleombroto

 
 
 

Minculpop... de che???

Post n°348 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da kleombroto

Stamattina trovo nell'e-mail un messaggio che mi dà il benvenuto nella mailing list dell'On. Antonio Borghesi (Italia dei Valori). Stimabilissima persona, senza dubbio, però non mi sono iscritto spontaneamente... Nessun problema, avranno reperito l'indirizzo in rete o su qualche sito dove ho firmato petizioni o appelli che, in qualche maniera, possono qualificarmi come persona che è in sintonia col partito di Di Pietro. In realtà sono comunista, ma -proprio per come intendo io essere comunisti- ascolto anche chi non la pensa esattamente come me. E, se posso, ci dialogo o discuto. L'On. Borghesi, per ora, ha una mailing list vuota, ma ha anche un blog dove ho trovato un topic abbastanza interessante. Lo riproduco di seguito, assieme al commento che ho ritenuto opportuno inserire subito.

Questo è il topic proposto dal blog dell'On. Borghesi:

NO AL NUOVO MINICULPOP (Sic!) VOLUTO DA RIFONDAZIONE COMUNISTA

ROMA, 25 GENNAIO 2007 – E’ inaccettabile l’idea di misure protezionistiche volte a limitare il numero di film stranieri proiettabili nelle nostre sale cinematografiche. Lo sostiene Antonio Borghesi, deputato e Responsabile dell’Economia di Italia dei Valori, che ritiene che il protezionismo sia sempre una risposta sbagliata alla risoluzione di problemi di competitività internazionale. E poi, ammesso che una tale misura si possa realizzare, chi dovrebbe decidere quali film stranieri dovrebbe vedere il popolo italiano. E’ una vera e propria riedizione del MINICULPOP (Ministero delle (Sic! un'altra volta) Cultura  Popolare) di mussoliniana memoria. La pretesa, propria dei regimi comunisti e fascisti, di decidere cosa e bene o cosa è male per il popolo è inaccettabile.

Questo è il mio commento:

1. Minculpop "de che"???
Scritto da marcosisi il 22-10-2007 06:56
Trovo, invece, che sia il caso di prendere alcune misure a difesa del nostro cinema e della nostra industria audiovisiva. C'è maniera e maniera di agire per sostenere le produzioni italiane, senza bisogno di scadere nell'effetto "Minculpop". In Francia, dove non mi risulta che siano stati al governo i fascisti o i comunisti sovietici, la percentuale di prodotto nazionale diffusa nelle sale o nei canali televisivi è altissima, senza rischio alcuno per la democrazia. Mi sembra abbastanza infantile e superficiale sostenere che un intervento volto a vedere più cinema italiano sia protezionismo. Non credo sia necessario arrivare al punto di scegliere quali film vedere o quali no. Tra l'altro, non so se l'on. Borghesi ci aveva mai pensato, il fatto che Medusa abbia praticamente il monopolio della distribuzione cinematografica, assieme a poche altre, molto più piccole, società, lascia ai distributori il potere di decidere quali film far vedere, e quali no, in Italia. E allora, usando lo stesso metro di giudizio, data la bassa qualità della maggioranza delle distribuzioni Medusa, potremmo parlare di "Mininculpop" (Ministero dell'Incultura Popolare). Meglio così?
Scherzi a parte, credo che il cuore del problema sia rappresentato dal fatto che il cinema e tutte le altre branche dello spettacolo nostrano debbano combattere con una cronica mancanza di fondi. Si metta in contatto coi cosiddetti "cento autori" e vedrà che, senza bisogno di "commissari politici" e altre scemenze, le sapranno fornire un po' di suggerimenti su come sostenere il nostro cinema. Produrre, distribuire e quindi proiettare più film "nostri", magari girati con più soldi e quindi ancora più "belli", secondo me, lascerebbe al libero giudizio dello spettatore la decisione di vederli. Non credo che lei abbia niente contro il libero mercato. Ma quello vero, non quello inteso da Berlusconi che vuole avere il monopolio su tutto.

Aggiungo che, a parte che nel blog l'Onorevole (o chi per esso) ha clamorosamente sbagliato l'acronimo (Miniculpop invece di Minculpop), è interessante leggere questo post pubblicato su un altro blog: http://www.ilmondodifuori.splinder.com/archive/2004-10

 
 
 

Città più sicure?

Post n°347 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da kleombroto
Foto di kleombroto

Certo che, quando si sente la destra gridare a gran voce "città più sicure", viene voglia di dire che, tutto sommato, le nostre città lo sono abbastanza e che "loro" non è che si siano dati da fare per ottenere risultati positivi in tal senso, dato che non li ho mai visti andare al di là di una generica dimostrazione di simpatia verso le Forze Armate o le Forze dell'Ordine (anche se poi rimane da capire com'è che, ad esempio, sembra proprio essere stato un ultrà di destra a buttare l'anilina nella Fontana di Trevi oppure come mai, anni fa, l'agente di PS Antonio Marino venne ucciso da una SRCM lanciata da militante di destra, Vittorio Loi)...
Quando poi, però, ti trovi colpito da qualche atto di microcriminalità o vandalismo, allora la tua fiducia nelle istituzioni vacilla. Stamattina sono andato al lavoro. Da qualche tempo, da quando cioè i miei orari mi impediscono di usare il mezzo pubblico (sembra che a Roma nessuno lavori fino a tardi, o meglio, forse non abbastanza da giustificare un diffuso funzionamento di autobus, metro e treni urbani dopo la mezzanotte), ho preso l'abitudine di arrivare con la macchina in piazza Maresciallo Giardino. Lì, legata a un palo, tengo una vecchia, malconcia bicicletta. Roba che ci vuole un richiamo di antitetanica per salirci su... Ebbene, quell'ammasso di ruggine con le ruote, nonostante tutto, ha richiamato l'attenzione di qualche sciagurato che, prima con un tronchese e poi con uno strattone, ha massacrato la chiusura. Il buffo è che la bici, anche se col lucchetto rotto, è rimasta appoggiata al palo ed è così che l'ho ritrovata stamattina. Forse il balordo è stato disturbato da qualcosa ed ha preferito darsela a gambe. Devo pubblicamente ringraziare il parcheggiatore, che mi ha prestato una catena e un lucchetto per potere, oggi, legare la bici davanti a via Teulada 66 e, quindi, andare al "Mc Donald's pechinese" nel pomeriggio. Lì vicino c'è un grosso ferramenta e comprerò una catena "vera". A proposito, ho messo la foto della chiusura che mi è stata sfasciata. Se ne vedete di simili, lasciate perdere. A me hanno avuto la faccia tosta di chiedere 11,00 euro e, come vedete, non vale niente...

 
 
 

Un'idea geniale...

Post n°346 pubblicato il 20 Ottobre 2007 da kleombroto

Una fiction televisiva, come se ne sono viste altre in passato e come se ne vedranno altre in futuro. Forse con qualche scena di massa in più, ma ormai esiste un software chiamato "Domino" in grado di moltiplicare le comparse all'infinito, quindi non è che sia poi un grande sforzo girare le battaglie...
In questi giorni sono andati in onda i trailer di "Guerra e pace" e ho scoperto che, a volte, basta poco per dare un sapore speciale alla solita minestra. La parola chiave è: "anteprima mondiale". Ed ecco che una fiction qualunque si trasforma in una pietra miliare della storia televisiva. Cazzo, a saperlo prima... Un videoclip di quelli che ho realizzato per i miei amici Virginiana Miller, la prima volta che è andato in onda su TMC2 era un'anteprima mondiale! Lo spettacolo di teatro-danza su Ilaria Alpi, quando lo ha passato Arcoiris, era un'altra anteprima mondiale! E via "anteprimeggiando"...
Ogni telegiornale, a pensarci bene, è un'anteprima mondiale? Speriamo, piuttosto, che l'abitudine non si estenda. Immaginate un po': anteprima mondiale del Grande Fratello 8 domani su Canale 5, anteprima mondiale di Camera Café o di Love Bugs (si, le ignobili orge dei pianisequenza) lunedì su Italia 1... Un posto al sole in anteprima mondiale su Raitre... Che palle!

 
 
 

La stagione del piccone demolitorenon è tramontata...

Post n°345 pubblicato il 26 Settembre 2007 da kleombroto

Eravamo ormai convinti che la stagione del “piccone demolitore” fosse ormai definitivamente tramontata. Eppure leggendo, proprio sulle pagine di questo giornale, la notizia dell’imminente demolizione del cinema Odeon, forse dobbiamo pensare che ancora nella nostra città la furia della demolizione, della cancellazione delle memoria storica sia ancora attuale. E questo, quando appare ancora calda la questione delle “Acque della Salute”.

Una sala imponente
Nel 1946 la Società Immobili Teatri e Cinematografi, proprietaria della maggior parte delle sale di spettacolo livornesi, incarica l’architetto Virigilio Marchi di realizzare un cinema teatro di grande capienza. Avviati nel 1948, i lavori di costruzione si concludono nel 1952: con i suoi 2500 posti il cinema Odeon - nel frattempo, a causa degli esigui mezzi economici la destinazione teatrale era decaduta - si poteva a giusto titolo definire la più grande sala cinematografica italiana. Così, proprio nel 1952, l’“Araldo dello Spettacolo” poteva lodare la giusta impostazione dei servizi e l’ampiezza inusitata dei locali accessori” che rendevano l’Odeon uno dei cinema più importanti d’Italia.

Architettura futurista
Con la costruzione dell’Odeon torna a Livorno Virgilio Marchi, protagonista di eccellenza dell’architettura futurista tra le due guerre. Marchi sapeva in quest’occasione coniugare la funzionalità dell’impianto, l’ottimo assetto acustico, con la raffinatezza della soluzioni architettoniche, particolarmente apprezzabili nel foyer ellittico. E proprio nella soluzione del vestibolo d’ingresso ritroviamo, sapientemente dispiegato, quel classicismo novecentista al quale Marchi si era avvicinato agli inizi degli anni Trenta. Ma non meno significative e cariche di novità appaiono le soluzioni studiate per la struttura parabolica di copertura, per l’acustica, per l’illuminotecnica. Un’ultima notazione di carattere storico: il cinema Odeon rappresenta una testimonianza dell’impegno e dello sforzo profuso all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale nella ricostruzione del centro cittadino. Non è certo questa la sede per addentrarci in un complesso e difficile giudizio sugli esiti di tale impegno - valga per tutti il caso del Palazzo Grande - limitiamoci a sottolineare che tali architetture si offrono, oggi, alla nostra attenzione per un evidente valore storico, che è poi quello della modernità, e come tali meritano di essere non solo studiati e compresi, ma anche tutelati.

Ma un parcheggio no...
Veniamo a sapere dalle notizie di cronaca che il progetto adottato dalla Spil, propone la realizzazione di un parcheggio e di un complesso commerciale, demolendo la sala e lasciando intatto il foyer d’ingresso. Non abbiamo dubbi che la previsione di tali attrezzature sia confortato da attente simulazioni sui flussi di traffico di tale area, così come da altrettanto ponderate valutazioni sulle richieste commerciali del centro cittadino. Ma altre sono le considerazioni che ci portano inevitabilmente ad opporci con determinazione a tale sconsiderato progetto demolitorio. La prima è il carattere unitario di tale attrezzatura cinematografica: è davvero impensabile, tenuto conto delle grandi novità introdotte nella nostra cultura architettonica degli ultimi anni, che si possa credere di poter sezionare un edificio senza che questo ne comprometta inesorabilmente la sua unitarietà spaziale e formale. Immaginiamo quindi l’elegante foyer disegnato da Virgilio Marchi diventare non più filtro per gli spettatori tra la città e il mondo fantastico della celluloide, ma piuttosto triste ingresso a gallerie e rampe stradali. E d’altra parte non ci conforta certo la prospettiva del grande parcheggio che dovrebbe sostituire il cinema: massiccia struttura in cemento armato, certamente poco adatta a confrontarsi con un contesto così carico di memorie. E infatti come dimenticare che a pochi metri di distanza si apre uno dei luoghi più ameni e ricchi di fascino della Livorno del primo ’800: il cimitero degli inglesi, luogo sublime, vagamente piranesiano per l’affastellarsi delle tombe centenarie. Ci riesce difficile immaginare come quella che un tempo era meta di viaggiatori illustri, del calibro di Charles Dickens, possa armonizzarsi con un parcheggio le cui forme sembrano richiamare certe esperienze dell’architettura brutalista degli anni ’60, o forse, in questo caso, sarebbe meglio dire “bruttalista”, per riprendere l’arguto gioco di parole dello storico canadese Peter Collins.

Manca una strategia
Troppi sconfortanti episodi sembrano indicare senza mezzi termini come Livorno sia ormai priva di una fondata strategia rivolta a preservare il proprio patrimonio architettonico. Sulle pagine di questo giornale abbiamo letto autorevoli e fortemente condivisibili, interventi, rivolti, giustamente, a stigmatizzare pesanti interventi edilizi che minacciano il nostro territorio. Credo che il destino architettonico delle nostre città sia parte della stessa questione: demolire architetture di accertato valore storico, sostituirle, all’interno di un’area fortemente connotatata culturalmente ed artisticamente, con attrezzature edilizie di così forte impatto, e di dubbia rilevanza estetica, impone percorsi amministrativi votati ad un imprenscindibile senso di responsabilità, oltre che valutazioni, sul piano della tutela e della conservazione del paesaggio urbano, di ben altra complessità e ponderatezza. E non si invochi - noi almeno ce lo auguriamo - un presunto progetto di funzionalità urbanistica, perché tutti, o quasi, gli scempi architettonici a Livorno, come già abbiamo ampiamente indicato, si sono fondati e continuano a fondarsi su argomentazioni del tutto simili.

Dario Matteoni* 17 settembre 2007, Il Tirreno

(*)ex assessore alla Cultura del Comune di Livorno

 
 
 

Odeon... tutto quanto faceva spettacolo

Post n°344 pubblicato il 25 Settembre 2007 da kleombroto
Foto di kleombroto

Era il più grande cinema d'Italia, adesso sembra che i "Liberator" americani ci abbiano sganciato su qualche tonnellata di bombe.
L'Odeon, venduto per sei milioni di euro alla SPIL, non ospiterà più spettatori, ma auto. L'idea sarebbe quella di realizzarci un parcheggio multipiano. I lavori dovevano iniziare prima dell'estate, ma hanno preso il via solo in queste ore. Con tali premesse, facile prevedere una puntualità paragonabile a quella dell'intervento in piazza Guerrazzi. Fosse solo questo il problema, direi che ci vuole pazienza. Invece la cosa che più conta è che il monumento progettato da Virgilio Marchi è stato ferito a morte. Lasciata in piedi la facciata, la splendida sala è stata rasa al suolo. Non sono d'accordo con chi dice che "era poco più di un capannone". Scusatemi tanto, ma io la vedo così. I livornesi non hanno voglia di spendere soldi in parcheggi, figuriamoci in quello. Saranno soldi buttati al vento. Tanto valeva, allora, lasciarlo così. In attesa di tempi migliori per il cinema. Se avessimo seguito la stessa filosofia quando il Livorno Calcio era in serie C2 o in eccellenza? Lo stadio "Armando Picchi" sarebbe stato trasformato in parcheggio pure lui? Oppure in campi di calcetto, dato che quella era la tendenza? Vedremo, tra qualche anno, se l'autosilo farà la stessa fine della gru gigante dello scalo "Morosini". Però ricordiamoci che questo scherzetto è costato sei milioni di euro. 40 euro a testa per ogni livornese, compresi "vecchi e bimbi piccini". Se il parcheggio ex Odeon non decollerà, vorrei proprio vedere il presidente della SPIL e l'assessore alle Culture, col cappelluccio di carta e la cazzuola, ricostruire il cinema come era fino a pochi giorni fa. 

 
 
 

Sensibilizzare è giusto, ma... basterà?

Post n°343 pubblicato il 25 Settembre 2007 da kleombroto

Il manifesto shock di Oliviero Toscani, come già in passato altre iniziative riguardanti la fame nel mondo o gli incidenti stradali, ha il merito di farci riflettere. Il problema, però, non è soltanto l'immagine del corpo di una donna anoressica. A tutti noi "normali" una visione del genere probabilmente fa pena mista a schifo. A chi, invece, ha questo problema, temo che l'immagine non faccia alcun effetto. Mi ricordo una mia collega, anni fa. Magra come un chiodo, era stata a casa qualche giorno per un'influenza ed era tornata felice, non tanto perché era guarita, quanto perché aveva buttato giù qualche altro chiletto.
Possibile essere così deficienti? Un'altra, inspiegabilmente, era difficile da corteggiare anche perché rifiutava sistematicamente ogni mio invito a cena: aveva mascherato l'anoressia con tutta una serie di fobie alimentari. Quando ho deciso di farla uscire dalla mia vita si nutriva solo di succhi di frutta. L'ho incontrata recentemente: ancora più magra, devo dire che aveva trovato il modo migliore per non interessarmi più.

 
 
 

Ancora due parole sulla mamma...

Post n°342 pubblicato il 25 Settembre 2007 da kleombroto

Due settimane dall'inizio del contratto. Il tesserino magnetico, ancora, non è stato riattivato. L'Intendenza (termine incomprensibile che indica l'ufficio che si occupa di vari adempimenti burocratici) di via Teulada mi dice che c'è qualcosa che non va nel mio badge e mi consiglia di andare a Saxa Rubra. L'Intendenza di Saxa Rubra dice che è stato cambiato il mio numero di codice per fruire dei servizi mensa e telematici (compare sul tesserino assieme al numero di matricola). Però non ne vengono a capo nemmeno loro. Chiamo l'ufficio del personale e mi dicono che non hanno cambiato un bel nulla, per il semplice motivo che non mi hanno ancora reinserito nel database, forse la prossima settimana...
Entro ed esco con tesserini cartacei provvisori, giorno dopo giorno, e devo andare via prima della mezzanotte (anche se il mio turno finisce alle 00.15) altrimenti rischio di rimanere bloccato.
Il tutto, comunque, è abbastanza comprensibile. A metà settembre le trasmissioni ripartono tutte insieme e ci sono migliaia di contratti da gestire in un colpo solo. L'anno scorso ero stato più fortunato, lavoravo da luglio a ottobre e da novembre a maggio, quindi in un periodo burocraticamente meno "affollato" e il mio badge è stato attivato e riattivato in un lampo.
Un'altra cosa che mi ha divertito: nel "Mc Donald's pechinese" è arrivato un montaggio di un programma RAI. Uno di quei "il meglio di" che si usano fare a fine stagione. Ho dovuto rifare tre puntate, già pronte per la messa in onda, perché il materiale che mi era stato portato aveva un grosso marchio "RAI" in basso a destra. Tra il disinteresse generale, le cassette "sbagliate" erano state prese in redazione, portate al montaggio in appalto, riportate in redazione, ai master era stato dato l'identificatore "F" ed erano stati inviati a Saxa Rubra, palazzina G1, stanza 154, come se niente fosse. Pochi giorni dopo, nuovi turni di montaggio e mi dicono che le puntate sono le stesse, da rifare per colpa del benedetto "logo". Tempo sprecato, e non solo.

 
 
 

Via Teulada 66...

Post n°340 pubblicato il 12 Settembre 2007 da kleombroto

... la Televisione abita qui. Questo, più o meno, era un verso della sigla del programma di Loretta Goggi che, nel 1988 (se ricordo bene), in qualche maniera raccoglieva il testimone di "Pronto, Raffaella?" e questo, più o meno, è quello che ho sempre pensato del Centro di Produzione TV della RAI, inaugurato nel 1957 (l'anno in cui sono nato) e, se mi è consentito, ridotto assai meglio dell'altro Centro, quello di Saxa Rubra, nato in occasione dei Mondiali di Calcio del 1990 e, fatte le dovute proporzioni, malconcio e fatiscente.
Ho avuto la sensazione di tuffarmi nella Storia (sì, proprio "Storia" con la "S" maiuscola), ogni volta che mi è capitato di varcare i cancelli della "Casa della Televisione". Questo si è puntualmente verificato anche ieri, quando sono andato a firmare il contratto. Nove mesi circa di lavoro, come montatore "analoGGico", per produzioni tipo "La vita in diretta", "Festa italiana" e (non per sputare nel piatto dove mangio, ma per mantenermi coerente) via trasheggiando. Primo montaggio, pochi minuti fa: c'era da togliere un minutino da un servizio, originariamente lungo cinque minuti, su Francesco Facchinetti aka DJ Francesco, che sarà un "inviato" dell'Isola dei Famosi.
Come accade anche a Saxa Rubra, uno dei lati più divertenti del lavoro è rappresentato dal trovarsi, in mensa o al bar, gomito a gomito con personaggi famosi.

 
 
 

Si riparte...

Post n°339 pubblicato il 04 Settembre 2007 da kleombroto

Adesso la stagione sta per partire. In televisione l'anno inizia a settembre, non a gennaio. Ho un contratto RAI pronto da firmare, stavolta sarà tutti i giorni su Raiuno (non dico il programma per scaramanzia) e non su un canale satellitare tipo Rainews 24 (il precedente contratto, a parte la simpatia e bravura dei miei colleghi, disgraziatamente aveva a che fare con una trasmissione che vedevano in pochi), in più proseguirò la collaborazione col "Mc Donald's pechinese" e ho qualche progettino, piccole produzioni sul cinema a Livorno e un libro sulla storia delle radio private nella mia città. Ho anche preso un computer nuovo, ci ho messo Avid Express 3.5 dentro, così mi cimento col "non lineare".
Per finire, ho dotato il mio portatile, per connettersi, di un nuovo telefonino, così forse avrò modo di entrare in rete un po' più spesso e fornire maggiori notizie sul mio lavoro.

 
 
 

Un gran bel lavoro come si usava una volta...

Post n°338 pubblicato il 11 Agosto 2007 da kleombroto

Cinque videoregistratori, mixer video, ADO e titolatrice... la vecchia cara ACE 200 con touchscreen ha lavorato al massimo delle sue possibilità (e ha lavorato bene, aggiungo io). Sono uno dei pochi che se la cava bene con l'EDL management, questo mi è stato utile per gestire il montaggio di questo programma ("Mare latino", in onda su Raiuno sabato 11 alle 23 circa). Infatti, avendo program, barra segretaria, jimmy jib e camera 3 su quattro player da mantenere sempre al passo tra loro, ho impiegato ventiquattro ore scarse per montare settanta minuti di trasmissione, con almeno dodici ore (otto cassette da novanta minuti) di girato da gestire. Mica male... 

 
 
 

Non se ne poteva (non se ne può) più...

Post n°337 pubblicato il 24 Luglio 2007 da kleombroto

L'hanno ribattezzato, con poca originalità ma con molto senso dell'umorismo, il "Pasticciaccio brutto de via Merulana", dato che è all'angolo con quella strada che si apre il portone d'ingresso del Teatro Brancaccio.
Maurizio Costanzo, lo abbiamo saputo giorni addietro, sarebbe diventato direttore artistico del Brancaccio, appunto, soppiantando Gigi Proietti.

Ma come... con tutto quello che fa riesce ad assumersi anche questa nuova responsabilità? Ne parlavo poco tempo fa in uno dei post di questo blog. Paura di restare disoccupato, ipotizzava Marco Travaglio in un articolo che avevo linkato dall'Unità. In effetti, aggiungo io, Costanzo deve essere malato di lavoro. Ci sono i maniaci sessuali, lui sembra un maniaco professionale. Come faccia a fare tutto lui, rimane un mistero. Secondo me ha qualche dozzina di "negri" che gli svolgono gran parte delle incombenze. Una persona normale avrebbe bisogno di una giornata lunga 48 ore, invece delle 24 che il Baffo vuol farci credere siano sufficienti.

Deve pagare uno sproposito di alimenti a tutte le mogli dalle quali ha divorziato nel corso degli ultimi decenni, ma forse deve avere anche debiti di gioco che nemmeno Emilio Fede e Pupo messi insieme e, chissà, qualche investimento sballato in Argentina e a Parma da recuperare, perché non si riesce a capire cos'è che lo spinge a lavorare senza fermarsi mai. Meno male che, con tutta la protesta che si è sollevata attorno al caso Brancaccio, ha deciso di fare marcia indietro. Non entro nel merito della scadenza del contratto di Proietti, di eventuali decisioni già prese. Chi avesse ragione non è affar mio, fondamentalmente ci tengo a sottolineare che di Maurizio Constanzo ne ho le scatole piene. Se facesse solo uno dei suoi centoquarantacinque lavori ne avrebbe di che vivere dignitosamente per il resto dei suoi giorni (meglio ancora, sarebbe, se se ne andasse in pensione, anzi) e ci sarebbero centoquarantaquattro nuovi posti di lavoro. Certo, non il milione promesso a suo tempo dal cavalier ex muratore Berlusconi Silvio, ma sarebbe comunque un bel colpettino alla disoccupazione...

 
 
 
 
 

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Un blog di: kleombroto
Data di creazione: 26/02/2005
 

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