Da Capo Sata a Capo Soya in autostop

OsakaDa Capo Sata a Capo Soya, dall’estremo Sud del Giappone nell’isola di Kiushu all’estremo Nord nell’isola di Hoccaido: è questo il viaggio in autostop che viene descritto nel libro di Will Ferguson “Autostop con Budda. Viaggio attraverso il Giappone”. Viaggio raccontato in prima persona dall’autore, di nazionalità canadese, che insegna la lingua inglese in una scuola di Minamata nel Kiushu. Egli ha fatto la scommessa con i colleghi di seguire il fronte della fioritura dei sakura (i fiori di ciliegio), l’evento annuale che i giapponesi seguono con grande attesa e partecipazione attraverso i notiziari quotidiani.
Viaggio con spunti autobiografici e che pare voler svelare tra le righe una ricerca esistenziale, un desiderio malcelato di incontrare sè stesso ma anche una serie di domande sui perchè e sul senso di una permanenza in Giappone fino a chiedersi se è ancora tempo di restare in questo grande, contraddittorio e sorprendente Paese. Un viaggio per capire i giapponesi e incontrarli al di fuori degli schemi consueti, per conoscere le loro città dietro le immagini da cartolina, la vita che vi si svolge dietro le insegne al neon che illuminano le strade notturne e quella che prende vita sotto le incantevoli albe che ritornano ad illuminarle ogni giorno.
Ne vengono fuori numerosi ritratti umani di persone incontrate attraverso gli altrettanti passaggi in auto, persone che si rivelano spesso imprevedibilmente generose oltremisura fino ad offrire passaggi ben oltre la meta prefissata e addirittura ospitalità nelle loro case per la notte. Anche i paesaggi, le città e i villaggi così come gli individui sono descritti con intelligente ironia che comunque conserva quella simpatia e quel garbo che rende la lettura gradevole e interessante.
Si può leggere questo libro come una guida per chi desidera visitare il Giappone oppure come un percorso per avvicinarsi a certi aspetti della vita sociale e culturale come pure della storia antica e recente, della religione e dell’arte dei suoi abitanti, tanti sono gli spunti in tal senso, disseminati qua e là lungo le numerose pagine del libro. Ecco, io ho scelto questa seconda modalità e ho trovato alcuni stralci del racconto interessanti e stimolanti per comprendere certi modi di fare e certi atteggiamenti mentali spesso presenti anche nei film di Y. Ozu.

—- —- —-

Dal libro di W. Ferguson riportiamo brani dalle pagine 39-40:
I cani-leoni

“Ai templi si accede attraverso i cancelli torii, e di solito all’ingresso si trovano due cani-leoni in pietra a fare la guardia… Un cane-leone ha la bocca sempre aperta, l’altro ha la bocca sempre chiusa. Il cane-leone con la bocca aperta si chiama Ah, l’altro Un, o meglio, nn. “Ah” è il primo suono che si emette quando si nasce; “nn” è l’ultimo prima di morire, “Ah” è il respiro inalato che dà inizio alla vita; “nn” è il sospiro del sollievo, il soffio che permette alla vita di fuggire. Tra i due intercorre un’intera esistenza, un universo intero ruota intorno a un singolo respiro. Ah è anche il primo simbolo dell’alfabeto giapponese, n è l’ultimo. E così, tra questi due cani-leoni, abbiamo anche la A e la Z, l’Alfa e l’Omega. In antico sanscrito, ah-un significa “la fine e il principio dell’universo; l’infinito liberato”.

Nel film Viaggio a Tokio, la coppia di anziani genitori venuta a Tokio per visitare i figli, viene convinta da loro a soggiornare ad Atami
Nel film Viaggio a Tokio, la coppia di
anziani genitori venuta a Tokio per visitare i figli, viene convinta da loro a soggiornare ad Atami
In Giappone, quando tra persone esiste una perfetta sintonia, come tra un pianista e un violinsta in un duetto, si dice ah/un-no-kokyu. Kokyu significa “respirare”, e tutta la frase fa pensare a una perfetta e splendida armonia: ah/un-no-kokyu, due o più anime e un solo respiro. Se l’ideale a cui aspira il mondo occidentale è l’autorealizzazione, quello a cui aspira il Giappone – e, di certo, gran parte dell’Asia – è dunque la sintonia. Il termine armonia ha in giapponese la stessa valenza che la parola libertà ha in Occidente.
In Giappone, il termine che esprime il concetto di libertà, jiyu, porta con sé un retrogusto di comportamento egoista o irresponsabile. L’armonia di gruppo è considerata un valore molto più nobile… Se dovessi rappresentare con un’immagine gli ideali dell’Occidente, sceglierei la Statua della Libertà o, come la chiamano in Giappone, dea Jiyu: con la sua postura eretta, lo sguardo di sfida e la torcia alzata, ha una presenza unica, potente ed eccezionale. Non certo quel genere d’immagine che sceglierei se volessi dare forma agli ideali giapponesi…
Un cane e un leone così uniti nello spirito da fondersi in un’unica entità. Ah/un-no-kokyu. Su un piano meno esoterico, l’ah-un si può ben paragonare alle vecchie coppie sposate (o agli amici di vecchia data) che stanno insieme da così tanto tempo da non avere nemmeno bisogno, quando parlano,di terminare le frasi. Uno dice “Ah..” e l’altro l’asseconda con un “Nn…” (che è l’equivalente giapponese del nostro “Ah-hah”), e subito si capiscono”.

 

Da Capo Sata a Capo Soya in autostopultima modifica: 2017-08-05T21:07:09+02:00da david.1960