C’è chi lo tira di qui, c’è chi lo tira di là: ma di duce ce n’è stato uno solo, ed è morto e sepolto

Quando oggi, nel XXI° Secolo, “si tenta di far scorrere a ritroso la storia dell’umanità, allora significa che l’umanità e alle soglie di una caduta.” Questa frase la pronunciò Nietzsche, non immaginando neppure che da lì a 23 anni dalla sua morte, un oscuro caporale tedesco sarebbe partito dalle sue tesi per far rientrare la storia nella barbarie, mai tanto a ritroso! E’ ovvio che affrontare la tematica fascista, rientra, appunto, in questa dimensione.

In Italia, forse, il personaggio cui si deve maggiormente lo sviluppo di una profonda conoscenza con il fenomeno fascista, fu lo storico Renzo De Felice: convinto comunista in età giovanile, cosa che lo connotò sempre come uomo “inattaccabile”, ma anche onesto democratico, dopo essere uscito dal PCI (assieme ad altri 100 intellettuali), esacerbato per l’appoggio dato da questo all’invasione dell’Ungheria, amava dire: “Oggi nulla, salvo che l’essere stato marxista e comunista mi ha immunizzato dal fare del moralismo sugli avvenimenti storici. I discorsi in chiave morale applicati alla storia, da qualunque parte vengano e comunque siano motivati, provocano in me un senso di noia, suscitano il mio sospetto nei confronti di chi li pronuncia e mi inducono a pensare a mancanza di idee chiare, se non addirittura ad un’ennesima forma di ricatto intellettuale o ad un espediente per contrabbandare idee e interessi che si vuol evitare di esporre in forma diretta.”.

Ovviamente tutto questo lo portò ad essere accusato di “revisionismo storico”, proprio da parte di quella intelligentia marxista, ma anche profondamente fanatica, che ancora adesso sbugiarda la ricerca approfondita su un fenomeno politico irripetibile, come fu il fascismo. A De Felice, infatti si deve, l’affermazione più pragmatica, rivolta proprio a tutti coloro che, dall’altra parte della barricata, e nati nel Dopoguerra, sostenevano, e sostengono, di essere fascisti o di comportarsi come tali. “Il fascismo, e Benito Mussolini, sono scomparsi nel 1945. Entrambi sono protagonisti irripetibili della storia: chi sostiene il contrario fa solo imitazione.”

Sarebbe interessante scoprire, perciò, chi abbia letto, tra questi cosiddetti “neo-fascisti”, l’intera opera monumentale di De Felice (6.000 pagine dedicate a Benito Mussolini e al fascismo), o che abbia discusso la propria tesi di laura sull’economia fascista, magari avendo come relatore quel Sergio Bertelli, compagno di vita e di scelte, di questi (prima comunista poi liberale), in tempi difficili e rischiosi come il 1970: come accadde al sottoscritto! Eppure, come purtroppo testimonia la realtà, costoro continuano pedissequamente ad imitare un fenomeno e un’ideologia, senza sapere neppure cosa fanno.

O meglio, e forse è il discredito maggiore, cadendo come topi nella trappola degli avversari di sempre, che, allora, nel Sessantotto, diedero vita a quella “battaglia delle parole” che avrebbe trasformato la cultura italiana e mondiale, imbastardendola di preconcetti, false argomentazioni, nefaste interpretazioni ideologiche, che portò il minculpop borghese e progressista, a tacciare di “fascismo” ogni forma antagonista; e che, pure, di esso non conteneva che singoli aspetti, per lo più, capovolti. In una perfetta e consapevole operazione trasformistica, che servì e serve, attraverso i mass-media, a connotare tutto ciò che è contrario al modernismo, all’egualitarismo di massa, alla globalizzazione, e, infine, al multiculturalismo, importato dalle correnti migratorie, partito dagli Stati Uniti, e poi diffusosi nell’Europa del Dopoguerra.

In Italia la trappola scattò, quando la sinistra definì la destra: un’accozzaglia di bruti, ignoranti, violenti e mistificatori, sfruttatori del popolo, nostalgici del razzismo e delle tematiche guerrafondaie, privi di ogni afflato sociale. Paradossalmente, la destra, che allora era raggruppata nel MSI e in rari gruppi extra-parlamentari, tentò di arginare il fenomeno, e ci riuscì, finche i “veri” fascisti restarono in vita: i quali, nonostante i gravi e turpi errori di Mussolini, poterono testimoniare che il fascismo era stato anche altro, molto altro: il mezzo poteva essere solo la cultura, e quindi la conoscenza approfondita del fenomeno, evitando ovviamente di fare di tutta l’erba un fascio, proprio come i libri di De Felice, ma anche quelli delle Edizioni Volpe, delle Edizioni Europa, e di riviste importanti, come l’Italiano o l‘Orologio.

Scomparse le generazioni dell’Anteguerra, però, tutto precipitò: una febbre di rinnovamento liberale travolse la “destra”, dando immediata ragione a chi se ne era servito per metterla all’angolo, e nello stesso tempo causò un rigurgito ideologico, ormai soltanto pragmatico, fatto di estremismi e formalismi nostalgici, che fu fin troppo facile, per una società immiserita dai consumi, dall’usura, dall’etica del successo, ma soprattutto dalla necessità dell’evasione, attraverso costumi sessuali alternativi, alcool e droghe, definire “neo-fascismo”.

In questo ambaradan hanno finito per galleggiare, convinti, apologeti della più turpe condizione borghese, i ricchi, ma anche reietti abitatori delle periferie più disagiate, i poveri; onesti propugnatori dell’ordine e dell’etica, ma anche mafiosi, decisi a intellettualizzare i loro reati; e tutti costoro non si rendono neppure più conto di essere stati strumentalizzati (anche dalle foto, in cui si scambiavano favori con la malavita romana), ed essere stati messi alla stregua di un Berlusconi, di un Trump, ma anche del peggior negriero del Mediterraneo. O di un poliziotto dal manganello facile. Eccola “tutta l’erba del fascio”, che è diventata, per reazione, camicia nera, nazionalismo, saluti romani, revanscismo imperialista: ma sempre per imitazione, per emulazione, per scelta pragmatica. Si è arrivati a credersi “fascisti”, perché sono gli altri che ti ci chiamano: si dimenticano i presupposti stessi del fascismo mussoliniano, quello delle origini e quello dell’epilogo, quando i potentati massonici, non presenziarono più, perché la guerra, da loro tramata e ispirata, nel primo casa si era loro ritorta contro, nel secondo caso l’avevano vinta. E in questi due momenti il fascismo, così come appare dalle pagine della storia più obiettiva, produsse quella rivoluzione che si guardò bene dal definire ideologicamente, perché superava entrambi gli ambiti della destra e della sinistra. Due momenti magici, durati in tutto una decina d’anni, in cui la “rivoluzione fascista” diede prova di grandi conquiste legislative, culturali, economiche, sociali, ma che, oggi, non sembrano interessano più nessuno; ed il paradosso è che i nostri padri costituenti, che pure gestivano da presso le pagine della Resistenza antifascista, avevano capito quanto grandi erano state le intuizioni di Mussolini, nel dare risalto al lavoro, al risparmio, ai valori nazional-popolari: un’equa distribuzione della ricchezza, un’assistenza sanitaria globale, un’istruzione capillare per i giovani, un’assistenza senza remore per gli anziani! E ne ricavarono non pochi articoli costituzionali!

E cosa fanno questi supposti fascisti di oggi? Si comportano esattamente come i loro “avversari” (complici, come loro, della distruzione della patria): prediligono il militarismo, il nostalgismo, se ne sbattono del popolo indigente, loro viaggiano in Porsche, vivono in villa, ignorano i ghetti dove tanti italiani fanno la fame, dove un bambino su otto è povero in canna, non sanno che cos’è la disoccupazione o una pensione da 800 €. Ma non solidarizzano neppure con i loro coetanei, perché, dicono, sono “comunisti”, e non vogliono capire che i regime che ci sovrasta gode nel vedere i giovani su barricate diverse!

C’è quella camicia nera che copre le brutture, c’è quel braccio teso che si raccomanda sempre alla Provvidenza, mentre i veri problemi stanno là, irrisolti, esattamente allo stesso modo, degli “antifascisti”!

Insomma trionfa quello “spirito borghese” che aveva già fagocitato il fascismo, è accecato, per un verso, lo stesso Mussolini (che era un maestro di scuola, non un imprenditore o un figlio di papà!), ma di cui egli si rese conto, anche se troppo tardi, lasciandoci certi ritagli testamentari: ““I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari, le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero “di sinistra”, le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi, il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siano i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un’alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta, con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione, di cui usiamo talvolta il linguaggio.” (Benito Mussolini – su La Repubblica Fascista, 22 aprile 1945).

Se la battaglia anti-islamica dei “neo-fascisti” è talmente insulsa da far dimenticare che il duce fu “la spada dell’Islam”, la battaglia monotematica contro l’immigrazione, gestita dal Governo nel modo più tragico, sbugiarda troppo facilmente quello che fu l’emblema più decoroso del fascismo.: lo scambio tra etnie per ragioni di civiltà: Di cosa altro vogliamo parlare: dei soldati italiani morti in Afghanistan, non si sa bene per quale patria, non certo l’Italia, ma piuttosto quella dello Zio Sam? O della difesa ad oltranza delle forze dell’ordine, che, come diceva Pasolini (un intellettuale deriso perché gay, ma che fu l’unico ad accompagnare Ezra Pound, dal ritorno dal carcere-manicomiale americano), sanno solo istigare una guerra di poveri? O magari allietarsi perché in Sicilia o ad Orte la “destra” compie i suoi misfatti irripetibili?

Che fine ha fatto Mussolini, il duce? E’ morto di sicuro: ma almeno siate capaci di onorare la sua memoria, se ancora credete che abbia compiuto molte cose positive! Sbandieratele sulla faccia di chi lo sbugiarda, ma sappiate anche essere critici con le sue gravi negligenze. Riagguantate le sue idee positive e quelle dei suoi collaboratori, e discutetene, ragionateci sopra. Ripristinatele, adeguandole al XXI° secolo, perché sono eterne, irreprensibili!

Non rovinate quel poco di memoria storica ancora attiva, che resta al Paese, con le orrende immagini della guerra civile, delle “reciproche” stragi che insozzarono la coscienza degli uni e degli altri, i quali, altro non rappresentarono che marionette di Hitler e di Eisenhower!

E rammentate che il fascismo è morto, e voi siete solo imitatori di qualcosa che non esiste più, ma che ha lasciato un’eredità ancora da approfondire, che rischiate di compromettere, in ogni momento, obbedendo al letale gioco degli avversari! (D.S.)

 

C’è chi lo tira di qui, c’è chi lo tira di là: ma di duce ce n’è stato uno solo, ed è morto e sepoltoultima modifica: 2017-11-15T11:09:26+01:00da r.capodimonte2009