Un sussulto di dignità, nel mare magnum di una magistratura di regime

C’è un’icona “giudiziaria” da qualche parte, ignorata dai più (i giornalisti e i cronisti tv di regime, ovviamente), che ha avuto il coraggio di obiettare al decadimento della magistratura italiana (e come si poteva dubitare che in Italia decadesse tutto, meno il terzo e fondamentale potere dello Stato?), per altro già messo in luce da un’altra delle rare voci di dissenso, quel Piercamillo Davigo, uscito in fretta e furia dalla presidenza del ANM, dicendone di cotte e di crude di molti suoi colleghi, ormai arresisi ad un sistema che premia la criminalità e osteggia l’onestà, alla faccia dei principi costituzionali.

Questa caduta verticale ha origine dal più alto consesso giudiziario, quello della Corte Costituzionale, ormai ridotta ad un cortile in cui svolazzano solo foglie secche e pattume, e dove i principi di quella Costituzione che pure costò al paese lacrime e sangue, vengono interpretati soprattutto al contrario, obbedendo pedissequamente ai dettami del potere esecutivo e quindi politico. Subito dopo arriva il CSM, un’altra di quelle perle che i padri costituenti avevano individuato per controllare le malefatte e le storture dei magistrati, ma mistificato, in seguito, ancora una volta dalla politica trasformista, che ha visto Presidenti della Repubblica e Parlamento (i due soggetti che eleggono i 2/3 dell’organo) patteggiare per potentati oscuri e contrarissimi alla democrazia, come la massoneria e la mafia. Infine l’Alta Corte di Cassazione, il supremo organo giudiziario, che dovrebbe rianalizzare e ispezionare tutto quel che esce dai tre gradi di giudizio che i codici di questo sfortunato Paese (insieme alla “prescrizione”) stabiliscono per i delinquenti, che, così hanno anni e anni di liberi arbitrio, prima di essere condannati definitivamente: una moratoria scandalosa, che oltretutto discrimina i ricchi, che possono permettersela, dai poveri! E invece, cosa fa? Si adegua, salvo rarissimi casi (anche questi politici), al giudizio giù espresso dai giudici e dalle giurie.

Tralasciamo, per opportunità, quel che avviene ogni giorno nei tribunali, tra spese di cancelleria, caos, ritardi, ferie, imboscamenti, burocrazia, ma anche superstipendi e superpensioni, e una situazione di organici perennemente deficitaria. Voi vi chiederete: ma non esiste un dicastero ministeriale che dovrebbe tutelare “politicamente e socialmente” la giustizia? La risposta è: certamente, ma è uno schermo fatiscente e inutile, gravato dalla faziosità partitica! E sorvoliamo anche su quel che accade tra gli stessi magistrati, i quali, ormai, politicizzati all’80%, si giocano la loro carriera tra magistratura, Camera e Senato, e spesso dopo la “vacatio politica” rientrano tranquillamente in tribunale, a colpire, ovviamente, e con più durezza, tutti coloro che non la pensano come loro!

Ed ecco, quindi che, su Il Fatto di un mese fa (17 ottobre), compare un fantasma in toga, che decide di contestare il mondo di cartapesta in cui vive, con un gesto clamoroso, e critico: una “mosca bianca” nel mare magnum di una democrazia che si sta spegnendo giorno dopo giorno.

“Questa è la storia singolare di una “carriera alla rovescia” e di un magistrato che con dignità ribalta il tavolo delle convenzioni, delle regole non scritte e dell’imperante “tira a campare”. Andrea Mirenda, di professione giudice, al culmine del suo percorso professionale decide che così non va. Il sistema, dice, è “improntato oramai ad un carrierismo sfrenato, arbitrario e lottizzatorio, che premia i sodali, asserve i magistrati alle correnti, umilia la stragrande maggioranza degli esclusi e minaccia l’indipendenza dei magistrati con la lusinga della dirigenza o la mortificazione di una vita da travet”. Quindi il gesto eclatante: la rinuncia alla carriera. Dopo una trentina di anni con la toga sulle spalle, quattro da presidente di una sezione civile, e dall’anno scorso presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Verona, la richiesta di “tornare giudice, ultimo tra gli ultimi, al Tribunale di sorveglianza per occuparmi dei problemi dei detenuti”. La convince questa ricostruzione, dottor Mirenda? Non sono d’accordo quando lei giudica eclatante la mia scelta. Il mio è un gesto socratico, un sacrificio che serve a far riflettere l’opinione pubblica. Rinuncio a tutto, alla carriera e agli allori, ma voi parlatene. Un membro del Consiglio superiore, il “laico” Pierantonio Zanettin, ha giudicato la sua polemica “fuori luogo”, bollandola come “venata da populismo giudiziario”. Ho rinunciato alla prospettiva di diventare presidente di un importante Tribunale civile, con un solo obiettivo: indicare all’opinione pubblica un problema che non è quello della distribuzione dei posti in magistratura, ma quello dello stimolo che i magistrati stanno avendo a mettersi in luce per avere degli incarichi direttivi, posponendo gli interessi dei cittadini. Il modello costituzionale vuole un giudice che non abbia né timori, né speranze. Il giudice si deve occupare di fare il suo mestiere. L’autogoverno della magistratura si realizza se c’è rotazione, la ricerca del più bravo fa sì che fin dagli inizi della carriera il magistrato pensi solo a mettersi in mostra. Consigli giudiziari, sindacalismo giudiziario, correnti etc., il giudice farà di tutto tranne quello che è il suo mestiere quotidiano. I cittadini da noi attendono decisioni, non che scriviamo trattati. Noi dobbiamo amministrare la giustizia in un tempo ragionevole, con prudenza e saggezza e dedizione. La scelta del nostro sistema legislativo di estendere il Testo Unico sulla dirigenza anche ai magistrati ci ha messo tutti ai blocchi di partenza, ma per fare altro. Quindi lei rinuncia alla sua carriera e… Il mio gesto è un unicum nella storia della magistratura. La mia è una carriera alla rovescia, perché voglio mettere in luce la dignità profonda del lavorare come semplice giudice, senza questa ansia di prestazione di fare altro e recuperando la massima attenzione alle istanze del cittadino. Questo meccanismo carrieristico creerà un giudice sempre meno disponibile a prestare attenzione alle esigenze della società civile. Lei attacca il Csm e il sistema delle correnti. Il meccanismo carrieristico lascia mani libere al sistema delle correnti che hanno in mano il Consiglio superiore, e lo hanno asservito. Ma queste correnti cosa sono se non le cinghie di trasmissione dei partiti politici? In seno al Csm membri laici e togati realizzano pacchetti di accordi per la distribuzione degli incarichi direttivi, attraverso questo controllo si realizza un etero-governo della magistratura, è questa la partita. Ecco perché dico che la rotazione degli incarichi direttivi garantisce la pari dignità dei giudici. Lei ha posto queste questioni, oltre agli attacchi ricevuti, c’è qualcuno che ha tentato di dissuaderla dal fare una scelta così radicale, o che ha dato risposte alle sue proteste? La sottosezione della Anm di Verona, di cui non faccio parte perché sono uscito da tutti gli organismi nel 2008, all’unanimità ha ritenuto di farsi portatrice del principio della rotazione degli incarichi semi-direttivi, presidenti di sezione, procuratori aggiunti. Così si assicurano autogoverno, pari dignità delle funzioni e soprattutto la creazione di un clima affettuoso alle attività dell’ufficio. Il meccanismo escludente genera disaffezione. Quindi tra poche settimane lei prenderà possesso del suo nuovo ufficio e si occuperà di carceri. Di detenuti, delle loro condizioni e del loro recupero. Ultimo tra gli ultimi, e lo farò con onore ed entusiasmo.” (D.S.)

 

 

 

Un sussulto di dignità, nel mare magnum di una magistratura di regimeultima modifica: 2017-11-29T07:43:42+01:00da r.capodimonte2009