Andrew Faber

Ricorda:
Le donne che mangiano verdure scondite ancora fumanti, specie se broccoletti o cicoria molto amara raccolta ai bordi delle strade, senza dire: ma che è sta puzza!!
Quelle che le prendono dallo scolapasta/vaporiera scottandosi le dita per intenderci, ecco: bisogna starci attenti.
Prestarci attenzione.
Leggono poesie e ascoltano musica.
Piangono e ridono forte.
Conoscono i tempi.
Sono pericolose.
Sono eversive e rivoluzionarie.
Sono da amare.
“Andrew Faber”
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Mi sono imbattuto per puro caso in questo post di questo giovanissimo autore italiano: Andrea Zorretta in arte Andrew Faber.
Devo ammettere che è un post che mi piace molto, un post che solleva un’onda anomale, ma nello stesso istante mi fa sorgere un dubbio:
Valgono anche quelle che sono felici mangiando Bucatini alla amatriciana, bevono birra scura e adorano la ” trippa”?

La Sconosciuta

Successe tutto nella primavera del 2010. 
Erano gli anni del “cammin di nostra vita”, per dirla alla Dante, e la mia vita era leggermente più caotica della normalità, sennonchè mi rendo conto tutt’ora che per me il leggermente caotico è la normalità.
In quel periodo non mi ero mai sentito più sano di mente o più felice, mi ero trasferito già dall’inverno precedente in un piccolo centro tra le colline bolognesi, e la mia vita scivolava in una disciplinata armonia in quattro tempi.
La mattina era dedicata all’attività con cui pagare vitto e alloggio ed il lavoro mi teneva occupato ben oltre l’orario da pranzo. Mangiavo qualcosina sempre al solito ristorantino all’angolo quasi sempre fuori orario, rientravo in ufficio spesso saltando anche il caffè, e ci rimanevo fino alle diciotto, se era la mia giornata fortunata.
La seconda attività era quella che chiamavo: la quiete dopo la tempesta. Me ne tornavo a casa, quasi sempre a piedi, camminando lentamente per quasi un’ora, incontrando di tanto in tanto qualche faccia già nota, e guardando le vetrine dei pochi negozi, soffermandomi poi nell’unica libreria del centro che fungeva anche come edicola. Sfogliavo qualche libro e compravo il solito quotidiano, ecco, adesso come all’ora, penso di essere uno dei pochi che legge il quotidiano, quando le notizie sono già scadute, o quanto meno già aggiornate.
Il terzo atto invece, ero quello dedicato alla casa e alla cucina, con cui avrei dato un senso alla parola “mangiare” facendolo in assoluta tranquillità, gustandomi ogni pietanza senza dover rispondere continuamente a chiamate e messaggi, e senza occhi accusatori del cameriere di turno, che mi implorava con lo sguardo di finire in fretta per andare a godersi il suo meritato riposo.
Ma il cuore della giornata era senz’altro, il quarto e ultimo tempo che dedicavo a quello che ritengo essere uno dei più grandi piaceri della vita, un semplice, caldo, morbido, quasi amaro, caffè.
Dalle 21 fino a quasi mezzanotte, erano le poche ore che potevo dedicare completamente a me stesso, e pur avendo tutta l’attrezzatura necessaria per produrre un caffè decente a casa, il richiamo seducente della notte, dei suoi colori, dei suoi profumi e l’insegna del bar che scorgevo dalla mia finestra, erano fin troppo irresistibili anche per un quasi pantofolaio come me.
E quella sera, nelle ultime tre ore di un qualunque giorno di aprile, un semplice caffè divenne un ricordo che tutt’ora continua a pulsare nei meandri della mia mente.

Era un bar assolutamente anonimo, anche se abbastanza grande.
Un bar di quelli aperti probabilmente negli anni 80, senza grosse pretese, ne tv a led che trasmettono musica rumorosa ad altissimo volume, ne di quelli pieni di ragazzi con l’entusiasmo a mille e improbabili ordinazioni di cocktail dal tasso alcolico fuori dal comune.
Facevano però un ottimo caffè e tanto bastava per essere sempre pieno di persone del posto, lavoratori, gente comune e di tanto in tanto qualche avventore.
Quando era libero, il mio tavolino preferito era quello rivolto verso l’entrata, in un certo senso il sedermi li mi dava un’idea malsana di avere tutto sotto controllo, anche se poi, il mio sguardo era sempre quasi rivolto verso il quotidiano nel mentre leggevo notizie che oramai già ero a conoscenza.
Avevo già preso il caffè, quando ad un tratto il suono della campanellina collegata alla porta in vetro del bar, attirò la mia attenzione.
Lei entrò affrettata, quasi danzando in un abito nero che le fasciava i fianchi, cominciò a parlare con il barista, ordinò qualcosa, e si sedette appena qualche fila di tavolini poco distante da me, ci guardammo, con uno sguardo fugace che subito torno al proprio posto, dopo appena qualche secondo.
Il giornale continuava a raccontarmi notizie già vecchie, ma i miei occhi, già poco interessati, facevano fatica a restare su quelle pagine. Lei non era bellissima, eppure qualcosa aveva attirato tutto il mio interesse, forse i suoi capelli appena lunghi sulle spalle, il suo modo di “entrare in scena”, le sue movenze. Forse il modo con cui beveva la sua bevanda, credo fosse un succo d’arancia, ma soprattutto il suo modo di incrociare il mio sguardo, quasi sapesse l’istante in cui, i miei occhi si fossero sporti a guardarla.
In quel momento il tempo sembrava fosse dilatato, più lento. Il quotidiano oramai, serviva soltanto a coprire il mio viso quasi imbarazzato, e tutti i miei pensieri erano concentrati sul come trovare un modo quanto meno non ridicolo e goffo per avvicinarla, quando ad un tratto lei si alzò.
Si avvicinò verso di me con il suo passo danzante, si sedette proprio di fronte a me al mio tavolo, mi avvicinò un pezzettino di carta e disse con voce sinuosa ma decisa “Leggilo, appena sarò uscita”.
Si alzo con un gesto finale, poi andò via senza voltarsi indietro, mentre l’aria che respiravo aveva il sapore impossibile di confusione e immagini.
Appena la porta in vetro si chiuse alle sue spalle, aprii quel pezzettino di carta frettolosamente, convinto di trovarci il classico numero di telefono, ma la sorpresa di leggere quell’unica parola, dilatò ancora di più il tempo e la mia confusione. C’era scritto un’unica parola: “Seguimi”
Mi alzai di scatto, in maniera cosi repentina che quasi rischiavo di buttar giù il tavolo, pagai velocemente il conto, uscii dal Bar e la intravidi poco distante, nel suo abito nero, ancora più scuro nel bagliore della notte. Incominciò ad incamminarsi lentamente ma con passo deciso, ed io, tra un misto di eccitazione e timore, iniziai a seguirla, con la salivazione che oramai rasentava lo zero.
Dopo qualche centinaio di metri, si fermo all’angolo di una stradina buia, si girò a malapena lanciandomi un ultimo sguardo quasi a dirmi, ci siamo, poi si voltò e spari avvolta nel buio.
Ad un tratto mi resi conto, che tutto intorno a me era deserto, ero cosi concentrato a seguire la sua scia e ad elaborare pensieri, che non sapevo neppure dove mi trovato, e se qualcuno ci avesse visto camminare poco distanti. In quell’istante fu come destarsi da un sogno, ma ormai ogni tentativo di razionalità aveva lasciato la mia mente, volevo solo raggiungerla, non sapendo nemmeno il perchè.

Entrai nel vicoletto buio e mi resi conto che era senza uscita. Alcune auto erano parcheggiate in fila sul fianco destro della strada, e subito dopo l’ultima auto, c’era Lei, ferma, rivolta verso di me, ad aspettarmi. Mi avvicinai, accelerando leggermente il passo, e nello stesso istante in cui mossi le labbra per dire qualcosa, le sue mani si aggrapparono alla mia camicia, mi trascinò verso di lei, e mi baciò. Non c’erano più pensieri nella mia testa in quel momento, sentivo solo le sue braccia intorno al mio collo e le sue labbra sulle mie. Ad un tratto lei iniziò a accarezzare le mie labbra con la punta della sua lingua, con la mano schiuse le mie labbra e iniziò a morsicare la mia, gli accarezzai la schiena e sentii il calore del suo corpo contro la mia mano. Era bello sentire le nostre labbra giocare, era fantastico sentire le nostre lingue sfiorarsi gentilmente, era come se tutto in quegli istanti fosse dannatamente perfetto.
Senza mai staccare le sue labbra dalle mie, le sue mani iniziarono a sbottonarmi la camicia, e lentamente i suoi baci passarono dalla mia bocca, al mio mento, e poi sul mio petto. Si abbassò delicatamente, accarezzando i mie fianchi, e con un gesto deciso, sbottonò i miei pantaloni.
Era da quando avevo letto quel pezzettino di carta che ero già abbastanza eccitato, ed erano bastati appena qualche secondo delle sue labbra, per rendere il mio pene decisamente turgido. Lei non sembrò affatto stranita da tutto ciò, alzo leggermente lo sguardo guardandomi dritto negli occhi, e senza mai abbassare lo sguardo, mi calò giù gli slip, e iniziò e leccarlo. Sentivo il piacere inondare ogni angolo del mio corpo, mentre lei continuava alternando momenti di delicatezza ad altri decisamente più intensi, fino a quando ad un tratto si fermò.
Si rialzò, mi bacio di nuovo sulle labbra, e con quella sua voce ora molto più ansimante mi disse: “non porto mai gli slip, in certe occasioni, ora voglio che entri dentro di me”
La feci appoggiare al muro, le alzai quanto basta il vestito, e lasciai che le sue gambe avvolgessero i miei fianchi, Lei avvolse di nuovo le sue braccia intorno al mio collo, e questo gesto, mi eccitò ancora di più. Fui sorpreso io quando al primo contratto mi resi conto che anche Lei era completamente bagnata, entrai dentro di lei molto lentamente e tenni un ritmo lento ma deciso per abbastanza tempo, godendo del piacevole suono del suo ansimare. Appena decisi di alzare il ritmo mi resi conto che facevo molta fatica nel contenere l’eccitazione ma non volevo assolutamente mettere da parte il piacere che in quel momento stavo provando nell’essere dentro di lei.
Avrei voluto lasciarmi andare in una lunga esplosione di piacere, ma questo era inevitabilmente fuori discussione, ma ormai non potevo resistere al suono del suo godere, volevo in qualunque modo arrecarle piacere, e tenendola in piedi davanti a me, mi abbassai posando la mia calda lingua sul suo ventre e iniziai a sfiorarle lentamente il suo sesso. Il suo piacere cadde sulla mia bocca caldo, intenso, lento come scivola il miele, e quel suo leggero gridolino, non fece altro che donarmi altrettanto piacere, tant’è che lei mi rispose: “adesso mi vendico nella stessa maniera”. Le sue labbra di nuovo sul mio sesso, mi fecero letteralmente impazzire fino a raggiungere un esplosione di piacere immenso.

Restammo qualche istante abbracciati, io ero ancora mezzo nudo, lei a malapena più ricomposta.
Fermi, immobili, stretti l’uno all’altro, giusto il tempo almeno per me, di riordinare le idee, lei ancora avvinghiata a me.
Con uno scatto deciso si staccò, si ricompose e mi guardò, senza dire nulla.
Fu giusto un istante, e poi mi resi conto che nemmeno io sapevo cosa dire in quel momento, a ripensarci bene, credo che nemmeno sapessi se stessi sognando oppure no, ma proprio in quel frangente lei mi anticipò e disse: “Ora devo scappare”.
Una moltitudine di parole, di frasi sconnesse e di domande, mi balzarono in mente, tutte in fretta: avrei voluto chiedere chi fosse, dove abitasse, se e quando avremmo potuto rivederci, ma dalla mia bocca non uscivano parole. L’unica cosa che riuscii a profilare fu: “ma non so nemmeno come ti chiami”, Lei mi guardò un ultima volta, si avvicinò baciandomi delicatamente le labbra, con la sua voce sinuosa che ancora oggi risuona nella mia mente e rispose: “Chiamami La Sconosciuta”. Mi accarezzò una guancia, e poi, con passo lento, si allontanò.

Successe tutto nella primavera del 2010.
In quel periodo non mi ero mai sentito più sano di mente o più felice, e la mia vita scivolava in una disciplinata armonia in quattro tempi.
Non ho mai saputo chi fosse “La Sconosciuta”, ne mai l’ho più rivista. Non so cosa faccia, dove sia, non so nemmeno se anch’essa ricordi tutto ciò.
Io di Lei, porto ancora un segno, indelebile, nella mia testa e nella mia anima.

Notturno alle Tre…

Chiàmmame.. (Chiamami)

Basta con queste lacrime, non ce la faccio più a guardarti.

Ora è arrivato il momento di stringerci, poi vedremo cosa possiamo fare.

Chiamami, io sono sempre qua, sempre pronto a buttarmi nella mischia.

 

Sai che non puoi vincere quando il tavolo non lo permette,

hai imparato a perdere, ora impara a morsicare

chiamami, io sono sempre qua:

pronto a dare a mazzate, anzichè prenderle.

 

E pensa prima di parlare per non dire fesserie,

prendi tutto a ridere, e nascondi questa malinconia,

chiamami, o passa a trovarmi, se sei solo e vuoi parlare.

Lascia a casa i debiti, e scendi giù per strada,

tanto non ci crederai, ma ha i debiti anche Dio,

chiamami, io sono sempre qua:

pronto a dare a mazzate, anzichè prenderle.

 

E se cammini dento l’oscurità, e non riesci a vedere,

metti la mani avanti e cerca di non cadere,

sii sempre sicuro di te stesso, più sicuro di te stesso,

mordi, arrabbiati e datti coraggio.

 

Cento stelle brillano, alza le mani che potrai prenderle,

cento fuochi bruciano, nel tuo petto e vorresti spegnerli

Chiamami, io sono sempre qua, sempre pronto a buttarmi nella mischia.

Quanti galli cantano, ma il mattino tarda ad arrivare,

e quanti asini ragliano, e credono di comandare,

chiamami e impariamo a vivere,

andiamo a dare mazzate, anzichè prenderle.

 

“Amo profondamente questa canzone, del grande Eduardo de Crescenzo.

Chiàmmame, fa parte dell’album d’esordio del cantautore Napoletano, unico disco della sua discografia ad essere cantato interamente in dialetto.

Siamo in pieno periodo post terremoto (quello dell’Irpinia), e Napoli come tante altre città del sud, cerca una nuova rinascita da un’ennesima tragedia che ha colpito e cambiato profondamente e non solo geoligicamente la Campania e buona parte delle regioni limitrofe.

Questa canzone è un inno a rialzarsi, a dare di più, a credere in se stessi, magari facendosi leva a quelle poche persone che possiamo ritenere amici. E sopratutto è una canzone che ci spinge a prendere, anzichè aspettare che tutto ci arrivi dal cielo.”

Chiàmmame

Ne Approfitto Per Fare Un Pò Di Musica

Dai su, accomodati, beviamo qualcosa assieme, come ai bei tempi.

Come stai?
Effettivamente è  da un po’ che non ci vediamo.
Spero mi perdonerai se gli impegni degli
ultimi tempi ci hanno fatto un allontanare un poco, ma credo
tu sappia, comunque, che ho sempre pensato a te come a un amico e
che, quando mi è stato possibile, sono stato un tuo fedele e felice
compagno di viaggio. Così come ugualmente vicino ti ho sentito anche
quando la mia presenza si è fatta più saltuaria. Ma non sono mai
scomparso. Anche se non ho dato troppo a vederlo, ti ho seguito; in
silenzio, ma ti ho seguito. Te lo assicuro, soprattutto, nelle tue
evoluzioni  e metamorfosi (che sono poi la ragione stessa della tua
esistenza).

Per tutto questo, credo che io possa permettermi di parlarti
francamente. Non ti arrabbierai, spero, se mi è venuta voglia di
dirti una cosa. Inoltre, sono sicuro che tu non sia così permaloso da
non poter accettare qualche parola da uno dei tuoi più vecchi e cari
amici.

Scusami, se ogni tanto potrò sembrarti un poco contorto. Il fatto è
che, a volte, anche se credo di conoscerti bene, mi dimentico che il
nostro legame è relativamente giovane. E poi, sai, non è affatto
facile parlare con uno come te. Con uno dalla personalità così
frizzante, creativa, ma – lasciamelo dire – talvolta anche un poco
spiazzante e dispersiva.

Sai, la mia impressione è che a volte tu non sia stato sempre sincero.
Di aver taciuto su te stesso, sul tuo umore, sui i tuoi stati d’animo. Eppure sai che, hai sempre potuto contare su di me, sull’amico pronto ad ascoltarti a qualunque ora del giorno e persino della notte.

Ma in fondo, so bene che i tuoi momenti no, si consumano nell’arco di una sigaretta, e che basta abbracciare una chitarra, buttare giù un po’ di vodka e qualche nota, e torniamo a ridere come due stupidi bambini.

Abbiamo la musica no? Ci siamo sempre detti che una decina di LP rigorosamente in vinile, avrebbero risolto tutti i nostri problemi. E sarà cosi anche stasera. Ho comprato una bottiglia di Jack, ho tirato fuori  la vecchia fender, non fa cosi nemmeno tanto freddo come avevano annunciato, quindi, brindiamo!

In quarantasei anni che ti conosco, non sei riuscito mai a prendere un Sol7correttamente …

“Ne approfitto per fare un po’ di musica
Nell’ipotesi che mi ascolterai
Tra le stelle e i lampioni non saprei
Spicchio di luna questa notte dove sei?”

Spicchio di Luna

 

La mia giovinezza..

Bevo tanta acqua, anche d’inverno.

Ci sono delle giornate in cui, ho talmente tanta sete, che un solo bicchier d’acqua non è mai all’altezza del compito, ne deve seguire almeno un altro, o addirittura due.

Qualche tentativo di auto spiegazione spicciola, è quella in cui, riconosco di avere un metabolismo lento soprattutto di sera, e l’acqua probabilmente mi aiuta a digerire.

Quindi per questo motivo ci sono dei periodi in cui rientro in possesso di lucidità mentale, e quasi mi comporto come una “persona” modello: faccio la barba tutti i giorni, lavo l’auto almeno una volta a settimana, stiro io stesso le camicie, addirittura cucino e mangio solamente alimenti sani.

E un periodo che dura poco sia chiaro, qualche settimana, al massimo un mese. Poi, prendo tutti i buoni propositi, li impacchetto con cura e li mando affanculo! (In quest’era di assurdo “politically correct”, si può dire fanculo, o qualche associazione in difesa dei culi, griderà allo scandalo?)

Si, perchè in fondo non sono tipo da buoni propositi. C’è la metto tutta, sia chiaro, ma poi mi basta pensare che un minuscolo parassita obbligato ci può mandare dall’altra parte del fiume da un momento all’altro, per lasciarmi andare ai miei soliti vizi: mangiare bene, bere bene, fumare bene.

Ieri sera mi sono proprio dedicato al trittico descritto sopra, tra due giorni compio gli anni (ve lo scrivo proprio per farmi fare gli auguri, e magari sperare in qualche anima pia, che voglia farmi addirittura un regalo) e ho deciso di regalarmi una settimana intera di benessere, una SPA immersa sul divano con il mio amico del cuore (lettore cd), e ad analizzarmi in forma psicoterapia psicodinamica.

Anche perchè ieri mattina, una cara amica mi ha detto che io pretendo molto della persone, gli ho risposto che non è vero, che forse pretendo molto, ma da me stesso. Poi ieri sera appunto, riflettendo sulle sue parole, ho pensato: e se avesse ragione Lei?

Non sono riuscito a trovare la risposta, ma in cambio ho scoperto quanto sono buone le Olive Nere Infornate (ripiene) abbinate ad un Sangiovese di Romagna Superiore.

“Non ho mai tradito la mia giovinezza
Non devo provare la mia innocenza
Sono colpevole d’aver nutrito
L’amore e altre deviazioni
Come la malinconia
Come la nostalgia”

P.S. : Ci sono sere in cui, se non ci fosse Ivano Fossati, andrei a letto subito dopo cena.