COME AFFRONTARE E GESTIRE IL TERRORISMO ISLAMICO?

RISPONDENDO AD UNA SEMPLICE DOMANDA:”È NATA PRIMA LA GALLINA DEL TERRORISMO ISLAMICO PALESTINESE O L’UOVO DELLA BARRIERA ANTI-TERRORISMO ISRAELIANA?”

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PREMESSA

La risposta a questa domanda paradossale è gravida di implicazioni per la difesa dell’Europa dal terrorismo islamico ispirato o orchestrato dall’Isis. La percezione dell’apparente somiglianza delle minacce incombenti su Israele e l’Europa suggerirebbe, infatti, di analizzare il particolare scenario israeliano e trattarlo alla stregua di un “progetto pilota” per la gestione corretta del conflitto in cui siamo coinvolti anche noi. Se, infatti, fosse nato prima “l’uovo della barriera anti-terrorismo”, e quindi l’occupazione israeliana, che questo “muro di segregazione”, come viene definito dai sostenitori di questa ipotesi, sembrerebbe incarnare, allora il terrorismo islamico potrebbe rappresentare una “comprensibile” reazione ad una ingiustizia e avremmo finalmente scoperto il magico interruttore da schiacciare per spegnare la violenza islamica. Basterebbe, cioè, sforzarsi di porre fine a tutti i presunti soprusi di natura imperialista e neocoloniale perpetrati ai danni del mondo islamico, di cui la fondazione di Israele viene solitamente considerata l’apice, scusarsi, rimediare con aiuti economici e la generosa accoglienza di immigrati islamici in territorio europeo, cioè proprio quello che l’Europa ha attuato esplicitamente a partire dall’indomani della crisi energetica del 1973, e il terrorismo islamico dovrebbe svanire come nebbia al sole, o perlomeno progressivamente ridursi di intensità. Il semplice fatto di sposare la causa palestinese contro Israele dovrebbe essere sufficiente a guadagnarsi le simpatie del mondo islamico e dei terroristi. Eppure, nonostante la posizione filo-palestinese tenuta in tutti questi anni culminata con i boicottaggi di Israele, la recente decisione di riconoscere incondizionatamente la Palestina e la scelta di marcare i prodotti israeliani provenienti dalla Cisgiordania, l’apertura delle porte all’immigrazione islamica, e persino il sostegno diplomatico e militare offerto all’Islam radicale attraverso la deposizione del regime dittatoriale di Gheddafi in Libia, Parigi è stata colpita senza alcuna pietà dal terrorismo islamico. L’attacco alla Francia sembra suggerire, oltre ogni legittimo dubbio, che sia nata, invece, prima la gallina del terrorismo islamico. Se così fosse, allora sarebbe evidente che l’Islam radicale abbia dichiarato una guerra implacabile e senza quartiere al resto del mondo per ragioni endogene, che non esistano purtroppo interruttori magici per spegnere l’attacco senza ricorrere alla forza, che siamo quindi in guerra e dobbiamo combattere, adottando tutte le misure di emergenza necessarie in questo frangente, cioè “costruire barriere anti-terrorismo” alias “muri di segregazione” in senso sia metaforico, sia letterale.

LA SOTTOVALUTAZIONE DELLE VITE INNOCENTI SALVATE DALLA BARRIERA ANTI-TERRORISMO

«Il Segretario di Stato Parolin ha manifestato grande preoccupazione per la decisione di Israele di completare il muro di segregazione a Betlemme e di mettere ora in atto gli espropri delle terre dei cristiani nella valle di Cremisan in Cisgiordania».
http://www.avvenire.it/…/…/sindaco-di-betlemme-dal-papa.aspx
Quando Israele, dopo una serie interminabile di terrificanti attentati terroristici, che avevano mietuto vittime anche tra adolescenti, diede avvio alla costruzione della “barriera difensiva anti-terrorismo”, questo progetto, anche prima che si pensasse di far passare la barriera nella valle di Cremisan, aveva già suscitato polemiche e critiche della stessa natura di quelle odierne, scoppiate intorno al tratto apparentemente all’origine della controversia. In altre parole, chi, oggi, comprensibilmente si lamenta e protesta per quella che potrebbe anche essere una decisione sbagliata da parte del governo israeliano, ha descritto quella barriera, che ha ridotto di oltre il 90% la frequenza degli attacchi terroristici e le vittime civili innocenti, come un “muro di segregazione” con connotazioni esclusivamente negative sin dall’inizio, sottovalutando così l’importanza delle tante vite umane salvate.
http://embassies.gov.il/…/Doc…/barriera%20antiterrorismo.pdf
A conferma dell’esistenza della scelta di sottovalutare le vittime del terrorismo islamico palestinese, non sembra che il Segretario di Stato Vaticano Parolin e tutti coloro che oggi criticano aspramente questa decisione, avessero condannato, con durezza proporzionale alla gravità, la lunga lista di terrificanti attacchi palestinesi contro civili innocenti, che avevano reso necessaria la costruzione della “barriera anti-terrorismo” tanto per cominciare.

IL CAPOVOLGIMENTO DELLA SEQUENZA CRONOLOGICA E LOGICA DEGLI EVENTI

Invertendo la sequenza cronologica e logica degli eventi e in accordo con la teoria del Jihad reattivo, i critici della “barriera anti-terrorismo”, quando si sono espressi, lo hanno fatto per “giustificare” la furia omicida palestinese come una reazione comprensibile a misure di risposta al terrorismo e alle loro ricadute, quali la costruzione della “barriera anti-terrorismo” stessa, le code sotto il sole ai check-point, ed altre presunte manifestazioni dell’oppressione e occupazione israeliana. Commentando un terrificante attacco terroristico in una sinagoga di Gerusalemme, il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal ha, infatti, dichiarato:“Bisogna togliere le cause della disperazione che genera violenza, interrompere la spirale infinita delle vendette”
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/terrore-sinagoga-gerusalemme-1068665.html
In realtà, a smentire ulteriormente e clamorosamente la teoria del Jihad reattivo, spicca un episodio della storia mediorientale che dovrebbe destare non poca sorpresa in coloro che descrivono la violenza islamica palestinese come una reazione alla fondazione di Israele e all’occupazione israeliana. Il terrorismo islamico ai danni degli ebrei cominciò molto prima della rifondazione di Israele, e di qualunque presunta provocatoria occupazione o sottrazione di terra da parte israeliana, in modo eclatante nel 1929 con il tristemente famoso massacro di Hebron, che fu provocato da una violenta campagna di incitamento all’odio antiebraico promossa dal Mufti di Gerusalemme Haij Amin al-Husseini e dagli imam di tutta la Palestina.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId&sez=70&id=15139&print=preview
http://www.focusonisrael.org/2008/10/07/hebron-1929-pogrom-antisemitismo/
https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Hebron_del_1929

I FRUTTI PARADOSSALI DEL SODALIZIO CON LA CAUSA PALESTINESE: LA DHIMMITUDINE ALLA LUNGA NON PAGA

Sebbene il Segretario di Stato Vaticano, i Patriarchi di Gerusalemme, e gli altri detrattori cristiani di Israele siano prodighi di condanne verso lo Stato Ebraico e “giustifichino” il terrorismo palestinese come una comprensibile reazione alla presunta occupazione israeliana, contro intuitivamente per loro e tutti quelli che ne condividono l’adesione alla teoria del Jihad reattivo, i cristiani di Betlemme e della Cisgiordania subiscono, per mano islamista, crescenti soprusi e angherie, invece che essere risparmiati. “Tra i soprusi spiccano la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani, i numerosi casi di stupro e abuso sessuale verso ragazzine cristiane, e la crescente islamizzazione della società palestinese, nella quale spesso i cristiani non vengono assunti da datori di lavoro musulmani e chi porta in pubblico la croce rischia il pestaggio”.
http://www.tempi.it/cristiani-presi-a-sassate-in-chiesa-vicino-a-betlemme-da-un-gruppo-di-islamici-sempre-di-piu-scappano-dalla-terra-santa#.VkCrpV6rGim
http://www.tempi.it/i-cristiani-fuggono-da-betlemme-vi-diranno-che-e-colpa-di-israele-ma-a-farli-scappare-sono-soprattutto-gli-islamisti#.VkCr3V6rGil
Nonostante l’esodo di cristiani da Betlemme e dalla Cisgiordania per sfuggire alle discriminazioni e persecuzioni perpetrate dagli islamisti palestinesi con la connivenza di Abu Mazen e dell’Autorità Palestinese, Israele è l’unico luogo in Medio Oriente in cui la popolazione di cristiani stia aumentando, invece di diminuire. Questa, però, non è l’unica sorpresa che Israele ha in serbo per chi riesca a spingersi oltre la cortina della copertura mediatica politicamente corretta. Sempre più cristiani israeliani, stanchi delle ingiustizie subite a dispetto della scelta di sposare la causa palestinese contro Israele, preso atto del declino del nazionalismo arabo e della conseguente crescita e diffusione dell’islam radicale e delle sue persecuzioni ai danni dei cristiani, stanno scegliendo di porre fine alla tradizionale dhimmitudine e di arruolarsi nell’IDF(Esercito Israeliano).

IL RICONOSCIMENTO INCONDIZIONATO DELLA PALESTINA E LE SUE RICADUTE NEGATIVE

Il cambiamento rivoluzionario del quadro geopolitico mediorientale, innescato dagli interventi diplomatici e militari occidentali ai danni dei regimi dittatoriali arabi, e i limiti della dhimmitudine come “strategia difensiva”, evidenziati dal trattamento riservato dai palestinesi islamici ai cristiani della Terra Santa, sembrano, però, essere sfuggiti alla comunità internazionale e persino al Vaticano, come apparentemente confermato dal recente riconoscimento della Palestina senza condizioni, “gratis”. Questo riconoscimento, infatti, avrebbe potuto essere promesso in cambio del riconoscimento di Israele e del rispetto dei cristiani della Cisgiordania da parte dei palestinesi islamici, avanzando così enormemente la causa della pace e della difesa dei cristiani dalle persecuzioni islamiste, oltre che risolvere la vertenza specifica della valle di Cremisan, citata nella prima parte di questa riflessione. Una volta ottenuto il traguardo ambizioso del riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, presupposto essenziale per la pace tra Israele e il mondo arabo islamico, la “barriera anti-terrorismo” sarebbe diventata, se non completamente inutile, però, di importanza secondaria. A questo punto, si sarebbe potuto chiedere ad Israele non solo di riconsiderare e modificare decisioni penalizzanti per i cristiani, come quella del percorso della “barriera anti-terrorismo” attraverso la valle di Cremisan, ma anche sollecitare un intervento più esplicito in difesa dei cristiani contro l’Isis e altri gruppi islamisti, proprio in cambio dell’impegno del Vaticano anche a favore di Israele una volta tanto, non sempre dei suoi e nostri nemici giurati. Invece, il riconoscimento incondizionato della Palestina, al di là delle migliori intenzioni del Vaticano, ha finito per premiare l’intransigenza, l’incitamento all’odio anti-ebraico, il ricorso alla violenza e gli abusi ai danni dei cristiani da parte di Abu Mazen e dei palestinesi islamisti. Come confermato dall’esplosione di violenza e gli attacchi contro innocenti civili israeliani di questi giorni, non c’è alcuna ragione per illudersi che “l’angelo della pace” Abu Mazen e i palestinesi possano mettere in discussione e modificare le strategie e le politiche violente e disumane impiegate finora. Perché, infatti, dovrebbero sognarsi di cambiare un approccio che ha ottenuto ai loro occhi un grande successo diplomatico e politico a livello internazionale? È anche possibile che il Vaticano abbia tenuto conto del fatto che la Cisgiordania e la Striscia di Gaza stiano subendo un processo crescente di infiltrazione e di reclutamento di militanti dell’Isis, che minaccia la sovranità dell’Autorità Palestinese e di Hamas accusandoli di essere troppo moderati, e mette a repentaglio in modo più grave la sicurezza non solo di Israele, ma anche dei cristiani residenti.
Con il riconoscimento della Palestina, il Vaticano potrebbe aver cercato di rafforzare l’Autorità Palestinese e Hamas, percepiti come male minore rispetto all’Isis, sperando che i palestinesi, una volta ottenuto finalmente il loro tanto agognato stato, avrebbero cessato di cedere alle lusinghe dell’Isis e ostacolato la sua ascesa al potere, invece di favorirla.
Se, ipoteticamente, questo fosse stato lo scopo del riconoscimento, i conti non tornerebbero comunque.
Anzitutto, proprio tenendo presente il timore dell’Autorità Palestinese e di Hamas nei confronti della sfida posta dall’Isis alla propria autorità, a maggior ragione la Santa Sede avrebbe potuto utilizzare la promessa del riconoscimento come leva efficace per esigere ed ottenere il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere e dei cristiani di Betlemme e della Cisgiordania e Striscia di Gaza ad essere rispettati, avanzando così contemporaneamente la causa della pace e della difesa dei cristiani.
Inoltre, la strategia di concedere senza nulla esigere in cambio, se non la moderazione, per favorire i meno estremisti rispetto ai più radicali, si è già dimostrata fallimentare.
Quando Israele nel 2005 si ritirò unilateralmente dalla Striscia di Gaza offrendola ai palestinesi, ci si sarebbe aspettati un rafforzamento dell’Autorità Palestinese e di Fatah, più moderati, e un indebolimento di Hamas, più radicale.
Invece, il ritiro di Israele, giudicato una dimostrazione di forza in Occidente, fu percepito come un segno di debolezza in Medio Oriente.
I palestinesi, che evidentemente non avevano mai avuto come obiettivo quello di ottenere un proprio stato esistente in pace a fianco di quello ebraico, ma di fondare il proprio stato sulle rovine di quello ebraico, spostarono il loro sostegno verso l’estremo più radicale dello spettro politico, sostenendo e portando al potere Hamas, che prometteva di conseguire l’obiettivo desiderato e più in fretta di quanto non dessero l’impressione di poterlo fare i più moderati.

SIAMO TUTTI ISRAELE: ERIGIAMO BARRIERE ANTI-TERRORISMO ALIAS “MURI DI SEGREGAZIONE”…

Un recente sviluppo interessante e promettente, in controtendenza rispetto alla decisione discutibile di riconoscere la Palestina, è stato, però, il recente intervento di Papa Francesco nel corso di un incontro privato con i rappresentanti del World Jewish Congress:
“To attack Jews is anti-Semitism, but an outright attack on the State of Israel is also anti-Semitism…There may be political disagreements between governments and on political issues, but the State of Israel has every right to exist in safety and prosperity.”
http://www.worldjewishcongress.org/en/news/attacks-on-jews-are-anti-semitism-as-are-attacks-on-israel-pope-francis-tells-jewish-leader-10-3-2015
L’esplicito riconoscimento del diritto di Israele ad esistere sicuro e prospero espresso da Papa Francesco è un segnale estremamente positivo, che manifesta la prevedibile sensibilità del Santo Padre nei confronti dei legittimi diritti ed esigenze di sicurezza di Israele. D’altra parte, questa dichiarazione “scontata” rende, per certi versi, anche più paradossale il riconoscimento della Palestina, perché la fondazione di uno Stato Palestinese preclude il diritto all’esistenza dello Stato Ebraico, non dal punto di vista teorico, favorito dal Papa e dagli altri osservatori in buona fede, ovviamente, ma da quello della realtà sul terreno. La Palestina, infatti, è percepita da Abu Mazen, dai palestinesi e dal mondo islamico in generale, come un’alternativa “islamica” ad Israele, il cui diritto all’esistenza nella forma di Stato “Ebraico” è ancora negato.
Da una parte, infatti, Abu Mazen e i palestinesi aspirano ad uno Stato Palestinese islamico, privo di israeliani, e Juden-free, cioè senza ebrei, dall’altra, non sono disposti ad accettare l’esistenza di una “casa nazionale per il popolo ebraico”, e rivendicano il “diritto al ritorno” dei discendenti dei profughi generati dalla Guerra d’Indipendenza del 1948 in quella che percepiscono come un’effimera, transitoria, Israele “laica”.
Confortati dalle dinamiche del processo di islamizzazione dell’Europa favorito dal multiculturalismo, Abu Mazen e i palestinesi, infatti, ritengono, non senza ragioni, che in qualità di Stato “laico”, piuttosto che “ebraico”, Israele più difficilmente sarebbe in grado di opporsi all’ingresso di immigrati islamici, cioè evitare la propria distruzione demografica.
http://www.focusonisrael.org/2013/08/01/trattative-pace-israeliani-palestinesi-abu-mazen/
http://www.focusonisrael.org/2011/11/03/abu-mazen-stato-ebraico/
Il Vecchio Continente, infatti, sta assumendo sempre più distintamente i connotati di una vittima, come Israele, non solo, e sempre più spesso, di attacchi terroristici islamici, ma anche di un’aggressione demografica senza precedenti, attuata attraverso un processo migratorio controllato dagli islamici radicali dell’Isis, o vicini ad esso, dopo la caduta di Gheddafi, che vede giungere dalla Libia sulle sponde europee presunti profughi in prevalenza islamici. I paesi europei, Francia in testa, proprio nella misura in cui hanno rinnegato le proprie radici cristiane, evitando accuratamente persino di menzionarle nella dichiarazione costitutiva dell’Unione Europea in nome della presunta laicità dello Stato, sono andati incontro ad un progressivo declino demografico, non hanno posto obiezioni di sorta all’accoglienza di quote elevate di immigrati islamici in passato, ed hanno, quindi, subito in questi anni un processo inesorabile di islamizzazione. La scelta di rinunciare alla propria cultura cristiana tradizionale per sposare il multiculturalismo e favorire l’integrazione degli immigrati islamici, in realtà, ha ostacolato l’integrazione, favorendo la creazione di ghetti islamici e la crescita dell’Islam radicale al loro interno. Non si è potuto, infatti, competere efficacemente con i propugnatori di un’identità islamica radicale come soluzione al vuoto culturale dilagante in Europa. Queste enclavi islamiche, sorte nel cuore delle città europee, sono sempre più simili ai loro corrispettivi palestinesi. Esse, infatti, non soltanto sono Juden-free, ma, laddove abbiano raggiunto dimensioni ragguardevoli, cominciano ad avanzare esplicitamente le medesime pretese di trasformazione in veri e propri stati islamici già accampate dai palestinesi islamici, minacciando l’integrità territoriale e la sicurezza degli stati europei in cui si sono sviluppate, come accaduto, in modo eclatante, per esempio in Norvegia.
http://www.mattinonline.ch/oslo-maggioranza-quartiere-islamico/
Proprio sulla crisi di identità che affligge l’Europa si fondano i progetti egemonici degli islamici radicali. Costoro oggi promuovono e controllano i flussi di immigrati islamici per alimentare la crescita delle “roccaforti islamiche” all’interno dei confini territoriali europei, consapevoli, a differenza dei nostri leader, del fatto che, sebbene, teoricamente, chi è disposto ad affrontare il lungo e rischioso viaggio fino alle nostre coste possa anche essere animato dalla migliori intenzioni, in realtà, finisca poi per cadere, quasi inevitabilmente, vittima delle dinamiche di ghettizzazione e radicalizzazione già descritte. A conferma del fatto che siano state l’insistenza sulla laicità dello Stato e la presunta necessaria rinuncia alla propria identità cristiana per far posto ai rappresentanti di altre culture, a favorire quella che si configura come una vera e propria invasione islamica, spicca l’esempio dei paesi dell’Europa centrale e orientale. Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, hanno manifestato la ferma intenzione di salvaguardare la propria identità cristiana, senza per questo pregiudicare la propria laicità, guarda caso rivendicando, proprio come Israele, il diritto alla difesa della natura etnica e nazionale dello stato, e insistendo sul conseguente rifiuto di accogliere quote elevate di presunti profughi islamici, che ha assunto la forma concreta dell’erezione di barriere fisiche contro l’ingresso. A quanto pare, la comune minaccia incombente, sia su Israele, sia sull’Europa, sta suggerendo l’adozione di misure analoghe per contrastarla, anzitutto la riscoperta e la difesa delle radici e dell’identità nazionali e la correlata enfasi sulla necessità di contrastare il declino demografico promuovendo la crescita della natalità fra gli autoctoni, cavalli di battaglia di pressoché tutti i movimenti politici che si oppongono all’immigrazione incontrollata e all’islamizzazione, e quindi, a più breve termine, l’adozione di soluzioni tecniche di emergenza simili alla barriera antiterrorismo israeliana, che garantiscano la sicurezza e l’ordine nei limiti del possibile. In un futuro ormai non troppo lontano, potrebbe, infatti, forse rivelarsi necessario costruire altre barriere, sul modello di quella israeliana, intorno ai quartieri islamici nel cuore delle città europee, per impedire ai potenziali terroristi, che si annidano al loro interno, di raggiungere i bersagli desiderati. Alla luce, infatti, del successo “militare” conseguito da piccoli drappelli di jihadisti in occasione del recente attacco coordinato e simultaneo nel cuore di Parigi, della mobilitazione di forze armate resasi necessaria per porre fine all’emergenza, e del fatto che i terroristi fossero in parte noti alle forze dell’ordine, è evidente che già oggi non disponiamo delle risorse di uomini e mezzi necessari al controllo di tutti i potenziali jihadisti e alla prevenzione di attacchi terroristici. La soluzione non potrà, dunque, essere anzitutto o esclusivamente quella di proteggere tutti i numerosissimi potenziali bersagli da un numero troppo consistente di potenziali terroristi, per quanto limitato possa apparire il loro numero rispetto alla maggioranza dei musulmani moderati, cioè esercitare un controllo “a valle”. Bisognerà, invece, soprattutto controllare “a monte”, cioè bloccare il flusso di potenziali jihadisti dai suoi luoghi di origine, limitando sia l’ingresso di immigrati islamici in territorio europeo, sia i movimenti di quelli già residenti nei quartieri islamici che oggi sfuggono alle attività di controllo del territorio.
È possibile che si stia rapidamente avvicinando il giorno in cui sarà finalmente chiaro proprio a tutti che è nata prima la gallina del terrorismo islamico palestinese, e poi l’uovo della barriera anti-terrorismo israeliana…

Il sindaco della città, Vera Babouan, ha incontrato Francesco e il Segretario di Stato Parolin. “Grande preoccupazione per gli espropri annunciati da Israele nella Valle di Cremisan, in Cisgiordania”. <strong class=”ms-rteFontSize-1″>Stefania…
avvenire.it
 


Gli ambientalisti, “quinta colonna” dell’alleanza sinistra radical chic e islam radicale

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La guerra non si riduce mai ad un semplice e leale scontro e scambio di colpi più o meno violenti e devastanti sul campo di battaglia in stile cavalleresco.
La guerra è sempre combattuta su più piani, in più fasi, non necessariamente franchi, espliciti o immediatamente cruenti.
Per quanto moderni siano gli armamenti impiegati, persino oggi si ricorre a strategie antiche, ma non per forza antiquate, fra cui spiccano quella del Cavallo di Troia e della Quinta Colonna.
Anche l’attuale Jihad contro l’Occidente non sfugge a questa logica, e, per una curiosa coincidenza, l’islam, il colore del cui vessillo è il verde, sembra voler sfruttare i “verdi” come Quinta Colonna e la “loro” teoria sui cambiamenti climatici per promuovere l’ulteriore apertura delle porte dell’Occidente al Cavallo di Troia dell’immigrazione dai paesi islamici.
La teoria dei cambiamenti climatici “antropogenici”, dogma della nuova religione dell’ambientalismo, potrebbe rivelarsi forse la più gigantesca bufala del secolo, ma raccoglie un gran numero di sostenitori anche illustri.
Essa è smentita da circa 20 anni di “costanza” della temperatura media globale, nonostante l’aumento drammatico delle emissioni di CO2, e dalla mancata riduzione dei ghiacci polari, che anzi sono cresciuti in estensione negli ultimi anni.
Questo, ovviamente, non significa che il clima non stia cambiando.
Il clima è in costante evoluzione dall’alba dei tempi.
Che, però, il clima stia cambiando a causa delle attività antropiche, non è un fatto, ma solo una teoria, smentita da molti fatti.
E, comunque, di fronte alla realtà complessa dei cambiamenti del clima, il buon senso suggerirebbe di adattarsi ai cambiamenti climatici, come Homo sapiens ha dimostrato di saper fare meglio di qualunque altra specie, piuttosto che tentare velleitariamente di impedirli o controllarli.
In effetti, da un punto di vista economico, di costi, l’adattamento sembrerebbe molto meno dispendioso, fatto ancor più degno di considerazione in un momento di crisi economica come quello attuale.

http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/10644867/We-have-failed-to-prevent-global-warming-so-we-must-adapt-to-it.html

Ciò nonostante, questa teoria, oltre a godere del sostegno incondizionato della nuova sinistra terzomondista, ambientalista e pacifista, e ad aver convinto persino Papa Francesco, aveva a suo tempo già catturato l’immaginazione del nemico numero 1 dell’Occidente, Osama Bin Laden, ed oggi raccoglie altri inquietanti consensi nel mondo islamico, fra i religiosi, nonostante che ricchi paesi arabi sponsorizzino il Jihad e l’islamizzazione del pianeta coi proventi del petrolio, la cui combustione, o dei cui derivati, è il principale responsabile delle emissioni di CO2.

http://www.reuters.com/article/2015/08/18/us-climatechange-muslims-idUSKCN0QN1HI20150818

Un curioso paradosso emerge quando consideriamo l’identità e le appartenenze religiose, politiche e ideologiche, di chi sottoscrive, o sembra sottoscrivere, la teoria del riscaldamento globale antropogenico, al di là della questione della sua scientificità.
La domanda paradossale è perché mai Osama Bin Laden, prima, e i suoi “eredi” islamici, dopo, dovrebbero farsi l’autogoal, “demonizzando” il petrolio, e quindi apparentemente rischiando di mettere a repentaglio l’unica abbondante risorsa di cui dispongono, oltre alla sabbia, che ha consentito loro non soltanto di finanziare i propri progetti politici ed egemonici di diffusione dell’islam, ma anche di ricattarci, costringendoci ad aprire le porte dell’Europa all’immigrazione dai paesi islamici in cambio di garanzie sulle forniture petrolifere.
Qual è il rapporto tra perseguimento dei propri interessi e progetti egemonici di islamizzazione e consolidamento della teoria dei cambiamenti climatici antropogenici?
Qui entrano in gioco i migliori alleati occidentali dell’islam radicale, la sua Quinta Colonna, coloro i quali vogliono tenere spalancate le porte dell’Europa all’invasione islamica, che, per una straordinaria “coincidenza”, sono anche i propugnatori della teoria dei cambiamenti climatici antropogenici, cioè la nuova sinistra terzomondista e ambientalista.
La nuova sinistra terzomondista e ambientalista, nel tirare le conseguenze pratiche della sua adesione alla teoria del riscaldamento globale, non ha mai contestato coloro che controllano in primis le risorse petrolifere, ovvero gli islamici sauditi, iraniani e compagnia bella, ma è scesa sul sentiero di guerra quando il petrolio da sfruttare era quello americano o europeo.
Pertanto, in realtà, demonizzando esclusivamente il petrolio effettivamente controllato dagli occidentali, la nuova sinistra ha favorito la nostra dipendenza da quello dei sauditi, degli Emirati Arabi, dell’Iran, come se quello arabo/islamico fosse ad impatto ambientale inferiore, più “verde”.
Inoltre, attraverso la ferma opposizione al nucleare e l’insistenza sul miraggio delle energie rinnovabili, la nuova sinistra ha sigillato la nostra schiavitù e la sua alleanza con i nostri padroni.
L’esistenza di tale pericolosa alleanza è anche confermata dall’atteggiamento sorprendentemente bonario tenuto dai paesi islamici produttori di petrolio nei confronti dell’ambientalismo e dei suoi “fedeli”.
Perché gli ambientalisti non sono mai stati minacciati dagli integralisti islamici e non vanno in giro con la scorta, nonostante la loro apparente battaglia contro gli interessi multi-miliardari dei principali sponsor del terrorismo islamico mondiale?
Forse perché gli islamici in questione sanno che le uniche alternative al petrolio pericolose per i propri interessi sono, in realtà, il petrolio della competizione e il nucleare, e che, pertanto, le simpatie degli ambientalisti consentono loro di sabotare le politiche energetiche dell’Occidente, e non solo quelle, a proprio vantaggio.
Dopo la rivoluzione energetica innescata dall’innovativa tecnologia del fracking, che rischia di affrancare definitivamente l’Occidente dalla dipendenza dal petrolio arabo, spuntando così l’arma del ricatto energetico, è diventato ancora più vitale per il successo dell’islam militante il ruolo svolto dagli ambientalisti, i quali si oppongono all’impiego di questa tecnologia.
Questa potrebbe essere una delle ragioni per accreditare la teoria dei cambiamenti climatici antropogenici, oltre che per finanziare gli ambientalisti e la loro battaglia contro il fracking, come accaduto, per esempio, in occasione della produzione cinematografica di “Terra promessa”, un film di Hollywood, critico nei confronti della tecnologia del fracking, sponsorizzato dagli Emirati Arabi.

Matt Damon fracking film backed by big OPEC member

Un ulteriore motivo per voler contribuire a consolidare la teoria del riscaldamento globale antropogenico potrebbe essere l’enfasi posta dalla sinistra terzomondista e ambientalista, ed ora anche dall’Enciclica di Papa Francesco, sui cambiamenti climatici come responsabili della generazione di “profughi climatici” da accogliere “senza se e senza ma” in Europa.
L’accettazione delle implicazioni di questa teoria sta, infatti, giustificando la necessità di accogliere “profughi” islamici, anche nel caso assai frequente in cui, in realtà, costoro non stiano affatto fuggendo da conflitti, ma solo, presumibilmente, da devastanti cambiamenti a livello climatico e meteorologico.
Sembra giusto, infatti, ai nostri occhi, che spetti ai principali presunti colpevoli dei cambiamenti climatici, cioè ai ricchi paesi occidentali, considerati responsabili dell’emissione della percentuale maggiore di gas serra, tentare di rimediare ai danni arrecati al Terzo Mondo, offrendo ospitalità ai “migranti climatici”.

1974 AD: IL PATTO COL DIAVOLO ISLAMICO

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IL PATTO COL DIAVOLO ISLAMICO E LO STUPRO DELL’EUROPA
Lo stupro, o se siete più moderni e aperti ai nuovi sviluppi della società, la “sodomizzazione islamicamente corretta” dell’Europa, comincia in modo ufficiale nel 1974, attraverso un patto col diavolo islamico.
Questo preoccupante fenomeno, che si manifesta parallelamente all’approfondimento del sodalizio con la causa palestinese e la conseguente crescita dell’antisionismo europeo, anche all’interno della Chiesa, è in qualche modo favorito da due fattori, entrambi riconducibili ad un vero e proprio ricatto:
1. Ricatto energetico: l’amara consapevolezza della totale dipendenza energetica dell’Europa dal petrolio dei paesi produttori di petrolio del Medio Oriente e del Nord Africa, acuita dalla crisi energetica del 1973. Questa crisi fu dovuta principalmente all’improvvisa e inaspettata interruzione del flusso dell’approvvigionamento di petrolio da parte del’OPEC verso le nazioni importatrici, dopo un iniziale raddoppiamento del prezzo del petrolio e diminuzione del 25% delle esportazioni per ammonire l’occidente a non appoggiare Israele durante la Guerra dello Yom Kippur.

https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_energetica_(1973)

2. Ricatto della paura: la volontà di ridurre il rischio di attentati terroristici islamici in territorio europeo dopo la scia di massacri compiuti dall’OLP e gruppi associati ai palestinesi negli anni ’70 contro obiettivi legati alla comunità ebraica e a Israele, a conferma, tra l’altro, della sostanziale identità dei concetti di antisionismo e antisemitismo, almeno per gli islamici.

https://it.wikipedia.org/wiki/Terrorismo_palestinese

L’Europa, ricattata energeticamente e terrorizzata dagli attentati dei palestinesi, si accorda con i suoi nemici giurati, il diavolo islamico, da cui riceve assicurazioni di ininterrotta fornitura petrolifera e di controllo sull’attività terroristica, che, nella peggiore delle ipotesi, sarà orientata esclusivamente contro Israele e gli ebrei.
Gli ebrei vengono, quindi, usati consapevolmente come “vittima sacrificale” per la presunta salvezza dell’Europa, a patto di aprire le porte all’immigrazione di massa dai paesi del Nord Africa e mediorientali e sposare la causa araba e palestinese contro Israele.

http://win.storiain.net/arret/num127/artic3.asp

La nuova sinistra, “sterile” biologicamente, e quindi alla disperata ricerca di potenziali votanti per ampliare la sua base elettorale, coglierà al volo l’occasione di spingere sull’acceleratore dell’immigrazione. A questo scopo, essa giocherà le carte dei sensi di colpa per il passato coloniale da espiare e del “terzomondismo”, con cui ingannerà anche i cattolici di sinistra guadagnandosi il loro sostegno, e sfrutterà la scusa della necessità di mantenere in vita il sistema pensionistico e sanitario, compromesso dalla scarsa natalità, favorita dagli attacchi incessanti alla famiglia tradizionale lanciati proprio dalla sinistra a partire dagli anni ’60.
La nuova sinistra per queste ragioni si dedicherà con particolare entusiasmo al compito sancito dalle clausole del patto stipulato dall’Europa e imposto dai ricatto energetico e terroristico del mondo arabo. I mass media e i rappresentanti del mondo accademico di sinistra, cioè la stragrande maggioranza delle agenzie di stampa e dei professori universitari, giocheranno, infatti, un ruolo decisivo nella costante demonizzazione e boicottaggio dello Stato Ebraico.
I cattolici di sinistra, abboccando all’amo dell’apparente lotta per la giustizia sociale e il falso interesse per i poveri del Terzo Mondo esibiti dalla sinistra, e a volte rispolverando per l’occasione l’antisemitismo del passato fondato sull’accusa di Deicidio, offriranno il proprio contributo, sostenendo anche col voto la sinistra e le sue politiche antisioniste, ma anche anticristiane.
Nell’aprile del 1974, anno decisivo per il futuro dell’Europa, Houari Boumedienne, il presidente algerino, dinanzi all’Assemblea delle Nazioni Unite, senza tanti complimenti e senza alcun timore, a conferma della sua consapevolezza dell’esistenza dei presupposti per la “sodomizzazione” dell’Europa, primo fra tutti la disponibilità europea a lasciarsi “sodomizzare”, dichiara:
«Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere nell’emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo coi loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria».
Nel luglio del 1974, la Turchia, presumibilmente confortata dall’inesistente reazione europea alle parole minacciose del presidente algerino, occupa illegalmente e islamizza la parte settentrionale di Cipro, territorio dell’Unione Europea, senza per questo suscitare dubbi significativi nella leadership europea sull’opportunità di lasciarsi penetrare ulteriormente dalla Turchia accettandola ufficialmente all’interno dell’Europa.
L’esistenza di una chiara volontà politica di lasciarsi “sodomizzare geopoliticamente e culturalmente” traspare quindi ulteriormente dalla decisione dei politici europei di creare una nuova entità geopolitica, “Eurabia”, in accordo con i governanti dei paesi del Nord Africa e mediorientali, e con la benedizione di alcuni illustri rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, che prende forma definitiva nell’autunno dello stesso anno.

IL PREZZO DA PAGARE PER AVER VENDUTO L’ANIMA AL DIAVOLO ISLAMICO
Come risultato forse prevedibile, ma totalmente inaspettato per i promotori europei dell’apertura incondizionata delle porte dell’Europa all’immigrazione dal mondo islamico, la radicalizzazione degli immigrati islamici è aumentata, invece di diminuire.
Conseguentemente, anche lo spettro dell’antisemitismo è ritornato ad infestare l’Europa, questa volta sotto forma di fascismo islamico. Negli ultimi anni migliaia di ebrei francesi hanno abbandonato la Francia per sfuggire alla violenza degli immigrati islamici, che ha imposto un pesante tributo di sangue nell’Europa dei diritti umani, della presunta lotta al razzismo e all’omofobia, e delle Giornate della Memoria.
Confutando l’ipotesi che l’estremismo e il terrorismo islamico potessero rappresentare una reazione al colonialismo, alla fondazione di Israele, all’imperialismo occidentale, alla povertà, alla mancanza di libertà e democrazia, gli immigrati islamici di seconda generazione non solo non si sono integrati, ma, paradossalmente, sono più radicali dei loro genitori, e persino dei musulmani non espatriati. Oggi, costoro forniscono i combattenti più spietati alla causa della Jihad in Siria, Iraq e altrove, e minacciano di scatenare un conflitto civile all’interno dell’Europa. Se, infatti, l’estremismo e la violenza islamici fossero stati una reazione a tutti o qualcuno dei fattori elencati, al venir meno o al ridursi dell’incidenza delle condizioni predisponenti, la radicalizzazione sarebbe dovuta diminuire, non crescere, nella seconda generazione di immigrati, nati e cresciuti in Europa. Eppure, il rispetto delle clausole del patto stipulato col diavolo islamico, cioè la scelta europea di sposare la causa palestinese contro Israele e l’accoglienza generosa in Europa, nonostante abbiano determinato un netto e tangibile miglioramento del tenore di vita degli immigrati accolti e offerto loro la possibilità di godere di libertà e diritti sconosciuti nei paesi d’origine, ha sortito l’effetto contrario a quello auspicato.

L’OCCASIONE STORICA DI RECEDERE DAL PATTO COL DIAVOLO ISLAMICO
Poi, un giorno, inaspettatamente, un evento provvidenziale sconvolge potenzialmente lo status quo.
La creatività degli ingegneri al servizio delle compagnie petrolifere estrae un coniglio dal cilindro in grado di cambiare drasticamente le regole del gioco, un’innovazione tecnologica denominata fracking, che consentirà di attingere a risorse petrolifere e di gas naturale, situate a profondità prima inaccessibili, di cui sono ricchi anche i paesi occidentali.

Fracking e Shale Gas, le nuove frontiere dell’energia

Gli USA dell’ambientalista Obama decidono di sfruttare questa possibilità di diventare energeticamente indipendenti, perdendo, quindi, ogni interesse nella stabilizzazione dell’area petrolifera mediorientale, che anzi procedono a destabilizzare attivamente, con conseguenze devastanti per il Medio Oriente e per l’Europa.
Il Vecchio Continente, invece, sembra non voler valorizzare gli aspetti positivi di questa rivoluzione energetica, ma solo di volerne soffrire l’impatto negativo legato alla nuova politica estera degli USA, cioè problemi di approvvigionamento energetico e gestione di un flusso enorme di immigrati in fuga dai conflitti scoppiati in Medio Oriente o richiedenti asilo con la scusa di fuggire dalla guerra. A quanto pare, la rivoluzione ideologica portata avanti dalla nuova sinistra dagli anni ’60 ha condizionato a tal punto la mentalità europea da riuscire a mantenere l’Europa soggiogata al ricatto energetico, ignorando l’opportunità di portata storica, offerta dall’innovativa tecnologia estrattiva, di affrancarsi finalmente dalla schiavitù dal petrolio arabo e recuperare l’anima venduta al diavolo islamico.
Così, nonostante il fallimento colossale del multiculturalismo, evidenziato dalla radicalizzazione degli immigrati islamici di seconda generazione, e dalla correlata crescita dell’antisemitismo, la leadership politica e religiosa europea sembra voler proseguire imperterrita lungo la stessa direzione scelta finora, lasciando le porte spalancate all’ingresso di immigrati islamici, e auspicando l’apertura di un numero crescente di moschee.
Così, i nostri illuminati intellettuali, leader politici e religiosi, perseverano nell’applicazione di una strategia fallimentare, quella delle concessioni senza nulla chiedere in cambio, illudendosi che un giorno possa portare frutti diversi e generare quella meravigliosa convivenza di culture e religioni differenti che tutti auspichiamo, invece che Jihadisti della peggiore specie.
Così, l’Unione Europea e i suoi mass media mantengono inalterata la posizione anti-sionista concordata col diavolo islamico.
Nonostante il mancato riconoscimento di Israele come Stato Ebraico da parte dei palestinesi e l’immutato incitamento all’odio anti-ebraico, Bruxelles continua a sponsorizzare l’Autorità Palestinese, e i giornali a mettere in cattiva luce Israele, finendo così per alimentare l’intransigenza dei palestinesi, creando i presupposti per ulteriore violenza, ed ostacolando le trattative per la pace. Persino la Santa Sede, al di là delle sue migliori intenzioni, “premia” il ricorso alla violenza riconoscendo la Palestina senza esigere nulla in cambio, né il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, né, ancora più sorprendentemente, il rispetto delle comunità cristiane di Betlemme e della Cisgiordania, le quali subiscono soprusi e abusi da parte dei fondamentalisti islamici con la connivenza dell’Autorità Palestinese dal 1994, anno in cui la Giudea e la Samaria passarono sotto il controllo dei palestinesi coi trattati di Oslo. E l’esplosione di violenza, frutto anche della miopia della leadership politica e religiosa europea, non si lascia attendere. Proprio contando sul sostegno incondizionato della comunità internazionale, i palestinesi hanno lanciato l’attuale ondata di attacchi terroristici in Israele, il cui scopo non può essere quello di impaurire e sconfiggere gli israeliani, ma di provocarne una reazione militare, che delegittimi ulteriormente Israele agli occhi degli osservatori internazionali e dei sostenitori e finanziatori della causa palestinese.
Così, i nostri esperti di islam, facendo bella mostra di sano realismo, puntano il dito verso il presidente americano Bush e il primo ministro Blair per aver inaugurato, con l’invasione dell’Iraq e la deposizione di Saddam Hussein, la distruzione del modello di convivenza pacifica fra cristiani, musulmani, curdi e altre minoranze etniche. Poi, però, rinunciando improvvisamente all’approccio pragmatico adottato nella condanna degli errori anglo-americani, non sono disposti a riconoscere, accettare e fare tesoro delle ragioni ultime che avevano reso possibile quella convivenza, cioè il controllo dell’islam radicale con il pugno di ferro, e persistono nell’illusione di poter integrare l’islam in Europa aumentando a dismisura la “carota delle concessioni” senza il ricorso al “bastone” necessario ad impedire che prenda il sopravvento.
Essi si dimenticano, inoltre, dell’esistenza di altri modelli di convivenza tra minoranze etniche e religiose diverse, sia in Medio Oriente sia in Europa, forse perché molto meno attraenti, cioè il Libano e il Kosovo prima del conflitto civile.
Sembrerebbe proprio che i nostri promotori e sostenitori dell’apertura incondizionata delle porte all’immigrazione e l’accoglienza degli islamici, e della causa palestinese, ignorando il venir meno delle condizioni che avevano rese necessarie queste politiche, stiano tenendo fede al patto col diavolo islamico siglato nel 1974 e spingendo nella direzione di modelli di convivenza catastrofici, creando così i presupposti per la guerra civile e l’islamizzazione del Vecchio Continente.